NO. 20 I'GIORNALINO

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NO 20 FEBBRAIO 2022

I’GIORNALINO


REDAZIONE 2

Direttrice GIULIA AGRESTI (VB) Vicedirettrice MARGHERITA ARENA (VB) Redattori CATERINA ADEMOLLO (IVB), RAVEN BEEL (IIC), GEMMA BERTI (IVB), NICCOLÒ BETTINI (IVB), MARIANNA BEZZENGHI (IVB), CATERINA CARAVAI (IVB), ELENA CASATI (IVB), GIOVANNI CAVALIERI (IIIA), LETIZIA CHIOSTRI (IVB), FRANCESCO GIOVANNUZZI (IVB), GIOVANNI GIULIO GORI (IIIB), ELETTRA MASONI (IIIB), MARGHERITA MOLFETTA (IVB), RACHELE MONACO (IIIB), FRANCESCA ORITI (VB), SARRIE PATOZI (VB), SOFIA VADALÀ (IVA), GIORGIA VESTUTI (IVB) Social Media GEMMA BERTI (IVB), ELENA CASATI (IVB), MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IVB) Ufficio Comunicazioni ELENA CASATI (IVB) Impaginatori GEMMA BERTI (IVB); MARIANNA CARNIANI (VB) Collaboratori esterni DIEGO BRASCHI, PIETRO SANTI Referenti PROFESSOR CASTELLANA, PROFESSORESSA TENDUCCI


LA PORTA DELL’INFERNO….…………….4 2 5 / 1 1 L A G I O R N ATA C O N T R O L A VIOLENZA SULLE DONNE E IL CASO DI ARTEMISIA GENTILESCHI………………..6 IL "BLACK HISTORY MONTH”…..………8 OGNI PERSONA SI RACCONTA UNA STORIA………………………..……………..9 SPORT INUSUALI DI CUI NON SAPEVI L’ESISTENZA…………….…………………10 AN INTERNATIONAL FUTURE……..……12

INDICE

SORELLE MATERASSI………………..….14 PER NON DORMIRE………………………16 L'ANGOLO DEL POETA……….………….17 AVVERTIMENTO NON SONO PRESENTI SPOILER!………………………….………..18 L'ACQUA DEL LAGO NON È MAI DOLCE…………………..……..……………22 SPLENDI COME VITA…………..…………23 STRAPPARE LUNGO I BORDI….……….24 LAST NIGHT IN SOHO……………………27

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LA PORTA DELL’INFERNO

Pillole di attualità

di Sarrie Patozi

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No, non è il titolo di una storia apocalittica, ma il nome dell’enorme cavità infuocata in Turkmenistan, nel deserto di Karakum, precisamente a Derweze. Le sue origini sono incerte: c’è chi sostiene che nel 1971 un gruppo di geologi sovietici alla ricerca di idrocarburi abbia perforato per errore una sacca di gas naturale situata nel Turkmenistan. Il terreno avrebbe quindi franato dando vita ad una spaventosa voragine lunga 60 metri e profonda 20. La situazione necessitava di una risposta repentina: gli scienziati decisero quindi di incendiare la zona ed evitare così che il metano si spandesse nell’aria. Il cratere continua a bruciare da allora. Secondo altri, il cratere si sarebbe formato negli anni '60, mentre le fiamme sarebbero state innescate non prima degli anni '80.


Il Turkmenistan è uno stato dell’Asia centrale confinante a nord con il Kazakistan, a nord-est con l’Uzbekistan, a sud con l’Iran e l’Afghanistan, ad ovest con il Mar Caspio. La sua capitale è Aşgabat, città da cui “la porta del diavolo” dista soli 260 km, mentre la popolazione si aggira intorno ai 6 miliardi. L’ a t t u a l e p r e s i d e n t e t u r k m e n o Gurbanguly Berdimuhamedow, in carica dal 2007 con il 97% dei voti, è apparso alla TV nazionale per divulgare la notizia che il governo sta "cercando una soluzione per spegnere le fiamme” che da 50 anni “sta danneggiando sia l’ambiente che la salute delle persone nei dintorni”. Dalle fonti sappiamo che non è la prima volta che il presidente avanza una richiesta del genere. Già nel 2010 aveva ordinato ai propri scienziati di trovare il modo per estinguere le fiamme, ma la cosa non ebbe seguito. Successivamente, nel 2018 lo stesso Berdymukhamedov aveva rinominato il cratere 'Lo splendore del Karakum' a causa del forte bagliore visibile anche da lunga distanza. Il disastro ambientale è diventato ormai un’attrazione turistica: vicino al cratere è infatti presente una strada con diverse tende per i migliaia di visitatori che ogni anno si recano in questo luogo. La nazione asiatica è il quarto più grande giacimento di gas naturale al mondo e gran parte dell’economia del Paese si basa su questo tipo di guadagno: Mosca ha di recente annunciato che la Russia ha raddoppiato le importazioni di gas dal Turkmenistan arrivando a toccare quota 10 miliardi nel 2021. Non a caso il presidente ha toccato questo punto nel suo messaggio televisivo: "Stiamo perdendo risorse naturali di valore che potrebbero produrre profitti importanti e che potremmo usare per migliorare il benessere del nostro popolo”. Con un PIL pro capite a parità di potere d'acquisto di 8.641 dollari nel 2012, il Turkmenistan si attesta come il paese economicamente più Zona circostante la “porta dell’inferno” avanzato dell'Asia centrale dopo il Kazakistan. Nonostante ciò l’economia del Paese è ancora fragile e fatica a decollare: la disoccupazione è al 60%, tra le più alte al mondo, l'inflazione è all'11% ed è in fase di crescita, e stando a dati del 2003 il 58% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. 5


25/11: LA GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE E IL CASO DI ARTEMISIA GENTILESCHI di Francesco Prati Nella nostra storia sono sempre esistiti coloro che predominano con la forza fisica: persone che, imponendo il loro volere carnale, sfigurano moralmente i deboli per inserirsi in un mondo scandito da scontri e lotte. Spesso questa immagine è stata sinonimo di debolezza, di scarsa predisposizione alla sopravvivenza. Un’immagine che è stata sempre posta particolarmente alla figura femminile, un essere solitamente parso fragile, tanto da non poter mai dominare sulla natura. La tirannia carnale e la sottomissione verso la donna si è sempre espressa in campo sessuale, un campo dove un tiranno non sente il bisogno di chiedere il permesso per entrare o non vede il motivo di alcuna cortesia, dove si compiace a discapito di una vittima. Nel caso di un’offesa del genere, il corpo diventa un motivo di vergogna e di oppressione per lo spirito, tanto da doversene liberare, e spesso questa liberazione avviene con l’arte. La storia di Artemisia Gentileschi è la sintesi perfetta dei concetti esposti, un storia di rinascita, di caduta nell’oblio e di catarsi interiore. Artemisia nasce a Roma nel 1593, figlia del pittore Orazio Gentileschi, pittore di discreta fama nella città. L’infanzia di Artemisia è Simon Vouet immersa fin da subito nell’arte, infatti la Ritratto di Artemisia Gentileschi, pittrice, sin da bambina, era solita assistere e 1623, Pisa, Palazzo Blu prendere lezioni dal padre. Nel mondo dell’arte era già sorta una grande rivoluzione nel linguaggio figurativo, rivoluzione apportata da Michelangelo Merisi, meglio noto come Caravaggio, sua città d’origine. Caravaggio, con il suo crudo realismo e la prorompente teatralità, aveva introdotto come mai prima d’ora l’idea di violenza visiva, che influenzò gli artisti a venire e in particolare Artemisia e il padre Orazio, amico del pittore. La giovane Artemisia, quasi 18enne, viene affidata dal padre agli insegnamenti della prospettiva di Agostino Tassi, uomo già noto per il fare litigioso e burbero. Tassi, approfittando dell’assenza temporanea del padre di Artemisia, che era solito assistere alle lezioni, violentò la ragazza. Era il 1611. L’anno seguente al tragico avvenimento, Orazio deciderà di denunciare l’amico per il danno fatto alla famiglia, dato che nel XVII secolo non esisteva ancora una legge che tutelasse la violenza sul singolo per quanto riguardava le donne. Artemisia rimase terribilmente sconvolta dall’accaduto, creando una profonda voragine nella sua psiche e cambiando radicalmente la sua persona e la sua arte. È proprio con 6


l’arte infatti che Artemisia si vendica del torto subito e si libera dal fardello che la schiacciava. Una tra le opere più famose di questo oscuro periodo è “Giuditta che decapita Oloferne”, tema affrontato per la prima volta nel 1612 e poi riproposto quasi ossessivamente dall’artista. L’opera, un olio su tela oggi conservato al Museo Nazionale di Capodimonte, riprende tutti gli elementi della scuola caravaggesca, tra cui l’utilizzo della luce catadiottrica e lo scenario estremamente scuro in cui si svolge la scena. Il dipinto è analogo a “Giuditta e Oloferne” di Caravaggio del 1597. Entrambe le opere rappresentano Giuditta, schiava del tiranno Oloferne, che, entrando nella tenda di lui per dei favori di natura sessuale, lo decapita, tutto in presenza della sua accompagnatrice. Artemisia riprende da Caravaggio anche la grande violenza dell’azione, in un impatto visivo mai visto in una pittrice donna all’epoca. Giuditta compie la sua missione quasi inespressiva, allontanandosi dagli schizzi di sangue che fiottano dalla testa tagliata di Oloferne; tutta l’espressività infatti sembra concentrarsi sulle mani, tese in uno sforzo disumano. Artemisia apporta però un cambiamento rispetto all’opera di Caravaggio, infatti rende l’accompagnatrice membro dell’omicidio e non più osservatrice, simboleggiando forse non solo una catarsi personale, che infatti si autoritrae come Giuditta, ma di tutto il genere femminile. Il suo talento l’avrebbe portata nel 1616 a far parte dell’Accademia del Disegno di Firenze, essendo difatti la prima donna ed entrarvi, e di compiere diversi viaggi, prima a Firenze, poi a Venezia, a Napoli ed ancora a Firenze. Durante la sua opera pittorica non si sarebbe mai discostata dal profondo dolore interiore dovuto allo stupro del Tassi, infatti si sarebbe sempre autoritratta personificando diverse donne sofferenti, come Santa Caterina e la Maddalena, trovando liberazione solo nel personaggio di Giuditta. La sua opera completa la ritiene ancora oggi una delle più grandi donne della storia e la migliore pittrice caravaggesca, perché forse è solo con un linguaggio crudo e violento che poteva dare forma alle proprie inquietudini, anche a costo di farsi disprezzare dai committenti. È sicuramente merito di donne come Artemisia Gentileschi che dal 1996 nella Legge Italiana è stato introdotto l’articolo n.66 contro la violenza carnale, donne che hanno saputo Artemisia Gentileschi, trasformare le loro disgrazie in arte, Giuditta che decapita Oloferne, 1612-1613, riuscendo a sovrastare la forza fisica Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli con il solo utilizzo della propria anima. 7


IL “BLACK HiSTORY MONTH” di Raven Beel

Durante il mese di Febbraio negli Stati Uniti viene svolta una celebrazione per ricordare la storia afroamericana e l’importanza delle persone Afroamericane in quella degli Stati Uniti. Ma torniamo indietro nel tempo, per parlare di come nasce. Tutto inizia nel 1926, quando il Dr. Carter G. Woodson crea la “Black History week” o la “Negro History Week” cioè “la settimana della storia dei neri”. Il suo scopo era quello di educare i bambini afroamericani, che all’ interno delle scuole non studiavano la loro vera storia. Questo evento veniva celebrato la seconda settimana di febbraio, mese scelto di proposito da Woodson, visto che molte figure storiche, come Frederick Douglass, Abram Lincon e George Washinton, festeggiavano il loro compleanno a febbraio; e anche perché i più importanti eventi che coinvolgevano le persone afroamericane al tempo si Carter G. Woodson svolgevano proprio in tale mese. Nel 1970 un gruppo di studenti e professori afroamericani dell’ università di Kent State iniziò a promuovere l’iniziativa di prolungare la “Black History Week” per l’intero mese di febbraio e 6 anni dopo, grazie al supporto del trentottesimo presidente statunitense, Gerald Ford, la “Black History week” diventò ufficialmente il “Black History Month” come lo conosciamo oggi. Tra l’altro, ormai anche molti altri paesi come il Canada e il Regno Unito dedicano un mese alla celebrazione della storia delle persone nere. Oggigiorno, ogni presidente ha designato il mese di febbraio come il “Black History Month” e ha anche approvato un tema specifico: ogni anno infatti viene scelto un argomento da discutere che ha a che fare con la storia della comunità afroamericana. Quest’anno il tema è: “salute e benessere delle persone nere”. Questo tema esplora non soltanto la storia degli studiosi e dei dottori afroamericani nella medicina occidentale, ma anche altri tipi di curatori e pratiche medicinali (come per esempio le doula, erboristi, naturopati ecc…) di origine africana. Questo tema quindi considera anche le attività e i rituali che hanno aiutato all’ interno di queste comunità. 8


OGNI PERSONA SI RACCONTA UNA STORIA di Rachele Monaco

Ognuno di noi segna sul suo cuore ciò che deve essere, ciò che deve mostrare, la linea incredibilmente dritta che deve seguire, ad ogni costo, in ogni momento. Ciò quindi comporta l’ingiustificata repulsione di sentimenti, persone e pensieri che la nostra idea di noi rifiuta, un po’ come una donna borghesotta che prova un maglione in poliestere, si gira e dice alla commessa con espressione di disgusto “cara non è il mio, grazie lo stesso, lo compro per mia nipote” o roba così. E in questa stupida, assurda, malinconica, strabiliante e affascinante adolescenza, l’immagine che ci costruiamo tassello dopo tassello su e di noi stessi è una semplice barriera, una Muraglia Cinese, una piramide, un gigantesco ma inutile masso, bello all'esterno e che forse ha un senso per gli altri, tanto da rappresentare un “meraviglioso monumento di valore inestimabile” o cavolate simili. Secondo me la Grande Muraglia Cinese è uno spreco di spazio. Come le piramidi, ma non è convenzionale dirlo ad alta voce no? Deduciamo quindi che quando un conoscente parlerà del suo viaggio in Egitto, con tutte le probabilità risponderò: “le piramidi? Le hai viste? vorrei tanto visitarle anche io” o se possibile anche qualcosa di ancora più adulante (Vostro Onore giuro che non sto divagando). Così, l’immagine perfetta di me che creo per gli altri è perfettamente progettata al fine di rispondere a tutto ciò che accade al di fuori della mia pelle, di conseguenza le esperienze cambiano, perché ci poniamo diversamente, e quindi cambia la nostra vita, e quindi cambiano le persone che abbiamo intorno, e quindi cambiano i nostri pensieri. Cambiamo noi. Ma dove siamo finiti… un mondo in cui un ragazzo fa un gioco di ruolo con se stesso e, masticato e assorbito dalla società, diventa un adulto con bollette da pagare, occhiaie sotto agli occhi e nessuna capacità di riflettere, ma solo di eseguire, perché in una vita così piena di maschere è tutto facile, tutto funziona, tutto scorre e anche i treni sono pressoché in orario. 9


SPORT INUSUALI DI CUI NON SAPEVI L’ESISTENZA!

L ‘angolo dello sport

di Niccolò Bettini e Francesco Giovannuzzi

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Salve a tutti e bentornati nell'angolo dello sport! La rubrica del giornalino che parla di sport a 360° e che intrattiene persone di tutte le età! Oggi andremo a vedere insieme 6 sport molto inusuali e interessanti praticati in pochissime parti del mondo… Che dire, basta con le chiacchiere e cominciamo questa nuova avventura! BOG SNORKELLING (SNORKELING DI PALUDE) Iniziamo questo viaggio attraverso gli sport più strani con il bog snorkelling. Il bog snorkelling è una variante del semplice snorkelling, ovvero una nuotata in superficie con boccaglio e maschera subacquea per osservare tante specie di pesci e coralli. In questo sport non avrete la possibilità di osservare pesci tropicali, ma diversi tipi di rane e erbacce! Si tratta infatti di una competizione che si svolge principalmente nelle paludi del Galles, in cui i partecipanti devono cercare di attraversare canali fangosi di circa 60 metri nel minor tempo possibile. In caso aveste intenzione di partecipare a una sessione di questo sport, assicuratevi di non prendere appuntamenti galanti lo stesso giorno: non ci vorrà poco per togliersi il fango e la puzza di rana di dosso! WIFE CARRYING (TRASPORTO DELLA MOGLIE) La seconda tappa del viaggio è il wife carrying. Avete letto bene, una vera e propria competizione in cui coppie formate da marito e moglie si sfidano in una gara ad ostacoli. Il marito deve trasportare la propria consorte sulle spalle e arrivare al traguardo prima delle altre coppie. La caduta della moglie a terra comporta 15 secondi di penalità e alla coppia vincitrice andrà un equivalente in litri di birra al peso della moglie. Questo sport è certamente un modo per mettersi in gioco, ma, in caso perdeste, il vostro matrimonio potrebbe essere a rischio! EXTREME IRONING (STIRATURA ESTREMA) Adesso parliamo di uno sport veramente estremo, l'extreme ironing. Questa attività combina le emozioni di un'attività all'aperto estrema con la soddisfazione di una maglietta ben stirata. Consiste infatti nello stirare in situazioni al limite dell'assurdo. E' stato ideato da Tony Hiam in


Inghilterra attorno al 1980 e si è subito diffuso. Il record per la stiratura più estrema è detenuto da John Roberts e Ben Gibbons, che hanno stirato una Union Jack appena sopra il campo base del monte Everest. Mamme, se siete stanche e dovete stirare tutti i vestiti dei membri della famiglia, cambiate metodo e provate il brivido di una stiratura estrema per rendere tutto più frizzante! SLEEPING CONTEST Dormire e poter guadagnare denaro è il sogno di tutti i pigri della Terra. Per l’appunto esiste uno sport che ti permette di fare proprio ciò: il campionato di siesta è nato dal momento che la maggior parte degli iberici è stata costretta a dire addio alla proverbiale pennichella dopo pranzo non per libera scelta, ma a causa degli orari di lavoro sempre più simili alla tradizione europea. Tuttavia in Spagna continuano a esistere migliaia di cultori del pisolino pomeridiano, e proprio per questo David Blanco, presidente dell'associazione "Amigos de la Siesta” (Amici della siesta), ha deciso di organizzare questa competizione nella quale si sfidano circa 360 concorrenti. Secondo le regole, il sonnellino deve durare 20 minuti. Ottengono punteggi alti i concorrenti che riescono ad addormentarsi dopo pochi secondi, quelli che assumono nel sonno le posizioni più originali e coloro che russano con più forza. CAR SOCCER (AUTOCALCIO) Amate sia le macchine che il calcio? Nessun problema, abbiamo la soluzione per voi! Il car soccer è uno sport che unisce l'esperienza di una partita di calcio con un bel giro in macchina. La prima partita di car soccer in assoluto fu organizzata il 19 settembre 1970. L’esibizione ebbe tanto successo che nel 1973 i vertici dell’autocalcio ricevettero l’autorizzazione per organizzare un campionato statale. Con l’introduzione del campionato alle auto furono cambiati i colori: inizialmente si utilizzavano semplici livree gialle e rosse, mentre in seguito furono adottate verniciature che richiamavano le divise da gioco nel calcio, con numero di maglia e stemma della società che rappresentavano. Un problema spesso riscontrato sono le salate spese di riparazione delle macchine a causa delle collisioni durante anche solo una partita. Infine, un fatto divertente è che recentemente è stato fatto un videogioco di nome Rocket League che replica le regole di questo sport, ma con dei dettagli aggiunti che rendono il gioco molto più interessante: non a caso questo videogioco ha avuto molto più successo dello sport. ELEPHANT POLO (POLO CON GLI ELEFANTI) Eccoci all'ultima tappa della nostra avventura, l'elephant polo, ovvero una variante del polo praticata cavalcando gli elefanti invece dei cavalli. Si gioca in Nepal, India, Scozia e Inghilterra. Il campo è tre quarti della lunghezza di un campo da polo standard, a causa della bassa velocità degli elefanti. Due persone cavalcano ogni elefante; uno, il mahout, guida, mentre l’altro giocatore dice al mahout da che parte andare e colpisce la palla. Il Polo sugli elefanti in Nepal e Thailandia è giocato sotto il controllo della World Elephant Polo Association, che applica regole rigide sul benessere degli elefanti e sul gioco. Vi raccomandiamo solo di stare attenti che agli elefanti non sia capitata una giornata storta! 11


An international future

eventi scolastici

di Caterina Ademollo

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Il liceo classico Dante, nato ormai più di 150 anni fa, dal prossimo anno offrirà una nuova sezione attraverso l’integrazione con il Cambridge International Assessment Education. Gli studenti che seguiranno tale percorso otterranno, oltre al Diploma di Maturità Classica Nazionale, la certificazione di Cambridge IGCSE, ovvero la certificazione internazionale più conosciuta al mondo per i ragazzi dai 14 ai 16 anni, un ‘passaporto’ internazionale per accedere alle Università più prestigiose e più ambite per i settori del mondo del lavoro. Alle materie di indirizzo saranno aggiunte English as a second language, Mathematics e una nuova disciplina, Global Perspectives, insegnate in lingua inglese. La nuova sezione offrirà anche l’insegnamento al public speaking e un primo approccio alla metodologia della ricerca e delle competenze trasversali che sono divenute strategiche nel mondo del lavoro. Una grande attenzione sarà data allo scambio tra pari, il peer Learning, la nuova frontiera della trasmissione delle conoscenze tra pari grado, atte al potenziamento delle abilità individuali degli studenti e alla prevenzione di comportamenti socialmente negativi quali il bullismo. Il nuovo percorso costituisce dunque un progetto importante e decisivo per lo sviluppo futuro del nostro territorio, una formazione scolastica d’avanguardia che fornisce metodologie anglosassoni integrate perfettamente a quelle italiane. Ideatrici del progetto sono la Professoressa Antonia Tartaglia e la Professoressa Paola Biglione, le quali, insieme alla nostra Dirigente, hanno esposto la nuova iniziativa alla conferenza stampa tenutasi il 20

Foto di Serino Antonello


gennaio a Palazzo Medici Riccardi. La Preside dell’Istituto, la Professoressa Urciuoli, ha ribadito la grande importanza che l’educazione e la didattica hanno, soprattutto in un periodo tanto ostico come quello che stiamo vivendo, sottolineando anche che, nonostante questa nuova sezione riguardi per ora unicamente il liceo classico, il progetto comprende tutto il polo, e la speranza e l’intenzione sono quelle di estenderlo presto anche agli altri indirizzi. Ma da cosa nasce questa iniziativa? A questa lecita domanda risponde la Professoressa Biglione, soffermandosi sulla sempre maggiore richiesta di corsi pomeridiani da parte degli studenti, richiesta dettata, anche in conseguenza della situazione pandemica che stiamo vivendo, dal crescente desiderio di noi ragazzi di poter viaggiare, anche per motivi di studio, e non solo per piacere. “Il progetto” spiega la Professoressa “è stato inizialmente orientato sull’indirizzo classico proprio per l’abitudine al confronto tra lingue diverse, e per rafforzare il senso di continuità tra le lingue passate e presenti”. E in cosa consisterà questo percorso? Ce lo spiega la Professoressa Tartaglia, elencando le tre materie che verranno integrate e potenziate nella nuova sezione Cambridge: Inglese, Matematica e Global Perspectives, che contribuiranno a rafforzare competenze utili nel mondo del lavoro. Ma cosa è di preciso Global Perspectives? Tale disciplina, già ampiamente integrata nel metodo didattico inglese, rappresenta un mezzo per rapportarci col mondo intorno a noi in modo sempre più critico e preparato, sviluppando una maggiore sensibilità verso le sfide più ardue che il nostro pianeta ci mette davanti. E…non solo scuola! Alla conferenza stampa sono intervenuti anche gli artisti e influencer toscani Lorenzo Baglioni, Wikipedro e Gianmaria Vassallo, che tra una battuta e l’altra hanno sottolineato la grande importanza della lingua Inglese nel mondo lavorativo, e non solo: anche a fronte della pandemia ora in atto, è importante stimolare la creatività degli studenti, e se l’unico reale rischio corso dalla scuola è di non restare al passo con i tempi, è soprattutto compito dei docenti mantenere vivo l’interesse tra i banchi di scuola, anche proponendo nuovi metodi di apprendimento e nuove discipline. Alla conferenza erano inoltre presenti Patrizia Bonanni, Consigliera della Città Metropolitana delegata alla Rete Scolastica, che ha ribadito l’apertura della Città nei confronti di questa iniziativa, i Rappresentanti dei Genitori nel Consiglio d’Istituto e l’associazione “Amici del Dante”, rappresentata dal Professore Paolo Blasi, Ex-Rettore dell’Università di Firenze, che ci ha ricordato quanto sia essenziale l’apertura della scuola italiana verso l’apprendimento delle lingue, specialmente nel mondo attuale, sempre più globalizzato e interconnesso. Nuove iniziative come questa sono fondamentali, tenendo conto dell’inefficienza della DAD e dell’importanza di istituire nuove relazioni come “ancora di salvezza” in questo momento di restrizioni e isolamento. Per concludere, non possiamo che augurarci che questo nuovo traguardo raggiunto dal nostro Istituto possa essere per noi tutti un nuovo inizio e una possibilità di crescita e di consapevolezza di noi stessi e del mondo sempre maggiori: se riusciremo finalmente tornare a viaggiare, potrà essere anche grazie alla scuola. 13


Sorelle Materassi

Giù la maschera

di Letizia Chiostri

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Nonostante la minacciosa crescita del numero di positivi, i teatri non hanno né chiuso né interrotto le proprie attività - seppur con numerose precauzioni e limitazioni - segno che la situazione non è così drastica come quella degli anni passati. E anche io sono potuta salire nuovamente sul palco con l’adattamento teatrale di Ugo Chiti delle “Sorelle Materassi”, dall’omonimo romanzo di Aldo Palazzeschi. Siamo nei primi anni del 1900 a Firenze. Le tre sorelle Materassi, Teresa, Carolina e Giselda, conducono una vita tranquilla. Le prime due, abilissime sarte, vivono ricamando corredi e biancheria, mentre Giselda, respinta dal marito e delusa dalla vita, si occupa delle finanze della casa. Tuttavia, all’arrivo del giovane e bellissimo nipote, Remo, figlio di un’altra sorella morta, la tranquillità e l’equilibrio della casa vengono stravolti. Teresa e Carolina, ammaliate dal giovane, sono pronte a soddisfare ogni suo capriccio e Remo approfitta della situazione convincendo le zie a spendere tutto il loro patrimonio. Solo Giselda si accorge della situazione di rovina a cui le sorelle stanno inesorabilmente andando incontro, ma non viene ascoltata. Così, quando Remo se ne va dopo essersi sposato con una ricca americana, Teresa e Carolina rimangono abbandonate nel dolce

ricordo del nipote, seppur ormai ferite e in miseria. Un’eccessiva ammirazione ed una quasi venerazione quanto possono spingerci a compiere azioni estreme ed irrazionali... È interessante la recensione che Antonio Baldini aveva scritto sulla rivista Omnibus quando uscì il romanzo: «Le Sorelle Materassi sono il frutto di un lungo e attento esame di queste figure di donne senza amore. [...] Non è un libro travolgente ma di penetrazione, di creature umili e anche ridicole, ma con una bella e sicura anima certamente, e con un significato alto nella loro pocaggine». La bellezza di questi personaggi è proprio l’essere rappresentati nella quotidianità, nella semplicità di una classe sociale non tanto alta. Le sorelle Materassi sono di natura umile, quasi popolare, ma vere, tangibili. Insomma, Donne con la lettera maiuscola. È curioso notare l’analisi del genere femminile fatta


all’interno del romanzo dalle stesse protagoniste. Teresa e Carolina nei confronti di tutte le donne che facevano la corte al loro nipote amato “erano spietate. Anche se belle o carine, un difettuccio glielo volevano trovare per schiacciarle, diminuirle, ridurle in polvere: dovevano essere almeno cattive”. E Niobe, la vecchia serva che è stata tanto ferita dagli uomini, ma che è tanto affascinata da Remo, “considerava la donna in genere una merce vile e il maschio soltanto degno di rispetto e di stima”. Invece il personaggio del bellissimo e giovane nipote viene descritto sottolineando le migliori qualità, con una vena quasi erotica. Ma si può intravedere quindi una velata misoginia? Forse davvero la figura centrale che manovra l’intera situazione è un uomo, ma ciò che emerge in primo piano è il vero carattere delle donne. Le “Sorelle Materassi” è sicuramente il romanzo più conosciuto di Palazzeschi, ma al giorno d’oggi l’autore non gode più della fama che si merita e che ha conosciuto in vita. Il pubblico odierno trascura anche il fatto che il vero nome dello scrittore fosse Aldo Pietro Vincenzo Giurlani e che abbia adottato il cognome della nonna materna come pseudonimo. Infatti, nel 1902 Palazzeschi si era iscritto alla scuola di recitazione “Tommaso Salvini”, entrando così a contatto con il figlio di Gabriele D’Annunzio,

Gabriellino; ma il padre di Palazzeschi non vedeva di buon occhio che il figlio si fosse avvicinato al mondo del teatro. Così, Giurlani decise di utilizzare un nome d’arte. In seguito, si allontanò dall’ambiente dello spettacolo e si dedicò alla scrittura di poesie e romanzi. È noto soprattutto per la sua attiva collaborazione con il movimento futurista. Nonostante nel corso della sua vita e della sua carriera si sia avvicinato a diverse correnti, Palazzeschi ha sempre mantenuto la sua originalità e il suo stile. Per esempio, pur attingendo ai motivi crepuscolari, ha sostituito al tono elegiaco un carattere maggiormente divertente e divertito. Con la pubblicazione di “Sorelle Materassi” il suo stile subisce un cambiamento accentuato e si tinge di venature malinconiche. Questo testo ha la capacità di farci riflettere, soprattutto su un tema che ci è molto vicino: l’amore, coniugato in tutte le sue forme: l’amore familiare, l’amore interessato, l’amore sconfinato, l’amore popolano e quello più nobile, l’amore deluso, l’amore ferito e l’amore compassionevole. Ed ecco che ancora una volta il teatro ha un grandissimo potere conoscitivo, non solo nel senso che ci aiuta ad ampliare il nostro bagaglio culturale, ma prima di tutto nel senso che serve a conoscere noi stessi e la nostra stessa interiorità.

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‘PER NON DORMIRE’

Arte a km zero

di Gemma Berti, Giorgia Vestuti, Elena Casati

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“Per non dormire” è lo storico motto scolpito sull’architrave di una porta laterale del palazzo della nobile famiglia Bartolini Salimbeni. Sugli stipiti delle finestre, sulle mensole, lungo le cornici del palazzo sono riprodotti mazzetti di papaveri legati fra loro a tre a tre. I tre papaveri rappresentano un’allusione all’antico aneddoto che spiega la nascita del motto. Nel Medioevo i mercanti fiorentini erano soliti partire in gruppo verso altre città o paesi per sottoscrivere nuovi contratti e per portare a buon fine affari importanti che avrebbero arricchito le casse familiari e quelle della città. La leggenda narra che Bartolini, un mercante di lana, fosse partito con dei suoi compagni verso Venezia per perfezionare alcuni impegni già precedentemente abbozzati. Una volta a cena con i mercanti veneziani e i propri colleghi, sembra che Bartolini abbia offerto loro del vino oppiato che ha portato i propri “amici” concorrenti a dormire profondamente nelle proprie stanze. Rimasto così solo con i veneziani riuscì a concludere un numero molto alto e vantaggioso di contratti, così che, una volta tornato a Firenze, la sua famiglia divenne una delle famiglie più ricche della città. In ricordo di questo episodio che aveva cambiato completamente la vita della famiglia, i Bartolini, al momento della costruzione del palazzo che si affaccia su Piazza Santa Trinita, decisero di scolpire sia i papaveri dai quali avevano ricavato l’oppio, sia la frase “per non dormire” grazie alla quale tutta quella ricchezza era stata possibile.


Si alza il sipario L ‘ angolo del poeta

di Giovanni Gori

Quando ti alzi dal letto si alza il sipario ed ha inizio lo show della vita con la solita parte che già sai a memoria e che reciti ovunque tu vai. Nella vita siamo tutti attori e il copione si fa da noi siamo registi e sceneggiatori siamo i cattivi quanto gli eroi sempre stiam nello stesso teatro dal quale non usciremo mai più ché è destino segnato che sin dalla nascita ognuno viva laggiù. Spettatore sul palco, attore in platea, e il copione lo scrivi per te nei pensieri e nei dialoghi che ogni mattina sostieni con chiunque sia te. Nei discorsi con le persone che incontri ovunque tu vai, nei pensieri tuoi, in ciò che dici e in tutte le cose che fai sempre stai a recitare una parte e non ti potrai fermare più quando si alza il sipario della vita la tela non cade mai giù.

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AVVERTIMENTO: NON SONO PRESENTI SPOILER! di Marianna Bezzenghi

Recensendo…

"Questo mese ho deciso di condividere uno dei miei principali interessi, ovvero la lettura, consigliando sei libri, ciascuno appartenente a un genere diverso, che possano incontrare vari tipi di gusti. E allora, buona lettura!"

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Hollywood, Hollywood! (Charles Bukowski, 1989) Collocato tra le opere degli ultimi anni di Charles Bukowski (1920-1994), questo testo si distacca leggermente dagli abituali racconti di poche pagine dell'autore: sotto lo pseudonimo del suo alterego letterario “Henry Chinaski”, che egli utilizza per identificarsi in molti degli scritti, Bukowski ci descrive un ulteriore scorcio della sua sregolata e soprendente biografia, come sempre costellata dal divertimento e dalle sbronze che lo hanno reso un vero e proprio scandalo vivente degli anni '70, nonché il massimo esponente del genere del “realismo sporco”. Questa volta lo troviamo in età più avanzata (circa sui sessantacinque anni) alle prese con la produzione cinematografica di una sceneggiatura da lui realizzata, niente meno che ad Hollywood. Come quasi tutto ciò che deriva dalla penna di questo autore, anche qui la trama riproduce circostanze realmente accadute durante la sua vita, in questo caso quando, nel 1987, collaborò con la famosa etichetta Statunitense per la trasposizione del copione “Barfly”; ovviamente però, all'interno del romanzo, i nomi dei personaggi e dei marchi, così come della compagnia cinematografica e del film stesso sono sostituiti da nomi fittizi. Sinceramente non consiglierei questo romanzo come prima lettura con la quale avvicinarsi all'autore, in quanto le opere attraverso le quali egli meglio esprime sé stesso, oltre alle poesie, sono sicuramente i racconti; lo considero tuttavia un testo piacevole e umoristico, utile per conoscere un'altra sfacciata sfaccettatura dell'originale personaggio. Mansfield Park (Jane Austen, 1814) Jane Austen è stata per molti anni la mia autrice preferita e ho letto fino all'ultima pagina di ogni suo romanzo. Sebbene la letteratura al femminile con ambientazione ottocentesca costituisca un genere non di rado considerato “noioso” (in particolare da coloro che in realtà non l'ha nemmeno mai letto), in seguito al grande successo riscosso nell'ultimo anno da una serie Netflix riguardante proprio le vicende di un'altolocata famiglia inglese del 1800 (il rinomato “Bridgerton”), anche questi


romanzi hanno ricominciato a suscitare interesse e ad essere letti e apprezzati da un numero crescente di persone. Il libro che personalmente desidero consigliare è “Mansfield Park” poiché lo ritengo un'alternativa menoinflazionata rispetto ai due titoli di quest'autrice solitamente proposti e riproposti (“Orgoglio e pregiudizio” e “Ragione e sentimento”). La trama tratta le vicissitudini di Fanny, giovane ragazza nata in condizioni di povertà che, come da abitudine nell'Inghilterra del tempo, per motivi economici viene costretta dalla famiglia a trasferirsi presso i facoltosi e aristocratici zii. La narrazione della vita quotidiana in ambienti principalmente al femminile, che non esclude però anche movimento e intrighi, avviene attraverso la pittoresca rappresentazione dei pensieri e dei passatempi dei personaggi, che rispecchiano in modo calzante gli usi e i costumi delle classi medio-alte del tempo; proprio tali descrizioni di spazi domestici e situazioni ordinarie caratterizzano lo stile di questi romanzi. Consiglio questa lettura anche a chi inizalmente può non sentirsi attratto dal genere perché reputo che non si possa mai sapere cosa una storia abbia in serbo fino a quando non la si legge direttamente e che troverte nell'autrice un'inaspettato humor; se non fossi ancora risultata convincente, chiedo allora di dare un'opportunità al romanzo almeno per l'amabile protagonista a cui, una volta conosciuta, trovo quasi impossibile non affezionarsi.

Due vite (Emanuele Trevi, 2020) Con questo libro pubblicato nel 2020, Emanuele Trevi ha vinto il premio Strega 2021. “Due vite” consiste in un testo di tipo biografico e ad essere raccontati sono i profili di due grandi autori, Rocco Carbone e Pia Pera, legati a Trevi da una profonda amicizia e, purtroppo, scomparsi recentemente in età prematura. Sebbene dunque questa possa sembrare una lettura non adatta a tutti, nel racconto che l'autore traspone dei ricordi di una gioventù passata insieme è instillato un così forte sentimento d'affetto, che la narrazione non risulta affatto nozionistica, ma decisamente scorrevole dalla prima all'ultima pagina. L'originalità dello scritto deriva forse dalla diversità che vi è tra le indoli e le esperienze dei protagonisti: l'uno, tragicamente scomparso in un improvviso incidente stradale, fu un eccellente e rigorosissimo accademico che decise poi di abbandonare la strada da professore universitario per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura; l'altra invece, ragazza dalla personalità frizzante, concentrò la prima parte della sua carriera sulla traduzione di opere dalla lingua 19


russa, per poi decidere di ritirarsi in un podere in Toscana, coltivando il proprio orto e scrivendo dello stile di vita rurale fino a quando non si spense a causa di un tumore. Io stessa non mi aspettavo di rimanere in tal modo coinvolta da un testo di questo tipo; invece esso non solo (ancora una volta nella letteratura) mi ha dimostrato come è possibile trasmettere amore e donare eternità grazie alla scrittura, ma mi ha anche permesso di venire a conoscenza di due eccellenti autori, di cui già ho letto libri che spero presto di potervi recensire! Inferno (Dan Brown, 2013) Quando si parla di thriller, Dan Brown è sicuramente uno dei primi nomi a venire alla mente di tutti in quanto i suoi romanzi si sono affermati capolavori e best-seller in tutto il mondo. Nel mio percorso di lettrice, devo ammettere di aver sempre un po' trascurato il genere giallo/horror/thriller, non perché non mi intrighi, quanto per il fatto che per scelta tendo proprio a prediligere storie meno intriganti e magari più tranquille. Quale migliore punto da cui cominciare però, per una fiorentina e una Dantina, se non da “Inferno”? Non posso negare di trovarmi davvero in grande difficoltà nel cercare di delineare la trama di questo romanzo senza rischiare di anticipare informazioni che meritano di essere gradualmente scoperte durante la lettura; per questo motivo lascerò un velo di mistero sulla storia. Mi limito a dire che, all'interno di un vorticoso susseguirsi di eventi che vedono come scenario la nostra amata Firenze, l'incantevole Venezia e l'affascinante Istanbul, per risalire al nodo cruciale dell'intrigo e salvare le sorti dell'umanità, al protagonista, il professore ed esperto Dantista Robert Langdon, sarà necessaria tutta la sua conoscenza dell'opera infernale per eccellenza (dimostrando anche che conviene stare attenti durante le lezioni di italiano). Penso davvero che le parole “sorpresa” e “sgomento” non siano sufficienti per descrivere ciò che questo romanzo ha suscitato in me ma, dopo aver letto il finale, lascerà anche voi senza fiato. Riguardo alla conclusione del libro, posso dire che forse avrei apprezzato una risoluzione più “tradizionale” e, volendo, anche più prevedibile; tuttavia, come già premesso, non sono affatto un'esperta del genere e probabilmente il successo riscosso è in parte frutto proprio della natura del finale. Inoltre, il fatto che questo sia stato lasciato, per così dire, “aperto”, preannuncia forse l'avvento di una prosecuzione? Il buio oltre la siepe (Harper Lee, 1960) Ho intrapreso la lettura di questo romanzo perché dal mio punto di vista aveva sempre rappresentato uno di quei classici di cui tutti parlano, ma su cui nessuno sa poi argomentare e che tutti vediamo in libreria, passando però oltre senza uno specifico motivo che spinga a comprarlo. Anche io, dunque, avevo sentito discutere della storia, ma non avrei immaginato che racchiudesse tanti spunti su una varietà così ampia di temi. Le vicende sono ambientate negli anni '60 del 1900, in un classico e solitario scenario americano di metà secolo; attraverso gli occhi di una bambina che vive l'infanzia spensierata insieme al padre, al fratello e agli amici che periodicamente frequentano la cittadina di Maycomb, sono affrontate alcune delle tematiche ancora, purtroppo, tra le più rilevanti anche del nostro tempo, tutte aventi origine a partire dal pregiudizio: la 20


discriminazione razziale, la povertà, le differenze tra le condizioni degli uomini e delle donne e, infine, questioni di violenza, stupro e responsabilità sono solo alcuni dei fenomeni con cui la piccola Scout si interfaccerà a soli sette anni. Letto per caso, questo romanzo ha conquistato un posto tra i miei preferiti in assoluto in quanto estremamete profondo e toccante, ma allo stesso tempo trasposto con la leggerezza che solo il pensiero di un bambino potrebbe trasmettere. “Il buio oltre la siepe” non solo è un capisaldo della letteratura a livello mondiale, ma un vero e proprio capolavoro di sensibilità da cui trarre utili insegnamenti necessari nel mondo di oggi. Il segreto del figlio (Massimo Recalcati, 2018) “Il segreto del figlio” è un un saggio di psicologia scritto da Massimo Recalcati che ci conduce alle radici del rapporto più profondo e misterioso che esista, quello tra genitore e figlio. Molti lettori probabilmente, pur non essendo esperti dell'ambito, conoscono l'autore per il famoso “Mantieni il bacio”, titolo ormai decisamente inflazionato e menzionato anche da chi non ha idea di cosa si tratti. In questo breve libro, che può perfettamente presentarsi come primo approccio alla psicologia, Recalcati analizza quest'intricato legame attraverso due modelli storici antitetici: da un lato Edipo, il figlio colpevole-non colpevole sulla psiche del quale sono stati condotti numerosissimi studi e dall'altra il cosidetto “figliuol prodigo”, la cui storia è stata in realtà ultimamente rinominata dalla Chiesa “Parabola del padre misericordioso”, mettendo in luce, proprio come farà anche lo psicanalista nel corso del libro, il perdono e l'accoglienza offerti del padre piuttosto che gli errori e la perdizione del figlio. Una delle caratteristiche della saggistica è il dover “esporre” ancor prima che “narrare” e nel corso della lettura è evidente che Recalcati (molto probabilmente anche per “deformazione professionale”) tiene talmente a ribadire i concetti e a cercare di trasmetterli nel più chiaro dei modi, da risultare talvolta ripetitivo o ridondante; allo stesso tempo però egli possiede la capacità di trasportare le idee ben oltre le pagine, come se già le fissasse nelle nostre menti, rendendo infine il testo molto appassionante oltre che interessante. Nonostante una lettura di tipo psicologico richieda necessariamente un maggiore impegno e concentrazione, trovo che a volte un'indicazione da parte di uno specialista possa aiutarci a comprendere meglio le persone, le situazioni che ci circondano e noi stessi; consiglio questo libro sia a tutti i miei coetanei, perché dobbiamo imparare a capire e perdonare alcune incognite ancora non decifrate dei nostri genitori, sia a loro, come aiuto per accettare la paura di vedere un figlio crescere e allontanarsi dal nido, riconoscendo che siamo entità distinte e abbiamo il diritto (e il dovere) di perseguire la nostra strada. 21


L’acqua del lago non è mai dolce Giulia Caminito, Bompiani, 2021 di Giulia Agresti L’acqua del lago non è mai dolce, dolceamara storia sullo sfondo del Lago di Bracciano, è stato uno dei libri candidati al Premio Strega 2021. Il racconto narra la vita di una ragazza alla ricerca della propria identità, prigioniera oppressa dalle ristrettezze economiche, dall’amore eccessivo di una madre invadente, dalla stratificazione sociale e dall'incompatibilità con i suoi coetanei. La protagonista viene presentata sotto una luce ambivalente che la fa risultare vittima e al contempo carnefice: studentessa modello e insieme criminale, amante veemente e insieme apatica assassina. Il lettore viene dunque sedotto dalle sue idee rivoluzionarie e parallelamente prende le distanze dai suoi impulsi violenti; il fascino iniziale ben presto si trasforma in ripugnanza. Il nome della ragazza non viene mai esplicitato se non alla fine di una lettera, così da far assumere al racconto un valore universale: la sua storia è la storia di ognuno di noi. Emergono anche personaggi secondari attraverso i quali la scrittrice propone una critica della nostra società: la madre della protagonista, Antonia, la quale assume il ruolo del pater familias provvedendo e ordinando la famiglia secondo un estroso senso della giustizia; la compagna Carlotta, ragazza desiderata da tutti ma accolta da nessuno, pronta a dare il suo corpo per saziare il forte bisogno di amore; l’amica Iris, capro espiatorio dell’inquinamento del paese. La protagonista è circondata dall’acqua in ogni luogo in cui risiede: una vasca da bagno, una fontana, un lago. Quest’ultimo 22

da semplice paesaggio arriva a rappresentare la metafora della vita stessa: ci si aspetta che sia dolce e limpida ma in realtà risulta acre e torbida. In tale contesto si inserisce la città sommersa, leggenda ai confini tra mito e realtà, che nella conclusione si fonde con la protagonista stessa: insieme diventano il tesoro occulto che non tutti sanno scorgere, il reperto di una realtà che non è emersa, ciò che sarebbe potuto essere ma che non è stato. Caminito riesce a rappresentare perfettamente la storia di ogni uomo in quella di una ragazza romana attraverso sezioni di scene quotidiane presentate da un punto di vista duro e cinico e incatenate da un linguaggio concreto ma assai travolgente.


Splendi come vita Maria Grazia Calandrone Ponte alle Grazie - collana Scrittori, 2021 di Giulia Agresti

Maria Grazia Calandrone è stata candidata al Premio Strega 2021 con il suo libro Splendi come vita, nel quale apre uno squarcio sulla sua vita in un racconto che vede come protagonisti Amore e Dolore, elementi complementari e irriducibili. Calandrone narra la storia del rapporto tra la piccola orfana Maria Grazia e la «bionda Madre elettiva» Consolazione, cieche l’una di fronte all’Amore dell’altra a causa del proprio bisogno di essere amate. In seguito alla morte del padre e alla malattia mentale della madre, le crepe

che già si stavano delineando nella relazione tra le due si trasformano in tagli netti: Consolazione ritiene la figlia responsabile di ogni suo malessere e presto prova per lei solo rifiuto, delusione e Disamore; mentre Maria Grazia, avida di Amore, cerca stabilità in una vita estremamente instabile. Il libro appare quasi come un album decorato da fotografie, articoli di giornale e istantanee di ricordi bloccati nel tempo, assumendo un valore eterno ed universale e facendo sì che ogni lettore possa rispecchiarsi nel Disamore e riconoscere la propria storia in quella di Maria Grazia. Splendi come vita non vuole essere un processo a una madre che non ha compiuto il proprio dovere, bensì una ‘palinodia’ che alla fine si trasforma in catarsi. Calandrone infatti smentisce l’odio verso Consolazione che il lettore inizialmente potrebbe percepire: il libro si configura come un vero e proprio elogio di una donna comune, fragile, afflitta da tormenti come tutti noi, ma che ha cercato di trovare spazio per una bambina. Una donna, non una Madre. Ogni scena è isolata attraverso una punteggiatura ben studiata e spazi bianchi che da sé raccontano tanto quanto le parole, ma ogni ricordo è fuso in un’unica narrazione attraverso lo stile raffinato e il linguaggio da cui trasudano immagini e artifici retorici propri del campo poetico, tanto che l’iniziale ‘ibrido’ di prosa e poesia alla fine si trasforma in poema. 23


RECENSIONE DI “STRAPPARE LUNGO I BORDI” (Allerta spoiler) di Francesca Oriti Strappare lungo i bordi è una serie Netflix scritta dal fumettista romano Michele Rech, altrimenti noto come Zerocalcare. La serie è ambientata a Roma e si svolge su tre piani temporali: il primo è un flashback che ripercorre l’infanzia e la gioventù del protagonista accanto agli amici Sara e Secco; il secondo, quello che rende i vari episodi unitari, prende il via da quando Sara presenta a Zero una sua amica, Alice, una studentessa biellese fuori sede; l’ultimo è costituito da un viaggio che Zero intraprende con gli amici di una vita. Il flashback ci permette di vedere Zero che, appena diplomato, fa ripetizioni, un debole tentativo di trovare la propria strada imitando le decisioni dei suoi coetanei, per poi capire che senza entusiasmo potrà solo acuire il fallimento della pedagogia odierna, che nel migliore dei casi risulta nell’insegnamento asettico di nozioni e nel peggiore non è in grado di invertire pericolose derive ideologiche. A questo punto il primo piano temporale si congiunge al secondo, diventa dominante la narrazione della storia di Zero e Alice che sta sempre al limite tra l’amicizia e qualcosa di più che non si raggiunge mai, perché, talvolta per inerzia, talvolta per paura di essere ferito, lui non trova mai il coraggio di impegnarsi. Dopo vicissitudini varie la storia di Zero arriva al giorno in cui si reca con Sara e Secco a Biella per assistere ad un funerale.

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La serie è incentrata su due concetti chiave: l’illusione che la vita sia come una linea tratteggiata, lungo la quale basta strappare con attenzione, e il sollievo che si può trovare nel sentirsi “fili d’erba”. Quest’ultimo concetto rientra in una sfera più comportamentale che esistenziale ed indica da una parte la necessità di non farsi mai schiacciare dai sensi di colpa e dall’altra il dovere di non porre sempre noi stessi o il nostro punto di vista al centro del mondo. Se invece vogliamo soffermarci sul titolo stesso della serie, possiamo definire i bordi come i sogni che gli adulti ci consigliano di costruirci quando ci chiedono che cosa vogliamo fare da grandi. È una domanda che abbiamo tutti sentito mille volte nelle nostre vite, che prima ci divertiva e poi ha gradualmente iniziato a metterci un po’ d’ansia, ma qualcuno a questa domanda ha risposto con entusiasmo autentico, coltivando per anni e anni progetti nell’attesa impaziente di realizzarli. A un certo punto del percorso tuttavia ha scoperto che in realtà la domanda è inutile, non conta quello che vogliamo fare da grandi, ma quello che ci sarà concesso fare in base alle nostre condizioni socioeconomiche, in base alla latitudine e all’epoca storica in cui siamo nati. Questa realtà è perfettamente rappresentata da Alice, che non è qualificata solo dall’essersi tolta la vita, perché lei la vita la ama, amerebbe lavorare, realizzarsi come insegnante e mettere in pratica ciò che ha studiato. Invece non può, è costretta a lasciare Roma perché non riesce a sostenere le spese e torna a vivere con i suoi genitori. Trova l’unica consolazione nello sport perché, come spiega suo padre ripetendo le sue parole, “nella vita i cazzotti però si prendono comunque e lei voleva imparare ad incassarli e a darli indietro” . Anche l’altro personaggio femminile, Sara, vive lo stesso dramma, ma tra le due sussiste un’importante differenza: Sara riesce a temperare i suoi sogni con la dose di cinismo che permette di non sentirsi crollare il mondo addosso quando i sogni si scontrano con la realtà, invece Alice non accetta di accontentarsi, “vorrebbe credere nel mondo che ci viene promesso quando rispondiamo alla domanda su cosa vorremmo fare da grandi, e questa certo non è una colpa.” (Citazione dall’episodio n.6 ) Sara e Alice rappresentano più la generazione dei Millennials, cioè i nati tra gli anni Ottanta e Novanta che hanno subito maggiormente l’impatto sul mondo del lavoro della crisi finanziaria del 2008, fonte di impedimenti e 25


di incertezza esteriori. Zero e Secco invece, nonostante l’età anagrafica, sono forse più vicini alla Generazione Z, infatti non hanno tratteggiato un sogno che poi vedono sfumare e sono la perfetta rappresentazione di un’incertezza prettamente interiore. Tuttavia questo permette loro di soffrire meno nel momento della vita in cui loro e tutti i loro coetanei acquistano la consapevolezza che il mondo non si plasma sui nostri sogni, ma che noi dobbiamo adattare i nostri sogni al mondo. Tuttavia i due personaggi sono allo stesso tempo molto diversi: Zero rappresenta il polo opposto a Secco, tanto uno ha una sensibilità eccessiva al confine tra il senso di colpa esagerato e il narcisismo quanto l’altro si bea nella totale indifferenza e nel rifiuto di qualsiasi responsabilità. La via di mezzo è rappresentata da Sara, la voce del pragmatismo e il ponte d’unione tra l’animo tormentato del protagonista e la realtà, che osserva che noi tutti siamo “fili d’erba”. Ho apprezzato questa serie perché tratta un tema certamente molto impegnativo e inquietantemente attuale, la privazione della possibilità di ottenere quella dignità che solo il lavoro può dare, ma allo stesso tempo riesce ad affiancare a questo anche tante altre tematiche accennate quanto basta per sconfiggere i pregiudizi su tutti i fronti, come il sessismo e il razzismo. Nonostante il peso intellettuale ed emotivo di tutto ciò, non mi sono mai sentita schiacciata o indotta a perdere la speranza, sia perché la tragedia è abilmente stemperata dagli interventi del comico armadillo, che rappresenta la coscienza del protagonista, sia perché il messaggio di fondo è tutt’altro che pessimista. Strappare lungo i bordi, seguire una strada ordinata e già percorsa, è ciò che i genitori consigliano spesso e ciò che molti giovani possono desiderare per paura dell’ignoto, per paura di dover tornare indietro, ma in realtà i bordi sono solo l’idea di partenza, sono lo schizzo intorno al quale possiamo creare mille arabeschi diversi perché caduta dopo caduta potremo imparare a non perdere l’essenza dei nostri sogni anche se dovremo ridefinirne i dettagli. Oggi noi giovani siamo in una situazione diversa da quella dei Millennials dato che forse noi non abbiamo il coraggio in primo luogo di costruirceli questi sogni, siamo troppo di fretta, siamo troppo sotto pressione, abbiamo troppi modelli a cui conformarci e non riusciamo a scegliere, un po’ come Zero. Ma in questo ambiente sociale e in quest’epoca storica l’importante è tenere presente che tutto può esserci tolto, ma non la bellezza di trovare nella compagnia degli altri e nell’aiuto che dobbiamo chiedere nel momento del bisogno quella dose di entusiasmo necessario a ripartire dopo tutti i pugni che inevitabilmente riceveremo.

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Last night in Soho di Elettra Masoni

Attori principali: Thomasin McKenzie, Anna Taylor-Joy, Matt Smith. Regista: Edgar Wright

Ellie Turner è una giovane amante degli anni sessanta e il suo sogno è diventare una stilista. Seppur orfana, Ellie riesce ancora a vedere la madre attraverso gli specchi. La ragazza si trasferisce dalla campagna a Londra per studiare al London College of Fashion, ma la fanciulla non si trova affatto bene, fatica ad adattarsi. Ellie riesce a stringere amicizia con John, un altro studente, ma insoddisfatta della sua residenza va a vivere in un monolocale vicino al mercato di strada Goodge Place, di proprietà di un’anziana signora. La prima notte nell’appartamento, Ellie ha un vivido sogno in cui si ritrova negli Anni Sessanta al Café de Paris nei panni di una giovane donna, Sandie, la quale vuole diventare una cantante al night club e inizia una relazione con il manager, Jack. La mattina seguente, Ellie disegna un vestito ispirandosi a Sandie e scopre un succhiotto sul collo come se il sogno avesse corrispondenza con la realtà. Ogni notte il solito sogno diventa sempre più inquietante e Ellie arriva ad avere frequenti allucinazioni. La trama è sicuramente interessante e non è difficile seguirla data l’assenza di momenti più lenti e monotoni. Ho apprezzato molto la recitazione della protagonista e i costumi davvero azzeccati tanto che raramente risultano troppo artificiali o lontani dalla quotidianità dei personaggi. A proposito del modo squallido in cui gli uomini trattano Sandy, il regista molto astutamente non si limita a raccontare, ma ci fa vivere ogni goccia di disillusione, disgusto e paura in prima persona. Siamo spettatori partecipi, proprio come lo è Ellie della vita di Sandy. Le riprese sono ottime e le scenografie non da meno. Alcuni effetti speciali non mi hanno fatto impazzire ma nel complesso è un horror/ thriller che colpisce. 27


CONTATTI: @i_giornalino I’Giornalino dell’Alberti Dante

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