NO. 26 I’GIORNALINO

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NO 26 GENNAIO 2023
I’GIORNALINO

Direttrice

GEMMA BERTI (VB)

Vicedirettrice ELENA CASATI (VB)

Redattori

LETIZIA CHIOSTRI (VB), GIORGIA VESTUTI (VB), MARIANNA BEZZENGHI (VB), MARCO BRUCIAMACCHIE (VB), RACHELE MONACO (IVB), MARCO MAGGIORE (IVB), GIOVANNI G. GORI (IVB), IRINA LIPPI (IVB), ALESSIA CALCINAI (IVB), GIADA LUCILLI (IVB), FRANCESCA SAMMICHELI (IVB), ALESSIA PICCINI (IIIA), SARA ROSSI (IIIB), DILETTA GIULIA PAPALEO (IIIB), CAROLINA TOGNARELLI (IIB), NICCOLO’ GUARNA (IIB), GIACOMO BERTI (IIB), SOFIA MORICCI (IIB), NORA CAMPAGNI (IA), GINEVRA MALAVOLTA (IA), VALENTINA GRASSI (IA), VALENTINA MANES (IA), EVA CONFORTI(ID), PIETRO SANTI E DIEGO BRASCHI (COLLAB. ESTERNA)

Fotografi

MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (VB) NORA CAMPAGNI (IA)

Social Media

MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (VB) GIORGIA VESTUTI (VB), DILETTA GIULIA PAPALEO (IIIB) NORA CAMPAGNI (IA)

Ufficio Comunicazioni ELENA CASATI (VB), SARA ROSSI (IIIB)

Impaginatori

GEMMA BERTI (VB); Referenti PROFESSORESSA

REDAZIONE
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TENDUCCI, PROFESSOR CASTELLANA
INDICE 3 MUSICANDO PINGUINI TATTICI NUCLEARI…..………………………….…..4 KURT COBAIN………………………………………………..…..6 LA CANZONE DI PROTESTA iN ITALIA………….…………….7 MUSICA DA FILM…………………………………………………9 PERCHè A SCUOLA NON SI INSEGNA STORIA DELLA MUSICA?………………………………………………………….10 INTERVISTA A MARINA MARGHERI..………………………..12 KISS…………………………………………………………….…14 L’ANGOLO DELLO SCRITTORE DEMONI…………………………………………………………..17 SOTTO L’HIJAB…………………………………………………..25 DANCER LOVERS……………………………………………….27 ARTE A KM 0 PALAZZO SPINI FERONI……………………………………….30 RECENSENDO LE ALI DELLA LETTURA……………………………………….31 REGALI DI NATALE FIN TROPPO SEMPLICI……………..…33 FOTO DI NORA…………………………………………………..35 L’ANGOLO DELLO SPORT LA MORTE DEL RE……….………..…………………………….38 TRA I BANCHI DI SCUOLA ICCHè TU DICHI……………………………………….…………39 DUE PROMESSE DELLA POLITICA DI DOMANI…………….41

Musicando

Pinguini Tattici Nucleari

l’ascesa di una band

Il gruppo nasce in provincia di Bergamo alla fine del 2010 e ad oggi è composto da Riccardo Zanotti, Elio Biffi, Simone Pagani, Matteo Locati, Nicola Buttafuoco e Lorenzo Pasini. Il nome “Pinguini Tattici Nucleari” deriva, come dichiarato dai membri della band, dalla marca di una birra scozzese: “Tactical Nuclear Penguin” prodotta dal birrificio BrewDog.

Nel 2014 il gruppo pubblica il suo primo album intitolato “Il re è nudo” di cui fa parte uno dei brani più conosciuti della band fin dai suoi esordi: “Cancelleria”.

Il 5 aprile 2019 esce l’album “Fuori dall’hype” e a settembre, il singolo “Irene” (facente parte di “Gioventù brucata”), viene premiato con il disco d’oro dalla Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI); due settimane dopo lo stesso premio viene affidato al singolo “Verdura”.

Nel 2020 i Pinguini Tattici Nucleari debuttano a Sanremo nella 70esima edizione del festival con la canzone “Ringo Starr”, classificandosi, nella serata finale, al terzo posto. Il 7 febbraio esce la ristampa di “Fuori dall’hype”, intitolata "Fuori dall’hype - Ringo Starr” contenente i brani “Ringo Starr”, “Ridere” e “Bergamo”.

Per la fine di febbraio del 2020 viene annunciato il primo tour della band nei palazzetti: “#machilavrebbemaidetto” poi rinviato a causa della diffusione del COVID-19 in Italia.

Il 28 agosto 2020 esce il nuovo singolo “La storia infinita”, seguito poi a novembre dello stesso anno da “Scooby Doo”.

A dicembre viene pubblicato un nuovo Ep dal titolo “Ahia!” di cui fanno parte i singoli ”Scrivile scemo” e “Pastello bianco”, due dei brani più

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conosciuti del gruppo che, l’anno successivo, uno ad ottobre e l’altro a dicembre, vengono rispettivamente certificati terzo e secondo disco di platino.

Nel 2022 la band dà il via al “Dove eravamo rimasti tour” che sostituisce il tour annunciato precedentemente e poi rinviato.

A maggio, agosto e settembre vengono pubblicati tre singoli che anticipano un nuovo album: “Giovani Wannabe”, “Dentista Croazia” (che racconta la storia del gruppo fin dai suoi esordi) e “Ricordi”; tutti riscuotono un enorme successo raggiungendo le vette delle classifiche FIMI.

Il 17 ottobre viene annunciato un concerto per l’11 luglio 2023 a San Siro, andato sold out in sole 12 ore e, dopo il tutto esaurito anche della seconda data, allo Stadio Olimpico di Roma, la band annuncia ufficialmente il primo tour negli stadi composto da 10 date di cui la metà sono già sold out.

Il 13 novembre, agli MTV Europe Music Awards 2022, i Pinguini Tattici Nucleari ricevono l’MTV Europe Music Award come Best Italian Act.

Il quinto album della band “Fake News”, pubblicato il 2 dicembre, contiene 13 tracce fra cui “Hold on”, “Zen” e “Hikikomori”, brano in cui la band descrive il periodo di isolamento causato dalla pandemia da COVID-19.

Ad oggi il singolo “Pastello bianco” ha ricevuto 5 dischi di platino per le oltre 500.000 copie vendute e il successo di questi ragazzi è destinato a crescere ancora grazie alla modernità delle loro canzoni, alle emozioni che suscitano e al fatto che ognuno possa ritrovare se stesso nelle parole dei loro brani.

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Kurt Cobain

Dopo aver parlato di Janis Joplin nel primo numero, continuiamo ad esplorare la vite dei membri del cosiddetto “27 club”

È la mattina dell’otto settembre 1994, e la radio locale di Seattle trasmette le prime indiscrezioni sul suicidio del famosissimo cantante Kurt Cobain, leader dei Nirvana, uno dei fondatori della cultura grunge. Una notizia che getta nella disperazione milioni di fan (specialmente ragazzi) che si riconoscevano nei testi amari di Kurt. Ma ripercorriamo la vita di uno dei più grandi artisti di sempre. Kurt Cobain nasce a Seattle il 20 febbraio 1967. Ha origini modeste: suo padre fa il meccanico e sua madre la casalinga. Ancora molto piccolo, quando i suoi divorziano, va a vivere con il padre, e lì dà i primi segni di un carattere molto irrequieto: gli viene somministrato quindi il Ritalin, un medicinale che in realtà è stato scoperto provocasse gravi alterazioni del carattere e dipendenza. Questo potrebbe essere uno dei motivi della profonda sofferenza che ha accompagnato Kurt per tutta la vita. Diventato grande, il rapporto con il padre peggiora, e Kurt conduce una “vita da nomade” fino a che non incontra Krist Novoselic e Dave Grohl, con cui fonda i Nirvana. Le canzoni della band esprimono il disagio giovanile dell’epoca e la voglia di cambiare il mondo: basta pensare a “Smells like teen spirit” e “Come as you are”, due tra i più grandi inni della generazione grunge. Kunrt Cobain però, come molti grandi artisti si considerava brutto, incapace, anche se in realtà era amato da moltissimi. Questa sofferenza culmina con il suicidio, avvenuto il 5 aprile 1994, insieme a una commovente lettera d’addio. Kurt Cobain è stato quindi uno dei fondatori della cultura grunge e forse il primo a rappresentare i pensieri dei giovani in una società corrotta.

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La canzone di protesta in Italia

Tra le varie sfumature della musica del ventesimo secolo e quella contemporanea vi è la canzone di protesta, volta a sensibilizzare e a coinvolgere gli ascoltatori verso un cambiamento sociale, il quale spesso ha anche una sfumatura politica. Si tende a inglobare questi brani all’interno della canzone popolare, poiché l’identità della canzone, ovvero il tema su cui verte, non rappresenta la denuncia dell’artista che la compone, ma di un gruppo di persone che, nei casi di maggiore successo, rappresentano una parte non indifferente di una certa popolazione. All’interno del secolo scorso la maggior parte dei brani di protesta è racchiusa nei canti intonati dai partigiani durante il periodo della Resistenza contro l’occupazione nazifascista del nostro paese, il tema di questi componimenti era la liberazione dell’Italia e dei suoi cittadini. Tra le varie canzoni, insieme alla meno diffusa “Fischia il vento”, quella che si ricorda più di frequente è “Bella ciao”, divenuta famosa in tutto il mondo come canto di libertà anche grazie ai nuovi mezzi di divulgazione. Durante gli anni ’60, a partire dal 1957, la canzone di protesta in Italia fu rappresentata da un gruppo di poeti e musicisti che fondarono a Torino il gruppo dei Cantacronache, il quale ebbe come autori dei testi importanti uomini di spicco culturale come Umberto Eco, Gianni Rodari e Italo Calvino. La loro canzone più celebre “Per i morti di Reggio Emilia” venne scritta all’indomani della strage avvenuta nella città romagnola il 7 luglio del 1960 durante una manifestazione sindacale nel centro della città. Continuarono a portare avanti la tradizione della musica della Resistenza italiana fino allo scioglimento del gruppo, avvenuto nel 1962. Cinque anni molto intensi caratterizzati da un grande desiderio che accomunava tutti i membri del gruppo: creare un tipo di musica che andasse in una direzione diversa alle canzoni canoniche del tempo. Su queste tracce molti cantautori italiani si mossero negli anni successivi come Franco Battiato nei primi anni della sua straordinaria esperienza musicale il quale denunciava gli

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di Niccolò Guarna

squilibri tra il lusso dei paesi sviluppati e il resto del globo. Oltre a Battiato anche Fabrizio De André ha scritto canzoni importantissime sotto il profilo della denuncia sociale come “La città vecchia”, la quale ha uno stretto riferimento letterario all’omonima poesia di Umberto Saba. Da citare inoltre anche “ Don Raffaè” in questo brano viene denunciata la condizione delle carceri di quei tempi, dove i boss mafiosi, secondo Faber, erano serviti e riveriti. Protagonista musicale indiscussa delle proteste studentesche del 1968 fu “Contessa” canzone di Paolo Pietrangeli, che dimostrò l’efficacia, da un punto di vista strettamente attrattivo; di singoli brani straordinari a dispetto del format dell’album visto in quel periodo troppo “formale”, e per questo superato. Dopo il 1968 gli anni successivi furono caratterizzati da una lenta regressione dell’attenzione verso la canzone di protesta, che tuttavia fu espressa da alcuni cantautori come Giorgio Gaber, che scrisse la celebre canzone “Destra Sinistra” , volta a criticare l’intera classe politica italiana senza alcuna distinzione di colore; simmetricamente a quest’ultimo brano troviamo “Nun te reggae più” di Rino Gaetano. Simbolo per l’emancipazione delle donne nella seconda metà del secolo scorso, fu la cantante sarda Maria Carta, nata in una famiglia povera in un piccolo paese, in giovane età si trasferì a Roma per far carriera nell’ambito musicale. Agli albori della sua carriera si esibì al Teatrino dei Cantastorie, in zona Trastevere. Proprio per questo questa cantautrice è un esempio per tutte le donne povere della sua terra e non solo, di tenacia, coraggio e rivalsa; lo stesso discorso vale per la cantante fiorentina Daisy Lumini, la quale si concentrò nello specifico sul tema della guerra, con le canzoni “ Ninna nanna per un bambino del Vietnam” e “Viva la democrazia”. Ancora sul profilo della guerra si mosse Francesco De Gregori con “Generale” un’evocativa raffigurazione della guerra. Il “Principe”, come lo definì Lucio Dalla, scrisse anche un brano di tributo ai moti studenteschi del ’68 “La leva calcistica della classe ‘68”.

Vi sono poi cantanti che hanno dedicato una “finestra” della loro esperienza musicale alla canzone di protesta, il gruppo dei “Nomadi” con “Io vagabondo” e “Quarantanovesimo parallelo”, alle quali si deve il merito di aver portato l’importante messaggio di impegno sociale anche nei centri più piccoli del nostro Paese. Ancor più forte fu il messaggio di Francesco Guccini che, attraverso canzoni impegnate dal punto di vista sociale come “La locomotiva” e “L’avvelenata”, criticò gli usi e i mal costumi della società.

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MUSICA DA FILM

Come sarebbe un film senza la musica? Sicuramente non avrebbe la stessa magia che solo colonne sonore e brani sanno creare accompagnando ogni scena, da quelle più dolci e romantiche a quelle più crude e ricche di azione. La musica è un’importante fonte di immedesimazione nella scena e nei personaggi, oltre ad essere fonte di grande espressività e pathos. La musica nei film è ormai tanto scontata che talvolta non ci rendiamo conto di quale sarebbe il risultato in sua assenza, attribuendole così un immeritato ruolo di comparsa. Perciò soffermiamoci sulla sua nascita e su come siamo giunti alla situazione odierna. Il cinema nasce a fine 1800 a Parigi, denominata a quel tempo “La Ville Lumiere”. Nasce come frutto delle innovazioni e scoperte tecnologiche della Seconda Rivoluzione Industriale, ma inizialmente vi erano vari problemi, come lo scorrere della bobina della pellicola che generava rumore e la successione delle immagini che scorreva senza alcuna fluidità. Per far fronte a questi problemi i creatori del film decisero di inserire della musica come sottofondo. La musica per film, dunque, non nasce da una volontà di accompagnare le scene, ma da una necessità pratica. Solo più tardi la musica verrà impiegata per accompagnare i gesti e le azioni dei personaggi, insieme al carattere della relativa scena, dando così vita, nel 1927, al cinema sonoro. Il cavallo di battaglia di questi film fu “Metropolis” di Fritz Lang. Egli ambienta il suo film nel 2026, in un futuro distopico nel quale le divisioni tra classi sono particolarmente marcate ed il meccanismo industriale della fabbrica contribuisce all’irrefrenabilità di questa dicotomia. Il film tratta in particolare una questione sociale fortemente discussa: lo sfruttamento della classe operaia.Il mondo della fabbrica viene infatti descritto come una vera e propria condanna per l’uomo, il quale resta imprigionato ed alienato nel suo meccanismo ripetitivo. La musica di “Metropolis” è stata scritta da Gottfried Huppertz ed evoca, tramite i frequenti cambiamenti di metro, i molteplici e diversificati meccanismi delle macchine, ed è ripresa dal compositore sovietico Alexandr Mosolov. In questa musica si distinguono vari temi chiamati “Leitmotive”, dei motivi ricorrenti associati a personaggi, oggetti e concetti presenti nel film, i quali si fondono e trasformano nello scorrere del film. Ad esempio abbiamo il “Sirenen akkord”, un Leitmotiv sotto forma di accordo che indica la sirena di inizio e fine del lavoro, oppure il tema dei lavoratori, il quale è lento e opprimente, simbolo della loro vita spenta e priva di speranza. Questo film ha gettato le basi per lo sviluppo della musica da film come vera e propria componente necessaria nelle pellicole. Ne abbiamo avuto conferma grazie all’incontro del 18/10/22 presso il conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze, dove alcuni esperti del settore ci hanno guidato in un affascinante viaggio alla scoperta d’un altro aspetto del cinema. Dunque i film per come li conosciamo non potrebbero essere definiti tali senza l’ausilio d’una delle arti più antiche ed affascinanti della storia umana: la musica.

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Perché a scuola non si insegna storia della musica?

La storia dell’arte è di fondamentale importanza nel bagaglio culturale che la scuola dovrebbe fornire. Serve ad una comprensione generale della storia in quanto è strettamente legata agli avvenimenti storici ed è indispensabile nell’ottica di generare individui in grado di muoversi nel patrimonio artistico di cui disponiamo. La musica si sviluppa parallelamente all’arte come l’altra fondamentale vocazione dell’uomo, che in tutte le epoche ha sentito il bisogno di esprimersi e creare bellezza attraverso questo linguaggio. Come l’arte, risente fortemente degli avvenimenti storici e prende forma a seconda di essi, quindi avere una conoscenza della storia musicale è utile per avere un quadro storico più completo e per sapersi muovere nel patrimonio musicale a nostra disposizione.

A questo punto la domanda sorge spontanea: perché la storia dell’arte è insegnata in tutte le scuole superiori ma la storia della musica è un’esclusiva del liceo musicale? Questo porta ad un impoverimento del mondo musicale a causa della poca conoscenza e quindi poco interesse delle persone verso questo mondo.

La musica “classica”

Al giorno d’oggi la musica classica è vista dalla maggior parte delle persone, tra quelle che affermano di amare la musica, come noiosa e poco interessante, infatti i compositori di questo tipo di musica si sono spostati in gran parte nel cinema lavorando per le colonne sonore, ed è solo qui che la musica ““classica”” intesa come ricerca timbrica armonica e ritmica arriva al grande pubblico. In passato non era affatto così perché la musica che noi oggi definiamo classica e che è tenuta in vita da una ristretta cerchia di persone, al tempo in cui veniva scritta, era la musica più ascoltata, era oggetto di discussione, era viva tra la gente, era pop. È noto come Handel riuscisse a riempire i teatri pieni di gente che fremeva per ascoltarlo. La concezione della musica classica come un reperto storico di elevata e raffinata arte adatta solo a poche elette persone viene da una stratificazione di anni e anni di devoto studio dei teorici. É stata spesso definita sacra e intoccabile quando potrebbe essere vista come un terreno fertile su cui far fiorire le nuove idee musicali oppure come una ricchissima biblioteca da cui trarre le più svariate sonorità, successioni armoniche, sinergie perfette di armonia e melodia colorate da un’intera tavolozza timbrica.

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Ginger Classics

Ginger Classics è un podcast che tratta la musica classica con un carattere divulgativo adatto a tutti, prefiggendosi di creare interesse, accattivare ed incuriosire le persone verso questo mondo magnifico e poco conosciuto sfatando miti e pregiudizi.

In soli 8 episodi ci viene fatta mente locale su diversi argomenti tutti inerenti alla musica classica, dai più generali, che mirano soprattutto a parlare di argomenti più vicini a noi, come le caratteristiche dell’artista moderno, ai più specifici, come alcuni approfondimenti su grandi compositori come Paganini e Liszt, tra i più grandi dell’800. Per interesse personale abbiamo deciso di ascoltare alcuni di questi episodi, ritenendoli più interessanti di altri, traendone delle nostre personalissime conclusioni. Per esempio, ci è piaciuto l’approfondimento sull’estetica musicale, una branca che studia cosa è il bello in musica, o sullo stretto collegamento tra Mozart e la massoneria. Ma quindi, alla fine, consigliamo o no un ascolto più approfondito anche degli altri episodi? Assolutamente si, ma dobbiamo avvertirvi che, se da un lato il metodo utilizzato e ottimale per la diffusione di massa e la comprensione di tutti, le parole usate siano perfette e i concetti siano giusti, dall'altro c’è un utilizzo a volte esagerato e fastidioso di effetti sonori che, nell’intento di avvicinarsi al pubblico giovanile, non fanno altro che allontanarsene, risultando vecchi e imbarazzanti. Quindi, se riuscite a chiudere un occhio su questo piccolo particolare come abbiamo fatto noi e volete sapere di più su questi argomenti riguardanti la musica classica potreste trovarci degli spunti interessanti.

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INTERVISTA A MARINA MARGHERI

E’ stato sicuramente un grande successo, quello della giovane violoncellista nella competizione alla quale ognuna delle istituzioni AFAM (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica) italiane può inviare un solo candidato. La Scuola aveva scelto Marina e la commissione, riunita al Conservatorio Luisa D’Annunzio di Pescara, ha deciso di attribuire a lei la vittoria. Marina Margheri ha compiuto a Fiesole la sua formazione musicale, ed ha studiato con Andrea Nannoni, Vittorio Ceccanti, Filippo Burchietti e Marianne Chen. Sono molte le esperienze in ambito musicale, che la Scuola le ha permesso di compiere, e che Marina ha intrapreso e portato avanti con dedizione e impegno, raggiungendo eccellenti risultati. Ho avuto il piacere di intervistare Marina Margheri. A Che età hai cominciato a suonare?

Ho cominciato all’età di cinque anni. Secondo me è stato molto utile cominciare gli studi musicali in tenera età quando si è più predisposti a imparare. Perché hai scelto il violoncello?

La mia non è stata una vera e propria scelta: io mi sono avvicinata a questo strumento in maniera abbastanza naturale, infatti ne sono rimasta affascinata sentendo mia madre suonare.

Quando hai deciso che la musica sarebbe stata la tua strada?

Per me non c’è stato un momento preciso. Ho capito fin da subito che sarebbe stata la cosa che più mi avrebbe appagato e dato le più grandi soddisfazioni, nonostante la musica sia un campo molto complicato. Che rapporto hai con il violoncello?

Dipende, devo dire che il mio rapporto con lo strumento è molto particolare. Sicuramente è un rapporto a due facce, come del resto succede sempre. E’ sicuramente l’attività che mi ha dato più possibilità e soddisfazione. In tutta la mia vita è sempre stata una costante, raramente ho ricevuto soddisfazioni così grandi provenienti da qualsiasi altro tipo di disciplina. Per me è sicuramente un rapporto di devozione e gratitudine, come anche di profonda lotta. Secondo me fa parte della vita. L’essere costantemente in rapporto con una cosa specifica, che talvolta può portati ad odiarla. Tutto sta nel trovare un equilibrio e sicuramente la prima cosa che ci vuole con qualsiasi strumento è la costanza, che può non essere facile da ottenere. Ogni giorno o quasi, devi studiare per migliorarti. Tutto ciò quindi può creare problemi anche dal punto di vista psicologico, ciò infatti non avviene solo per noi musicisti ma può avvenire anche per gli sportivi. Talvolta sai che devi studiare perché sai che è estremamente necessario e quindi che ne vale la pena.

Quante ore studi al giorno?

Dipende tantissimo dai giorni. Quando ero sotto concorso, studiavo cinque, sei ore al giorno. Dedicavo le prime due ore a fare scale e le parti difficili dei movimenti di un brano. Il resto dello studio era dedicato all’esecuzione. Adesso che mi sto per laureare,

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organizzo meglio lo studio. Infatti, non ho un tot di ore prefissate da dedicare allo studio, ma cerco di dedicarmi agli obiettivi che voglio raggiungere e alle cose che voglio perfezionare, indipendentemente da quante ore o tempo ci vogliano.

Qual è il compositore classico che preferisci?

Il mio compositore preferito, anche dal punto di vista sentimentale, è Schumann. Nel campo della musica classica ha scritto uno dei miei brani preferiti. Il concerto per violoncello e orchestra è per me un capolavoro totale. Ci sono i trii e i quartetti ed essendo la musica da camera il mio genere, Schumann è il compositore che preferisco. Hai vinto altri premi oltre al premio delle arti 2022? Ho vinto altri premi ma non di valore internazionale e del calibro del premio delle arti 2022. Ho infatti partecipato a concorsi provinciali e regionali, vincendo dei primi premi assoluti in concorsi non indifferenti. Tuttavia non avevo mai vinto un concorso a livello nazionale anche perché non avevo mai partecipato a questo tipo di competizioni così importanti. Il premio delle arti 2022 rimane senza dubbio il più importante che ho vinto. Com’è stato ricevere il premio delle arti 2022?

Se dovessi usare una parola per descrivere tutto ciò direi che è stato folle. Dopo averlo vinto ho vagato una notte per Pescara chiedendomi cosa stesse succedendo. E’ stato un percorso particolare. Fin dalle preselezioni intorno al mese di luglio, ero molto indecisa anche se partecipare o meno anche per il fatto che dovevo fare gli ultimi esami prima della laurea. Alla fine in preda a non so quale istinto ho deciso di partecipare lo stesso, anche perché molte persone mi avevano sconsigliato di farlo. Sapevo che non ci sarebbero state occasioni simili ad un titolo a livello nazionale. Una volta passata la prima selezione e arrivata tra gli otto finalisti, è stata una soddisfazione immensa. Malgrado inconvenienti successi quest’estate, nell’ultimo mese ho fatto gran parte del lavoro. E’ stato estremamente faticoso studiare con costanza, cercando sempre di raggiungere il più possibile la perfezione. Arrivata al giorno del concorso sapevo bene di aver fatto tutto il possibile per dare il meglio. Non mi aspettavo minimamente di vincere il premio, sentendo suonare anche gli altri finalisti con un livello notevole. Probabilmente mi ha aiutata anche l’essere serena e in pace con me stessa in quel momento, priva di aspettative. Cosa ti ha portato fin lì e chi, oltre a te stessa devi ringraziare? Mi ha portato fin lì, l’essere ostinata a voler fare il contrario di quello che le persone mi dicono. Devo ringraziare veramente tantissime persone. In tantissimi si sono prestati ad aiutarmi, in dei momenti difficili per me, anche dal punto di vista psicologico. All'incirca un mese e mezzo prima del concorso ho detto ad un maestro di violoncello, Andrea Nannoni con cui io stavo facendo un corso di musica da camera, che ero tentata di non presentarmi alla finale perché non mi sentivo pronta e sarei arrivata lì con una serenità non sufficiente. Tra tutti forse è stato proprio questo maestro che mi ha convinto a provare comunque a studiare e fare questo concorso dicendomi che ce la potevo fare in tranquillità. Sono abbastanza convinta del fatto che se non ci fosse stato lui, molto probabilmente non mi sarei presentata. Devo ringraziare anche gli altri maestri che mi hanno seguita che sono Vittorio Ceccanti, il mio insegnante principale a Fiesole che mi ha indirizzata verso questo concorso e Antonella Costantino che mi ha seguito tantissimo. Devo ringraziare mia mamma che, soprattutto nelle ultime settimane, mi è stata vicina, sapendo che per me era una sfida gigante. Mi ha seguita con premura cercando di non stressarmi troppo conoscendo già la mia situazione e sono certa che non deve essere stato facile. Il ringraziamento più grande va ai miei compagni che sono insostituibili e mi sono sempre stati vicino e nessuno come loro ha saputo incoraggiarmi. Ringrazio Marina Margheri per aver dedicato il suo tempo a quest’intervista.

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Se soffri di pazzia d'amore puoi sempre chiamare il dottore dell'amore, oppure puoi ascoltare Calling Dr. Love dei Kiss che avrà comunque un effetto curativo per le passioni del cuore. Infatti nessuno può mettere in dubbio la grandezza di questa band che ha fatto e fa emozionare milioni di persone. Inizialmente Gene Simmons, che si chiamava ancora Gene Klein, aveva fondato una band che si chiamava “Rainbow” e che si esibì ad un concerto a Staten Island. Però Gene scoprì che esisteva già un altro gruppo musicale con questo nome e così la band si riformò. Gene Simmons, bassista, e Paul Stanley, chitarrista, furono i leader della band “Wicked Lester” che si unì nel 1973, nonostante a quel tempo Gene e Paul non si sopportassero e stessero insieme solo per una affinità di interessi. Attraverso la rivista “Rolling Stone”, Simmons assunse come batterista Peter Criscuola che, una volta ammesso nella band, prese il nome di Peter Criss. In seguito fecero delle audizioni per il chitarrista solista e così trovarono Ace Frehley. Una volta che il gruppo era al completo cambiarono il nome in “Kiss” e Frehley disegnò il logo della band: la scritta Kiss con due fulmini al posto delle S. Questo logo però creò controversie in diversi paesi, tra cui soprattutto in Germania, per la somiglianza di quelle S a quelle del logo delle SS naziste. Per questo in quei paesi venne rappresentato in modo molto diverso dall’originale. Un’altra accusa che venne fatta alla band riguarda il loro nome in

di Giada Lucilli e Francesca Sammicheli
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quanto girava la voce che fosse l’acronimo per “Knights In Satan’s Service” (Cavalieri al servizio di Satana) diceria che venne smentita da Simmons e Stanley. Simmons e Stanley avevano l’idea di creare una band come i Beatles, ovvero con 4 frontman in cui ognuno scrive e canta. Da qui è venuta l’idea di avere un trucco che li caratterizzasse, li rendesse riconoscibili e li uniformasse. Ogni membro aveva un trucco con delle caratteristiche che lo rappresentassero:

Nel 1973 firmarono un contratto con la casa discografica Casablanca Records e nel 1974 fecero uscire il loro primo album “Kiss” e fecero il loro primo tour. In quel periodo fecero anche la loro prima apparizione televisiva in un programma chiamato “Dick Clark’s in concert”. Il loro secondo album fu “Hotter Than Hell” e il terzo “Dressed To Kill”. Ebbero fin da subito grande successo e furono considerati i pionieri dell’heavy metal. Di qui iniziarono a farsi chiamare Kiss Army. Nel 1975 pubblicarono il loro primo album live intitolato “Alive!”, ma fu con l’album Dynasty del 1979 che arriveranno alla fama mondiale grazie alla canzone “I was made for loving you” che è ancora oggi la loro

Gene Simmons di un demone (The Demon) Paul Stanley di figlio delle stelle (The Starchild) Ace Frehley di uomo dello spazio (The Spaceman) Paul Criss di un gatto (The Catman) Eric Carr di una volpe (The Fox) Vinnie Vincent di un guerriero egiziano (The Ankh Warrior)
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canzone più famosa. Nel 1977 i quattro membri della band decisero di pubblicare ognuno un proprio album da solista. Nel 1979, su suggerimento di Vini Poncia, il produttore discografico dei Kiss, Peter Criss venne sostituito da Anton Fig a causa del suo abuso di droghe e di un incidente stradale. Nell’ottobre di quello stesso anno la loro fama diminuì a seguito di una intervista in cui Ace Frehley si presentò ubriaco. Celebre è la parte dell’intervista in cui viene chiesto a Ace “Tu dovresti essere lo Spaceman, giusto?” e lui risponde “No, io sono un idraulico”. Gene si mostrò particolarmente irritato dal comportamento del compagno. Nel 1980 Eric Carr entrò ufficialmente a far parte della band come batterista e assunse il simbolo della volpe come trucco. Nel 1982, invece, Ace Frehley, venne sostituito da Vinnie Vincent a causa delle sue dipendenze da alcool e droghe. Vincent apparì con il trucco da guerriero egiziano solamente nei tour. Nelle copertine degli album si continua a vedere Frehley nonostante avesse già abbandonato la band, per esempio uscirono gli album “Killers” e “Creatures of the Night”. Nel 1983 i Kiss sono apparsi su MTV per la prima volta senza il loro caratteristico trucco e da allora rimasero senza per un bel po’ di anni. In quel periodo avevano pubblicato l’album “Lick it up” che vinse il disco di platino, incorporando elementi pop metal. Tuttavia, alla fine del tour di quello stesso album, Vinnie Vincent abbandonò la band a causa di forti attriti con Simmons e Stanley e venne sostituito da Mark St. John. Nel 1986 Vincent chiese il risarcimento di sei milioni di dollari per alcuni diritti di autore che gli erano stati negati su dei brani, ma perse la causa. Nel marzo del 1991 la band fu costretta a fermarsi perché a Eric Carr fu diagnosticato un cancro al cuore che lo portò alla morte il 24 novembre e fu così sostituito da Eric Singer. Nel 1995 invece la band si presentò allo show televisivo MTV Unplugged con la sua formazione attuale, ovvero: Kulick (che dopo essere stato rifiutato diverse volte dalla band, per esempio agli inizi quando doveva essere il chitarrista prima che si presentasse Frehley o quando doveva prendere il posto di questo prima che si presentasse Vincent, entrò finalmente a far parte della band), Singer, Simmon e Stanley.

Alcune canzoni della band: A World Without Heroes: canzone dell’album “The Elder” del 1981

Calling Dr. Love: si trova nell’album “Rock And Roll All Over” del 1977 Dreaming: dell’album “Psycho Circus del 1998

Creatures of the Night: dell’album Creatures of the night del 1982

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angolo dello scrittore

DEMONI

Ma l'istinto agì per lui. All'ultimo momento girò repentinamente la testa di lato, provocando uno scricchiolio indispettito delle cervicali. Si sentì comunque bruciare la guancia, come se l'avessero colpito i tentacoli insidiosi di una medusa. Il sangue misto al sudore si raccoglieva sul mento, per poi scivolare sinuoso lungo il pomo d'Adamo appena pronunciato. L'esperienza gli rese chiaro fin da subito che non aveva subito ferite particolarmente gravi, ma in cuor suo si sentiva dilaniato da un senso di colpa graffiante. Si era fatto guidare nuovamente dall'istinto, gettandosi accanitamente contro una minaccia senza prima averla analizzata a fondo. Soprattutto in un paesaggio boscoso come quello era assai probabile che qualcuno si appostasse in agguato sfruttando la copertura delle fronde. Invece sarebbe stato assurdo pensare che i due soldati appena uccisi da lui avessero attaccato la capanna dei gaijin da soli. Nè era strano che si fossero accaniti contro gli stranieri vicino ad un villaggio e in pieno giorno. Infatti anche nelle terre del nobile Ishida i gaijin venivano tollerati dalla popolazione fino a quando il daymio non inviava loro contro l'esercito, ma la loro dipartita era motivo di grande festa per gli ossuti braccianti. Takeshi ben ricordava i lineamenti affilati da avvoltoio dei contadini che aspettavano trepidanti l'azione crudele delle spade per poi avventarsi con sguardo rapace sui beni risparmiati dall'avidità della soldataglia. In parte lo disgustavano, ma non se ne curava affatto, anche perché giusto era ciò che gli veniva ordinato di volta in volta. In quel momento non aveva nessuno a impartirgli direttive, ma uccidere il nemico era sempre costruttivo. Si volse nella direzione da cui era partito il dardo, sentendo il rumore frusciante di piedi frettolosi che calpestavano gli aghi di pino secchi. Non poteva assolutamente permettere che l'arciere scappasse, anche perchè con ogni probabilità poi sarebbe tornato con i rinforzi. Inoltre uccidere un uomo che dà le spalle sicuramente non era onorevole, ma non avrebbe richiesto molto tempo o sforzo. Si girò un attimo per controllare se Raissa fosse rimasta di fronte alle braci ardenti della capanna, del tutto impreparato alla lugubre scena che gli sarebbe precipitata addosso.La figura della giovane si era ulteriormente ripiegata su sè stessa, senza emettere un lamento. Un'asta di legno scuro spiccava ostile dalla sua spalla, pugnalando il samurai con la fredda espressione acuminata. Mentre schivava la freccia Takeshi aveva visto le piume dell'asta balenare alle sue spalle, ma sul campo di battaglia non aveva mai dovuto pensare a nessuno all'infuori di sè stesso. Il sorriso gli morì sulle labbra, sfregiando i lineamenti stravolti in una smorfia corrucciata. Ogni passo che lo avvicinava alla donna esanime racchiudeva una sua eternità incredula, ogni istante sentiva appesantirsi la cappa

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granitica che gli sgretolava il petto. I capelli di Raissa erano impregnati di sangue scuro, gli occhi semichiusi in una quiete trasognata. La freccia aveva raggiunto attraverso le vesti la pelle candida e a giudicare dalla tenacia con cui si era aggrappata alle carni doveva con ogni probabilità essersi avvicinata pericolosamente al polmone. Il movimento flebile del petto indicava che era ancora viva, ma in quelle condizioni non lo sarebbe rimasta per molto. Infatti non avevano medicazioni e da un momento all'altro potevano sopraggiungere altri soldati richiamati da quello che si era appena lasciato sfuggire. In virtù della gratitudine che le doveva Takeshi avrebbe dovuto spegnere gli ultimi sprazzi di vita in lei, ma si sentiva un groppo in gola amaro, che a malapena lo faceva respirare. Recise l'asta della freccia con un pugnale che teneva nascosto sotto la cintura quindi si caricò la ragazza in spalla, avviando un'andatura irregolare e scattosa. Si diresse veloce verso il bosco, ma l'intricato labirinto di viuzze e sentieri lo riportò sulla strada principale, all'imboccatura del villaggio. Mentre cambiava repentinamente direzione Raissa emise un lamento sommesso, aprendo leggermente gli occhi. Le sembrava di aver battuto la tasta da qualche parte, ma soprattutto un freddo mortale le aveva avvinghiato le ossa. Non riusciva bene a mettere a fuoco gli elementi che le si paravano davanti, ma non faticò troppo a riconoscere le case dove abitavano le persone vicino alle quali aveva vissuto l'ultimo anno. Avvertiva il battito impazzito del cuore rimbombarle nella testa mischiandosi con il faticoso respiro ruvido di sangue. Si sentiva confusa, ma riuscì comunque a individuare le sagome sformate di Andrè e Afonso che pendevano lugubri all'ingresso del centro abitato. In definitiva non erano che due cadaveri legati a un paio d'assi grossolane, eppure le lacrime sgorgavano calde sulla schiena che la stava strappando all'orrore di quei volti straziati dalle percosse. Non aveva mai parlato molto con i due frati che aveva accompagnato in missione, ma non si era accorta di quanto la loro presenza silenziosa si fosse radicata nelle sue abitudini. Guardando quei corpi nudi, inchiodati nel legno, veniva divorata da un vuoto incolmabile, avrebbe voluto gridare con tutte le sue forze nell'aria ostile. Avrebbe voluto ascoltare l'eco delle sue grida che rimbombava nella vallata, infrangendosi sulle punte delle roccie nelle gole profonde. Ma il corpo non le obbediva, solo gli occhi continuavano a fissare lo squallore di quelle carni flaccide martoriate che spariva dietro le fronde dei primi alberi. La crocifissione gli era sempre stata raccontata come un evento grandioso, come la morte ma anche la resurrezione di Cristo. Il trionfo della beatitudine, eppure in quegli occhi vitrei che si perdevano assenti nel vuoto non aveva intravisto neanche un ritaglio di paradiso. Solo un attimo di terrore congelato nell'espressione immobile per sempre, solo la tristezza di una vita strappata troppo presto dalla cattiveria. Il Figlio dell'uomo sarebbe potuto anche scendere dalle cuspidi dorate del suo regno per deporre una carezza delicata su quei suoi figli che morivano nel suo nome tra atroci tormenti. Avrebbe potuto lasciare intravedere loro, il Signore degli Eserciti, un raggio della sua luce, così che i volti si cristallizzassero nell'estasi di un sorriso eterno. Forse era stato trattenuto dagli impegni altrove, non aveva avuto tempo di resuscitare insieme a lui le sue creature. Chissà se in quel remoto villaggio del Giappone Andrè e Afonso sarebbero mai risorti. Sicuramente sarebbero scesi dal cielo gli uccelli a beccare i loro gli occhi, le formiche si sarebbero arrampicate a smembrare le loro spoglie gonfie di putredine. Forse dall'Empireo dei beati sarebbe infine sceso anche lo Spirito santo, infastidito dall'odore nauseabondo che quei due disgraziati spandevano nel giardino delle meraviglie creato per l'uomo. Raissa ondeggiava tra la lucidità e l'incoscienza, ma non riusciva in definitiva a provare dolore. Solo una grande amarezza che la portava ad abbandonarsi come uno straccio dimenticato su quelle spalle di cui non riusciva nemmeno a distinguere il volto. Gli occhi stanchi catturavano sprazzi di sole attraverso i

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rami contorti degli alberi che parevano allungarsi verso di lei con le loro scabre unghie di corteccia. Takeshi cercava di mantenere il ritmo quanto più serrato possibile, ma non aveva la più pallida idea di dove stesse andando. In quella situazione la guida di una persona pratica del luogo gli avrebbe fatto certo comodo, se solo Raissa fosse stata in grado di parlare. Ogni tanto la ragazza emetteva dei mugolii affannosi dimostrando di trattenere l'alito vitale con le unghie e con i denti, ma Takeshi era quasi sicuro non avrebbe superato la notte.Come samurai aveva imparato tutte le tecniche necessarie per strappare la vita, nessuno gli aveva mai insegnato come imprigionarla nel corpo morente. Avrebbe voluto essere come la Yuki-Onna, comandare il ghiaccio a proprio piacimento, per congelare in un attimo eterno la morte che calda gli aveva impregnato la schiena. L'avvilimento rabbioso che opprimeva il suo cuore desiderava trafiggere quella sorte sciagurata con schegge di ghiaccio minutissime, così che potesse osservare le gocce di sangue fregiargli il volto agonizzante di rivoli viola. La crocifissione dei due monaci alle porte del villaggio non lo aveva colpito particolarmente, tante volte infatti aveva dato ordini analoghi ai suoi sottoposti nei confronti di stranieri. Era comunque sollevato che Raissa non avesse potuto assistere allo scempio subito dai corpi dei suoi compagni, ma tutto sommato i soldati di Tokugawa avevano fatto loro un favore. Infatti l'agonia atroce avrebbe potuto protrarsi per giorni se i loro animi non fossero stati sradicati dalle percosse crudeli. Le braccia gli dolevano, il mento ossuto della giovane gli torturava la spalla. Takeshi non riusciva a capacitarsi che i soldati non li avessero già raggiunti. Con ogni probabilità si trattava di un contingente di ritorno dalla battaglia, che quindi aveva razziato dal villaggio le risorse necessarie a rientrare incolume nelle terre dei Tokugawa. Quasi sicuramente i due che avevano cercato di attaccarlo erano rimasti indietro e in una situazione così instabile i loro compagni non sarebbero tornati indietro per vendicarli. Almeno sperava. Si impose comunque di continuare, facendo pause brevissime per non implodere sulle proprie gambe. Verso la fine del pomeriggio decise di fermarsi in una grotta seminascosta dalla vegetazione, sicuro che a nessuno sarebbe balenato in mente di venirli a stanare lì. La corta casacca di lino che gli aveva procurato Raissa si era attaccata alla pelle viscida del suo sudore e del sangue di lei, i piedi gli bruciavano coperti di galle come se si fosse mosso su carboni ardenti. Il debole respiro della giovane spirava umido e caldo sulla sua nuca, sembrava dormire con volto sereno, come se avesse d'un tratto scordato il dolore di poche ore prima. La depose delicatamente sul terreno polveroso, sperando che in qualche modo gli desse segni di coscienza. I capelli impregnati di sofferenza brillavano nella penombra come ricoperti da un sottile strato di cera, le gote pallide sembravano aver dimenticato il rossore vivace che solitamente le animava. Con delicatezza le scoprì la spalla minuta, osservando con occhio clinico la punta della freccia che si insinuava sotto la pelle infiammata. Uno scuro alone violaceo si era formato intorno alla ferita, un grumo denso di sangue rappresso impediva di rimuovere del tutto la veste, ostruendo la visuale completa. Con l'ausilio del pugnale Takeshi incise con mano ferma ai lati della punta, trasalendo quando Raissa esalò un mugolio ansante. Il respiro le si era fatto affannoso, attraverso la penombra vide una stilla brillante di sudore precipitare dalla fronte, per fermarsi tremula sul contorno delle labbra secche. Il tempo che impiegò la sommità della freccia per uscire dalla carne gli parve un'interminabile agonia, ma subito dopo si precipitò tempestivamente a tamponare i lembi slabbrati della ferita con un pezzo di stoffa. Sembrava che la freccia si fosse incuneata in una delle costole, spezzandola. Un medico probabilmente avrebbe cercato di riallineare la frattura e di medicare la piaga, ma lui doveva arrangiarsi come poteva. Fermò il sangue fasciandolo con un lembo di tessuto strappato dalla tonaca di lei, quindi si diresse deciso verso la luce morente del giorno che filtrava dall'apertura frastagliata della grotta. Raissa

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sembrava semicosciente, anche se provata dal sangue perso. Takeshi presumeva che in realtà fosse ben più avvilita per la perdita del luogo in cui aveva vissuto che per la ferita, che normalmente non sarebbe stata letale. Aveva appreso però sul campo di battaglia come anche il più piccolo dei tagli potesse essere fatale se non medicato opportunamente. Qualunque soluzione avesse ideato doveva prima pensare a procurarsi del cibo se desiderava mantenersi in forze: con Raissa ferita era necessario che fosse tenace e agile almeno per due. Si allontanò quindi dalla grotta percorrendo il sentiero con aria guardinga, gli occhi che sobbalzavano guardinghi, gli orecchi che sussultavano ad ogni scricchiolio del terreno. Percorse con il fiato sospeso un frammento di strada nascondendosi tra gli alberi, rannicchiandosi tra gli intricati arbusti graffianti, esaminando ogni angolo con atavico desiderio. Sarebbe bastata anche una semplice lepre, o un fagiano sprovveduto, anche solo qualche Ume tardiva (prugna giapponese) per ingannare la voragine che sentiva spalancarsi al posto dello stomaco. Pure Raissa nelle condizioni in cui versava avrebbe dovuto debitamente rifocillarsi, altrimenti le forze non le sarebbero mai tornate. E lui non poteva caricarsela sulle spalle ogni giorno, per quanto si trattasse di una figura piuttosto snella. Ormai disperava di non riuscire a trovare più nulla quando sentì dei passi trascinati avvicinarsi da una curva seminascosta dalle felci rampicanti che pendevano dai rami invadenti. Osservò profilarsi prima la figura di un vecchio, il cipiglio dimesso, il capo faticosamente dritto, poi quella di un giovane baldanzoso che doveva avere quasi la sua età. Lo sguardo del vecchio, scavato dalle sofferenze, nonostante la scarsa illuminazione, brillava di un amaro che sapeva di ricordi dolcissimi. Il giovane invece gesticolava irrequieto, guardandosi nervoso intorno, incassando il collo minuto nelle spalle larghe. Takeshi non riusciva a distinguere le parole appena sussurrate che si scambiavano i due, trascinate via dalla leggera brezza serale, ma doveva sfruttare quella fortuna inaspettata. Non amava ricorrere a certi metodi, ma non poteva farsi tanti scrupoli considerando che in quel momento non doveva badare solo a sè stesso. All'improvviso comprendeva perchè i samurai senza la tutela del padrone si trasformavano in predoni dediti alle peggiori efferatezze. Era facile mantenere inflessibile il proprio onore, etichettare con altero disprezzo i ronin, "i cani randagi" come li definivano i daimyo sprezzanti, finchè si disponeva di un focolare caldo che scacciava i geloni, finchè ogni sera si scivolava sazi in un sonno sicuro. Takeshi si avviò con scarsa convinzione sulla strada, in preda ad un frustrazione tale che pensava di scoppiare a piangere per l'umiliazione da un momento all'altro: si era ridotto a derubare un vecchio. Si impose comunque un contegno glaciale mentre sguainava la lama feroce della katana, volgendo lo sguardo allucinato verso i due viandanti. Cercò di cingersi di sicurezza caparbia alzando sfrontatamente il mento, divaricando le gambe robuste. Il giovane continuò ad avanzare ignaro senza accorgersi di nulla, il vecchio invece si arrestò bruscamente, posando una mano nodosa sulla spalla del compagno distratto. Un raggio di luna rivelò agli occhi stanchi per un attimo il bagliore famelico della lama e soprattutto il guizzo felino di follia che abitava il volto scuro celato dietro l'arma. Il giovane dapprima non capì, poi si mise in posizione difensiva. Takeshi storse le labbra in una smorfia amareggiata: avrebbe voluto evitare di versare sangue inutilmente, ma se il ragazzo si fosse opposto non avrebbe mostrato pietà. Quegli occhi scuri vividi, che lampeggiavano d'ira incatenata dal terrore, brillavano specchiandosi nei suoi. Forse se non fosse stato preso sotto l'ala del nobile Ishida alla morte del padre il suo sguardo sarrebbe stato inesperto come quello, una gemma grezza pronta a frantumarsi nelle follie di una passionalità avventata. Takeshi non aveva mai visto prima quel ragazzo. Ma l'idea di fissare quel bagliore sconsiderato spegnersi mentre le membra acerbe si abbandonavano sull'acciaio impassibile gli provocava una fitta al cuore. -Kazuto,no- La

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voce del vecchio si dimostrò cavernosa proprio come Takeshi l'aveva immaginata. Scorse in quelle parole calme la stessa venatura di rimprovero affettuoso che era solito rivolgergli il suo maestro, le pieghe del volto atteggiate nella stessa espressione appena accigliata. Una tenerezza sconfinata gli invase il petto, le mani sempre avvinte dal bisogno sulle strisce di cuoio dell'elsa. Mentre allungava lo sguardo rapace sulla bisaccia del vecchio, che a giudicare dal rigonfiamento doveva essere ricolma di ogni ben di dio, udì un suono acuto. Guardando il giovane spaurito si rese conto che non doveva essersi trattato della sua immaginazione, anche se il vecchio era rimasto impassibile. Forse era mezzo sordo, anche il suo maestro gli ultimi tempi non riusciva a captare i suoni più acuti. Il suono si ripetè una seconda volta e stavolta era inconfondibile: il latrato dei figli della notte, dalle fauci spalancate assetate di vita. Con l'imminente stagione invernale i lupi cominciavano a inoltrarsi sempre più a fondo nel territorio umano, spinti dal morso aggressivo della fame. Non era raro in quel periodo che qualche viandante sprovveduto scomparisse nelle tenebre, dilaniato dai loro morsi feroci. I lupi rappresentavano una preoccupazione seria anche per i feudatari, tanto che anche i daimyo più influenti del paese, come il nobile Ishida, organizzavano strenue battute di caccia per assottigliarne il numero intorno ai principali centri abitati. Takeshi sapeva di non poter competere con loro nella corsa, l' unica speranza era di riuscire ad arrampicarsi su un albero prima che si fossero avvicinati a sufficienza. Però non avrebbe saputo definire con precisione a che distanza si trovassero: i lupi erano parenti delle Kitsune (Yokai dalle sembianze di volpe), si nascondevano nel buio ingannatore delle fronde tenebrose, attendendo il momento propizio per circondare la malcapitata preda e saltargli alla gola. L'idea di ritrovarsi da un momento all'altro i loro sorrisi infidi chiostrati di zanne alle spalle incrinava le sue certezze: quando si era confrontato con quelle creature dagli occhi piccoli e cattivi aveva sempre disposto di un consistente drappello di soldati, pronti a spegnere la loro fame implacabile con un nugolo di frecce. Ma quella era una situazione completamente diversa:erano i lupi a cacciare lui e non viceversa. Guardò il vecchio, che correva disperatamente con gli occhi nell'aria tagliente, contorcendo il naso sulla faccia scarlatta come un tengu decrepito (spirito della montagna caratterizzato dal volto rosso e un naso enorme). Senza esitare gli strappò la bisaccia dalle spalle e si volse repentinamente verso gli alberi, lo sguardo avido che si arrampicava sulla corteccia scura, alla ricerca disperata di sporgenza. Con orrore iniziò a distinguere tra gli scheletri frondosi un muso appuntito e peloso, poi un altro corredato da un corpo agile e scattante, le membra tese a reprimere la violenza spasmodica fino al momento opportuno. Analizzando a mente fredda la situazione, se si fosse mosso prontamente forse sarebbe riuscito a sfuggire all'infausto destino, anche perchè i lupi sarebbero stati impegnati ad abbeverarsi del sangue caldo del giovane e del vecchio che aveva appena derubato. Storse la bocca:non avrebbe mai concepito di doversi salvare un giorno a spese di qualcun altro e durante l'addestramento gli era stato indicato come il più vile degli atti che un samurai potesse commettere, aver paura di versare il proprio sangue. Almeno non si trattava dei suoi compagni o del nobile Ishida, ma provava uno sgradevole senso di oppressione: percepiva una paura agghiacciante che si insinuava nel cuore, paralizzando la volontà e lasciando campo libero all'istinto bestiale, che si riversava copioso negli arti incitandolo alla fuga. Quello stessa sensazione odiosa che lo aveva spinto a fuggire dalla piana incrostata di sangue, slanciandosi disperatamente sui monti ostili e impassibili, davanti al proprio sguardo incredulo. Si volse un attimo indietro. Il ragazzo piangeva, il vecchio guardava le belve avanzare ringhiando, come impietrito. La disperazione accompagnata da una realizzazione ancora non definitiva aleggiava nel volto del giovane, piegato in singulti stentati. Le lacrime miste al catarro si erano impastate con la peluria

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appena accennata che gli copriva i lati del volto, precipitando al suolo come il sangue dei soldati di Sekigahara. Per un attimo Takeshi intravide il balenio del terrore dietro ai lineamenti stanchi del vecchio, si scontrò con quegli occhi tristi che splendevano come lucciole morenti nell'oscurità. Abbondonare alla propria sorte dei soldati era decisamente più semplice, fossero stati anche alleati: fino a che anche solo una stilla di vita animava il loro corpo potevano difendersi, potevano mettere in gioco anima e corpo per salvarsi. Inoltre avevano scelto le armi come mestiere, fosse stato per vocazione o anche solo per necessità. Ad ogni passo cadenzato dei lupi la vita sembrava fuggire da quei due volti, quasi come se stesse lasciando il campo spaventata alle zanne dilaniatrici. Le belve invece sembravano piuttosto sicure di sè e non avevano fretta. Le antiche leggende le indicavano come messaggeri dei Kami della montagna e Takeshi non si meravigliava che le divinità volessero spegnere la fiamma sacrilega della sua esistenza. Ma non riusciva a perdonare la loro freddezza sprezzante, che soverchiava gli innocenti insieme ai colpevoli, che con alterna sorte schiacciava vincitori e vinti. Mosse un passo timido in avanti, poi cominciò a correre. Il cuore tremava inebetito, cercando di arginare la violenza furiosa dell'animo che straripava in ogni fibra, in ogni recesso della mente affranta. Non voleva fermarsi, voleva strappare ad ognuno di quegli spiriti malevoli il cuore palpitante, ritirare le fauci imbrattate di sangue dalle loro gole squarciate. Sentiva la rabbia crescere come un'onda, sempre più grande, che annientava ogni altra sensazione, che scorreva ustionando le vene. Calò la spada fracassando il cranio di uno dei lupi, la levò nuovamente sopra la testa, lo sguardo feroce di un dio della guerra. Ogni parte del corpo gli rispondeva prontamente come ormai non avveniva dall'infausta battaglia di Sekigahara, sentiva di poter spiegare ali dorate come la Karura (creatura divina con torso umano e testa simile a un uccello) e incenerire ogni minaccia che gli si parasse davanti con l'alito fiammeggiante. Mentre massacrava soddisfatto ogni creatura che gli capitasse a tiro gli parve di sentire un lieve sussurro provenire da una delle carcasse che giacevano abbandonate ai suoi piedi. I suoi occhi furono catturati da un azzurro slavato familiare, poi balzò indietro quando notò una testa che spuntava dal capo reciso della carcassa. Il volto della Yuki-Onna appariva sfigurato, mentre si dimenava in un cipiglio tra l'amareggiato e il severo. Un sibilo stentato usciva dalla labbra evanescenti, rauco come se il sangue appena eruttato dal tronco inanimato della belva le impastasse la gola. Sembrava ripetere ossessivamente una parola, sempre la stessa, con il solito tono cadenzato e imperturbabile degli immortali. Gli occhi guizzavano in ogni direzione, gelidi come lo erano stati nella tormenta, aguzzi come una raffica di grandine sottile. Ovunque Takeshi posasse lo sguardo incontrava quell'espressione inquisitrice,quell'azzurro violento che sembrava trafiggergli l'anima, sondare ogni spazio della sua mente con stalattiti di ghiaccio affilato. Il suono divenne raschiante; finalmente fu in grado di distinguere un nome, strozzato tra spasmi innaturali. Raissa. Le Yuki-Onna si presentavano come simulacri di animi corrotti di donne alle quali con il tradimento era stata strappata la vita.Se si fosse lasciato sbranare dai lupi Raissa sarebbe morta da sola nella grotta, tradita dalla furia ingrata. Intorno a lui imperversavano implacabili le fauci spalancate di quei demoni, non aveva alcuna speranza di sfuggire indenne a quel vortice di ferocia dissennata. Un samurai non poteva morire senza prima aver saldato tutti i suoi debiti. Lui invece si era lasciato scivolare ancora una volta nella tempesta delle emozioni, che gli aveva tolto la lucidità nell'agire. La rabbia lasciò il posto ad una profonda vergogna. Avrebbe dovuto prendersi cura di Raissa, lavarle il sangue incrostato dalle ferite come aveva fatto lei. Avrebbe dovuto precipitarsi all'inseguimento delle truppe di Tokugawa per liberare il suo daymio, offrire ogni brandello folle di vita che si avvinghiava ancora alle sue membra al signore che aveva giurato di servire. Il vecchio

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ormai agitava le braccia disperato, sepolto da un mare di pellicce scure. Il ragazzo cercava di tener lontano i lupi con un bastone, ma presto quelle creature di tenebra avrebbero fatto strazio anche delle sue carni. Preda di una calma soprannaturale Takeshi raggiunse il giovane, mulinando la spada nel buio scuro per timore che qualche minaccia sfuggisse ai suoi sensi felini. Ma i lupi si erano scostati al suo passaggio, come in segno di riverenza: nella loro efferata istintualità sapevano riconoscere un pasto vantaggioso da uno letale. Prima di riuscire a squarciare la gola di un guerriero allenato tanti di loro sarebbero rimasti nella polvere: neppure i messaggeri del kami della montagna volevano gettare al vento le proprie vite. In pochi attimi concitati Takeshi aprì un varco al ragazzo, sperando che si dileguasse come il vento nella fitta boscaglia. Se desideravano salvarsi dovevano impiegare ogni attimo a loro disposizione mentre la maggior parte degli assalitori era impegnata a scarnificare la carcassa ormai muta del vecchio. Non furono necessarie parole:lasciò parlare i gesti, il volto, le mani. L'altro, la notte negli occhi, squadrava il terreno, gli occhi gonfi di pianto. Ogni tanto si volgeva a guardare la strada dove avevano abbandonato il suo compagno, ma intanto correva come una lepre. Mentre si allontanavano Takeshi doveva talvolta abbattere qualche lupo intraprendente, ma tutto sommato la fuga era agevole. Solo la paura li incalzava, si insinuava come un chiodo rugginoso nel cuore, la tristezza a fianco. La temperatura dopo che era calato il sole si era abbassata gradualmente, le gambe gli pulsavano, ogni parte del suo corpo che avesse mantenuto un minimo di sensibilità si contorceva tra crampi e spasimi. Stabilì che ormai erano fuori pericolo, anche perché la fastidiosa sensazione di avere l'alito lordo di sangue delle belve sulla nuca era improvvisamente sparita. E soprattutto non voleva inoltrarsi troppo nelle fronde della boscaglia, per timore di non riuscire più a ritrovare la grotta dove aveva lasciato Raissa. Quando si fermò di scatto avvertì la tensione insostenibile della giornata travolgerlo nel corpo e nell'animo, ma si sforzò di rimanere lucido. Mentre si allontanava dalla grotta aveva individuato alcuni punti di riferimento perchè contava di essere di ritorno ben prima che l'ombra della notte li nascondesse ai suoi occhi. Nonostante l'irruenza della loro fuga Takeshi era riuscito a constatare che a grandi linee avevano mantenuto sempre una stessa direzione, quindi per tornare alla grotta sarebbe stato sufficiente procedere parallelamente alla strada rimanendo al di fuori della portata del fiuto dei loro assalitori. Intanto notò con disappunto che anche il ragazzo si era arrestato di colpo. Gli aveva appena salvato la vita, ma non aveva né la possibilità nè lo spirito per occuparsi ulteriormente di lui. Frugò nella larga bisaccia appena strappata dalle braccia nodose del vecchio, fino a quando non scovò alcune monete in un sacchetto adagiato sul fondo. Dopo averle depositate sul palmo sudaticcio dell'altro, che sembrava pregarlo con lo sguardo di non lasciarlo solo al buio, fece per andarsene.Poi ci ripensò:Dove porta la strada?La frase gli uscì molto più scontrosa di quanto avrebbe immaginato, tanto che il ragazzo tirò su con il naso come se fosse sul punto di scoppiare nuovamente a piangere.

-A Kyoto-Perchè ti stavi dirigendo a Kyoto?In periodo di guerra i Kami della montagna sono irrequieti per le anime dei morti e la via non è mai sicuraIl giovane era sempre più allarmato da quella figura austera che troneggiava su di lui, ma riuscì lo stesso a superare il battito impazzito del cuore provato con la sua voce flebile. -Sì, ma la guerra è finita con la vittoria del nobile Tokugawa. Si radunerà una grande folla per assistere all'esecuzione dei capi nemici. Mio padre aveva preceduto me e il nonno in città per vendere il raccolto di riso di quest'anno, ma...La voce gli si spezzò, Takeshi istintivamente gli posò una mano sulla spalla. Lo aveva appena derubato, ma senza il riso tostato e il pesce secco nella bisaccia non sarebbe

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potuto sopravvivere. Nonostante tutto sembrava essergli grato per avergli salvato la vita, altrimenti non gli avrebbe risposto subito, senza bisogno di ricorrere alle minacce. Avvertiva la fragilità in quel corpo indifeso nei tremiti continui che lo attraversavano scontrandosi col suo palmo incallito, incapace di empatia. Quella debolezza suscitava nel suo animo guerriero un certo ribrezzo, ma anche quello stesso desiderio di offrire protezione che provava per Raissa. Era lì, nelle sue mani. Avrebbe potuto spezzargli l'osso del collo con un gesto. Eppure rimaneva inchiodato a fissare quell'esistenza così fragile, incapace di compiere qualsiasi atto pietoso. -Vuoi venire con me nel mio rifugio?chiese con delicatezza, indicando in direzione della strada. Il ragazzo lo fissò sorpreso, poi il suo volto avvampò come se avesse visto un demone. Si precipitò nell'angolo più nero della foresta, in mezzo al rumore scricchiolante dei rami che si rompevano al suo passaggio impulsivo. Evidentemente la proposta non doveva allettarlo particolarmente. Takeshi si mise in cammino rassegnato, d'altronde non poteva certo mettersi ad inseguirlo nelle tenebre. Avrebbe voluto spiegargli che il vento soffiava verso di loro, quindi anche se i lupi fossero rimasti immobili sulla strada non avrebbero potuto captare il loro odore. Comunque era giovane, se la sarebbe cavata. Ora doveva affrontare ben altri problemi: raggiungere Raissa e dirigersi quanto prima a Kyoto. Poteva essere l'unica oppotrtunità che gli avrebbe fornito il buon Buddha(in Giappone credenze buddiste e shintoiste si intrecciano) per salvare il suo daymio e redimersi.

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CONTINUA…

L’HIJAB

Quando si vuole conoscere una realtà, è necessario indossare la vita di chi ne è protagonista…

Sono una ragazza iraniana di vent’anni e indosso l’hijab dal mio nono compleanno e non perché sono stata costretta. L’hijab è la mia identità: fin da bambina mi è sempre piaciuto abbinare il velo ai miei vestiti e, essendo una persona solare, prediligevo i colori chiari. Quando i miei genitori mi regalarono un telefono per il mio quindicesimo compleanno, l’idea di poter viaggiare in tutto il mondo con un semplice click mi elettrizzava. Su Internet, però, trovai anche molte critiche contro il velo, ritenuto come uno strumento di oppressione verso le donne. Io non ero d’accordo con quelle idee poiché ero cresciuta in una famiglia aperta e, se un giorno avessi avuto una ciocca di capelli fuori posto, non sarebbe stata la fine del mondo. Queste mie certezze, tuttavia, caddero il 13 settembre del 2022.

In quel giorno una mia coetanea, Mahsa Amini, fu arrestata a Tehran dalla polizia morale per una ciocca di capelli che fuoriusciva dal velo. Tre giorni dopo morì. Probabilmente fu torturata. In quel giorno iniziai ad avere paura. Quando l’anno prima aveva vinto alle elezioni il conservatore Ebrahim Raisi, sapevamo che sarebbe stato più rigido sulla legge islamica, ma non immaginavamo che si sarebbe spinto fino a questo punto. Iniziai ad avere tanta paura. Nascosi tutti i miei veli colorati in una scatola e indossavo esclusivamente quelli neri. Non uscivo mai da sola. Vivevo nel terrore. Un giorno, però, mentre ero fuori a fare la spesa con mio fratello, vidi la polizia morale portare via una ragazza, strattonandola mentre lei si divincolava. La mia risposta alle sue grida che chiedevano disperatamente aiuto fu

SOTTO
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restare immobile ad osservare la scena; diventai di ghiaccio, non ebbi il coraggio di soccorrerla. Quella notte non dormii. Quando l’alba si accinse ad entrare dalla mia finestra, promisi a me stessa che non sarei mai più rimasta a guardare, anche quando ci fosse stata la mia vita in ballo. La paura si trasformò in rabbia. Stavano sfruttando l’hijab, cioè la mia identità, contro di me per controllarmi e tenermi zitta e buona. Non potevo tollerarlo: rivolevo indietro la mia libertà. Mi unii al gruppo di ragazze che organizzavano le manifestazioni per protestare contro la morte ingiusta di Mahsa e contro il nuovo regime. Il termine hijab significa nascondere, rendere invisibile, noi, invece, eravamo pronte a mostrarci e a farci sentire. Traevamo coraggio anche dalla consapevolezza che il mondo era dalla nostra parte; ci scaldava i cuori sapere che le persone ci sostenevano e che quindi non eravamo sole. Partecipai a tutte le manifestazioni, fino a quando non fui catturata dalla polizia morale. Ero fuori con mia madre, indossavo il velo ma volantini di me e delle mie compagne senza hijab erano sparsi per tutta la città; sapevo che sarebbero venuti a cercarmi, ma non mi nascosi perché avevo fatto una promessa a me stessa. Arrivarono due uomini che mi presero per le braccia e mi trascinarono dentro una macchina mentre io cercavo di divincolarmi e mia madre urlava di lasciarmi andare con le lacrime sul volto. Sapevo di essere sulla strada verso la mia morte e avevo paura, ma non mi pentii nemmeno per un attimo di quello che avevo realizzato.

Io sono Mahsa, ma anche Mohsen Shekari, uno studente arrestato durante una manifestazione e ucciso, e Aida Rostami, dottoressa arrestata e uccisa perché curava di nascosto i manifestanti; sono anche Taraneh Alidoosti, attrice arrestata per essersi mostrata su Instagram senza velo e di cui oggi non abbiamo più notizie. Sono tutti quei giovani, ragazze e ragazzi, che nella loro vita hanno svolto qualcosa di importante sfidando la morte: hanno contribuito alla lotta per la libertà di noi donne e hanno mostrato a coloro che vogliono sottometterci che sotto ogni hijab si celano forze che non hanno paura di uscire alla luce.

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Dancer Lovers

Capitolo

di Irina Lippi

I

Quella mattina tutta la villa dei De Civille era in gran fermento. Domestici che pulivano i pavimenti, domestici che sceglievano le posate, i piatti e i bicchieri, altri che spolveravano i numerosi scaffali e le librerie, chi cucinava le più ricercate prelibatezze... Tutti insieme si davano alla maggiore cura per i dettagli del ballo che si sarebbe tenuto quella sera stessa.

La signora De Civille correva avanti e indietro per gli immensi corridoi e le immense stanze per controllare ogni lavoro e definire ogni minimo dettaglio. Il signor Civille invece supervisionava i lavori nei giardini.

"John, aspettatemi!", esclamò con voce affaticata Thomas mentre inseguiva il fratello alla porta d'ingresso principale della casa.

"Aspettate voi due!", gridò una voce acuta, rivelandosi poi essere quella della sorellina minore Scarlett che stava anch'essa inseguendo i due fratelli maggiori giù per le scale.

"Fermati, dove credi di andare tu signorina?", disse un'ulteriore voce alle spalle della bimba.

Ci fu un piccolo grido dopo che la quarta e la quinta figura presero in collo la bambina. "Che cosa state facendo alla povera Scarlett? Ragazze, per l'amor del cielo, rimettetela a terra!", disse la madre ricomparendo dalla porta del salotto sul lato destro dove si trovavano i cinque fratelli.

"Ma lei vuole volare madre! E' una fata, non le vedete le ali?", disse la ragazza che teneva la bimba per le braccia.

"Vi prego, lasciate vostra sorella e mettetevi a dare una mano qua, stasera è una serata importante...", continuò agitata la donna.

"Sì, arriverà l'uomo della serata!", esclamò spazientito Thomas aprendo la porta.

"Oh sì.... giusto, lui... il misterioso cugino!", continuò Jonathan infilandosi il cappello e cercando di inscenare l'arrivo del cugino.

"Vi ricordo che è vostro cugino, ci tiene molto a venire qui stasera per conoscervi meglio!", rispose esasperata la madre.

"Oh, dopo che ha subito uno scandalo che lo ha fatto allontanare dalla famiglia... che onore!", esclamò disgustata la ragazza bionda che stava riposando delicatamente la sorellina a terra.

"Avanti, Taylor, non cominciare anche tu...", disse la madre spazientita guardando la figlia che si dondolava sui talloni evitando il suo sguardo.

"Ma come si può essere assenti per una vita intera e poi tornare solo nel momento del bisogno?", domandò disgustata la ragazza che stava di fronte a Taylor a fianco di Jonathan.

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"Lui ha bisogno della sua famiglia in questo momento!", esclamò la signora De Civille portandosi le mani al petto e abbassando lo sguardo triste.

"Sì, e di un ballo per ripulirsi dallo scandalo!", sussurrò Thomas schifato. "Thomas, ora basta! Pensa a quello che devi fare adesso!", esclamò nuovamente spazientita la madre.

"Sì, andiamo prima che arrivi il cugino misterioso e conduca anche noi allo scandalo, Thom!", esclamò il fratello appoggiando una mano sulla sua spalla. Tutti scoppiarono a ridere eccetto la signora De Civille che, scuotendo la testa, si ritirò nel salotto.

"Ma dunque oggi...?", chiese Adeline sorridendo gioiosa. "Andiamo John!", disse il ragazzo sorridendo sotto i baffi. "Signore, mi dispiace alquanto dovervi lasciare, ma il dovere ci aspetta... cioè lo aspetta, io devo solo accompagnarlo!", rispose il ragazzo sorridendo alle tre sorelle che scoppiarono a urlare eccitate.

Thomas incamminandosi lungo il cortile sorrise sentendole e si voltò ad osservare le tre figure. Le due sorelle maggiori si tenevano le mani e sorridevano felici della notizia. Le guardava compiaciuto. Adeline per lui era sempre stata una figura molto confortevole, un rifugio per tutti i suoi dubbi e le sue paure. Tutti in quella famiglia la ritenevano una figura amorevole e comprensiva. In quel momento indossava un vestito azzurro e i capelli le ricadevano un po' scompigliati, ma pur sempre deliziosamente morbidi, lungo le spalle, mentre i suoi brillanti occhi verdi lo scrutavano dolcemente. Taylor invece era super emozionata. Indossava il suo vestito verde e i suoi magnifici occhi azzurri si intravedevano appena per via l'immenso sorriso che glieli socchiudeva, mentre i suoi capelli biondi erano raccolti in una magnifica treccia che teneva distesa lungo la spalla sinistra. Thomas aveva sempre trovato in lei una fidata compagna di avventure e giochi, per via della sua natura creativa e temeraria. Scarlett ballava nel suo vestitino rosa. Sorrideva e gioiva nel vedere l'emozione delle sorelle maggiori. Teneva in mano alcune ciocche dei suoi capelli marroni. Quella bimba era entrata nella vita di ogni membro della famiglia De Civille come una piccola ribelle. Thomas a quel punto alzò lo sguardo più in alto e scorse la figura del fratellino che lo osservava triste dalla finestra della sua cameretta sul secondo piano della casa. Gli sorrise dolcemente e il piccolo lo salutò con la manina da dietro il vetro. Il ragazzo sapeva che il piccolo Finn era spaventato, poiché la sera precedente dopo la notizia si era rifugiato in giardino dietro la fontana che raffigurava una figura femminile che portava sulle spalle due angeli. L'aveva inseguito e, non appena raggiunto, si era seduto al suo fianco e gli aveva chiesto cosa non andasse nella sua decisione. Aveva scoperto la paura del fratellino: il suo abbandono. Quel piccolo bimbo di appena sette anni gli aveva fin da subito mostrato un grande affetto, e da parte sua Thomas lo ricambiava con regali e giochi improvvisi. Si incontravano ogni sera nel salotto, si posizionavano sulla poltrona accanto al camino e leggevano un libro insieme. Quella sera, invece, Thomas si era ritrovato a fianco il suo fratellino terrificato all'idea di perderlo. Un piccolo uomo raggomitolato in sé stesso, con la testa sulle ginocchia e con le mani che gli tappavano le orecchie. L'aveva abbracciato e, prendendogli il mignolo e congiungendolo con il suo, gli aveva rivelato un segreto: le persone che si hanno nel cuore non si perdono mai, non importa quanta distanza di tempo o spazio ci sia tra loro. A quel punto si rimise in cammino con il fratello che sorrideva lieto al suo fianco.

"Allora vuoi prenderti la cara Carmen prima che ci pensi qualcun altro... eh, Tommy?", esclamò Jonathan con un sorriso provato.

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"Ma che vai a dire? Io voglio Carmen perché l'amo!", rispose lui offeso per la domanda del fratello che alzando le mani con tono di difesa, aggiunse:

"Lo dicevo soltanto perché sono anni che sei preso da una ragazza come lei e soltanto ora che sapete dell'arrivo di nostro, se così si deve chiamare,... 'cugino', vi siete deciso a fare una mossa!" .

"Smettetela di creare certi stratagemmi, io chiedo a lei di sposarmi perché è l'unica donna che voglio avere al mio fianco, l'unica con la quale vedo un futuro! E' dolce, simpatica, intelligente, sensibile, altruista...".

"Testarda, misteriosa, diffidente, eccentrica!", continuò Jonathan mettendosi di fronte al fratello a sbarrargli la strada.

"Lo dite soltanto perché ci provate da anni e lei non vi ha mai contraccambiato!", esclamò Thomas guardando sorridendo il fratello, che assunse un'espressione tremendamente seria e riprese a camminare tenendo lo sguardo basso. Thomas ripensò alla ragazza che fin dal primo momento in cui aveva incrociato il suo sguardo l'aveva rapito. La sua piccola Carmen, Carrie per gli amici. La bimba che diciannove anni prima aveva visto arrivare nella famiglia d'Ambray. La signora d'Ambray e sua madre, ricordava il giovane conte Thomas, non si erano mai perse di vista, cresciute nella stessa città, poi trasferite in due diverse per amore e dopo vent'anni e infinite lettere, ritrovatesi nella stessa senza che né affetto né ricordi fossero passati. Quello era stato il giorno precedente alla nascita di Carmen. ***

Quella sera erano tutti insieme e fuori pioveva forte. Thomas aveva solamente tre anni, eppure ricordava tutto precisamente. La sera del primo di agosto nella brughiera intorno pioveva tremendamente ed erano tutti seduti sulle poltrone e i divani intorno al fuoco. La signora d'Ambray sorrideva dolcemente e si massaggiava il grembo. Thomas stava seduto in disparte e osservava le sorelle e il fratello maggiore che riempivano i signori d'Ambray di domande, senza però prestare molta attenzione.

"E' un maschio o una femmina?", chiese Adeline.

"Ma sono due gemelle?", chiese Jonathan. Quella domanda svegliò la curiosità di Thomas.

"Come le vorreste chiamare?", domandò improvvisamente alzandosi e avvicinandosi al gruppo.

"Una Annette, l'altra... ancora non avevamo pensato ad un nome in particolare... vuoi pensarci tu, Tommy?", chiese dolcemente la signora d'Ambray.

Per tutta la notte ripensò a quella domanda risposta. Provava a immaginarsi moltissimi nomi: Gracie, Juliette, Addison, Sarah... Il giorno seguente a mezzogiorno e mezzo furono invitati a conoscere le due gemelle. Per tutto il viaggio mentre gli altri scommettevano a chi sarebbero somigliate di più le due bimbe, Thomas ripensava a quale nome potesse essere adatto. Appena furono nella stanza davanti alle bambine, il signor d'Ambray e Adeline scoppiarono ad urlare per la gioia, scoprendo che avevano vinto la scommessa, erano tutte la madre. Tutti si congratularono con la famiglia e la signora d'Ambray pose tra le braccia la piccola. Fu in quel momento che Thomas pensò ad un nome perfetto per quella bambina. La scelta fu subito accolta con gioia e il piccolo Thomas tenendo con cura la piccola, gli disse sottovoce: "Benvenuta, Carmen!" .

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Arte a km 0

Palazzo Spini Feroni

Palazzo Spini Feroni, oggi museo di Ferragamo, ospita due curiosità molto interessanti. Infatti, a Firenze, nel 1824, per allargare il lungarno, vennero demoliti un torrione e un arco del palazzo prima citato. La cosa interessante è che questo arco era niente meno che “l’arco dei pizzicotti”, un luogo di ritrovo per i giovincelli che nell’oscurità si divertivano a dare fastidio alle giovani donzelle di passaggio. Un’altra curiosità riguardante il Palazzo riguarda proprio la giovane Beatrice, l’unico vero amore del sommo poeta Dante Alighieri. Nel 1995 i sotterranei del Palazzo sono diventati il museo della moda di Salvatore Ferragamo come da noi oggi conosciuto. In questo stesso sotterraneo è presente un pozzo sormontato da una lunetta affrescata con un profilo femminile. Il pozzo è detto “Pozzo di Beatrice” proprio in suo omaggio poiché, come è narrato dallo stesso Dante nella sua celebre opera “Vita Nuova”, che i due si sarebbero incontrati per la prima volta proprio in quelle vicinanze sul ponte di Santa Trìnita.

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Recensendo

Le ali della lettura

di Ginevra Malavolta

Con gennaio inizia un nuovo anno, e qual è il modo migliore per iniziarlo se non al fianco di un bel libro? Allora, andiamo a vedere alcuni titoli per iniziare l'anno:

1. Partiamo con "Il Diavolo e l'acqua scura", di Stuart Turton, pubblicato nel 2020. Il libro è stato acclamato dalla critica e ha riscosso un grandissimo successo tra i lettori, tanto che poco dopo la pubblicazione ha ispirato un gioco da tavola. La storia, intrigante come il primo romanzo dell'autore, ha coinvolto tutti i lettori, che si sono divertiti nel cercare di individuare il demone della Saardam, nodo centrale del libro. Questo infatti, racconta le disavventure di una nave mercantile nel Seicento, che sembra essere maledetta sin dalla partenza. Ma si può davvero credere nei demoni? Si può davvero credere che i riti scaramantico e le superstizioni dei marinai siano sensate? Per quanto sia assurdo, sembra che a bordo della Saardam il demone, chiamato Vecchio Tom, esista davvero. <<Un omicidio in alto mare. Una straordinaria coppia di detective. Un demone che esiste. O forse no.>> Neri Pozza

2. Proseguiamo con "Pandora" di Susan Stokes Champman. Il libro è stato pubblicato il 27 gennaio 2022, e dopo un mese dalla pubblicazione aveva già riscosso successo internazionale, tanto da condurre la scrittrice a TESTO, una manifestazione letteraria che si tiene alla Leopolda (Firenze). Il libro è un intrigante mystery legato ad una complicata storia d'amore

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nome su instagram è Vesna, e proprio qui incontra Doom Lad, uomo del destino. Anche lui non si chiama davvero Doom Lad, anzi, ha tanti altri nomi, ma questo Eva non lo sa. E non sa neanche che una fitta rete le si sta cucendo intorno, e che diventa sempre più stretta, proprio come le richieste di Doom diventano più esigenti. Lei intanto non dice niente a nessuno, solo a Pio, il suo migliore amico, che nel frattempo sta uscendo da una situazione di bullismo, perché è convinta che il suo aguzzino possa realmente aiutarla a realizzare i suoi sogni. «Abbraccio le gambe, rannicchiata in mezzo al parco. Non mi interessa neppure mettermi al riparo. Appoggiare la schiena al tronco di un albero, magari proprio a quel tronco di quell'albero. Non me ne frega niente di niente, non me ne frega più niente. Tra poco io muoio. L'ho deciso io. Non sono malata. E nessuno mi ha costretto a uccidermi. Lo faccio da me.» Dark Web.

sullo sfondo di una magnifica Inghilterra georgiana. La protagonista, Pandora, è una giovane donna con un sogno molto originale e rivoluzionario: essere assunta come disegnatrice di gioielli ed essere autonoma. Sara' proprio la sua passione mista ad un'irrefrenabile curiosità a portarla faccia a faccia con un incredibile mistero ... ma risolverlo è davvero la cosa giusta? «Sullo sfondo magnificamente reso della Londra georgiana, Pandora intreccia l’antico mito greco con un mystery pieno di suspense e una seducente storia d’amore. Un romanzo lussureggiante, evocativo e assolutamente irresistibile». Jennifer Saint.

3. Concludiamo, infine, con "Dark Web" di Sara Magnoli, pubblicato nel 2020. Il romanzo è intrigante e coinvolgente, oltre che dalla trama molto attuale. Questa, infatti, racconta la storia di Eva, una ragazza di 14 anni che sogna di diventare una famosa influencer. Il suo

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Regali di Natale...fin troppo semplici!

Dal momento che le feste sono ormai passate, mi rendo conto che forse avrei dovuto scrivere un articolo a tema natalizio un po' prima, tuttavia non desisto perché la tematica che vorrei affrontare non è circoscritta né ad un singolo anno, né al solo periodo di Natale, ma rappresenta un “problema” puntualmente ricorrente, ovvero quello dei regali. Fare un regalo è, in un certo senso, cercare di cogliere un determinato tratto di una persona, entrare per un momento nel suo intimo e trovare ciò che potrebbe desiderare o di cui potrebbe avere bisogno; dal momento che gli oggetti che possiediamo raccontano molto di chi siamo, trovare qualcosa che si addica all'altro si trasforma spesso da una semplice ricerca di un pensiero chefaccia piacere e ricordi chi lo ha donato, a una vera e propria caccia al “regalo perfetto”, che implica la paura di fare brutta figura nel caso la scelta non venga apprezzata e quella di non dimostrare un'adeguata conoscenza dei gusti dell'altro. In questo modo ci proiettiamo in voli pindarici alla ricerca di qualcosa che stupisca dimenticandoci che, spesso, sono le cose più semplici quelle di cui abbiamo più bisogno e che trovano più spazio nel cuore.

Ecco quindi alcune idee di regali di Natale che visti nelle mani da qualcun altro inducono all'esclamzione “Potevo pensarci anch'io!”, ma a cui in verità non avevi pensato. Sciarpe e cappelli

Adatti sia per maschi, sia per femmine, risultano sempre utili nella fredda stagione invernale!

Sono reperibili a qualsiasi fascia di prezzo e, in questo periodo, è frequente trovarne di fatti a mano molto carini ai mercatini di Natale in tutte le città.

Anelli

Adatti soprattutto alle ragazze, sono l'accessorio perfetto da regalare perché tutti hanno molte dita su cui portarli! Inoltre, come i cappelli e le sciarpe, se ne possono trovare di buona qualità e molto originali alle fiere d'artigianato.

Un set di creme per le mani

Ancora una volta, l'inverno porta inevitabilmente freddo e secchezza a tutto il corpo e, in particolare, alle mani, che possono però essere piacevolmente ristorante da una buona crema idratante; e dal momento che il gelo colpisce tutti senza distinzioni di sesso, penso che sia un regalo molto gradito e utile anche per i maschi!

Un viaggio

Cosa c'è di pù bello che passare del tempo con una persona a cui teniamo regalandole un'esperienza? Anche optando per due soli giorni in Italia, si tratta sicuramente di un regalo dal prezzo più elevato rispetto ad altre alternative, tuttavia, personalmente, credo che qualsiasi tipo di visita o viaggio sia di gran lunga il pensiero più apprezzato da chi ama muoversi e vedere posti nuovi: inoltre, il fatto di includere in nel dono un po' del proprio tempo penso che sia la pù grande dimostrazione d'affetto possibile.

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Accessori per il telefono

Tutti possiedono un telefono e tutti perdono continuamente cuffiette, caricatori, power bank e cover... la seleizione di gadget per dispositivi elettronici è davvero vasta, ma tra i più simpatici vorrei menzionare le strutture per sorreggere lo smartphone sul cruscotto dell'auto (solo, però, qualora si sia sicuri che non diventerà una fonte di distrazione per il destinatario alla guida) e le cover personalizzate, magari con una foto cara alla persona che la riceverà.

Una custodia per il computer

Molte persone attualmente hanno bisogno del computer come strumento di lavoro da portare spesso con sé, ma magari non posseggono ancora una custodia (o una custodia BELLA) per trasportarlo in sicurezza! Questo regalo, inoltre, è anche una dimostrazione di impegno nella ricerca perché, a pensarci bene, le custodie per computer non sono oggetti così usuali da trovare in vendita!

Confezioni

regalo Make-Up

Putroppo non vengo sponsorizzata da nessun merchio di cosmetici, ma per fare un pensierino a chi ama truccarsi o prendersi cura della propria pelle consiglio di dare un'occhiata alle confezioni regalo (alcune realizzate specificamente per Natale) in vendita da Sephora, che contengono diversi prodotti in Mini o anche Full Size a prezzi piuttosto convenienti rispetto ad acquistarli singolarmente, che vi faranno fare un'ottima figura con il minimo sforzo!

!! REGALO BONUS !!

Nonostante questo sia un argomento molto controverso, io, personalmente, reputo che anche i calzini siano un ottimo regalo, a patto che vi sia però una ricerca dietro: sicuramente portare a qualcuno un pacchetto di calzini visibilmente comprati cinque minuti prima in un supermercato è più un'offesa che un omaggio, ma selezionarne invece dei bei morbidi paia invernali, magari in misto lana e cashmere, che tengano al caldo il destinatario nelle giornate più fredde, penso che sia una splendida dimostrazione di amore e di cura verso qualcuno a cui si vuole bene. (Aka come sviluppare una filosofia a partire dai calzini)

Spero di essere stata d'aiuto a chi ancora si stesse arrovellando alla ricerca di doni oppure di avervi dato qualche spunto per la prossima volta che vi troverete nel rush natalizio! Grazie per l'attenzione e, a questo punto, non più buon Natale ma buon gennaio a tutti!

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Foto di Nora Campagni
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L’angolo dello sport

LA MORTE DEL RE

Un fine anno triste per il mondo dello sport, specialmente per gli amanti di calcio, che il 29 Dicembre 2022 hanno visto spengersi uno, se non IL, dei calciatori più forti della storia: Edson Arantes do Nascimento, meglio conosciuto come Pelé. O’Rey, come lo hanno soprannominato da tempo i Brasiliani, ha giocato per ben 17 stagioni con la maglia bianco-nera del Santos e successivamente 2 con quella degli NY Cosmos. Pelé nella sua carriera ha segnato più di 700 gol in gare ufficiali e ha vinto la bellezza di tre mondiali (1958, 1962,1970), il primo dei quali alla giovane età di 17 anni, incantando con il suo modo unico e irripetibile. Per capire la maestosità di Pelé basti pensare che dopo la vittoria del secondo mondiale il Brasile lo proclamò “ Tesoro Nazionale” impedendogli il trasferimento in qualsiasi stato estero. Dopo il suo ritiro la Fifa lo ha riconosciuto come “calciatore del secolo”,” pallone d’oro del secolo” e ha ricevuto il pallone d’oro onorario, non avendolo potuto vincere durante la sua illustre carriera poiché fino al 1994 il pallone d’oro poteva essere vinto solamente da un calciatore di nazionalità europea. Nel 2011, inoltre, fu proclamato “ patrimonio storicosportivo dell’umanità” e inserito nella Soccer Hall of Fame. Nel 2021 Pelé è stato colpito da un tumore del colon ed è stato operato; successivamente, il 29 Novembre 2022 è stato ricoverato a San Paolo e nonostante l’impegno dei medici, il campionissimo verdeoro non ce l’ha fatta. Quel che è sicuro è che O’Rey verrà ricordato da tutti gli amanti di calcio e dello sport come uno dei migliori atleti della storia e che il suo ricordo resterà per sempre impresso nella memoria di chi lo ha visto giocare e non.

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Tra i banchi di scuola

ICCHÉ TU DICHI

L’AMBASCERIA TOSCANA NELLA PAPALE CIVITATE DI BOLOGNA

di Pietro Santi e Diego Braschi

Sèmo torni, gnaccheri! Come vu stathe? Noattri la si manda (non a qui’ paese)... quarcheduni tra di voi sapranno che sèmo iti a “studiare” a Bologna, all’Arma Mate’ Studiorumme, ma un ci sèmo miha scorda’i della lingua toscana e manco di voattri, nini! Allotta s’è deciso di riaprire la rubriha “Icché tu dichi” co’ un novo fòrmatte, ossia “L’ambasceria toscana nella papale civitate di Bologna”. Come vu’ ha’ già ‘nteso da queste prime palore, icché scriviamo sarà sempre scritto in toscano, pecché ci garba. Icché si fa? Si chiederà a taluni delle hose a cui nell’un via uno! Poi infine sèmo suti fortunati, peròe s’è penato di nulla… Andare su’ vari siti, telefanate di quae e di làe, mèi, andare a Lurdesse, e ti dirò, anco a Santiago di Hompostela.

Franca: Maremma, si passò un semestre di nulla… Alla fine però la s’è trova.

Pietro: Certo, l’abbiamo trovata in un viholino marfamato, ne facé’ano più di Carlo ‘n Francia: e si buha’ano paré’ano uno scolapasta!

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Franca: Però s’avea le torri a du’ passi e via Zamboni dreto porta! Via, la c’era ita a bocca baciata.

Pietro: Sì, sì, a ‘oglia, poi sèmo ‘n quattro si ride parecchio!

Franca: Sì, po’ alla fine si sèmo ambientati e s’è principiato a vìvila, la città, e a capì i su’ ritmi.

E come vi sète trovati all’università?

Franca: Mah, a dilla tutta, sperao parecchio meglio d’icché gl’è stato: pensao venisse facile conoscer dell’attre persone e fassi du’ o tre nove amicizie, ma un è per nulla così: le un piovano da i’ cielo, bisogna un pochino buttassi, perché quando c'è la volontà, come si sol dire, "a bona lavandaia un mancò mai la pietra".

Pietro: Io ho capito che quelli ‘he aspettano con tene prima di da’ un esame, gl’enno le gente meglio ni’ mondo in quei momenti. Si hondivide i’ medesimo destino, pe’ un poho, pecché poi i risultati gl’enno differenti. Ci si tira su prima di drentare nella stanza dove tesse la Moira (il professore o la professoressa): certe oitte ‘gna a’ere più c**o che anima. Pe’ i’ resto, i’ mi’ percorso di studi, ho preso filosofia, mi garba: e badate nini, la filosofia unn è miha fatta di concioni astratti (anco se tarvorta possano essere attaccati alle funi di’ cielo), ma c’ha i’ compito di estendisi ai’ mondo!

E come ll’è i’ tempo?

Pietro: Si piglia le pispole un po’ e via! Ll’è un diaccio si rassega! I’ naso un ti regge dai’ freddo ‘he c’è. Pecché gl’oretti un ti dolgano tu ti dè’i mette’ una berretta di lana.

Franca: E delle volte c'è un nebbione di pe' i' ridere! E' padani gl'hanno propio i' su' clima.

Che c’è di bello da védere a Bologna?

Pietro: O che lo so io! C’è la Chiesa che gli par fatiha di finire, ossia San Petronio, e la piazza di quell’ecceòmo che sta ignudo anco d’inverno (i’ Nettuno), i’ Palazzo d’Accursio, i’ Palazzo re Enzo, sempre lìe…

Franca: Po' c'enno e' Giardini Margherita, la piazza Santo Stefano, i' santuario di San Luca… E' Giardini gl'enno dimolto grossi, d'estate un monte di gente le vanno lì a piglià i' fresco.

Pietro: poi c’enno hélle viuzze appresso piazza San Petronio che son deliziose: e’ conservano icché c’è della Bologna tradizionale. In una c’è un sito di pesce!

Bono, noi abbiam concluso, vi si lascia leggere icché hanno scritto l’attri! Arri’ederci a più poi!

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Due promesse della politica di domani

Nel nostro Istituto, due delle nostre compagne hanno raggiunto i vertici della rappresentanza studentesca a livello istituzionale: infatti, Maria Vittoria D’Annunzio, della classe VB (classico) e Giulia Bolognese, della classe VA (classico) sono state elette rispettivamente Presidente del Parlamento Regionale degli Studenti e Presidente della Consulta Provinciale degli Studenti di Firenze. A seguito di questo importante traguardo, le ho incontrate per un’intervista straordinaria, alla scoperta della storia di queste ragazze operose e volenterose.

«Maria Vittoria e Giulia, grazie per aver accettato la mia richiesta di intervistarvi! Prima di tutto, potreste spiegare brevemente di cosa si occupano questi due organi?»

M: « Il Parlamento Regionale degli Studenti è un organo di rappresentanza degli studenti degli istituti secondari di secondo grado della Toscana: elabora proposte di legge, rapporti e relazioni da presentare ai decisori politici su temi di interesse e di attualità del mondo giovanile, con l’obiettivo di valorizzare il contributo che i giovani possono dare al progresso civile e sociale».

G: «Le Consulte Provinciali degli Studenti, invece, sono degli organismi istituzionali su base provinciale, composti da due studenti eletti per ogni istituto della provincia. Le loro funzioni principali sono collaborare con l’amministrazione scolastica, gli enti locali e MIUR, accogliendo le necessità e le proposte degli studenti di tutta la provincia, e promuovere iniziative che superino la dimensione del singolo istituto. Esistono in tutta Italia e sono la base di un sistema di rappresentanza che si esprime successivamente al livello regionale e persino nazionale: io stessa ho avuto il piacere di partecipare al CNPC, il Coordinamento Nazionale in cui sono state presentate all’ormai ex Ministro dell’Istruzione Bianchi proposte di riforma riguardo al mondo della scuola. Insomma, in poche parole, è il modo che abbiamo per partire dalle mura delle nostre aule, e arrivare sulla scrivania del Ministro!».

« E che cosa vi ha spinto ad intraprendere questa avventura?»

G: «Ad essere sinceri, nel mio caso è stata una decisione molto impulsiva! Ricordo che in prima e in seconda ne avevo sentito spesso parlare senza mai veramente capire di cosa si trattasse. Arrivata in quarta, forse spinta più da curiosità che altro, volevo mettermi in gioco in qualcosa che fosse più della rappresentanza di classe, e ho fatto questa scommessa candidandomi alla Consulta. Ho imparato man mano cosa volesse dire realmente farne parte, e non mi sarei mai aspettata di appassionarmi così all’ambito della politica studentesca. Chi l’ha detto che qualche volta le scelte impulsive non possano essere le migliori?».

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M: «Per me la situazione è stata un po’ diversa. Ho avuto la fortuna di conoscere due ragazzi che hanno fatto parte del Parlamento e che mi hanno spinta a candidarmi per diventare Grande Elettrice, ovvero la carica che si ottiene quando la scuola ti elegge per il Parlamento. Una volta ottenuta questa carica, ho avuto la mia prima riunione con tutti i Grandi Elettori di Firenze: in quella occasione sono state fatte le votazioni per diventare Parlamentari e, visto che si era creato un’atmosfera molto positiva, ho pensato che sarebbe potuta essere una bella esperienza. E non mi sbagliavo: appena diventati parlamentari, ci è stato detto che la settimana successiva saremmo partiti per un seminario di tre giorni con tutti i parlamentari della Toscana! In quei giorni ho avuto la possibilità di conoscere ragazzi con cui è stato inevitabile instaurare un dialogo costruttivo su tematiche che interessavano tutti; alla fine di questi giorni, ci sono state le elezioni interne al Parlamento: dovevano essere eletti il Presidente, due Vicepresidenti, due Segretari e un Presidente per ogni provincia della Toscana. In quell’occasione non ho voluto mettermi in gioco, ma è stata una fortuna per me: infatti, un mese dopo, ho deciso di candidarmi alla Presidenza di una delle quattro commissioni del Parlamento degli Studenti e ho vinto la carica per la Prima Commissione, che si occupa di social e comunicazione. Ha il compito di diffondere la conoscenza del Parlamento e di organizzare eventi, assemblea al fine di creare un confronto con gli studenti che rappresentiamo. È stato così che il mio viaggio è iniziato!». «Quest’anno avete entrambe vinto la candidatura per la presidenza: come vi siete sentite nel momento dell’elezione?»

M: «Da quando, lo scorso anno, ho visto Mauro, il Presidente che mi ha preceduta, mettersi in gioco e vincere le sue elezioni, ho capito che quest’anno avrei dovuto provarci anche io e che col passare del tempo, il PRST (Parlamento Regionale degli Studenti della Toscana, N.d.R.) non era più una semplice attività scolastica, ma un interesse volontario e continuo, uno spazio nel quale mi sentivo nel posto giusto. Nonostante fossi consapevole del lavoro che avevo svolto durante lo scorso anno, l’ansia era molta, perché andava di pari passo con la voglia di lavorare. Quando ho superato i ventotto voti che rappresentavano la maggioranza assoluta, non riuscivo a dimostrare la

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Maria Vittoria D’Annunzio Giulia Bologense

mia felicità a pieno e tuttora non so spiegare quell’insieme di emozioni miste, l’enorme gioia e il non capacitarsi del fatto che quello che desideravo si fosse realizzato nel miglior modo possibile!».

G: « Anche io ho provato tante emozioni diverse nel momento della mia elezione. Da una parte, il sollievo che provi quando scarichi la tensione che ti sei portata dietro nelle ore precedenti; dall’altra, la bellissima soddisfazione di vedere il riconoscimento del proprio duro lavoro e tanti ragazzi che si rispecchiano in te e nelle tue idee. Subito dopo, non nego anche un po’ di timore, perché si tratta comunque di un ruolo che porta con sé una certa responsabilità e aspettativa. Ma, in fondo, forse il bello è proprio questo».

«Giulia, come pensi che questi due organi possano aiutare il nostro istituto?»

«So che talvolta può non apparire come il modo più semplice e immediato per risolvere i problemi che ci stanno a cuore come studenti, ma è l’unico che può portare veri risultati a lungo termine. Dopo quasi due anni, in cui ho avuto la possibilità di conoscere realtà bellissime e ragazzi brillanti, stimolanti e propositivi, ma anche consiglieri, assessori, professori o esponenti dell’Ufficio Scolastico Regionale e del Consiglio Regionale della Toscana, posso dire che esiste uno spazio all’interno delle istituzioni per i giovani che intendono sfruttarlo, ma questo richiede duro lavoro anche da parte nostra. La scuola ha bisogno di ragazzi che avanzino proposte consapevoli, ma che siano anche disposti a portarle avanti con impegno. Agli altri ragazzi dico di informarsi, essere curiosi e non avere paura di cimentarsi in qualcosa che a volte può sembrare più grande di loro!».

«Maria Vittoria, quali sono i progetti e le iniziative che porterai avanti come Presidente?» «C’è molto lavoro da fare, specialmente in quanto è il primo anno dopo tre in cui abbiamo la possibilità di riunirci in tanti. I progetti interni alle province e alle Commissioni sono molteplici, ma quello più ambizioso è sicuramente la creazione di un evento volto ad acquisire consapevolezza sulle mafie, in occasione del trentesimo anniversario della Strage dei Georgofili. Ben presto verranno definiti i dettagli, perciò prestate attenzione a ciò che verrà pubblicato sul sito e sulle pagine social del PRST. Naturalmente, potete consultarli in caso di qualsiasi dubbio o curiosità. Siamo sempre disponibili ed aperti ad accogliere qualsiasi istanza dai ragazzi, perché il nostro scopo è portare la loro voce dove possa essere ascoltata e messa in pratica».

«Ancora una volta grazie, ragazze. Vi auguro un buon proseguimento e buon lavoro!».

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