Rassegna Stampa Dolomiti UNESCO | Luglio 2022

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RASSEGNA STAMPA LUGLIO 2022

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PRINCIPALI ARGOMENTI DALLA RASSEGNA STAMPA DI LUGLIO: 3 LUGLIO 2022 MARMOLADA ............................................................................................................................. 3 INCONTRI D’ALT(R)A QUOTA: IL PRIMO APPUNTAMENTO AL RIFUGIO FALIER ............................................. 19 CRISI IDRICA .................................................................................................................................................... 21 NOTIZIE DAI RIFUGI.......................................................................................................................................... 27 PELMO D’ORO 2022.......................................................................................................................................... 33 DOLOMITES WORLD HERITAGE GEOTRAIL ..................................................................................................... 33 PASSI DOLOMITICI ........................................................................................................................................... 35 GESTIONE DEI FLUSSI TURISTICI .................................................................................................................... 38 NOTIZIE DA ALTRI PATRIMONI MONDIALI........................................................................................................ 39 OLIMPIADI: AGGIORNAMENTI .......................................................................................................................... 40 COLLEGAMENTO TIRES – MALGA FROMMER ................................................................................................. 42 SASSOLUNGO: LE RICHIESTE DI MAGGIOR TUTELA ...................................................................................... 43 NOTIZIE DAL CORPO NAZIONALE DEL SOCCORSO ALPINO ........................................................................... 44 NOTIZIE DAI COLLEGI DELLE GUIDE ALPINE E ACCOMPAGNATORI DI MEDIA MONTAGNA ........................... 46 NOTIZIE DAI PARCHI ........................................................................................................................................ 47 CORSO DI GEOGRAFIA SULLE VETTE FELTRINE ............................................................................................ 48 NOTIZIE DAI MUSEI DELLE DOLOMITI .............................................................................................................. 49 BANDO MINISTERO DEL TURISMO PER COMUNI IN TERRITORIO UNESCO ..................................................... 49 EDITORIALI E INTERVISTE ............................................................................................................................... 51

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3 LUGLIO 2022 MARMOLADA Corriere della Sera | 4 luglio 2022 p. 28, segue dalla prima Una ferita che ci riguarda di Gian Antonio Stella Maledetta domenica, che aveva attirato lassù in cima tantissimi turisti. Maledetto sole, che batteva sulle rocce sempre più incandescenti via via che erano sbucate dal ghiaccio perenne. E maledetto il senso di sicurezza che respiravano tutti: cosa poteva succedere, in una giornata così bella sotto il cielo della Marmolada? Certo, è stata una scudisciata del destino. Attribuire la tragedia alla sola fatalità, però, sarebbe un errore. Sono decenni che i ghiacciai, non solo italiani, si stanno sciogliendo e il nostro Andrea Pasqualetto aveva aperto giorni fa il suo reportage sul maestoso massiccio con queste parole: «Grigio, spellato e inaridito, il ghiacciaio della Marmolada è solo un lontano parente del gigante di un tempo. Spuntano rocce, crescono muschi e il colore non è quello della neve. Visto dall’alto sembra una desolata distesa a macchie con un solo fascino indiscutibile: lo spettacolo delle cime dolomitiche che lo circondano...» Così grande da poter contenere un secolo fa «La Città di ghiaccio» scavata dagli austriaci, una fortezza realizzata per chilometri e chilometri di cunicoli, scesa nel 1959 a tre chilometri e mezzo quadrati, ridotta nel 2015, secondo il Nuovo catasto dei Ghiacciai Italiani (curato da Claudio Smiraglia e Guglielmina Diolaiuti) a meno della metà, 1,44, la calotta ghiacciata della Marmolada, accecante di luce, cantata ad esempio da Curzio Malaparte ai tempi in cui era un soldatino («O Marmolada bianca di nevai / ben ricordate lampeggiar gli acciai…»), ha perso via via la sua innata forza. Certo, è successo a tutti i ghiacciai del mondo. E toglie il fiato, per citarne uno, vedere come il ghiacciaio del Perito Moreno, fra l’Argentina e Cile, venga quotidianamente sbranato nelle estati sudamericane dalle acque in cui si scogliono immensi macigni. La «nostra» Marmolada, però, subisce un degrado sempre più doloroso in questi ultimi anni: «Appare ormai spaccato in tre diversi ghiacciai. Che si vanno frammentando», spiegava quattro anni fa il glaciologo Christian Casarotto, «Col risultato che via via che emergono le rocce queste si scaldano al sole e scaldandosi sciolgono ancora di più il ghiaccio intorno». Carlo Callegari, in pensione dopo decenni al Servizio forestale regionale, le conosce bene, quelle nevi che furono perenni: «Sono stato lassù centinaia, forse migliaia di volte. Portavo anche i ragazzi a insegnar loro lo sci estremo. Ci muovevamo la mattina presto. Alle sette, perché man mano che passavano gli anni la temperatura era sempre più alta rispetto al passato. Per capirci: vent’anni fa, all’ora in cui è successa la catastrofe di ieri, col pieno sole, lassù si stava sottozero. I ragazzi, all’una e mezzo del pomeriggio, avevano la giacca a vento. Ieri c’erano almeno dieci gradi. Caldo impensabile, ‘na volta». «Su al Fedaia, alle otto di sera, c’erano ancora venti gradi», sospira Andrea De Bernardin, il sindaco di Rocca Pietore che spartisce col collega di Canazei la sovranità sulla Marmolada, «Nel primo pomeriggio, sotto il sole, era caldissimo...». «L’idea che mi sono fatto io», continua Carlo Callegari, «è che lì tra Punta Rocca e Punta Penia, si fosse formata sotto una grande pozza d’acqua. E quel miscuglio di ghiaccio e roccia è scivolato giù». Si poteva prevedere? Forse non il giorno prima o la settimana prima. Ma certo il sempre più rapido degrado del ghiacciaio e la tragedia di ieri, che potrebbe perfino aggravarsi con la conta dei dispersi ieri impossibile (troppo pericoloso) mette i brividi al pensiero di quanti, negli ultimi anni, hanno tentato di sfruttare ancor di più quei ghiacci perenni. E magari ridevano degli ambientalisti che bollavano come una follia, ad esempio, la proposta di costruire un enorme pilone per consentire agli sciatori del mitico circuito «Sellaronda» di allargare il percorso alla stessa Marmolada. Indimenticabile la sentenza di uno dei sindaci più favorevoli: «ll futuro del turismo invernale sono i collegamenti. La Marmolada è grande, può sopportare senza problemi un raddoppio degli sciatori».

L’Adige | 4 luglio 2022 p. 10 «Il caldo aumenta i rischi» LUISA MARIA PATRUNO «È da almeno 20 giorni che lo zero termico è a 4.000 - 4.500 metri, questo vuol dire che in Marmolada è caldissimo, molto sopra lo zero. E queste temperature fanno collassare tutto, anche se è difficilissimo sapere quando e dove. La situazione però era ed è critica». Gianluca Tognoni, nivo-glaciologo di Meteotrentino, ha appena appreso della strage sulla Marmolada e aiuta a comprendere quali sono le condizioni che possono aver portato a questo enorme distacco di ghiaccio, il seracco, e anche di roccia, che ha investito varie cordate di alpinisti che ieri, poco dopo le 13.30 del pomeriggio - ovvero nelle ore più calde della giornata stavano percorrendo la via

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normale che porta alla vetta della Marmolada da Pian dei Fiacconi a Punta Penia. Il distacco dalla calotta sommitale del ghiacciaio è avvenuto sotto Punta Rocca e ha investito gli alpinisti davanti agli occhi attoniti di decine di altri escursionisti, che si sono visti l'ondata di ghiaccio e rocce passare davanti, così come molti altri fermi al rifugio Ghiacciaio, hanno assistito in diretta al crollo che ha quasi lambito i tavolini del locale.Dottor Tognoni, si può dire che con queste temperature, 10 gradi a tremila metri, si sarebbe dovuto evitare di andare in Marmolada? Il rischio era troppo alto o è stata una fatalità?Sicuramente aumentano tantissimo i rischi, però il problema è che non si può calcolare o prevedere quando e dove ci sarà il collasso. Per cui la gente continua ad andare sul ghiacciaio perché sembra tutto tranquillo, ma il problema è che il ghiaccio è molto indebolito dalle alte temperature.Ma Meteotrentino fa un bollettino della neve o dei report sul pericolo valanghe in questa stagione?No, il bollettino valanghe si fa solo d'inverno. I seracchi sono un'altra cosa, ovvero pezzi di ghiaccio che si staccano. Le valanghe invece sono di neve, che ora possiamo dire che è quasi sparita del tutto. Il problema delle alte temperature è che il ghiaccio viene intaccato. Quindi non c'entra con le valanghe? No, ma va detto che le temperature stanno alla base di tutto, del distacco dei seracchi. Normalmente i seracchi si distaccano, ma sono piccoli, questo da quanto ho saputo era molto grosso.Una guida alpina che accompagna i turisti è in grado di valutare questo genere di rischi? Le previsioni sono difficilissime da fare. La Protezione civile valuta delle situazioni macroscopiche di pericolo, se un seracco può minacciare un centro abitato o una strada di passaggio. Ad esempio, in Val d'Aosta ci sono dei seracchi che rischiano di cadere sulle strade e sono costantemente monitorati.Ma questo seracco ha investito la via normale che porta in cima alla Marmolada e che è dunque molto frequentata dagli alpinisti. Non si poteva monitorare?Ma la via normale è l'equivalente di un sentiero, anche se non c'è un tracciato vero e proprio perché è una via di ghiaccio. Certamente in una domenica d'estate è molto frequentata anche da 50 o 100 persone. È come se fosse caduto su un sentiero molto battuto. Ma, ripeto, prevedere che potesse cadere e quando è difficilissimo da fare.Comunque con queste temperature era una situazione critica.Sicuramente. Con le alte temperature tutte le zone glaciali diventano più a rischio rispetto a quello che sono normalmente.Quali consigli si possono dare a chi non vuole rinunciare ad avventurarsi sui ghiacciai in queste giornate così calde?Ci vuole molta più attenzione e magari evitare le ore di maggiore riscaldamento. Di solito quando si fanno questi percorsi si cerca di partire alle primissime ore del mattino, o ancora nella notte, ed essere di ritorno prima che diventi caldo. Questo distacco in Marmolada infatti è avvenuto tra l'una e le due del pomeriggio, ovvero nel momento più caldo della giornata. E il problema è che se il seracco è molto grande, fa tanta strada.Lei sa se nei giorni scorsi c'erano stati altri distacchi di seracchi in Marmolada?Che sappia io no. L’Adige | 4 luglio 2022 p. 10 Cnr Il glaciologo Renato Colucci dà la colpa al caldo estremo e invita a «mantenere massima attenzione questa estate» Anche per il glaciologo Renato Colucci (Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche, Cnr-Isp) la colpa del collasso dell'enorme seracco sotto Punta Rocca è dovuto alle alte temperature.«Per quanto riguarda la dinamica della tragedia occorsa sulla Marmolada, - spiega Colucci - possiamo ricordare che da settimane le temperature in quota sulle Alpi sono state molto al di sopra dei valori normali, mentre l'inverno scorso c'è stata poca neve, che ormai quasi non protegge più i bacini glaciali. Il caldo estremo di questi ultimi giorni, con questa ondata di calore dall'Africa, ha verosimilmente prodotto una grossa quantità di acqua liquida da fusione glaciale alla base di quel pezzo di ghiacciaio che in realtà è una "pancia": infatti è, o era, una via che si chiama proprio Pancia dei Finanzieri». «Siamo quindi proprio nelle condizioni peggiori - sostiene il glaciologo - per distacchi di questo tipo, quando c'è tanto caldo e tanta acqua che scorre alla base. Non siamo ancora in grado di capire se si tratti di un distacco di fondo del ghiacciaio o superficiale, ma la portata sembra molto importante, a giudicare dalle prime immagini e informazioni ricevute. L'atmosfera e il clima, soprattutto al di sopra dei 3.500 metri di quota, è in totale disequilibrio a causa del "nuovo" clima che registriamo e quindi, purtroppo, questi eventi sono probabilmente destinati a ripetersi nei prossimi anni e anche per questa estate dobbiamo mantenere la massima attenzione».Colucci è l'autore dello studio del 2019 che ha previsto la scomparsa del ghiacciaio della Marmolada entro 30 anni. Dal 2004 al 2015 il ghiacciaio ha subito una riduzione di volume del 30% e di area del 22%: nell'arco dei prossimi decenni potrebbe addirittura scomparire del tutto. A delineare questo scenario, attraverso due modelli 3D, ricercatori del Cnr-Ismar e delle Università di Trieste, Genova e Aberystwith (Galles) e di ARPA Veneto. Lo studio è stato pubblicato su Remote Sensing of the Environment.Il ghiacciaio, un tempo massa glaciale unica, è ora frammentato e suddiviso in varie unità, dove in diversi punti affiorano masse rocciose sottostanti. I terreni carsici, come la Marmolada, sono irregolari e costituiti da dossi e rilievi. Se il ghiaccio fonde gradualmente, le aree in rilievo affiorano, diventando fonti di calore interne al ghiacciaio stesso. «Questo aspetto, unito al cambio di albedo (la neve e il ghiaccio sono bianchi e riflettono molta radiazione solare, mentre la roccia, più scura, ne riflette di meno) - aggiunge Colucci, - sta ulteriormente minando la 'salute' della Marmolada accelerandone la già forte e rapida fusione». L’Adige | 4 luglio 2022 p. 11

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Lo scalatore: bisogna saper riconoscere i pericoli in aumento franco gottardi «Il riscaldamento globale prodotto nelle città ha reso la montagna più insicura. Se una volta cadevano due seracchi in una stagione oggi ne cadono venti». Reinhold Messner è rimasto molto colpito dalle immagini che ha visto scorrere sul suo telefonino ieri pomeriggio. Lo raggiungiamo al telefono quando ancora non è chiaro il numero delle vittime, ma si sa che si tratta di una tragedia come da tanto tempo non si vedeva sull'arco alpino.Messner, ha visto quel che è successo?Ho visto che la frana è molto più grande di quel che pensavo. Sono scesi anche molta terra e sassi. Veramente una cosa molto vasta e una tragedia gravissima.Lei conosce il posto?Sì, sono sceso molte volte da cima Rocca dopo aver fatto la parete sud. C'è una traccia, non un vero sentiero. Ed è stata tagliata da quella frana molto vasta. Un alpinista che sta dentro in quella striscia non può fuggire. Non c'è stato niente da fare per loro.Secondo lei c'è stata qualche imprudenza o è fatalità?Se un alpinista scende dopo essere partito dalla parete sud è una discesa molto semplice. Per i camminatori della domenica invece, che non hanno l'esperienza di dove potrebbe partire un seracco e cosa potrebbe portare con se, è un altro discorso. Da quel che ho visto ho la sensazione che ci sia stata anche dell'acqua che ha fatto staccare questo seracco.Certo un evento di queste dimensioni e con così tante vittime è qualcosa di eccezionale, raramente visto prima dalle nostre parti.Ma i seracchi cadono sempre più spesso perché i ghiacciai sono meno grossi e perdono di stabilità. Dipende dal caldo globale che è responsabilità umana ma non è che viene prodotto in Marmolada. Il riscaldamento viene prodotto nelle città ma in montagna porta pericoli maggiori. Una volta il ghiaccio era più stabile e il seracco cadeva due volte all'anno, adesso cade venti volte all'anno.Dunque fare queste escursioni non è più così semplice?L'alpinista della domenica deve legarsi a un esperto, una guida. Bisogna capire e studiare la montagna sapendo che c'è la gravità e che le cose possono caderti addosso. L'arte di sopravvivere in montagna sta nell'esperienza e nello studio, è l'esperienza che ti fa sopravvivere. Perché oggi la maggior parte di chi arrampica va nella palestra, dove non cadono sassi, non c'è il gelo, non c'è la roccia. Il 90 per cento va lì ed è cosa saggia perché non ci sono pericoli, ma è tutta un'altra cosa rispetto all'alpinismo e anche rispetto a un'escursione a punta Rocca. Lì ci sono i pericoli e bisogna saperli riconoscere. L’Adige | 4 luglio 2022 p. 11 Il professor Frezzotti (Roma Tre): «Con le temperature elevate i seracchi diventano pericolosi» A poco più di un mese dal crollo di alcuni seracchi avvenuto sul versante svizzero del massiccio del Grand Combin, un fenomeno analogo è quello avvenuto sulla Marmolada: episodi che sono un campanello d'allarme sullo stato di salute dei ghiacciai alpini. «I cambiamenti climatici hanno reso più instabile l'alta montagna e i ghiacciai non sono più in equilibrio», spiega il glaciologo Massimo Frezzotti (nella foto), dell'Università Roma Tre. «I seracchi sono il risultato di un processo naturale, ma quando la temperatura diventa troppo elevata il rischio di crolli può aumentare», osserva. Per esempio, il 2 luglio sulla Marmolada era stato raggiunto il record della temperatura più alta, con circa 10 gradi in vetta, e in genere la temperatura media è intorno a 7 gradi. A fornire un indizio importante è inoltre l'isoterma zero, ossia l'altitudine minima nella quale la temperatura raggiunge zero gradi: «L'isoterma zero sulla Marmolada si trova circa mille metri più in alto rispetto alla vetta più elevata», che è a 3.300 metri. Vale a dire che il punto di congelamento è molto più in alto del ghiacciaio. Di conseguenza «la fusione dei ghiacci è significativa, come sta avvenendo su tutte le Alpi», rileva l'esperto. «È chiaro che i crolli avvengono quando i processi di fusione sono più alti e, se pensiamo ai ghiacciai come a fiumi congelati che scendono verso valle, in queste condizioni fare delle escursioni in ambienti simili non è prudente». Il crollo di un seracco, prosegue Frezzotti, «è un pericolo oggettivo che in montagna può sempre accadere, ma ci sono momenti in cui il pericolo aumenta e, con esso, la probabilità di un crollo. Considerando poi le condizioni anomale di questo periodo, con temperature altissime già all'inizio di luglio, la situazione è ancora peggiore». In condizioni simili, conclude il glaciologo, «il consiglio è rinunciare a escursioni rischiose: in alta montagna bisogna andare sempre quando ci sono le condizioni migliori». Corriere delle Alpi | 4 luglio 2022 p. 7 «L'effetto del climate change Questi distacchi si ripeteranno» l'intervista «La montagna è sempre rischiosa in queste condizioni, si creano delle instabilità molto forti provocate dalla fusione dei ghiacciai. Distacchi come questi sono destinati a succedere di nuovo, purtroppo dobbiamo farci l'abitudine».È scosso, Carlo Barbante. E non può essere altrimenti. È da tempo che il direttore dell'Istituto di Scienze polari del Cnr e docente all'università Ca'Foscari di Venezia, feltrino doc, lancia l'allarme sui cambiamenti climatici e sui rischi a cui sono sottoposti i ghiacciai. Insieme a lui tutta la comunità scientifica, che non nasconde le criticità della crisi climatica in corso. E soprattutto i suoi rischi, come testimoniano tristemente le

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immagini della disgrazia capitata al ghiacciaio della Marmolada. Nel 2019 l'università Ca' Foscari di Venezia aveva piantato la sua bandierina al Polo Sud, con un gruppo di ricerca coordinato dallo stesso Carlo Barbante. L'obiettivo? Estrarre ghiaccio a 2.730 metri di profondità, per ricostruire il clima globale degli ultimi 1, 5 milioni di anni, ricavandone informazioni utili soprattutto ad arrivare a previsioni precise e complete per il futuro, conoscendo il passato. Non solo ricerca scientifica, quanto la presa d'atto di un principio ormai indissolubile: i nostri ghiacciai sono i testimoni del cambiamento globale e tutte le aree montane sono in prima linea. Professor Barbante, che idea si è fatto di questa tragedia? «Dopo un periodo così lungo di caldo continuo, sono cose che possono succedere. Non ci dimentichiamo che solo pochi giorni fa, stando alle registrazioni, sulla Marmolada si sono toccati i dieci gradi. Lo zero termico era fissato a 4800 metri. Questo ci dà la misura delle condizioni climatiche in cui versano le nostre montagne. La fusione di un ghiacciaio avviene con una fusione superficiale. Nelle zone dei seracchi, poi, l'erosione si addentra fino alla roccia. Ed è così che si distacca un blocco completo, come capitato sulla Marmolada». Insomma, c'era da aspettarselo? «In certe condizioni, fenomeni di questo tipo possono essere frequenti. Sì, sono uno degli eventi estremi provocati dal cambiamento climatico. E sono proprio i ghiacciai a subire di più queste condizioni. Infatti reagiscono in maniera molto rapida, essendo fatti di acqua solida ovviamente hanno una fusione molto rapida e questo comporta, oltre alla perdita di acqua, anche uno sconvolgimento molto spesso legato agli assetti idrogeologici dei nostri territori. Il ghiacciaio della Marmolada ha perso l'80% della massa nel giro di ottant'anni. I ghiacciai di alta quota, a 4 mila metri, andranno a sparire entro la fine del secolo. La Marmolada a questi ritmi molto prima». Era rischioso, in queste condizioni, affrontare una montagna come la Marmolada? «La Marmolada è una delle vette più ambite, la montagna è sempre rischiosa in queste condizioni. Si creano delle instabilità molto forti legate alla fusione del ghiacciaio, non è solo una questione di acqua che corre già per la montagna ma anche di stacchi improvvisi che si riversano a valle». Ma il pezzo di ghiacciaio distaccatosi ieri era sotto l'attenzione degli esperti? «Non so dire di preciso se quel pezzo fosse sotto monitoraggio, però generalmente il ghiacciaio non è monitorato per quanto riguarda il rischio e il controllo dei distacchi. Quel pezzo poi è caduto da una quota piuttosto elevata, colpendo gli alpinisti in fase di salita». Lei ritiene che distacchi come questi potrebbero ricapitare? «Potrebbero ricapitare. Anche le fasi di soccorso di queste ore sono particolarmente critiche, per via della quantità di massi instabili. L'anno scorso qualcosa di simile era capitato sul Monte Bianco. Queste condizioni sono le peggiori per i ghiacciai, sottoposti a grandissimo stress, si formano dei tunnel sotto il ghiaccio, con una crosta sottile che porta poi al distacco». Senza contare gli effetti che questo comporta: sono simili a quelli di una valanga? «È un insieme di ghiaccio, roccia e acqua che va a una velocità straordinaria, correndo a valle su una superficie che non ha attrito. Doppiamente devastante». --eugenio pendolini© RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 4 luglio 2022 p. 7 Lo scrittore: «Il clima è stravolto Bisogna smettere di negarlo» Lo aveva detto, ma non sono certo i panni di veggente che Matteo Righetto vuole indossare. Tutt'altro: «Il primo pensiero va alle vittime, il punto di partenza è questo: oggi c'è il dolore verso chi si trovava in tranquillità a percorrere un sentiero in Marmolada ed è stato travolto dal ghiaccio», esordisce lo scrittore veneto, testimonial proprio della nostra campagna di sensibilizzazione che vedeva al centro la Marmolada come simbolo della lotta ai cambiamenti climatici in Veneto. «Sono disastri annunciati» dice Righetto «da tempo nel mio piccolo, ma anche chi ne sa più di me sostiene che siano tali: sono in Dolomiti, in questo periodo e siamo in temperature davvero da record. Se in montagna poi valanghe e distacchi sono normali, altrettanto vero è che da anni a questa parte assistiamo a una frequenza maggiore di questi tragici eventi». Ci sarà un motivo, dice Righetto. «Sono ancora più frequenti questi incidenti a causa del riscaldamento globale: è una questione della quale bisogna far necessariamente una ragione. Le montagne sono sempre crollate, le Dolomiti soprattutto che sono fragili da sé: qui però abbiamo a che fare con una frequenza di eventi e di una pericolosità maggiore. Voglio sperare che davvero questo terribile incidente possa essere utile almeno per riconoscere questo problema: molti negano il riscaldamento globale. E per fare cose più incisive perché questa deriva sia invertita». Riscaldamento & turismo: un cocktail esplosivo? «L'assalto di massa alla montagna incide: ero in zona Fanes in questi giorni e c'erano turisti americani che facevano il bagno nel lago. Oggi la montagna è vissuta come parco giochi: un approccio poco educato ma non mi sento di stigmatizzare chi oggi faceva una via normale verso pian dei Fiacconi». Ora il punto è come invertire questa rotta nefasta. «Un modo riguarda il nostro modo di vivere e consumare il territorio, il nostro modo di stare su questo pianeta. Dobbiamo rivedere i nostri stili di vita, il nostro consumismo, i nostri sprechi. Secondo: le grandi politiche globali. Terzo: nell'immediato, va data maggiore attenzione ai comportamenti, evitare atteggiamenti scriteriati. E un pensiero: attenzione perché se la montagna è pericolosa, lo è ancora di più in virtù di questi cambiamenti climatici. Quando vedo fare sport nei boschi, nelle arene dei galli forcelli per esempio: non siamo i padroni, dobbiamo avere un rispetto ecologico. Resta il grande dolore per questa tragedia che per certi versi non mi stupisce: la montagna si è sempre mossa e ultimamente si muove ancora di più». «Più volte» è la conclusione dell'autore della Stanza delle Mele, ambientato nel Fodom, «ho parlato della Marmolada come di un ghiacciaio ormai defunto: soggetto a frane, crolli: questa tragedia sia monito, l'ennesimo e spero il più importante perché ci si renda conto sta cambiando il mondo attorno a noi». --Cristina Contento© RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 4 luglio 2022

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p. 9 Abbiamo svegliato l'orso in letargo c'è un solo colpevole: noi Sapiens Nemmeno nelle più cupe previsioni si poteva immaginare che il cuore stesso delle Dolomiti, le montagne più addomesticate del mondo, potesse accelerare il suo battito in modo così drammatico e portare morte, distruzione e paura per il futuro. Ma la spaventosa valanga di neve, ghiaccio e roccia che si è staccata ieri alla Marmolada non è stata certo un fulmine a ciel sereno, talmente tante e tali sono state la frane e le slavine registrate negli ultimi anni, soprattutto i crolli in roccia, palmare testimonianza dell'arretramento esponenziale delle coltri glaciali in tutte le Alpi. Nelle Dolomiti bellunesi due grosse frane di roccia causarono morti nel 2009 (Borca di Cadore), e nel 2015 (San Vito di Cadore). Per non dire delle frane nel gruppo del Brenta, a Cortina e un po' dovunque fino a ottobre dell'anno passato, eventi che non si riesce più nemmeno a registrare con completezza. Stiamo passando dal regno dei silenzi immacolati o verdeggianti al frastuono funesto delle frane, soprattutto causate dalla fusione dei ghiacci, che non sostentano più le pareti delle montagne e ne facilitano i crolli. I versanti più esposti sono, non a caso, quelli rivolti verso sud, più sensibili alle variazioni di temperatura. Su quelle rocce, già spaccate e fessurate e sottoposte all'erosione incessante degli agenti atmosferici non più protette dai ghiacci, il passaggio da condizioni sotto lo zero a condizioni sopra lo zero termico risulta determinante per micidiali distacchi. Se queste sono le cause contingenti, varrà la pena di ricordare che è sempre il cambiamento climatico che ci sta mostrando le sue diverse facce: da un lato la siccità oltre ogni memoria che si registra nella Valle del Po, le ondate di calore nelle aree urbane, la mancanza di piogge, dall'altro la fusione accelerata di nevi e ghiacci che ha portato già all'estinzione del ghiacciaio più meridionale d'Europa (il Calderone, al Gran Sasso d'Italia) e porterà, nei prossimi vent'anni, alla fine anche di quelli alpini, eccettuati i più grandi e i più alti in quota (Adamello, Stelvio) che, comunque, arretrano di una ventina di metri all'anno. I ghiacciai sono il termometro più sicuro del riscaldamento atmosferico e chiunque può constatarlo, anche senza consultare i dati e gli articoli scientifici che anticipavano lo scenario che oggi drammaticamente si sta realizzando. Con buona pace di chi parla di scienziati catastrofisti e allarmi senza fondamento: tutto ciò che gli specialisti del clima avevano previsto si sta puntualmente realizzando, e i confronti con il passato diventano sempre più improbabili. Il fatto è che il clima assomiglia a un orso in letargo infastidito dagli esperimenti dei sapiens: sulle prime risponderà alle sollecitazioni infastidito, ma ancora pesantemente addormentato, e si girerà magari sull'altro lato continuando a dormire. Ma non possiamo sapere quando si sveglierà di soprassalto per reagire all'ennesima azione con una reazione apparentemente sorprendente, ma ampiamente prevedibile, visto che, comunque, prima o poi, dal letargo si esce. E ormai sfugge solo a pochissimi che il cambiamento climatico non solo è accelerato, ma non ha nemmeno alcun paragone col passato ed è, inoltre, globale, nonostante ci sia ancora qualche giapponese asserragliato nella giungla delle propria ignoranza, malafede o interesse che ci ricorda, come in un disco rotto, che un tempo la Groenlandia era verde, dimenticando che nell'XI secolo le vallate "verdi" erano due o tre e oggi sono più di quaranta, dimenticando le ragioni di propaganda di Erik il Rosso e i miliardi di dati atmosferici e oceanici su tutto il pianeta, non solo nell'emisfero boreale. E nonostante ci sia qualcuno che tira in ballo ancora la radiazione solare come principale responsabile (anche quando la radiazione, indagata attraverso le macchie solari dalla NASA è più debole), gli dei avversi o il destino cinico e baro, tutto fuorché riconoscere che c'è un solo colpevole il cui nome è Homo sapiens.Certo il clima cambia per via del Sole, dei cicli astronomici (quelli responsabili delle glaciazioni quaternarie), delle correnti oceaniche e della posizione dei continenti. Ma è chiaro che queste cause "permanenti" agiscono sui tempi delle migliaia o delle decine di migliaia di anni, mentre c'è solo un parametro che ha tempi brevissimi ed è quello del carbonio in atmosfera. Ed è l'unico parametro su cui possono agire anche i sapiens attraverso le loro attività produttive, e poco conta che i quantitativi umani siano molto minori rispetto a quelli naturali, perché si tratta di un sistema all'equilibrio: basta un grammo in più per spostarlo. Tutti gli specialisti del mondo sul clima hanno su questo la stessa opinione, fatta salva qualche eccezione su fattori poco rilevanti rispetto allo schema generale. L'umanità ha messo in piedi un gigantesco esperimento sul clima senza pensare che non abbiamo un pianeta B e che chi ci ha prestato il mondo sono i nostri figli, non una specie aliena indistruttibile.E non è un problema di tecnologia: di quella ne abbiamo fin troppa e, anzi, l'affidarcisi troppo rende meno preparati al momento in cui, comunque, toccherà affrontare la natura, questo mostro che tentiamo di tenere fuori dalla nostre mura domestiche. Non saremmo mai immuni rispetto al clima. E hai voglia a tenerci lontani dai luoghi insicuri, magari pulire i greti dei fiumi e studiare inseminazioni artificiali delle nubi per far piovere, qui il problema è che riduciamo queste operazioni a un fatto puramente tecnico, mentre meriterebbero ben altra cura, comprensione e ragionamenti. Ci vorrebbe rispetto per la Terra e per i suoi viventi e minore prostrazione rispetto al demone del profitto, perché il giorno della fine del benessere, il portafoglio pieno non servirà a granché. E consapevolezza che essere invulnerabili non è prerogativa dei viventi su questo pianeta, sapiens compresi. --© RIPRODUZIONE RISERVATA L’Adige | 5 luglio 2022 p. 8 Mercalli: «Imprevedibile. Anch'io ci sarei andato» LUISA MARIA PATRUNO «Io studio i ghiacciai da trentacinque anni e se domenica mi avessero proposto di andare in Marmolada ci sarei andato con gli alpinisti che erano lì all'una del pomeriggio. Non c'erano sintomi, né si poteva prevedere quello che è successo». Luca Mercalli, meteorologo, climatologo e divulgatore scientifico, molto noto al grande pubblico, è quasi infastidito da chi, con il senno di poi, dice che la strage

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della Marmolada si sarebbe potuta evitare.Nel giorno del disastro Reinhold Messner ha detto subito che quello che è successo è colpa del cambiamento climatico. È così?Sì, anche se più che dire che è colpa del cambiamento climatico, perché è troppo semplificatorio, direi che la ragione scatenante del collasso di quel pezzo di ghiacciaio è stato il caldo, perché si è prodotta molta acqua di fusione che è entrata in un crepaccio e ha scollato il ghiacciaio dalla roccia, facendolo saltare via. Quindi possiamo dire che sicuramente il riscaldamento globale che è in atto da decenni non fa altro che peggiorare le condizioni dei ghiacciai e rendere più probabili anche questi fenomeni. Ma non è una novità. Fenomeni come questi ce ne sono stati tanti altri. Questo ci ha colpito perché purtroppo ha fatto vittime in un luogo di turismo conosciuto. Se fosse accaduto di notte, non sarebbe successo niente.Ma il distacco forse è avvenuto proprio a quell'ora perché quel giorno era molto caldo. Non è così?No, no, non vuol dire niente, perché l'acqua che si accumula all'interno è la somma di decine di giorni, poteva andare giù anche di notte. Era da oltre una settimana che avevamo temperature sopra lo zero a 3.000 metri, non è legato direttamente alla temperatura e all'orario di quella giornata lì.Si poteva prevedere che accadesse un distacco del genere?In quel posto lì no. Io ho lavorato per tanti anni su ghiacciai che hanno prodotto fenomeni di questo genere e qua posso dire che non avrei visto alcun indizio particolare rispetto ad altri ghiacciai che sono già sorvegliati.Ma come si può dire che sia stata una sorpresa se si sapeva che c'era il problema della fusione dell'acqua del ghiacciaio dovuta all'alta temperatura?Non è che sia stata una sorpresa, si può dire che è come avere un infarto in una persona in buona salute, che non ha fatto esami particolari. Dopo è facile dire che c'era la roccia fatta in un certo modo e l'acqua sotto. Ma questo avviene in tutti i ghiacciai. Intendo dire che non è come per il Monte Bianco dove ci sono due o tre ghiacciai estremamente pericolosi, che sono tenuti sotto controllo e la gente non ci può andare. La Marmolada è un ghiacciaio normale, come altri, anche se certamente in sofferenza come tutti per il caldo, ma non c'erano particolari sospetti. Tutti i ghiacciai sono potenzialmente a rischio. Allora si dovrebbe chiudere il transito alle persone su tutti i ghiacciai di tutte le Alpi. Si possono prevedere questi fenomeni?Se uno volesse prevederli dovrebbe fare delle analisi costosissime e a tappeto su tutti i ghiacciai, sarebbe inutile. Sarebbe come fare la Tac a tutte le persone anche quelle che stanno bene. È impossibile. La Tac si fa se ci sono dei sospetti di una patologia. Esiste l'ecografia dei ghiacciai con i radar, ma dovrebbe essere fatta in tempo reale. Poi il rischio c'è sempre.Secondo lei dunque sui ghiacciai si può continuare ad andarci nonostante gli effetti dell'aumento delle temperature?Ma certo, si va consapevoli che c'è un rischio un po' più elevato per via del caldo, ma finisce lì. Non è che possiamo vietare alla gente di andare sui ghiacciai. Possiamo solo eventualmente fare un po' di informazione in più per dire agli alpinisti che si deve essere ancora più cauti, anche se per chi si è trovato lì non c'era niente da fare. Se mi fossi trovato lì sarei morto anch'io che conosco i ghiacciai da una vita. Ma se mi avessero detto: domani andiamo in Marmolada io ci sarei andato perché, ripeto, non c'erano sospetti, rispetto ad altri ghiacciai. Se mi avessero detto, invece, vai sulle Grandes Jorasses avrei risposto no, perché lì c'è un seracco sospeso pericoloso che conosciamo fa anni. Quanto accaduto in Marmolada fa parte del rischio della montagna. Va messo in conto senza sensi premonitori.Ma era così caldo.Sì, ma il caldo non basta. Il caldo è stato la causa, ma dipende anche da altri fattori. Altrimenti, perché gli altri ghiacciai non sono venuti giù? Il caldo c'era per tutti i ghiacciai.Chi dice che questi episodi aumenteranno ha ragione? E cosa si può fare?Certamente i ghiacciai sono in forte situazione di cambiamento. Già sul Monviso è successo trent'anni fa, ma è capitato di notte e non è successo niente. Il cambiamento climatico ha il suo ruolo, ma non consente di prevedere il singolo fenomeno.

L’Adige | 5 luglio 2022 p. 8 Il glaciologo Casarotto: «Ma questo crollo è stato eccezionale per le dimensioni e senza alcuna avvisaglia» «È stato un evento eccezionale e difficile da prevedere». Christian Casarotto, glaciologo del Muse (Museo di scienze naturali) di Trento non ha dubbi sul fatto che questo crollo del gigantesco seracco in Marmolada non si potesse evitare, ma nello stesso tempo avverte che «si deve avere consapevolezza che il mondo sta cambiando a livello globale, per via del riscaldamento del pianeta, e questo sui ghiacciai è uno degli effetti».Dottor Casarotto, perché c'è stato il distacco di questo seracco?Questi eventi sono crolli di porzioni di ghiacciaio che avvengono naturalmente. È chiaro che quando vi sono volumi in gioco di questo tipo, tra ghiaccio e roccia, il termine eccezionale calza a pennello, perché non sono una costante e sono difficili da prevedere. Era impensabile mettere insieme una macchina organizzativa e strumentale per monitorare un versante di cui non avevi evidenza di movimento.Non c'erano avvisaglie?No, assolutamente. Certo, se avessimo fatto indagini con strumentazioni particolari l'avremmo scoperto, ma lo dico con il senno di poi. Non era prevedibile ed è eccezionale per le dimensioni, soprattutto se messo in relazione alla piccola dimensione del ghiacciaio.Perché è venuto giù proprio ieri?Si è creato un effetto domino. Gli ingredienti sono: la superficie del ghiaccio fratturata e lì c'erano fratture, i crepacci. Quando il ghiaccio cerca di superare un aumento di pendenza si spacca, come una lastra di vetro. Poi, deve esserci acqua circolante sulla superficie, che scorrendo si infiltra nelle fratture. L'acqua circolante era dovuta alle alte temperature, con lo zero termico altissimo. La temperatura a 2.600 metri era a 15 gradi. Il distacco è avvenuto poco sopra ai 3.000-3.100 quindi circa 10 gradi. L'acqua agendo come un lubrificante in profondità, con la pendenza che c'era, ha fatto partire il blocco.Il ghiacciaio come si è ridotto negli anni?Dalla fine del 1800 la Marmolada ha perso il 70% della superficie che c'era e si è frammentata in piccoli pezzi. Non c'è più un ghiacciaio unico della Marmolada. Dove si è staccato il seracco è uno di quei pezzi. Molti alpinisti che domenica erano sulla Marmolada

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hanno raccontato di aver visto l'acqua correre in superficie e il ghiaccio che si squagliava. Era un segnale d'allarme?Attenti, non è che se vedi acqua che corre in superficie vai a dire: orca, viene giù la Marmolada, meglio tornare a casa. Non funziona così. Ogni alpinista ha la consapevolezza sull'orario più adatto, ma per una dinamica glaciale era difficile prevedere l'evento. E se solo un mese fa avessi detto a qualsiasi ente: mettiamo su la strumentazione per monitorare la Marmolada perché forse il 3 luglio viene giù, cosa mi avrebbero risposto? Non diamo la colpa a nessuno, per piacere.La colpa forse va cercata nel fatto che stiamo sottovalutando le conseguenze del riscaldamento globale che le attività dell'uomo stanno alimentando. A livello mondiale dobbiamo raggiungere la consapevolezza che i ghiacciai stanno cercando un equilibrio con un ambiente che abbiamo e stiamo modificando noi. L'evento è stato eccezionale, considerati i volumi in gioco rispetto alle dimensioni del ghiacciaio, potrà risuccedere ma chissà tra quanto.Molto glaciologi dicono che i crolli si ripeteranno più frequenti.Certo, i crolli di ghiaccio si verificano in continuazione, ma con dimensioni diverse. Noi comunque da decenni stiamo predicando che la montagna sta cambiando.Cosa si può fare?Deve maturare una consapevolezza che noi stiamo alterando un sistema in base al quale tutti gli altri: piante, animali e ghiacciai ricercano un riequilibrio. Le alte temperature hanno portato questo. Noi stiamo intervenendo in maniera importante nella modifica di tutti i modelli ambientali. Quindi non diamo la colpa all'alpinista che era lì alle due del pomeriggio. Quando morità la Marmolada?Rimarranno delle placche di ghiaccio sparse qua e là, ma quando un ghiacciaio inizia a frammentarsi è come se avesse già firmato la sua fine. L.P.

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Corriere delle Alpi | 5 luglio 2022 p. 10 E’ scesa una valanga di ghiaccio e di acqua: “Imprevedibile” L'esperto Marcella Corrà Dal 1981 a tre anni fa, quando è andato in pensione, Anselmo Cagnati è stato responsabile del servizio valanghe del Centro Antivalanghe di Arabba. Ma si è occupato anche di glaciologia e di cambiamenti climatici nelle aree alpine. Al suo attivo diverse spedizioni in Antartide per studiare la neve e il ghiaccio in uno dei luoghi della terra dove ci sono le masse più profonde. È la persona giusta a cui chiedere cosa può essere accaduto in Marmolada. «Non sono andato sul posto e quindi ho visto solo immagini e video, ma direi che siamo di fronte a una valanga di ghiaccio e acqua, non al crollo di un seracco, che è una formazione diversa che si frantuma a causa dello spostamento del ghiacciaio». La differenza non è di poco conto, perché, spiega Cagnati, un seracco si vede e si può evitare ma quello che è accaduto domenica poco prima delle 14 era quasi impossibile da prevedere. Perché? «Prima che succedesse l'evento a cui abbiamo assistito, quello era un terreno uniforme. La nicchia di distacco mi ricorda da vicino una valanga da slittamento, quelle che avvengono a causa della presenza di tanta acqua che è penetrata nell'interfacce tra ghiaccio e roccia».Si parla di una bolla d'acqua che è scoppiata. «Forse anche più bolle d'acqua che non si sono però formate in questi ultimi giorni ma negli ultimi mesi o anni. Questa è una tipica conseguenza dei cambiamenti climatici, non è legata solo ad un evento meteo vicino nel tempo, le recenti temperature elevate che sono servite solo come detonatore».Sì, ma negli ultimi giorni le temperature in Marmolada sono arrivate a 10 gradi sopra lo zero. «È accaduto altre volte nel passato, penso al 2003 quando ci sono stati alcuni giorni con temperature sopra i 10 gradi. La particolarità di questo periodo è che non si tratta di pochi giorni, ma di oltre venti giorni, in cui la

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temperatura sulla Marmolada è stata elevata. Questo significa che dentro il ghiacciaio la temperatura era sotto zero, ma in superficie no e il ghiaccio si è sciolto, l'acqua è percolata fino a formare una bolla che non riusciva a uscire». E così improvvisamente l'equilibrio precario si è rotto e una enorme massa di ghiaccio e acqua (si stima 300mila metri cubi) è precipitata a valle per centinaia di metri «come una diga che si rompe», spiega Cagnati.Tutto questo era prevedibile, si poteva evitare? Cagnati pensa di no: «Sento parlare di ordinanze che i sindaci avrebbero dovuto emettere per evitare l'accesso al ghiacciaio. Se decidiamo di percorrere questa strada, allora occorre mettere il divieto di accesso ai ghiacciai su tutte le Alpi, perché la situazione è la stessa dappertutto. Poi le ordinanze sono a tempo. E chi si prende la responsabilità di dire che quel versante ad un certo punto diventa sicuro?». La valanga di ghiaccio è scesa per settecento metri, fino a 2500 metri. Vuol dire che ha coperto anche il sentiero per Pian Fiacconi, quindi lontano dal ghiacciaio, investendo non solo alpinisti, ma semplici escursionisti. Si può ancora considerare un ghiacciaio quello della Marmolada? «Ha una particolarità, la Marmolada. È un ghiacciaio piccolo, quasi non esiste più, che risponde rapidamente ai cambiamenti climatici. Quello che avviene qui ora, a breve avverrà anche da altre parti sulle Alpi dove ci sono ghiacciai più grandi. È una montagna molto frequentata, perché è bella, di comodo accesso, è famosa. Da Pian Fiacconi ad arrivare in vetta ci si impiega, per bravi escursionisti, circa due ore. Quindi chi parte un po' più tardi non deve essere considerati quasi come un delinquente».Le ricerche dei dispersi o di quello che ne resta sono state bloccate a causa del pericolo di nuove cadute. «Certo, quella parte alta 30 metri che si vede nelle immagini è instabile, è diventata (adesso sì) un seracco, che si può staccare e precipitare, a causa dei movimenti dello stesso ghiacciaio che non si fermano mai. Può staccarsi di notte come di giorno, non è legato alle temperature ma ai movimenti».I cambiamenti climatici non spiegano solo quello che è accaduto in Marmolada, ma anche gli eccessi a cui assistiamo con frequenza, da Vaia alle grandi nevicate dell'inverno 2013-2014, per non parlare della siccità, degli improvvisi e distruttivi temporali. «Fa impressione l'accelerazione di questi fenomeni, che vanno oltre le previsioni più pessimistiche». E indietro non si torna. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gazzettino | 5 luglio 2022 p. 9, edizione Belluno In Ampezzo stanno sparendo Resistono Sorapis e Cristallo I ghiacciai stanno rapidamente scomparendo anche sulle montagne della chiostra che circonda la conca di Cortina. Il sito del Parco naturale regionale delle Dolomiti d'Ampezzo riporta: «Gli unici due ghiacciai ove sia riconoscibile una massa glaciale, non mascherata da detrito, sono l'Occidentale del Sorapis, il più bello e suggestivo dei ghiacciai ampezzani, e quello del Cristallo, che soltanto nella parte sommitale, verso il Passo del Cristallo, sbocca in territorio ampezzano, mentre il resto si sviluppa in territorio auronzano». NELLA CONCA Sulle Dolomiti d'Ampezzo si conta una decina di ghiacciai o glacio nevati, distribuiti fra Tofana, Cristallo e Sorapis, ma le loro dimensioni sono sempre più ridotte e spesso lo strato di ghiaccio è nascosto dai detriti, dai sassi e dalle ghiaie, che si sono depositati in superficie. Un anno fa fu diffuso un video, lanciato dal Museo delle scienze di Trento, dall'Università di Milano e dal Parco naturale regionale delle Dolomiti d'Ampezzo. Le immagini di Ghiacciai in ritiro. Biodiversità in estinzione, con relazioni di Michele Da Pozzo, (nella foto) direttore del Parco d'Ampezzo, si occupano di una delle particolarità del territorio, diventata rapidamente una forte attrattiva per il turismo di massa, esasperata dall'esposizione mediatica: «Fino a pochi anni fa il Lago del Sorapis era una delle tante mete delle Dolomiti Ampezzane, insieme a molti altri bei laghi di questa zona. Da qualche tempo il turismo è aumentato. I cambiamenti climatici e la sempre maggior frequentazione di certi ambienti dolomitici hanno investito in maniera accelerata questo territorio, ponendoci di fronte a problemi seri di conservazione e dubbi sulla sostenibilità della frequentazione turistica», spiegò Da Pozzo. Il 24 maggio 2021, nella Giornata europea dei parchi, fu anticipato il contenuto del filmato, che documenta il progressivo ritiro del ghiacciaio nell'anfiteatro settentrionale del Sorapis; un fenomeno che prosegue da anni e di conseguenza influenza la vita in quell'area, la biodiversità della fauna e della flora. Il video fu diffuso, nel corso dell'estate, anche dalla Fondazione Dolomiti Unesco. L'OBIETTIVO L'intento era spiegare la situazione, per sensibilizzare sul problema di una natura che cambia rapidamente. Christian Casarotto, glaciologo del Muse, il museo delle scienze di Trento, spiegò: «Dalla metà dell'800 si è assistito a una continua fase di ritiro del ghiacciaio; oggi non lo vediamo quasi più, ma è ancora presente, protetto da uno strato di detrito superficiale che lo rende particolare sotto l'aspetto glaciale ma anche biologico». L'entomologo Mauro Gobbi aggiunse: «Oltre al ritiro dei ghiacciai, uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico è l'incremento del detrito roccioso sulla superficie dei ghiacciai che li sta trasformando da ghiacciai bianchi a neri. Questa copertura, se superiore a 5-10 centimetri, funge da coperta isolante che rallenta il tasso di fusione dei ghiacciai». Un altro fenomeno singolare sulle Dolomiti d'Ampezzo, nel gruppo della Tofana, fu studiato già nel 2003 e nel 2004 dal dipartimento di geologia, paleontologia e geofisica dell'Università di Padova, con Antonio Galgaro, che si avvalse delle ricerche del club speleologico Proteo di Vicenza. Si salì in elicottero a 3.000 metri, per ispezionare l'abisso che si era aperto nel ghiacciaio Occidentale. L'inghiottitoio fu segnalato da Michele Da Pozzo, su indicazione di escursionisti. «A seguito del ritiro del ghiacciaio, fra la Tofana di Mezzo e la Tofana di Dentro, causato dal cambiamento climatico globale terrestre, si è aperta una grande frattura», scriveva nel 2004 lo

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speleologo Luca Dal Molin, uno dei sei speleologi che ispezionarono l'abisso, calandosi fino a una profondità di 160 metri, all'interno della roccia, ma certi che proseguisse ancora.

Gazzettino | 5 luglio 2022 p. 8, segue dalla prima, edizione Treviso-Belluno Montagna da chiudere? «Le restrizioni una risposta sbagliata» Politici e imprenditori contro l’ipotesi di misure drastiche per la sicurezza dei turisti Chiudere o no la montagna dopo la tragedia della Marmolada? In Trentino pensano già a un provvedimento che limiti le escursioni in alta quota e sui ghiacciai a rischio. «È un tema che dobbiamo valutare con i tecnici», dice l’assessore di Trento e presidente della Fondazione Dolomiti Unesco Mario Tonina. Sul fronte veneto, però, si mettono le mani avanti. Dal ministro D’Incà al presidente della Provincia Padrin c’è un sì a valutare ma di restrizioni non si parla affatto «Sono passate 24 ore da quando il più grande ghiacciaio delle Dolomiti è venuto giù, in uno spaventoso fiume di ghiaccio e polvere, a travolgere vite che stiamo ancora contando. E 24 ore sono abbastanza per cominciare a porsi degli interrogativi che non possiamo più rinviare, né coprire con il dolore». Il «ministro bellunese» Federico D’Inca’ la dice così: è tempo di porsi delle domande sul futuro della montagna che la tragedia della Marmolada ha cancellato per sempre nella forma in cui la si conosceva. E la prima domanda, forse la più importante per tentare di scongiurare altre carneficine, è se sia il caso di «chiudere» la montagna, o, meglio, parti di montagna ormai a rischio. Parliamo di ferrate su versanti più franosi, arrampicate in cui la roccia che cambia rischia di diventare nemica e così via. Una domanda, con ogni evidenza, spinosa. Il mondo della montagna, dalla politica ai gestori degli impianti a fune è ancora scosso da quanto accaduto e le reazioni spaziano dai ragionamenti sui cambiamenti climatici globali alle sempre più frequenti segnalazioni che arrivano agli amministratori di situazioni potenzialmente rischiose. Di fondo, però, la prima risposta, a caldo, è no, le restrizioni non servono perché «la montagna è sempre stata pericolosa» e «perché, anche volendo, mica si può monitorare l’intero territorio». Un po’ di fatalismo e un timore crescente che il benevolo «assalto» alla montagna ormai ripreso dopo lo stop pandemico possa rallentare. D’Incà pesta duro dicendo «che il ghiacciaio della Marmolada fosse in condizioni di salute gravissime si sapeva già da anni. Nel 2019, infatti, l’Istituto di Scienze Marine del Consiglio nazionale delle ricerche aveva dato al ghiacciaio non più di 25/30 anni di vita. Un dato drammatico, terrificante e rimasto lettera morta». La domanda -«che fare ora?»- torna ancora per bocca del ministro: «Quello che è successo ieri nella mia terra rischia di essere solo un tragico prologo. Potrebbe infatti accadere ancora e in altri luoghi bellissimi. Se perdiamo anche questa occasione per aprire davvero una riflessione sui cambiamenti climatici e sulle strategie da adottare con urgenza per contrastare questi fenomeni, in futuro eventi del genere diventeranno la normalità». Una profezia fosca ma non per questo meno sentita. Ieri Andrea De Bernardin, sindaco di Rocca Pietore è sbottato: «Non si faccia di me un capro espiatorio. Se decidiamo che le Dolomiti vanno chiuse e non ci può andare nessuno e va evacuato chi ci vive allora è una decisione che va presa a un livello superiore». Poche parole, a botta calda, che tradiscono un sentire comune: si deve iniziare a chiudere aree a rischio? Roberto Padrin, presidente della Provincia e sindaco di Longarone risponde che da Vaia in poi «la montagna ha iniziato a cambiare» e che «Longarone, che l’anno prossimo ricorderà il sessantesimo anniversario del Vajont, la prima tragedia in cui la natura si è ribellata, potrebbe essere il luogo giusto per ospitare un think tank su come reagire». Il tema è ovviamente complesso, spiega Padrin, e allora «prima di prendere decisioni che vanno condivise col territorio, si deve chiedere agli esperti. Certo che si devoo mettere in guardia gli appassionati della montagna su percorsi che possono mettere a rischio la loro vita, senza colpevolizzare nessuno. Non possiamo non guardare con maggior attenzione perché ora le cose sono cambiate, da Vaia in poi è cambiata la fisionomia del territorio e ogni anno ci sono segnali nuovi di cambiamento. Penso alle recenti 5 tempestate mentre in passato erano un evento raro o ai massi che si staccano anche sopra Longarone». E allora come si fa? «Ci vogliono geologi, climatologi, ovviamente l’Arpav e un monitoraggio costante perché i dati sulla Marmolada erano già preoccupanti ma c’è comunque il tema valanghe e frane. La montagna è cambiata e noi ci dobbiamo adattare». Il deputato Pd, Roger De Menech chiosa: «il parametro su cui abbiamo valutato la montagna negli ultimi 150 anni non è più valido. Perché nell’ultimo lustro è cambiato tutto. E a forte velocità». Il neo sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi, però, mette le mani avanti: «A Cortina abbiamo monitoraggi continui e con la protezione civile si fa un ottimo lavoro insieme alla Regione. Il territorio lo presidiamo già ma non si può essere onnipotenti». Marco Zardini è presidente di Cortina Skiworld ma si qualifica, in questo caso, come «montanaro»: «Le disgrazie in montagna accadono. Oggi è facile dire “dovevamo fare qualcosa” ma la montagna ha “il suo vivere”». Chiede, invece, di attivare un bollettino Arpav Neve-Valanghe estivo, Matteo Favero, responsabile Ambiente del Pd «magari con un particolare focus sulle condizioni che hanno creato le condizioni della tragedia sulla Marmolada».

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Corriere dell’Alto Adige | 5 luglio 2022 p. 9 «Divieti per i ghiacciai, ipotesi allo studio. Valutiamo con i tecnici» L’assessore Tonina (presidente Unesco): sediamoci al tavolo con Veneto e Alto Adige Dafne Roat «La priorità sono i soccorsi e ritrovare le persone disperse», premette Mario Tonina. Ma un provvedimento a tutela dei tanti appassionati che limiti le escursioni in alta quota e sui ghiacciai, soprattutto nelle zone ritenute più a rischio, non è così peregrino. «È un tema che dobbiamo affrontare nei prossimi giorni e valutare con i tecnici», spiega l’assessore all’ambiente della Provincia, nonché presidente della Fondazione Dolomiti Unesco. «Siamo al 4 luglio con temperature molto elevate, se qualcosa non cambia eventi tragici e terribili come questi sono destinati a ripetersi», continua. E snocciola alcuni dati: «Lo stato dei ghiacciai trentini come altri territori è notevolmente cambiata e oggi l’estensione complessiva, dato del 2015, si aggira attorno ai 32 chilometri quadrati che corrisponde al 28-30 % dei 123 chilometri quadrati di ghiacciaio del periodo massima espansione. Il problema — riflette — è che questo dato si riferisce al 1800, ciò significa che il processo di erosione dei ghiacciai si è velocizzato notevolmente e tutto questo è causato dai cambiamenti climatici che hanno subito una forte accelerazione soprattutto negli ultimi anni. Sono numeri che devono farci riflettere e invitarci a cambiare». Secondo Tonina è ora di prendere consapevolezza di un fenomeno che sembra inarrestabile e punzecchia il vicino Veneto. «Bisogna smettere di litigare sui confini , sediamoci a un tavolo con Veneto e Alto Adige e condividiamo idee e progetti per salvare i ghiacciai. Sono sempre più instabili e chi non lo ha percepito o non vuole riconoscere la gravità sbaglia, da parte del Trentino c’è consapevolezza e come assessore all’ambiente insieme ad Appa — continua — abbiamo adottato un piano di sviluppo sostenibile con il programma “Trentino Clima 2021–2023” che porterà a una strategia provinciale di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, c’è un progetto, un’idea, non possiamo far finta di nulla». Ma Tonina non guarda solo al Veneto. «Anche la Lombardia deve cambiare», afferma ricordando l’appello del premier Mario Draghi sul Pnrr. «Queste risorse devono essere investite per gestire diversamente il bene acqua, bisogna fare scelte, realizzare bacini di accumulo e investire sull’irrigazione a goccia», continua il presidente di Unesco che ricorda l’adesione da parte di Piazza Dante alla Carta di Missione Ue «Orizzonte Europa» che si pone l’obiettivo di legare la ricerca e l’innovazione a nuove forme di governance e collaborazione tra territori, coinvolgendo anche i cittadini. Ma c’è ancora tanto da fare. «Il Trentino è pronto», dice. Ma quali sono i ghiacciai più a rischio per i quali si potrebbe pensare ad azioni per limitare la frequentazione da parte degli alpinisti? Difficile tracciare una mappa. «Ci sono aree più soggette a crolli, non si può fare una classifica — sintetizza Gianluca Tognoni, nivologo e glaciologo di Meteotrentino — non è possibile stabilire quando ci sarà un crollo, sono eventi imprevedibili. Sono zone aperte e libere, se si deve pensare a limitazioni per chi frequenta i ghiacciai bisognerebbe pensare a un divieto dal primo maggio al primo novembre, ma se è fattibile e se ha senso non so». Meteotrentino effettua periodicamente dei monitoraggi e controlli sullo stato di salute della coltre ghiacciata. «Studiamo bilanci di massa, si studiano alcuni ghiacciai a campione — chiarisce il glaciologo — perché il ghiacciaio è prima di tutto una risorsa idrica, vengono effettuati degli studi e se si scoprono situazioni particolari si possono segnalare. Un paio di anni fa sul ghiacciaio Mandrone si era verificata una voragine, si potrebbe forse monitorare di più ma questa situazione è uguale per tutti. Negli ultimi 20-30 anni alcuni ghiacciai si sono ridotti dell’80% e altri del 30%». Sono più di cento i ghiacciai in Trentino, alcuni sono solo piccoli fazzoletti, «quindi per dimensione e sviluppo non destano problemi», spiega Tognoni. «Sono una risorsa idrica ma non sono soggetti a crolli». Mentre i grandi ghiacciai sono una ventina circa. Tognoni ne ricorda alcuni: uno dei più grandi è quello della Marmolada, poi sul Gruppo Cevedale ci sono diversi ghiacciai, il ghiacciaio del Mandrone (è il più grande d’Italia ma si trova quasi tutto sul territorio lombardo) sull’Adamello c’è il ghiacciaio della Lobbia, poi il Fradusta sulle Pale di S. Martino, diventato piccolo, il Caré Alto, Cavento, Crozon di Laser. «Sono ghiacciai di una certa importanza — ragiona Tognoni — sono soggetti a crolli, ce ne sono stati negli anni scorsi ma mai così importanti».

L’Adige | 6 luglio 2022 p. 5 “La Marmolada avrà un futuro” «Ma certo che la Marmolada avrà un futuro». In questi giorni cercano in tanti Aurelio Soraruf, titolare del rifugio Castiglioni e proprietario della Capanna Punta Penia. Lo cercano un po' per sapere cosa sta accadendo, un po' per sapere cosa accadrà. Perché da più parti viene spontaneo chiedersi quale futuro avrà la Marmolada sia dal punto di vista del ghiacciaio, sia dal punto di vista della fruizione di alpinisti ed escursionisti. Lui non ha sfere di cristallo, ma una cosa la sa: questa non è la fine della Regina delle Dolomiti.«Qui a valle, a Fedaia, tutti i rifugi sono aperti, siamo a 4 chilometri da dove si è staccato il seracco. Ma in quota stiamo chiudendo il rifugio di Punta

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Penia, perché è interdetto l'accesso alla montagna - spiega - Adesso C'è su un collaboratore, che si sta occupando di sistemare tutte le ultime cose, prima di scendere. Poi andremo su a prenderlo con l'elicottero». Forse già oggi Punta Penia sarà chiuso. Ma non c'è poi tanta fretta: «Non c'è rischio, ora, lassù, perché è tutto tranquillo, il rifugio è più in alto e abbastanza distante da luogo dove si è staccato il ghiaccio» E dove - questo il problema di queste ore - minaccia di staccarsene un altro pezzo.Ma se in questi giorni si procede di emergenza in emergenza, quel che si non è chiaro è se ci sarà da interrogarsi, sul tipo di fruizione della montagna si potrà avere in futuro, se quel che è accaduto domenica cambierà per sempre la storia non solo della Marmolada, ma in generale delle vette alpine. «La domanda sorge spontanea certo, è chiaro -ammette Soraruf - ci sono dei percorsi, dei tratti, dove verrà da domandarsi se il ghiaccio che sta sopra è stabile, o in che condizioni sia il ghiacciaio, se sia da monitorare o meno. Quel che è certo è che in futuro ci sarà sicuramente la via ferrata, lungo la cresta, che dal punto di vista dei possibili crolli di ghiaccio non dà alcun problema. Ora però è presto per pensare, aspettiamo che la situazione si stabilizzi».È presto per qualsiasi riflessione, soprattutto per quelle massimaliste di queste ore, in cui c'è chi ipotizza l'eventualità di chiudere l'accesso alle montagne, in determinate condizioni. «Io penso che il pericolo sia insito nella montagna, anche salire dove non c'è ghiaccio può essere pericoloso, se casca un sasso sulla testa - conclude Soraruf - penso che la montagna sarà sempre collegata alla voglia di libertà e alla voglia di avventura, e se non rimane quella cosa rimane? In ogni caso, le persone che domenica stavano scendendo dalla punta non erano degli sprovveduti, erano guide alpine sapevano quel che facevano, erano ben attrezzati».

Corriere delle Alpi | 6 luglio 2022 p. 13 Mattarella: «Simbolo delle catastrofi causate dal cambiamento del clima» Roma «La tragedia della Marmolada è un simbolo delle tante tragedie che il cambiamento climatico non governato sta comportando in tante parti del mondo. Sul clima serve la piena collaborazione di tutti, senza la quale questo fenomeno non può essere governato».Lo ha detto ieri mattina il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel palazzo presidenziale di Maputo, al termine dell'incontro avuto con il presidente del Mozambico. A 13 mila chilometri di distanza, ma con la mente necessariamente in Marmolada, dove alle 14 di domenica si è consumata la tragedia più grande che le Alpi abbiano mai conosciuto. Una tragedia che può essere ritenuta conseguenza diretta dei cambiamenti climatici, che stanno stravolgendo il nostro ambiente.«Ci sono fenomeni globali, che nessun Paese può affrontare da solo. Il cambiamento climatico è un problema comune. Per questo, non ci può essere speranza, senza la collaborazione di tutti» ha aggiunto il Capo dello Stato, rivolgendosi agli altri Paesi. Perché la tragedia di domenica non è una tragedia italiana, ma è una tragedia collettiva. «Simbolo - appunto - delle tragedie causate dal cambiamento climatico» come ha sottolineato ripetutamente il presidente italiano.Eppure la collaborazione comune, per cercare di vincere quella che probabilmente è la vera sfida del secolo, è spesso una chimera. Un qualcosa di impalpabile che vede il colpevole disinteresse di molti: singoli e istituzioni.Ricordando gli impegni internazionali presi nei fori multilaterali, dei quali l'ultimo si è tenuto a Glasgow, Mattarella ha sottolineato infatti che «questi impegni non sempre vengono attuati e rispettati. Vi sono Paesi che non si impegnano su questo fronte, che riguarda l'avvenire di tutti nel mondo».C'è una coscienza collettiva, che è somma del sentire dei singoli. Ma deve esserci necessariamente un'assunzione di responsabilità a livello istituzionale. E, in questo, tutti i Paesi devono fare la loro parte.«Occorre quindi richiamare tutti a rispettare quegli impegni assunti nelle diverse convenzioni internazionali e a definire e assumere impegni ulteriori» ha aggiunto Mattarella, rivolgendosi di fatto ai presidenti degli altri Stati.«Quello che l'esperienza dimostra giorno per giorno, in tante parti del mondo, è che, senza affrontare sistematicamente, seriamente e a fondo i problemi che pone il cambiamento climatico, contrastandolo, sarà difficile garantire alle future generazioni una vita accettabile sulla terra. Su questi fronti e su queste sfide senza la collaborazione di tutti, non ci può essere speranza». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere del Trentino | 6 luglio 2022 p. 2 Divieti sui ghiacciai, Bolzano dice no Il Trentino avvia lo studio su altri siti L’ordinanza del sindaco di Canazei, Giovanni Bernard, resterà in vigore fino a domenica. Il ghiacciaio della Regina delle Dolomiti rimane off limits e lo sarà per tutta l’estate, come conferma il capo della protezione civile Raffaele De Col. «Stiamo verificando se è possibile lasciare libero l’accesso solo in alcuni punti sicuri», spiega il dirigente. E per gli altri ghiacciai? «Stiamo valutando con i

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tecnici», continua De Col. Parole che fanno eco alle dichiarazioni del presidente Maurizio Fugatti di ieri a Canazei: «Faremo delle valutazioni sulla base delle analisi tecniche e geologiche». Ma l’assessore all’ambiente Mario Tonina (presidente della Fondazione Dolomiti Unesco), che subito dopo il crollo della torre di ghiaccio e la strage di alpinisti aveva sollevato il tema, insiste: «Non chiudere sarebbe da irresponsabili», afferma. E ragiona sulla necessità «di adottare politiche corrette, perché con i cambiamenti climatici i rischi sono sempre più elevati». Una posizione netta. Il vice presidente della Provincia di Trento prende le distanze dalle dichiarazioni del governatore altoatesino Arno Kompatscher che si dice contrario ai divieti. «La montagna resta aperta, è di tutti e lo sarà anche in futuro», ha detto il presidente, appellandosi alla responsabilità personale di chi affronta l’attività in montagna. «Siamo tutti tenuti a riconoscere e valutare il crescente pericolo», continua. Ed è proprio dalla sicurezza che parte il ragionamento di Tonina: «Se tra venti giorni o un mese ci si dimentica di quello che è successo sarebbe davvero grave», chiosa. L’analisi di Meteotrentino sull’ultimo mese fotografa con chiarezza il delicato momento che stiamo vivendo. «Il mese di giugno — fanno sapere gli esperti — è risultato con temperature molto superiori alla media e le precipitazioni sono state molto disomogenee, generalmente vicine alla media in montagna e nelle valli laterali, inferiori alla media nelle valli più ampie». Dati noti al presidente dell’Alto Adige che sottolinea come «con i cambiamenti climatici, causati negli ultimi cento anni dall’uomo, servirà ancora più prudenza». Ma Kompatscher non cambia idea e sostiene che sia sbagliato «caricare tutta la responsabilità sulla politica. Anche in passato ci sono stati eventi come la caduta di sassi e dove il rischio era evidente, sono stati cambiati i tracciati dei sentieri, ma va ripetuto che un evento come quello della Marmolada era assolutamente imprevedibile». Il caldo eccezionale e i cambiamenti climatici non giustificano per Kompatscher la chiusura: «Non è vero che con una settimana di caldo eccezionale — ribatte — le montagne vanno chiuse, serve sempre una responsabilità individuale e chi va in alta montagna affronta un rischio diverso di chi passeggia in città. Con il cambiamento climatico aumenterà ulteriormente il rischio, ma questo non significa che non possiamo più andare in montagna prendendo comunque sempre sul serio segnali di rischio». La tragedia della Marmolada ha riacceso i riflettori su temi complessi, sul mondo di affrontare e vivere la montagna, oggi ancora più che nel passato, alla luce anche del massiccio afflusso di turisti dopo la pandemia, e sul deterioramento ambientale che porta con sé un aumento esponenziale dei rischi per chi vive l’alta quota. Il collasso del serracco terminale del ghiacciaio della Marmolada, che ha causato la valanga di proporzioni spaventose, secondo gli esperti era imprevedibile, ma «se ci fosse stato un adeguato sistema di allerta mia sorella e mio cognato non sarebbero di certo saliti lassù», ha affermato Deborah Campagnano, sorella di Erika, dispersa sulla Marmolada insieme al marito, Davide Miotti. Un grido di dolore che difficilmente potrà restare inascoltato. Il Trentino non vuole che una strage come questa possa ripetersi, per questo sta valutando tutti gli altri siti. Il governatore veneto Luca Zaia tende la mano al Trentino: «Dovremmo modificare i nostri comportamenti ma è ovvio che non li possiamo modificare in base ai confini regionali. Qui parliamo di sicurezza dei cittadini — afferma — . Se questo si traduce in un vertice, in un tavolo all’italiana, va bene, purché si traduca in risultati uniformi e operativi. Tutto ciò premesso, ricordiamoci che l’escursione in montagna a rischio zero non esiste. Al rapporto con la natura ho dedicato un capitolo del mio libro nel quale rifletto sul rapporto uomo- natura. L’idea di essere invincibili e infallibili viene smentita in maniera plastica da quel ghiacciaio crollato». Via libera quindi a una revisione delle regole? «Dico questo: quando c’è rischio valanghe non si va a sciare, con la bandiera rossa in mare non si nuota. Esiste un punto, e sia chiaro che non mi riferisco alla tragedia della Marmolada, in cui finisce la responsabilità collettiva delle indicazioni e inizia quella personale che deve basarsi sul buon senso. Esiste una sacralità della montagna, me ne parlavano lunedì i famigliari. Hanno detto: “Questi sono i ragazzi migliori, si arrampicano per una foto accanto alla croce in cima al ghiacciaio, la montagna la rispettano”».

Corriere del Trentino | 6 luglio 2022 p. 2 «L’accesso deve essere libero, le vette significano libertà. Giusto fare più informazione» Il massiccio della Marmolada è stato chiuso. La tragedia ha ripuntato i fari sui problemi legati al cambiamento climatico, fin qui limitati (si fa per dire) alla crisi idrica in corso e alla questione delle energie fossili esacerbata dalla guerra in corso. Un altro aspetto meno dibattuto a livello nazionale è quello dell’accesso alla montagna, con i «rifugisti» che sostengono il via libera per tutti alle bellezze delle Dolomiti e i contrari, che vedono nell’eccessivo numero di turisti cose come danni all’ambiente e pericolosa inesperienza. Sulla questione è intervenuto anche l’alpinista Roberto Manni, da anni gestore del rifugio Graffer nella zona di Madonna di Campiglio. Si sente di condividere qualche parola sull’accaduto, signor Manni? «C’è poco da commentare, purtroppo erano tanti alpinisti che andavano in montagna per passione e non mi sento di colpevolizzare nessuno. La colpa non è di nessuno. È come un camion che ti viene addosso: una fatalità. Sono molto dispiaciuto, sono vicino alle famiglie e esprimo sostegno a tutti coloro che sono al lavoro in uno scenario tragico. conosco la metà di loro».

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Colpisce che la montagna si sia portata via degli alpinisti esperti, ben consapevoli dei rischi. D’altro canto abbiamo episodi come quello del lago di Braies che mostrano come ci sia mancanza di conoscenza tra i principianti. Dovremmo limitare gli accessi ai monti? «Assolutamente no. L’accesso deve essere libero a tutti, in montagna si va per passione, non per esibizionismo. La montagna vuol dire libertà di esprimersi, di godersela, di amarla e frequentarla con emozione. Le persone che salgono in cima sono alpinisti tecnicamente preparati. Andare sulla Marmolada non è fare una gitarella sul lago di Braies. Certamente serve che gli alpinisti abbiano un bagaglio tecnico e di preparazione adeguato. Ma, ripeto, non era questo il caso. ci sono gli incidenti imprevedibili, che possono costare cari». Quindi poche limitazioni o nessuna… «Chiudere l’accesso alla montagna sarebbe come chiudere l’autostrada per via degli incidenti che si creano. E poi quale sarebbe il passo successivo? Ci rintaniamo tutti in casa e ci facciamo portare tutto a domicilio dalle piattaforme, ma anche lì, non saremmo al sicuro al cento percento. Potrebbe arrivare un terremoto». Informare meglio chi vuole salire potrebbe aiutare? «Probabilmente si dovrebbe fare maggiore informazione, ma se torniamo sull’incidente della Marmolada, rimane il fatto che fosse qualcosa che è successo all’improvviso. Come si fa a fare informazione su eventi come questo. Non era successo niente il giorno prima e neanche prima ancora. Per il futuro ci si augura che si possa verificare in maniera più precisa le condizioni della montagna, nello stesso modo in cui adesso si guarda il meteo molte volte, mentre prima non si faceva. Ma non credo che possa accadere: una roba così immensa non la puoi valutare. Puoi valutare un piccolo distaccamento e tenerti lontano non una cosa così: è come uno tsunami che all’improvviso porta via vite umane». È a conoscenza di altri punti critici sulle montagne trentine? «Qualche seracco (blocco di ghiaccio che si stacca a seguito dell’apertura dei crepacci ndr) c’è sulle Dolomiti. Ora gli alpinisti staranno più attenti».

Corriere del Trentino | 6 luglio 2022 p. 3 Rifugisti e guide alpine contro le limitazioni «La montagna è imprevedibile» Gli scatti di Plangger: Palla Bianca come a metà agosto BOLZANO La montagna è imprevedibile, come imprevedibile è quel che è successo sul ghiacciaio della Marmolada. Ma non si può impedire alle persone di andare in montagna. È un anime il parere di rifugisti e guide alpine dell’Alto Adige. «È naturale, per l’uomo, andare verso l’alto» afferma Kurt Ortler, che alle spalle ha oltre un migliaio di risalite sul ghiacciaio dell’Ortles. «Sarebbe come chiudere le spiagge dopo che si è verificato uno tsunami», aggiunge Paul Grüner, gestore del rifugio Bella Vista, appena una mezz’ora di cammino dal ghiacciaio della val Senales. Col senno del poi, le foto pubblicate su Facebook da Stefan Plangger, gestore del rifugio Pio XI, in val Venosta, al confine con l’Austria, appaiono come un sinistro presagio. Appena sei giorni prima del disastro sulla Marmolada, Plangger ha immortalato il torrente impetuoso nato dallo scioglimento del ghiacciaio della Palla Bianca. «Tante cose sono cambiate, di nuovo, sulla Vedretta di Vallelunga — si legge, nella didascalia —. E i torrenti che nascono dal ghiacciaio sono pieni d’acqua di fusione, come normalmente accade a metà agosto». Che i ghiacciai, più di tutti, subiscano le conseguenze dei cambiamenti climatici, è un dato visibile a occhio nudo. Anche senza andare indietro nel tempo di secoli. «Quest’anno — conferma Grüner —, è sparita una lingua di quello della val Senales. Cinquanta, sessanta metri di superficie ghiacciata in meno. Non sono un glaciologo, ma tutti gli esperti dicono che, entro il 2050, tutti i piccoli ghiacciai delle Alpi spariranno». Il che, in certi casi, li rende anche più sicuri. «Se il ghiaccio è meno spesso — spiega ancora il rifugista —, il rischio di crolli, come quello che abbiamo visto sulla Marmolada, si riduce. Quel che è successo è stato un caso, forse unico. Un’eccezione, ma in natura le eccezioni ci sono sempre». Il suo, è un secco no alle chiusure dei sentieri, anche quelli ad alta quota. «Allora — afferma — si dovrebbero chiudere anche tutte le strade dove cadono i massi. Sarebbe come chiudere le spiagge perché c’è stato uno tsunami». Sulla stessa linea Ortler. «Non si può vietare alla gente di andare in montagna — sostiene —, a meno di situazioni di momentaneo pericolo come sta succedendo in questi giorni sulla Marmolada (dove sono entrate in vigore due distinte ordinanze che hanno interdetto l’area a tutti gli escursionisti, ndr ). Per l’uomo, è naturale voler andare verso l’alto». Difficile analizzare la situazione. «Ci sono tutta una serie di elementi da considerare — ragiona —. Il punto è che ci sono sempre più persone che vanno in montagna, e quando succede un incidente, come questo, è chiaro che il numero delle vittime aumenta. Purtroppo, una serie di sfortunate coincidenze. Io stesso, in trent’anni di alpinismo, ho visto quanto i ghiacciai siano cambiati nel tempo. Sono stato due volte su quello della Marmolada, ma mai avrei pensato potesse succedere una cosa del genere». Quello dell’Ortles, lui, lo conosce come le sue tasche. Ci è salito oltre un migliaio di volte, «lo faccio tutti i giorni. C’è un punto, in particolare, dovesi creano voragini e dove il ghiaccio si può rompere.

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Bisogna capire da che parte aggirarlo. Un anno è pericoloso, un anno no. E non dipende solo dalle temperature, ma anche da quanta acqua vi scorre sotto. Lo stesso vale per il crollo di un seracco: può succedere anche se fa tanto freddo». E insieme all’Ortles, le Alpi retiche meridionali sono fra gli «osservati speciali» anche in Lombardia. «La situazione delle montagne lombarde non è certo ottimale — commenta infatti il presidente del Cai Lombardia, Emilio Aldeghi, a margine della presentazione del progetto «#FG4M: Famiglie e Giovani in Montagna - Estate 2022 in rifugio» —. Da diversi anni stiamo assistendo a una diminuzione della massa del ghiacciaio, indice a livello mondiale, non solo lombardo, di aree di inquinamento di anidride carbonica in atmosfera che stanno creando diversi problemi». Dall’Austria interviene Thomas Wanner, del Club alpino austriaco (Oeav). «In alcune zone delle Alpi — annuncia — le escursioni in alta montagna, in futuro, potranno essere fatte solo in primavera, quando il manto nevoso è più compatto e le temperature più basse». Cosa che, in parte, avviene già. «Da alcuni anni — afferma infatti — le guide alpine locali non offrono più la scalata estiva del Pan di zucchero, vetta di 3.507 metri sul confine tra il Tirolo austriaco e l’Alto Adige. E sul Grossglockner, che con i suoi 3.798 metri è la cima più alta dell’Austria, la via normale è stata spostata». Il vero problema, spiega Marco Gabl, esperto dell’Oeav, «è la ritirata del permafrost, il “collante” delle Alpi, che fa aumentare il rischio caduta sassi. Motivo per cui viene regolarmente viene interdetto l’accesso al monte Cervino». © RIPRODUZIONE RISERVATA

L’Adige | 7 luglio 2022 p. 4 «Tavolo sicurezza per le cime» Il rischio zero in montagna non esiste, ammesso che esista da qualche parte. Solo che quando un condominio di ghiacciaio si stacca, nel sito più famoso delle Dolomiti e travolge delle persone, ci si interroga se va fatto qualche cosa. Perché non c'è solo la Marmolada. Solo in Trentino sono decine i ghiacciai. Ma il dibattito si polarizza subito. In queste ore c'è da una parte il vicepresidente della Provincia Mario Tonina, che nelle ore in cui si chiudeva l'accesso alla Marmolada, chiede una riflessione. E nel frattempo il presidente Maurizio Fugatti con il collega veneto Luca Zaia pensa ad un sistema a bandiere rosse sui ghiacciai sotto stress, per avvertire gli escursionisti, come si avvisano i turisti in spiaggia col mare mosso. Dall'altra c'è - tutto tranne che isolata - la presidente della Sat Anna Facchini. Che invita a scardinare il ragionamento: «In montagna non si parla di sicurezza, si parla di responsabilità e prudenza». Un margine di incertezza insomma, ci sarà sempre. E o spiega bene il presidente della commissione glaciologica della Sat Cristian Ferrari: «Abbiamo decine di ghiacciai in Trentino. Monitorarli tutti? Sarebbe come monitorare ogni chilometro di strada». Insomma, il punto d'equilibrio, se c'è, non è facile da trovare.Tonina, in questo momento, è anche presidente della fondazione Unesco. E crede che ci debba essere un prima e un dopo la tragedia della Marmolada: «In questo momento l'accesso è chiuso. Ma io credo che nei prossimi giorni una riflessione debba essere fatta. La prima cosa che dobbiamo garantire a chi va in montagna, indistintamente, è la sicurezza. Limitare il rischio, questo è l'obiettivo. Per questo chiederò che si apra un tavolo, con degli esperti. Se loro ci dovessero dire che ci sono dei problemi, volete che la politica non possa intervenire? Certo, non possiamo essere noi a valutare. Dobbiamo ascoltare glaciologi, climatologi. E poi prendere decisioni conseguenti. Anche perché è evidente che è in atto una crisi climatica, con temperature così alte che hanno favorito quel distacco. E siamo solo a inizio luglio, ad agosto cosa potrà accadere? Quando in Trentino avremo, per fortuna, molti ospiti, dovremo garantire la sicurezza. Questo non vuol dire chiudere la montagna, ma un tavolo va fatto quanto prima, per aprire una riflessione».Invita però a ribaltare il paradigma, la presidente della Sat trentina, Anna Facchini: «Da sempre sosteniamo che in montagna non si può parlare di sicurezza. La sicurezza non esiste, quel che cerchiamo di far passare noi, con la formazione, è la prevenzione. Serve avvicinarsi alla montagna con prudenza e con responsabilità, io direi autoresponsabilità». Ognuno sa cosa è in grado di fare, insomma. Si muova di conseguenza. Ecco perché l'ipotesi di chiusure non la trova d'accordo: «Capisco adesso, con le operazioni di soccorso in atto e l'instabilità del versante. Ma la montagna è uno spazio libero, non si può imbrigliare. Certo, serve conoscere se stessi e il territorio, o affidarsi a personale qualificato». Il punto è che conoscere il territorio potrebbe essere meno semplice ora che in passato: «Da anni la Sat, ma non solo, mette in allerta sulle conseguenze dei cambiamenti climatici. Un osservatore attento si accorge cosa c'è di diverso. E sa che un sentiero che fino a ieri ha percorso in sicurezza, oggi potrebbe presentare rischi, quindi deve verificare lo stato dei luoghi».La sensazione è che davvero ci si debba mettere d'accordo sul significato del termine sicurezza. E bene lo si capisce parlando con Cristian Ferrari, che il ghiacciaio della Marmolada lo conosce bene. E da giorni spiega cosa potrebbe essere accaduto lassù, con il ghiacciaio in stress termico, con la metà della neve dell'anno scorso, e con l'acqua di fusione che, non riuscendo a scorrere, si è depositata: una sacca che ha agevolato un movimento del ghiacciaio e il crollo. Ma serve capirsi: «Sentire l'acqua che scorre è normale, chi è salito sapeva quel che faceva, e con il ghiaccio vivo poteva vedere i crepacci. La Marmolada vede ogni anno persone cadere, sui ponti di neve, nei crepacci: alcuni vengono recuperati vivi, altri purtroppo no». Perché un ghiacciaio resta un ambiente non facile. E questo vale per molti di quelli trentini: «I nostri ghiacciai presentano tantissimi crepacci». E non è nemmeno immaginabile pensare di monitorarli tutti: «In linea teorica si potrebbe - osserva Ferrari - ma è come in strada: poi serve qualcuno che controlla. Il gioco vale la candela? Quando si parla di vite umane, la risposta è sempre sì. Ma abbiamo le risorse di monitorare tutti i ghiacciai delle Alpi? Per dare un'idea, sarebbe come monitorare ogni curva su tutte le strade». Si monitora, spiega

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Ferrari, quel che è davvero urgente: «La Provincia lo fa, per esempio con il rifugio Caduti dell'Adamello, che poggia su permafrost». Ma come muoversi in sicurezza? «Ora non ci sono situazioni come quelle della Presanella, dove anni fa c'era un seracco instabile, o laghi sopraglaciali. Ma i crepacci ci sono. Bisogna informarsi, con i rifugisti, che vedono le condizioni cambiare quotidianamente, con le guide alpine». C.Z.

L’Adige | 7 luglio 2022 p. 4 «Basta speculare sul dramma impariamo solo questa lezione» Chiara Zomer La montagna non si chiude, ma dalla Marmolada la terra malata dà una lezione a tutti: alcune cose che si facevano finora, ora meglio programmarle in modo diverso. Ma non perché fosse prevedibile, quanto accaduto. Questa è l'opinione di Mauro Corona, scrittore, alpinista, amante della natura. Che in questi giorni battaglia anche nelle trasmissioni televisive contestando chi, dai salotti tv, ragiona di mettere divieti ai sentieri. «Ma come si fa a parlare di chiudere le montagne?Allora chiudiamo il lavoro, le fabbriche, le strade. Io sono nauseato da questo dibattito».In questi giorni ha avuto qualche discussione. Anche in Tv.«In questi giorni ho visto addirittura Cecchi Paone che faceva l'esperto di glaceologia, ma come si fa? Gente che non sa cos'è la montagna, che non c'è mai venuta e che adesso, all'improvviso, sa tutto».Partiamo dall'inizio. La Marmolada. Le immagini di questi giorni. «Terribile, davvero. Ma le persone che sono rimaste coinvolte erano tutte esperte, ne sapevano. Inutile parlare di colpe».Quel che è accaduto, secondo lei, era davvero imprevedibile?«Certo che lo era. L'anno scorso io sono stato sulla Marmolada. Il ghiaccio era uguale a quello di adesso, perché il caldo era lo stesso. E non è successo niente. Nessuno poteva immaginare che accadesse una cosa simile, nessuno. Lo si immagina adesso, proprio perché è successo».La tragedia della Marmolada cambierà il nostro modo di approcciarci alla montagna?«Credo proprio di sì. Quei martiri non hanno colpe, non potevano immaginare che accadesse. Il sabato c'erano altrettante persone lassù. E tutte esperte. Ma noi possiamo ricavare una lezione da quello che è successo. Quando, adesso siamo sotto ad un ghiacciaio, sappiamo che può accadere, che dobbiamo stare più attenti. L'anno scorso ho percorso anche il ghiacciaio dell'Adamello, in condizioni simili a quelle della Marmolada di questi giorni. Ora non lo rifarei».In questi giorni si discute del tema della sicurezza. Da più parti si propone di chiudere i sentieri, se le condizioni diventano troppo rischiose.«Ma stiamo scherzando? Chiudere le montagne? Allora chiudiamo il lavoro, le fabbriche, le strade. Questi discorsi mi fanno arrabbiare. Cos'è la sicurezza? E cos'è la sicurezza in montagna? Pensiamo al monte Sorapiss, (Dolomiti di Cortina, ndr) verso il rifugio Vandelli. È franata la roccia verso il sentiero che percorrono tutti. Era notte, se fosse successo di giorno, sarebbe stata un'ecatombe. Chiudiamo anche lì? Allora stiamo a casa. Ma lì ti prende il terremoto. Quante sciocchezze».L'hanno fatta arrabbiare.«Parecchio. Mi indigna questa retorica, questa ipocrisia, e mi indigna la politica che con la retorica e la falsità, lucra su questa tragedia per avere qualche voto. Non è dignitoso. Anche Draghi è andato a Canazei, perché?». Magari per portare la solidarietà alle famiglie.«Quella, la portano gli amici e i parenti».Lui ha detto che non accadrà mai più.«Ecco, appunto. Da dove viene questa promessa? E come può farla? La terra è in via di consunzione. Noi siamo in balia. O, pur preparandoci come meglio possiamo, accettiamo il rischio, oppure stiamo a casa. Questa è stata una lezione, punto. Se abbiamo qualcosa sopra la testa, dobbiamo stare più attenti che in passato. Tutto qui».È anche una questione di responsabilità personale.«Certo. Noi facciamo delle scelte, io le mie le ho fatte. In montagna, sui ghiacciai, sulle pareti di roccia. Sapendo che siamo in balia della natura. Di una natura che soffre. Il clima è diventato troppo caldo, ed è tutto più precario. Ma proibire l'accesso alle montagne non è possibile, è indegno».E la Marmolada? Dopo quel che è accaduto avrà un futuro?«Naturalmente. Adesso naturalmente è chiusa per motivi di sicurezza, c'è un pezzo di ghiacciaio pericolante. Probabilmente verrà giù anche quello, poi la situazione si consoliderà e la Marmolada riprenderà ad accogliere i turisti, i camminatori, gli alpinisti. La montagna non gioca scherzi, se ne sta lì, impassibile. Noi dobbiamo adeguarci».Come?«Informandoci. Non vale per quelli che sono stati travolti. Lo ripeto, erano esperti, alcuni persino guide alpine. Ma noi dobbiamo prendere informazioni prima di muoverci, affidarci alle guide».In questo ragionamento ha poco senso anche cercare colpevoli.«Ma certo. Adesso ci si chiede perché il giorno prima non si è chiuso, si cercano colpevoli. Ma non ce ne sono. Queste cose sono prevedibili solo quando sono successe. Una sola cosa in Italia, era prevedibile e prevista e non si è fatto nulla. Il Vajont. Ma in montagna no. È diverso. Da questa tragedia c'è solo una lezione da imparare. E poi c'è da fare solo un'altra cosa».Cosa?«Io sono laico, ma dedicherò un pensiero di preghiera per i familiari di quei poveri alpinisti coinvolti».

Corriere delle Alpi | 7 luglio 2022 p. 5 Frigo dice no alla montagna dei divieti «I limiti ce li dobbiamo imporre da soli»

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L'intervista «No alla montagna dei divieti». Renato Frigo ne è pienamente convinto. Lui che è presidente regionale del Cai, con un animo ambientalista. Ma - afferma allo stesso tempo - devono essere i singoli a porsi dei limiti; la prudenza non è mai troppa. Siete contrari anche ai divieti di accesso al ghiacciaio da parte dei sindaci di Canazei e Rocca Pietore? «No, erano indispensabili. Ed è giusto che restino fino a che le autorità valuteranno sia necessario. Lo affermo anche nella piena consapevolezza del disagio che il provvedimento sta provocando agli escursionisti della variante dell'Alta via n. 2». Non potranno procedere nel loro itinerario? «Il sindaco ha emesso il divieto di accesso al versante nord con la forcella Marmolada (da Villetta Maria sentiero E618-E619, prossimità Rifugio Dolomia sentiero E618-Altavia n. 2-E606, piazzale Cima Undici sentiero E618-Altavia n. 2-E606, val Contrin 602-602A). Il divieto interessa anche gli alpinisti che risalgono la parete sud-ovest della Marmolada. I trasgressori saranno denunciati, per l'articolo 650 del Codice penale». Ci sono alternative? «Certo. Gli escursionisti che stanno percorrendo l'alta via n. 2 non potranno più effettuare l'attraversata della Marmolada fino al rifugio Contrin e viceversa. Pertanto viene loro consigliato il seguente percorso - per chi proviene dal Passo Pordoi Viel del Pan (601) e arriva al rifugio Castiglioni alla Marmolada - di proseguire lungo il lago di Fedaia fino all'omonimo passo e scende a Malga Ciapela (km 7). Da malga Ciapela si prosegue verso passo Forca Rossa (2490 m) con i sentieri 610 e successivamente il 689. Dopo il passo si imbocca il sentiero 694 (Alta Via dei Pastori) fino al rifugio Fuciade dove si riunisce al sentiero 607 proveniente dal rifugio Contrin lungo la Val De Cirele». Un disagio che non costa nulla davanti all'immensità della tragedia. «Esprimiamo ai famigliari delle vittime le nostre sentite condoglianze e ci stringiamo alle famiglie degli scomparsi con un affettuoso abbraccio. Ai ricoverati negli ospedali auguriamo una rapida guarigione, anche se quello che hanno vissuto sarà difficilmente dimenticato. Ancora una volta va riconosciuto che le persone che hanno effettuato i soccorsi hanno dimostrato professionalità e altruismo e a loro va il nostro grazie». Conosceva, da vicentino, le vittime della sua provincia, le guide alpine? «Certo che le conoscevo. E posso testimoniare che non solo le guide ma tutte le persone che erano presenti per motivi alpinistici su quella discesa e che sono stati colpiti dal collasso di una parte del ghiacciaio, a seguito delle alte temperature conseguenti i cambiamenti climatici in atto, sono, purtroppo erano persone preparate, sia sotto il profilo tecnico che sotto il profilo fisico; che conoscevano i pericoli a cui andavano incontro, e hanno fatto il possibile per ridurre questi rischi. Prova è l'orario in cui sono stati sommersi da quella valanga, le 13. 45 a circa 20'dal togliere i ramponi al rifugio Pian dei Fiacconi. E allora, silenzio per favore. E un po'di rispetto. Di certo non potevano prevedere l'imprevedibile, l'imponderabile invece esiste. Si risentano le dichiarazioni, al riguardo, del procuratore di Trento». C'è qualcosa che da alpinista impara da questa disgrazia? «Da questa disgrazia dobbiamo imparare che quanto sapevamo su questi ambienti così delicati, quali sono i ghiacciai, ci deve imporre dei limiti. Limiti diversi da quelli che fino ad ora c'eravamo imposti». Anche lei presidente, dunque, è d'accordo con chi vorrebbe imporre le bandierine rosse, se non addirittura dei divieti? «Il Cai sostiene da sempre che la montagna non debba essere la montagna dei divieti, Quando noi tutti frequentiamo gli ambienti naturali quali sono le terre più alte, il rischio è ineliminabile e la frequentazione non può che essere guidata dalla libertà personale, e dalla soggettività, dai propri limiti. Soprattutto negli ambienti più estremi». La montagna deve restare aperta? «Una montagna regolata da ordinanze senza autodisciplina e autoresponsabilità non è una frequentazione della montagna che educa, è una ulteriore deresponsabilizzazione di una parte della nostra società». Zaia ha detto che non si può mettere alla gogna la montagna.«Ha ragione. Anche perché accade quel che succede in queste ore. Qui in valle stanno arrivando le disdette». -- Francesco Dal Mas © RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 7 luglio 2022 p. 5 «Basta piloni sul ghiacciaio rispettate la Carta del pericolo» ROCCA PIETORE Non sarà mai più come prima. E non solo perché lo dicono gli ambientalisti. «Bisogna azzerare ogni investimento futuro sul ghiacciaio della Marmolada», ammonisce infatti Luigi Casanova, di Mountain Wilderness, «e ripensare radicalmente al futuro di questa montagna».È la stessa Provincia di Trento a mettere le mani avanti. Anzi, le ha messe ancora nel 2020, quando ha redatto la "Carta della pericolosità" che considera tutta una serie di parametri ai fini della sicurezza, quelli idrogeologici in particolare. Quella Carta definisce il ghiacciaio della Marmolada proprio a livello 4 di pericolosità. A capo della Protezione civile di Trento c'è un agordino, Raffaele De Col. È lui il coordinatore dei soccorsi a Canazei e sulla Marmolada. In questi giorni si è parecchio confrontato con un altro bellunese, Gianpaolo Bottacin, assessore regionale della Protezione Civile. E tra i tanti temi affrontati hanno discusso anche di come passare dalla definizione di pericolosità a quella del rischio. Perché si tratta di un passaggio fondamentale per il monitoraggio del territorio, anche attraverso nuovi, sofisticatissimi progetti che la Regione Veneto ha proposto al Ministero della Transizione ecologica. «La Carta del rischio», ha spiegato l'assessore Bottacin, «è indispensabile per stabilire quando un pericolo può diventare effettivamente un rischio. E cioè, ad esempio, immaginare, con studi alla mano, quando e come, ad esempio, una calotta di ghiaccio può cadere». Dopo la tragedia di domenica, è immaginabile che su questo piano si facciano dei passi in avanti in tutta fretta. «Ho ben presente la differenza che corre tra pericolosità e rischio. Sono necessarie tutte e due le mappe. E non solo per la Marmolada»,

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afferma ancora Casanova. «È anche vero, però, che quanto agli ipotizzati investimenti, dovrebbe bastare la Carta della pericolosità, che mette in conto il grado massimo, per dire di no, ad esempio, alla futura cestovia che, se fosse stata realizzata, sarebbe finita anch'essa sotto la valanga, nella sua parte terminale. Infatti, la Provincia di Trento non ha dato ancora nessuna risposta agli investitori. E immagino che non la darà, né domani né dopodomani».Tanto meno - anticipa sempre Casanova -, è ipotizzabile il collegamento tra passo Fedaia e Punta Rocca, con un pilone in mezzo al ghiacciaio, che è di fatto anche il grande timore che c'è proprio tra gli abitanti della Val Pettorina. --F.D.M. © RIPRODUZIONE RISERVATA

INCONTRI D’ALT(R)A QUOTA: IL PRIMO APPUNTAMENTO AL RIFUGIO FALIER Il Dolomiti | 17 luglio 2022 Online https://www.ildolomiti.it/montagna/2022/dopo-la-tragedia-al-cospetto-della-marmolada-lo-scrittore-righetto-questi-luoghi-hanno-unflusso-vitale-che-richiama-a-una-responsabilitacondivisa?fbclid=IwAR0KVOrzmpz5EGRdboz0V0O2xdYj1kIMsR00lH847l1gRo7Y1LPE49e_xCw Dopo la tragedia al cospetto della Marmolada. Lo scrittore Righetto: ''Questi luoghi hanno un flusso vitale che richiama a una responsabilità condivisa'' A due settimane dalla tragedia la Fondazione Dolomiti Unesco ha confermato l'appuntamento nell'ambito della rassegna ''Incontri d'alt(r)a quota''. Nemela: ''Le parole sono importanti. Possiamo scegliere di parlare, ad esempio, di crisi climatica, anziché di cambiamento; possiamo ribadire l’imprevedibilità di eventi puntuali come quello del tre luglio, senza con questo negare la prevedibilità del fatto che sempre più spesso dovremo affrontare eventi estremi'' […]

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p. 10 «Non dobbiamo lasciare le cime» «Non dobbiamo smettere di camminare in montagna. Noi siamo parte di questo paesaggio e, come diceva Mario Rigoni Stern, abbiamo senso di esistere solo se ce ne facciamo custodi. I fatti luttuosi di alcuni giorni fa non devono farci dimenticare che questi luoghi hanno un loro flusso vitale che a causa della crisi climatica sta subendo uno stillicidio luttuoso, permanente, che richiama a una responsabilità condivisa». Così lo scrittore Matteo Righetto, per la seconda volta protagonista del trekking letterario organizzato dalla Fondazione

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Dolomiti Unesco nell'ambito della rassegna «Incontri d'alt(r)a quota». Quest'anno l'evento era previsto lungo il sentiero che conduce al rifugio Falier, lungo la Val Ombretta, sotto la parete d'argento della Marmolada, e lì si è svolto regolarmente sabato 16 per riflettere, in modo partecipato, su quanto avvenuto il 3 luglio scorso e ripensare ai nostri modi di vivere e abitare la montagna al cospetto della crisi climatica. «Questo ambiente unico al mondo» ha aggiunto Righetto, «va riscoperto attraverso il suo genius loci e dobbiamo avere il coraggio di interpretarlo in una chiave nuova, sostenibile, come stiamo facendo con questa camminata.Abbiamo bisogno soprattutto delle comunità locali perché quello che stiamo attraversando non è solo un Patrimonio Mondiale, è prima di tutto un Patrimonio Locale e proprio dalle comunità locali deve ripartire la consapevolezza dell'importanza della sua salvaguardia». «È importante essere qui, mettere ancora una volta i piedi sui sentieri delle Dolomiti» commenta Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco, «ed è importante anche trovare le parole che ci consentono di cambiare la nostra relazione con il bene ambientale che dobbiamo custodire. Possiamo scegliere di parlare, ad esempio, di crisi climatica, anziché di cambiamento; possiamo ribadire l'imprevedibilità di eventi puntuali come quello del tre luglio, senza con questo negare la prevedibilità del fatto che sempre più spesso dovremo affrontare eventi estremi. Possiamo parlare di prudenza in montagna, anziché di sicurezza, termine che pare sottintendere un rischio zero che non esiste. Possiamo parlare di escursionisti e non di turisti, termine che appiattisce la fruizione della montagna su un piano ludico. Dobbiamo considerare la montagna come un ambiente da vivere, conoscere, interrogare e rispettare. Dietro la scelta delle parole c'è la responsabilità che dobbiamo condividere a livello politico, amministrativo, economico e sociale, a cominciare dalle comunità locali». Il tema del rapporto tra globale e locale, soprattutto in merito alle scelte da compiere per contenere la crisi climatica, è stato al centro delle riflessioni condotte da Matteo Righetto lungo il cammino guidato dagli accompagnatori di media montagna Laura Olivotto e Tommaso Zamarchi.Ascoltare il messaggio della natura richiama, in ultima istanza, ancora una volta alla responsabilità dell'uomo, riaffermata simbolicamente dai circa 40 partecipanti in Val Ombretta, dove si trova il centro geografico delle Dolomiti Patrimonio Mondiale.

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p.15 Righetto: “Guai smettere di camminare in montagna” ROCCA PIETORE «Non dobbiamo smettere di camminare in montagna. Noi siamo parte di questo paesaggio e, come diceva Mario Rigoni Stern, abbiamo senso di esistere solo se ce ne facciamo custodi. I fatti luttuosi di alcuni giorni fa non devono farci dimenticare che questi luoghi hanno un loro flusso vitale che a causa della crisi climatica sta subendo uno stillicidio luttuoso, permanente, che richiama a una responsabilità condivisa». Così lo scrittore Matteo Righetto, per la seconda volta protagonista del trekking letterario organizzato dalla Fondazione Dolomiti Unesco nell'ambito della rassegna "Incontri d'alt(r)a quota".Quest'anno l'evento era previsto lungo il sentiero che conduce al rifugio Falier, lungo la Val Ombretta, sotto la parete d'argento della Marmolada, e lì si è svolto regolarmente per riflettere, in modo partecipato, su quanto avvenuto il 3 luglio scorso e ripensare ai nostri modi di vivere e abitare la montagna al cospetto della crisi climatica. «Questo ambiente unico al mondo» ha aggiunto Righetto, «va riscoperto attraverso il suo genius loci e dobbiamo avere il coraggio di interpretarlo in una chiave nuova, sostenibile, come stiamo facendo con questa camminata. Abbiamo bisogno soprattutto delle comunità locali perché quello che stiamo attraversando non è solo un patrimonio mondiale, è prima di tutto un patrimonio locale e proprio dalle comunità locali deve ripartire la consapevolezza dell'importanza della sua salvaguardia». «È importante essere qui, mettere ancora una volta i piedi sui sentieri delle Dolomiti», sono le parole di Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco, «ed è importante anche trovare le parole che ci consentono di cambiare la nostra relazione con il bene ambientale che dobbiamo custodire. Possiamo scegliere di parlare, ad esempio, di crisi climatica, anziché di cambiamento; possiamo ribadire l'imprevedibilità di eventi puntuali come quello del tre luglio, senza con questo negare la prevedibilità del fatto che sempre più spesso dovremo affrontare eventi estremi. Possiamo parlare di prudenza in montagna, anziché di sicurezza, termine che pare sottintendere un rischio zero che non esiste. Possiamo parlare di escursionisti e non di turisti, termine che appiattisce la fruizione della montagna su un piano ludico. Dobbiamo considerare la montagna come un ambiente da vivere, conoscere, interrogare e rispettare. Dietro la scelta delle parole c'è la responsabilità che dobbiamo condividere a livello politico, amministrativo, economico e sociale, a cominciare dalle comunità locali». Il tema del rapporto tra globale e locale, soprattutto in merito alle scelte da compiere per contenere la crisi climatica, è stato al centro delle riflessioni condotte da Matteo Righetto lungo il cammino guidato dagli accompagnatori di media montagna Laura Olivotto e Tommaso Zamarchi. Ascoltare il messaggio della natura richiama, in ultima istanza, ancora una volta alla responsabilità dell'uomo, riaffermata simbolicamente dai circa 40 partecipanti in Val Ombretta, dove si trova il centro geografico delle Dolomiti Patrimonio Mondiale.Non poteva mancare il contributo di chi, come i rifugisti, affronta in prima linea queste problematiche, sia per quanto riguarda la frequentazione consapevole della montagna sia per la custodia dell'ambiente dolomitico, di cui sono le prime sentinelle: «Non è solo il caldo di giugno ad aver provocato gli eventi del 3 luglio. È il caldo degli ultimi vent'anni», afferma Dante Del Bon, gestore del rifugio Falier, da dove ha osservato i cambiamenti avvenuti nei decenni di gestione da parte della sua famiglia, giunta in Val Ombretta nel 1953. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

CRISI IDRICA L’Adige | 16 luglio 2022 p. 11, segue dalla prima La grande sete d'acqua dei rifugi Il grande caldo richiama tanti turisti in quota ma anche i rifugi soffrono la sete, a causa della grave carenza d'acqua. C'è chi ha accorciato i tempi delle docce a gettone per gli escursionisti, e chi invece usa delle bacinelle per lavare i piatti. Franz Nicolini, gestore del Pedrotti, invece è stato costretto a prevedere 2,5 chilometri di tubi per riuscire a captare un rivolo essenziale: «A volte sembra che giù in valle siate sordi ai nostri problemi. Siamo in piena emergenza». C'è chi ha accorciato i tempi delle docce a gettone, e chi invece usa delle bacinelle per lavare i piatti limitando al massimo l'uso dell'acqua corrente, chi cerca di spiegare che l'acqua in quota è merce rara e preziosa, e perfino chi, per riuscire a captare un rivolo essenziale arriva a tirare anche 2,5 chilometri di tubi tra le montagne. È il caso del gestore del Pedrotti, in Brenta, Franz Nicolini, che mostra con rassegnazione il lungo serpentone di gomma che darà sollievo, almeno per un po', al suo rifugio. L'estate 2022 va molto bene dal punto di vista delle affluenze turistiche, ma va molto male per quanto riguarda l'approvvigionamento idrico. Va detto, innanzitutto, che in montagna l'acqua è scarsa. A dispetto delle pubblicità e dei pregiudizi che associano valli verdi e boschivi a torrenti e cascate, in alta quota l'acqua arriva o dall'alto come pioggia, o dal basso come sorgenti in quota e scioglimento delle nevi o dei

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ghiacciai. Quest'anno, se si somma l'assenza di precipitazioni di una certa importanza a partire da novembre scorso a nevai e ghiacciai ormai allo stremo, il risultato è facilmente prevedibile: poca acqua da gestire con estrema cura.Franz Nicolini, gestore del rifugio Pedrotti alla Tosa, in Brenta, è sconsolato: «A volte sembra che giù in valle siate sordi ai nostri problemi: la situazione dell'acqua è sempre stata seria, ma quest'anno lo è ancora di più e per cercare di affrontarla serve più consapevolezza, che ognuno sappia rinunciare a qualcosa. Non va bene pretendere docce ed acqua a volontà come se ci si trovasse in un albergo in valle. Sono orgoglioso di gestire un rifugio per raggiungere il quale bisogna camminare quattro ore, non ha senso "addolcire" la montagna per far contenti tutti e soddisfare ogni esigenza, perché la montagna è soprattutto libertà».Anche al rifugio Città di Trento al Mandron la situazione è grave. «In oltre quarant'anni - spiega il gestore Davide Gallazzini - non si è mai visto il Lago Scuro in queste condizioni, è sotto di dieci metri. La sua acqua ci serve sia per bere che per la turbina idroelettrica e siamo in apprensione». E riprende: «Il rifugio è a 2450 metri, ma fa molto caldo, si sta in maniche corte, ed il ghiacciaio è nero fin sulla cima dell'Adamello. Gli escursionisti? Alcuni capiscono, ma sono tanti quelli che pretendono le docce come se fosse normale. É difficile spiegare loro che un rifugio non è un albergo». Anche il Lago di Cima d'Asta è sotto il livello normale, «Lo teniamo monitorato - spiega Emanuele Tessaro, gestore del rifugio Brentari in Cima d'Asta - e ci stiamo impegnando il più possibile per moderare il consumo d'acqua, sia in cucina che in sala che con i clienti. L'utilizzo dei rubinetti viene fatto a fascia oraria e cerchiamo di limitare l'uso dell'acqua corrente allo stretto indispensabile. Per bere di solito utilizzavamo una sorgente che in questo periodo aveva ancora un po' di portata ma adesso è in secca, mentre il lago è sotto di circa 60 centimetri. Con i clienti comunque a volte ci vuole davvero tanta pazienza, perché fanno fatica a capire le esigenze di chi vive e lavora in montagna».«Siamo riusciti a trovare un altro filetto d'acqua, e per qualche tempo ce la possimao fare». Duilio Boninsegna, gestore del rifugio Pradidali nelle Pale di San Martino cerca di essere ottimista. «Non sappiamo ancora se è acqua dal nevaio o da quel che resta del ghiacciaio della Fradusta - ammette - ma per ora ci permette di andare avanti, razionando il più possibile ed evitando gli sprechi, così con questa piccola presa si andrà avanti ancora per qualche giorno e poi si vedrà. Certo è che in trent'anni non era mai accaduto nulla del genere. Quanto agli escursionisti, si devono adattare, anche se è difficile far capire loro che l'acqua non si può inventare, che non c'è alternativa. In molti, soprattutto italiani, pensano che l'acqua sia a disposizione come a valle, con gli acquedotti». E prosegue: «Già la nostra stagione è breve: questa situazione rischia di ripetersi, e bisogna fare qualcosa, probabilmente pensare a vasche di accumulo o cose simili, investimenti importanti».

L’Adige | 16 luglio 2022 p. 11, segue dalla prima Silva: «Imparare a limitare i consumi» «Stiamo monitorando la situazione». Roberta Silva, che gestisce il rifugio Roda di Vaèl, in Catinaccio, ammette che la situazione dell'acqua in quota, a causa dell'inverno senza neve e della primavera asciutta resta «grave». «Ci sono diversi rifugi - ammette - in difficoltà». Il grido d'allarme dei rifugisti è unanime: «Siamo a metà luglio, ma la scarsità d'acqua è come se ci trovassimo alla fine di agosto».Prosegue Silva: «Le misure da adottare sono principalmente due: ridurre gli sprechi il più possibile, anche se questa dovrebbe comunque essere la norma in montagna, e cercare di captare l'acqua, chi con cisterne e riserve e chi cercando sorgenti o allungando tubature». Se sull'approvvigionamento non c'è molto da fare, se non interventi strutturali, è sul risparmio che la strada è ancora lunga: sono infatti molti i gestori che denunciano una generale insensibilità dei turisti su questi temi, ricordando che i vecchi alpinisti non chiedevano mai di fare la doccia. «La frequentazione - ammette Silva - in questi ultimi anni è molto cambiata e abbiamo a che fare con una tipologia di escursionisti che fatica a capire che c'è solo una sorgente di captazione, che vuole la doccia tutti i giorni, senza limiti di tempo, e che si scandalizza se trova i bagni chiusi. Devono comprendere che non è mancanza di rispetto o una cattiveria del rifugista che vuole i clienti puzzolenti, ma un'esigenza reale di chi fa presidio della montagna e dà accoglienza e servizi. In questo, solo la cultura può aiutare». Quanto ai rischi, «la montagna - rimarca la presidente - è un importante simbolo di libertà, ma si deve imparare a muoversi con consapevolezza contando sull'esperienza dei rifugisti e dei professionisti della montagna, e rispettando i propri limiti».

Gazzettino | 17 luglio 2022 p. 2, edizione Belluno Incubo siccità in rifugio: espedienti anti disagio Sciacquoni dei water con minimo rilascio d'acqua e docce con flusso contingentato. Anche i rifugi della provincia di Belluno fanno i conti con la siccità. Per resistere alla mancanza di precipitazioni si stanno attrezzando: chi, magari, con vasconi supplementari per la raccolta dell'acqua piovana, chi mettendo in atto piccoli accorgimenti per ridurre il consumo, come appunto quelli citati relativi ai servizi

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igienici. «Non siamo ancora in emergenza ma l'attenzione di noi rifugisti è alta è la premessa di Mario Fiorentini, presidente dell'Associazione di rifugi alpini del Veneto (Agrav) e gestore del rifugio Città di Fiume, all'ombra del Pelmo, in Comune di Borca di Cadore si cerca di essere prudenti, per cui puntiamo, per quel che è possibile, sulla riduzione del consumo d'acqua. E ci si affida ai temporali notturni per caricare le cisterne». Fiorentini sgombera il campo dai luoghi comuni: «È falsa l'idea che nei rifugi l'acqua abbondi perché si è in montagna. Ecco perché occorrono sistemi di riserva». LA SITUAZIONE Alcuni rifugi riescono ad usare l'acqua di torrenti vicini e collegati, altri nella fascia Pedemontana (Fiorentini cita il Boz e il Dal Piaz in area feltrina, o il Semenza, in area Alpago) - da sempre devono attrezzarsi con cisterne sul tetto: «Qui l'acqua normalmente non c'è. Sta di fatto che l'apprensione esiste, visto che piove poco e anche i temporali notturni sono insufficienti a riempire le vasche». Altra situazione si vive in alta quota: vi sono rifugi con i nevai vicini a fare da banca per l'acqua, ma anche questi ultimi, si sa, sono in sofferenza. «Se non vi è la risorsa della neve da cui recuperare l'acqua si è in crisi - precisa il presidente Agrav, sottolineando un fatto il problema della attuale scarsità d'acqua, in alcuni rifugi, non riguarda solo l'uso per i servizi, ma anche il funzionamento delle turbine che, con l'acqua, generano energia elettrica». Fiorentini cita, a livello esemplificativo, il Vazzoler, in Agordino e Malga Rin Freddo in Comelico. IL NEVAIO SENZA NEVE È sconsolato Walter Bellenzier, gestore del rifugio Tissi al Col Rean, 2250 metri di quota (Comune di Alleghe). L'acqua gli arriva, normalmente, dal nevaio che si trova nel canalone tra Cima De Gasperi e Su Alto. Una presa, per caduta, porta al rifugio l'acqua che si scioglie: «Fino agli anni scorsi, quasi sempre eravamo a posto. Con quell'acqua si riempivamo le vasche e si riusciva a tirare fino a metà agosto. Già l'estate scorsa era più scarsa, ma proprio oggi non ne è arrivata più dal nevaio perché il temporalone della notte ha portato via l'ultima neve». Bellenzier si affida ai vasconi di deposito, l'ultimo arrivato grazie al contributo del Cai di Belluno: «Tengono, in totale, 120 metri cubi d'acqua. Ne consumiamo 4-5 al giorno», afferma Bellenzier. LUCE SOLO PER 7 GIORNI Ai 2000 metri del rifugio Berti al Popera (Comune di Comelico superiore) che è punto di riferimento per Strada degli alpini, ferrate Roghel e Cengia Gabriella lo storico gestore, Bruno Martini non nasconde l'apprensione. Qui non vi sono vasconi di recupero per l'acqua. «Ho una turbina che genera corrente con l'acqua, ma non piove, siamo senza acqua e quella che abbiamo ci basterà a far funzionare frigoriferi e luce solo per una settimana. Il problema è grande, insomma, tant'è che tra qualche giorno dovremo spegnere la turbina». Bruno Martini qualcosa recupera, a livello di acqua, dai tubi che pescano dal torrente Risina. Non basta. «Sta di fatto che, se non pioverà, dovrò fare uso dei gruppi elettrogeni per tutto il giorno». Con i disagi che ne conseguono. Daniela De Donà

L’Adige | 1 luglio 2022 p. 10 Acqua alla Lombardia, arriva il sì di Terna Terna ieri ha dato il via libera al rilascio di 5 milioni di metri cubi di acqua dei serbatoi idroelettrici di malga Bissina e malga Boazzo chiesti dalla Lombardia al Trentino per salvare l'agricoltura padana. Ora la Provincia non ha più alibi per negare questa quantità enorme richiesta, pari a circa la metà della poca acqua rimasta nei due bacini, ma comunque il vicepresidente e assessore all'ambiente e all'energia, Mario Tonina, è deciso a prendere ancora tempo per rimandare una decisione che dubita che riuscirà da sola ad alleviare i gravi problemi di siccità in Lombardia.La Provincia aveva posto il quesito a Terna perché i 10 milioni di metri cubi d'acqua dei serbatoi dell'Alto Chiese sono considerati riserva di potenza per il sistema elettrico nazionale e dunque Dolomiti Energia, che gestisce quelle centrali idroelettriche, non può non rispettare queste prescrizioni senza autorizzazione per non incorrere in penali. Ma ora che Terna ha specificato che si può fare, la Provincia ha nuovamente richiesto a Regione Lombardia a formalizzare la richiesta scritta sia alla Provincia stessa che a Dolomiti Energia con adeguata motivazione.Morale, Regione Lombardia ha previsto una conferenza dei servizi per il 5 luglio sull'abbassamento del lago d'Idro, dove confluiscono le acque del Chiese che provengono dai due serbatoi trentini, e il Trentino ha già fatto sapere che dunque non prenderà alcuna decisione prima della settimana prossima.D'altronde, il vicepresidente Tonina è ormai dall'aprile scorso che cerca in tutti i modi di resistere alle richieste d'acqua che arrivano a ripetizione dalle regioni vicine.«Certo - dice Tonina - sembra che i milioni di metri cubi d'acqua siano una quantità enorme, però la pianura padana è grande e certo non risolvono il problema. Si deve affrontare l'emergenza con un intervento complessivo e coordinato, perché a livello nazionale ci sono resistenze a tutti i livelli nella ricerca di un equilibrio tra le risposte da dare agli agricoltori e, dall'altra, al turismo. Infatti, non è stato ancora dichiarato lo stato di emergenza né quello di calamità».«Se noi - insiste il vicepresidente Tonina - già ad aprile avessimo dato al Veneto l'acqua che ci chiedevano quando la stessa Protezione civile aveva negato lo stato di emergenza, chissà in che situazione ci saremmo venuti a trovare ora».Ma intanto la situazione, soprattutto del Po, si fa sempre più drammatica e ieri l'Autorità distrettuale del fiume Po è tornata a chiedere la riduzione del 20% dei prelievi irrigui a livello distrettuale rispetto ai valori medi dell'ultima settimana e «l'aumento dei rilasci dai grandi laghi alpini (Maggiore, Como, Iseo, Idro e Garda) pari al 20% rispetto al valore odierno».

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Rilasci che vengono ritenuti necessari «al fine di sostenere le portate del Po nel tratto di valle per assicurare l'uso idropotabile della Provincia di Ferrara, della Provincia di Ravenna e della Provincia di Rovigo. E per contrastare la risalita del cuneo salino nelle acque superficiali e sotterranee riducendo, al contempo, i rischi di potenziali impatti negativi sullo stato ambientale dei corpi idrici». L'Autorità anche a Piemonte e e Valle d'Aosta rilasci aggiuntivi giornalieri dagli invasi idroelettrici, «in modo analogo a quanto già effettuato in Regione Lombardia e nella Provincia autonoma di Trento» invitando «le Regioni ad assumere, nelle opportune sedi decisionali, provvedimenti adeguati per l'attuazione delle misure». Le misure, dunque, per ora sono ancora volontarie. Il Trentino potrebbe ripete l'aumento di acqua turbinata nelle centrali di Santa Giustina e San Floriano in questo fine settimana per fare arrivare più acqua a Rovigo. L.P.

L’Adige | 1 luglio 2022 p. 10

Alto Adige | 1 luglio 2022 p. 23 Un giugno più caldo della media, molto asciutto in val d'Adige Bolzano Un giugno più caldo della media. Lo chiariscono i tecnici del meteo provinciale.Il giugno di quest'anno in tutto l'Alto Adige è stato più caldo della media, le temperature sono risultate di due gradi superiori alla media di lungo periodo, rilevata tra gli anni 1991 e 2020, come affermano i meteorologi dell'Ufficio Meteorologia e prevenzione valanghe nell'Agenzia per la protezione civile nel loro tradizionale bollettino mensile.La più alta temperatura del mese si è registrata a Bolzano, la più bassa a Monguelfo. La temperatura più alta del mese è stata registrata a Bolzano il 27 giugno, 35,4 gradi. La più fresca, alla metà del mese, è stata misurata invece a Monguelfo, tra l'11 e il 12 giugno, con 4,7 gradi Celsius.Un mese asciutto nella Valle dell'Adige, bagnato in Alta Pusteria. Le precipitazioni nel mese di giugno sono risultate più o meno nella media, come indicano i meteorologi provinciali. Un po' più asciutta è stata la valle dell'Adige, con un deficit del 30%. Superiori alla media, invece, le precipitazioni registrate in Alta Val Pusteria (+50%).Le previsioni per le prossime settimane. Luglio inizierà oggi con un mix di sole e nuvole, come spiegano sempre i meteorologi della Provincia; nel pomeriggio in diverse zone dell'Alto Adige sono previsti temporali, il tempo migliorerà in serata. Il primo weekend di luglio avrà tanto sole e poche nuvole sabato, anche la domenica sarà soleggiata con un po' più di nuvolosità nel pomeriggio.Diagrammi del clima. I diagrammi climatici con informazioni su temperature e precipitazioni per Bolzano, Merano, Silandro, Bressanone, Vipiteno, Brunico e Dobbiaco sono aggiornati quotidianamente e mostrano se i dati attuali sono superiori o inferiori alla media a lungo termine.Bollettino meteo online. Le informazioni sulla situazione meteorologica generale e sull'evoluzione del tempo in Alto Adige sono costantemente aggiornate qui: https://meteo.provincia.bz.it/default.asp e sull'app ufficiale Meteo Alto Adige.

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L’Adige | 3 luglio 2022 p. 10 Zaia: «L'acqua trentina è vitale» leonardo pontalti «Tonina ha ragione, pianificare un nuovo approccio, virtuoso, per le risorse idriche è fondamentale. Ma non so se ci rendiamo conto dell'eccezionalità della situazione. Io, senza falsa modestia, avevo chiesto lo stato di emergenza ancora ad aprile. E siamo a luglio. Senza che gli allarmi che avevamo lanciato per tempo fossero raccolti per poter intervenire prima e meglio».Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia è molto preoccupato. Gli "aiuti" potrebbero non bastare.Dagli invasi trentini arriverà acqua sia sia per il Veneto che per la Lombardia. È un sacrificio non da poco per il territorio. E soprattutto, basterà?«Devo ringraziare il Trentino, come anche l'Alto Adige, per l'aiuto che stanno dando, anche perché lo sappiamo tutti che la situazione è drammatica, per tutti. Il tavolo tecnico che gestisce concretamente la questione dei maggiori rilasci nell'Adige è costantemente aperto. Quello che è stato fatto è importante ma non so davvero, se potrà bastare.Anche perché quello dell'Adige è per il Veneto solo uno dei bacini in sofferenza.«È questo il punto. Il Piave ormai è solo ghiaia. Della situazione del Po si sa, un dramma. Il cuneo salino (il movimento dell'acqua di mare nel risalire il corso dei fiumi dalla foce, a causa del basso livello della portata dei corsi d'acqua, ndr) ha raggiunto i venti chilometri per quel che riguarda proprio il Po. Significa che i centri abitati che sorgono lungo quei venti chilometri non possono al momento contare sull'acqua del fiume. Per uso civile o agricolo».A Rovigo e dunque per quel che riguarda l'Adige, la situazione non è così difficile al momento.«Ma non c'è da stare allegri. Per questo la disponibilità trentina a intervenire per mantenere, attraverso maggiori rilasci, quella portata di 80 metri cubi al secondo alla foce dell'Adige che impedisce la risalita dell'acqua di mare, è fondamentale».Anche in Trentino la situazione non è delle migliori. Le richieste di aiuto potrebbero non esaurirsi dopo questa prima "mano tesa"?«Ripeto, c'è un tavolo tecnico che sta curando questi aspetti, la definizione concreta dei quantitativi, la durata, le necessità a cui dobbiamo fare fronte e i modi in cui si può fronteggiare questa emergenza. Quel che è certo è che non piove, seriamente, da 150 giorni e in ballo iniziano a esserci non solo le coltivazioni - già in ginocchio - e le attività di agricoltura e allevamento, ma anche la salute stessa delle persone. La situazione è serissima. E quel che è peggio è che non possiamo essere neppure sicuri di poter attendere con ansia, ma con serenità le precipitazioni».Le piogge sono l'unica soluzione possibile, almeno nell'immediato. «Ma il recente passato ci ha ormai insegnato che dopo momenti di siccità, o comunque momenti di lunga assenza di precipitazioni, poi il maltempo torna in maniera intensa, distruttiva. Siamo di fronte a una situazione caratterizzata da manifestazioni estreme del clima e proprio per questo la mia richiesta dello stato di emergenza era arrivata per tempo».Nel frattempo, per quel che riguarda la situazione dell'Adige, non siamo ancora in piena emergenza. Chiariamoci: la situazione è gravissima e a dirlo sono le statistiche: la media storica della portata all'altezza del ponte di San Lorenzo nel periodo 20-27 giugno è pari a 330 metri cubi al secondo. Quest'anno si è attestata a 193, con la portata media mensile di tutto giugno andata a fatica oltre quota 200 metri cubi al secondo. Alla foce storicamente l'Adige ha una portata media pari a 235 metri cubi al secondo: ora si viaggia a stento attorno ai 100 metri cubi. È proprio per questo che è stato chiesto il rilascio di acqua da Santa Giustina e Stramentizzo, in modo che Noce e Avisio scarichino nell'Adige un maggior flusso: quando la portata nel Rodigino si attesta a meno di 80 metri cubi al secondo, l'acqua di mare inizia a risalire il corso del fiume. Descritta la situazione critica, per ora non è ancora scattata l'emergenza: gli esperti hanno stimato che le difficoltà alla foce scattano quando a Trento l'Adige scorre con una portata inferiore ai 150 metri cubi al secondo e i dati degli ultimi giorni si sono attestati su valori variabili tra 190 e 160. L'allerta è dietro l'angolo.

Corriere delle Alpi | 3 luglio 2022 p. 19 Il lago Fedaia sembra un cratere «Siamo al 10% della capienza» IL CASO Il lago Fedaia, ai piedi del ghiacciaio della Marmolada, non è mai stato così vuoto. L'Enel, che lo gestisce, solitamente lo svuota dall'autunno alla primavera, per riempirlo quando si scioglie la neve sulla grande montagna. Ma, come ormai tutti sanno, di neve quest'inverno ne è venuta ben poca. Siamo a 2053 metri. Il bacino è profondo 57 metri. «In realtà - spiega Aurelio Soraruf, che gestisce il rifugio Castiglioni - sono due i laghi di Fedaia, separati fra loro da una diga artificiale. Il più noto ed esteso è quello occidentale, che si è originato dopo la costruzione di una diga nel 1956. L'altro è molto più piccolo e si è formato a seguito di uno sbarramento morenico glaciale. Il lago artificiale è lungo circa due chilometri. La diga è lunga 622 metri, è alta 57 metri e alla base è larga 42 metri». Il bacino può contenere 15 milioni di metri cubi d'acqua. La gran parte è data dal ghiacciaio, o meglio dalle nevi che lo ricoprono, dall'ablazione della superficie che come quest'estate, potrebbe ridursi di 20-30 cm, e dalle precipitazioni che sono quasi giornaliere anche in questi giorni, ma evidentemente senza effetti. Attilio Bressan è stato custode per una vita intera della centrale idroelettrica di Malga Ciapela,

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che permette la produzione di 20 mw di potenza. L'acqua che vi si lavora è quella del lago Fedaia. Una condotta lunga quattro chilometri buca la Marmolada e poi scende a precipizio a Malga Ciapela». Ma nel Fedaia viene pompata anche l'acqua della diga della valle Ombretta, che poi scende verso Malga Ciapela. L'acqua rilasciata dalla centrale idroelettrica finisce nel torrente Pettorina, che poi confluisce nel Cordevole e infine nel Piave. «E' evidente che questa siccità mette in crisi tutto questo sistema. Ormai da settimane il Fedaia si presenta come un cratere lunare, con sponde che mostrano tutta la loro nudità per 20, 30 metri di profondità. In questa stagione il lago dovrebbe essere pieno, invece - sottolinea l'ambientalista Luigi Casanova di Mountain Wilderness - è una distesa di ghiaia e in parte una pozzanghera. «L'erba della scarpata - nota -certifica dove dovrebbe arrivare il livello dell'acqua. Ad occhio siamo a un decimo della capienza. «Bene, tutta quest'acqua che viene raccolta nella parte trentina della Marmolada, va a finire in Veneto. Come dire, che la questione dei confini proprio non si dovrebbe porre. Invece le autorità venete dovrebbero farsi una profonda riflessione su come usano ed abusano della nostra acqua». --FDM© RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 8 luglio 2022 p. 13 Risorsa acqua se ne parla al Rifugio Galassi belluno Tre giorni di confronto sulla risorsa dell'acqua, che lega, causa il cambiamento climatico, la tragedia della Marmolada alla siccità. Comune di Venezia, Club Alpino Italiano, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Ufficio Regionale Unesco, Fondazione Dolomiti Unesco e Europe Direct Venezia Veneto si confrontano da ieri e fino al 9 luglio al rifugio Galassi, alla forcella piccola dell'Antelao, su "La risorsa acqua: dalle Dolomiti al Mare". Ospiti dei gestori del Cai Mestre. Proprio i rifugi alpini stanno diventando sentinelle dell'ambiente che cambia. Il presidente Alessandro Bonaldo spiega: «Con lo sguardo ci si sta abituando a non vedere più le lingue di neve primaverile che permeavano fino a metà luglio "la tenda" di ghiaccio sotto la cima dell'Antelao». Il convegno mette a confronto istituzioni politiche, culturali, ricercatori e cittadini sulle conoscenze e gli strumenti a disposizione per preservare questa risorsa indispensabile per la vita». Gazzettino | 8 luglio 2022 p. 11, edizione Belluno Il Galassi sarà spia climatica delle Dolomiti per il Cnr Per fare il punto su La risorsa acqua: dalle Dolomiti al mare, si è scelto il rifugio Galassi, ai piedi dell'Antelao, di proprietà del Cai di Mestre. In questo fine settimana, promosso dal Cai, Cnr, Ufficio Regionale Unesco per la Scienza e la Cultura in Europa, Fondazione Dolomiti Unesco, si metterà a fuoco una problematica drammaticamente d'attualità vista la siccità che interessa non solo la pianura. Lo testimoniano anche i gestori del Galassi che, come spiega Alessandro Bonaldo, presidente del Cai Mestre, «stanno toccando con mano quotidianamente e non vedono più le lingue di neve primaverile che permeavano fino a metà luglio la tenda' di ghiaccio sotto la cima dell'Antelao». IL LAVORO Le giornate di lavoro saranno l'occasione per la promozione del progetto Rifugi montani sentinelle del clima e dell'ambiente che entra nel vivo grazie all'accordo tra Cnr e Cai con l'obiettivo di migliorare la conoscenza degli ambienti e degli ecosistemi di alta quota. Le osservazioni sulla temperatura del Pianeta riferiscono che gli ultimi due decenni sono stati i più caldi dal 1850; il 2020 a livello mondiale è stato circa 1,25 °C. Anche per l'Europa il 2020 si è rivelato l'anno più caldo fin qui registrato, mentre in Italia, a partire dal 1800, è stato secondo solo al 2018, ma si attendono i dati di questo 2022 per aggiornare la classifica negativa. L'OBIETTIVO Ecco dunque l'iniziativa che ha lo scopo di elevare i rifugi montani a luoghi di monitoraggio meteo climatico ed ambientale, per mettere a sistema il controllo dell'ecosistema delle aree di alta quota, ma anche per migliorare quello meteorologico. I gestori forniranno in diretta i dati raccolti in quota e alla fine della stagione il quadro del periodo sarà completo. Verrà anche installata una webcam per tenere sotto controllo la situazione ambientale anche a rifugio chiuso. IL PROGETTO E ancora i rifugi alpini saranno proposti come luoghi di diffusione della cultura scientifica sul campo;saranno promossi studi a scala locale su aspetti correlati non solo alla meteorologia, ma anche al clima, alla composizione dell'atmosfera, alle analisi ambientali, geologiche e geomorfologiche e, nei siti idonei, con particolare riferimento alle aree glaciali e periglaciali. Oltre al Galassi altri due i rifugi bellunesi sono coinvolti nel progetto. Il Col Margherita a 2.514 metri in Agordino, osservatorio climatico strategico per la condizione di quel versante delle Alpi dove non sono presenti analoghe infrastrutture e il Città di Carpi a 2.110 metri a Forcella Maraia, nel Gruppo dei Cadini di Misurina.

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Alto Adige | 22 luglio 2022 p. 18 L'idrologo: anche sulle Alpi la siccità sarà il «new normal» Bolzano Solleone, temperature che sfiorano i 40 gradi. E non piove. Superata di nuovo, per la seconda volta, la soglia di attenzione dell'ozono. E da oggi, in città è allerta rossa per il caldo torrido. Ma questa estate rimarrà un caso isolato? «Gli studi indicano chiaramente che stagioni estive così siccitose saranno sempre più frequenti. Dovremo attrezzarci per potervi fare fronte». È la risposta fornita da Giacomo Bertoldi, ingegnere idrologo, ricercatore dell'istituto per l'ambiente alpino di Eurac, dove al riguardo esiste un nutrito team multidisciplinare. «Attualmente - racconta - sta terminando un progetto Interreg cui hanno partecipato vari paesi alpini. Siamo stati profeti sulla tematica della siccità alpina. Al momento, anche grazie all'osservatorio europeo, si sta scoprendo in maniera drammatica che la siccità non è un problema relegato alle regioni mediterranee, alle zone di pianura». Le ricerche«Nel report 2018 avevamo evidenziato proprio questo rischio». Quest'anno, c'è stata una combinazione di eventi. «Bisogna stare sempre molto attenti agli influssi del tempo sul clima: in questo caso un inverno secco e un'estate calda, una combinazione di eventi, una congiuntura meteo particolare. L'anno prossimo potremmo avere un'estate piovosissima». Gli studi, però, «dicono che situazioni come quella attuale diverranno sempre più frequenti».Per questo, prosegue, «dobbiamo prepararci a creare strumenti adatti a gestire questo tipo di eventi in maniera ottimale. Nei prossimi 50-100 anni questa sarà la nuova normalità». Quest'anno, precipitazioni molto inferiori alla media (circa -40%), poca neve in montagna, un'estate estremamente calda con temperature massime avviate in fondovalle verso i 40 gradi. «L'ondata siccitosa riguarda tutta l'Europa centrale e in particolare l'arco alpino, in maniera più acuta l'occidentale. In Alto Adige soffre la Venosta, un po' meno le Dolomiti, che hanno ricevuto un po' più di precipitazioni». Più vulnerabiliLe conseguenze più gravi da noi sono il rischio incendi e la scarsità idrica, che colpisce però soprattutto le zone a valle della nostra regione, le pianure venete e lombarde. Urge però chiarire un punto: «Quello che si nota non è che stia aumentando la frequenza della siccità, quanto piuttosto che gli eventi siccitosi si verificano con un clima più caldo e questo crea più problemi. Stiamo diventando più vulnerabili».Per tentar di risolvere? «Esistono vari strumenti», chiarisce Bertoldi, «sia tecnologici sia di coordinamento». Si possono «fare interventi tecnologici per rendere più efficiente l'irrigazione, misurando con precisione l'umidità del terreno. Possibile poi una serie di interventi per il risparmio idrico migliorando le reti, soprattutto in pianura padana, dove sono meno efficienti. Alcuni invasi potrebbero essere gestiti non solo per finalità idroelettriche ma anche per lo stoccaggio dell'acqua. Questo avrebbe naturalmente dei costi economici». Gli strumentiAnche perché le società idroelettriche, «per lo più private, sono restie a rilasciare quest'acqua, dal loro punto di vista non sfruttata in maniera ottimale». Sarà poi necessario realizzare nuovi invasi di stoccaggio, «ma questo avrà dei costi ambientali». Soluzioni legate ai cambiamenti climatici riguardano pure le tipologie di specie sfruttate in agricoltura. «Dovremo chiederci se abbia senso continuare a coltivare i meli da noi e il riso in pianura o se invece in futuro dovremo adattarci, introducendo specie meno bisognose di acqua; in questo senso si potrebbero per esempio cambiare le varietà di viti».Le competenzeUn problema concreto è poi rappresentato dal coordinamento delle competenze sull'acqua, oggi molto frammentate. Ogni Comune può emettere ordinanze per restringere l'uso dell'acqua, secondo modalità differenti. «Le decisioni non dovrebbero essere prese su base politica ma conoscitiva: misure, quantitativi. Si deve sapere se la tal misura crea effettivamente benefici o meno». Pure l'idroelettrico sta cominciando a studiare il problema. «Il settore idroelettrico è privato e tende a tenere le informazioni all'interno. Negli ultimi anni però come idrologo vedo che comincia a esserci consapevolezza. Si fanno studi sull'impatto climatico sul tal lago, se avrà così tanta acqua a disposizione o meno. Il mercato è molto orientato al profitto a breve termine, fanno fatica a programmare a lungo termine. Ma c'è un inizio di consapevolezza». DA.PA

NOTIZIE DAI RIFUGI Corriere della Sera | 16 luglio 2022 p. 25 Nevai esauriti, non c’è più acqua «A rischio chiusura un rifugio su 4» di Andrea Pasqualetto Ha tenuto duro, ha resistito fino all’ultima goccia, dice, ma niente da fare: «Non c’è più acqua, chiudo». Stremato e deluso, Davide Gonella chiude lo storico rifugio che gestisce da vent’anni, abbarbicato fra le rocce del Monte Bianco a oltre tremila metri di quota. Un simbolo dell’alta montagna, un punto di riferimento per gli alpinisti, la sua passione. «Il nevaio si è estinto e la cisterna piange», spiega

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con il tono di voce di chi sta per lasciare qualcosa di molto caro. Oggi è stato l’ultimo giorno di apertura, con due di anticipo rispetto alla data canonica. «Lo faccio anche per la sicurezza degli alpinisti». Vuole dire che oltre al problema dell’acqua c’è anche quello della via verso la vetta che deve fare i conti con il ghiaccio vivo e i crepacci sempre più aperti della calotta del Dôme, diventata una trappola. «Non ci prendiamo questa responsabilità». È l’ennesimo effetto del caldo anomalo che a suo parere avrà anche delle importanti ricadute ambientali: «Qui se ne vanno trenta centimetri di ghiaccio al giorno, è in corso una sconvolgimento orografico che cambierà la mappa della zona». L’infausta stagione del Gonella (il rifugio è intitolato all’alpinista Francesco, omonimo ma non parente del gestore) potrebbe non essere un caso isolato. «C’è il rischio che un rifugio su quattro possa chiudere i battenti prima del previsto», ha stimato Riccardo Giacomelli, presidente della Commissione Centrale Rifugi del Cai che gestisce oltre 300 strutture d’alta quota. Il problema è diffuso e attraversa l’intero arco alpino, dal Monte Bianco alle Dolomiti, toccando Valle D’Aosta, Piemonte, Trentino-Alto Adige e Veneto. Lo faccio per la sicurezza degli alpinisti Qui se ne vanno trenta centimetri di ghiaccio al giorno, è in corso uno scon-volgimento orografico che cambierà la mappa della zona Molti rifugisti stanno correndo ai ripari cercando di evitare con ogni mezzo il doloroso stop. «Tutti cercano di resistere, per orgoglio, per amore, per senso di responsabilità, perché il rifugio è sempre e comunque un presidio sul territorio che dovrebbe rimanere aperto. Cioè, si chiude quando si è disperati», spiega Osvaldo Marengo, che è stato direttore della Commissione rifugi del Cai di Torino. Di questa tenace resistenza ne sa qualcosa Livio Naldin, responsabile tecnico della Sat, la società degli alpinisti tridentini sotto il cui ombrello ricadono 34 presidi. Per lui sono giornate intense: «Sul campo la situazione è tragica... proprio adesso sto venendo giù dal rifugio Boè — spiega col fiatone mentre cammina sul sentiero dalle parti del Pordoi —. Sono andato a captare una nuova sorgente che però non butta più. Il rifugio ha ancora qualche scorta perché ha fatto degli accumuli ma non so quanto durerà». Non lo sa neppure Valentina, che gestisce la struttura con i genitori: «Difficile fare previsioni, di certo il problema c’è ed è grosso. Senz’acqua non possiamo rimanere neppure noi che ci lavoriamo». Spera in qualche temporale o in una sorgente alternativa da scovare fra queste crode arse dal sole. È la stessa speranza che accompagna le giornate del suo collega Mariano Lott del Rosetta, sull’altopiano delle Pale di San Martino, che si è organizzato così: «Io mi sono preso due cisterne, terminate queste me la farò portare con l’elicottero o con la funivia e dalla stazione d’arrivo con un tubo. Operazioni costose. Intanto ho messo i lavandini a stantuffo, quelli con il getto d’acqua di pochi secondi, e ho chiuso le docce...». Non va meglio sul fronte occidentale, dove Alessandro Tranchero del Quintino Sella al Monviso sta combattendo una battaglia su più fronti: quella dell’acqua per l’energia elettrica, quella economica di sopravvivenza e, assicura, anche quella etica per un’uso sostenibile della montagna: «Ci dobbiamo chiedere quale sia il limite da non superare. Anni fa eravamo partiti con l’energia pulita, quella idroelettrica che sembrava inesauribile, ma adesso è carente e i rifugi sono sempre più simili ad alberghi di città dove ne serve molta. Dobbiamo così bruciare gasolio che significa inquinare e questo diventa un problema». È combattuto fra il desiderio di restare fra le montagne che ama e quello di dare un senso etico alla sua attività. E mentre lui si pone domande esistenziali Aldo Turri del Dodici Apostoli, Dolomiti di Brenta, osserva con ansia il ghiacciaio di Prato Fiorito che è la sua fonte primaria: «Si sta sciogliendo l’ultimo pezzettino... ma forse sotto i sassi c’è ancora qualcosa. Speriamo».

Messaggero Veneto | 1 luglio 2022 p. 42, edizione Pordenone Frana sulla strada, rifugio Pussa isolato Il Cai: «Impensabile perdere la stagione» Giulia Sacchi Claut La strada che porta al rifugio Pussa, in Val Settimana, torna impraticabile a causa di una frana: la struttura, di proprietà del Cai di Claut, è isolata. «Mercoledì in Val Settimana sono caduti ben 213 millimetri di pioggia in mezza giornata - ha riferito il Cai clautano -. La strada per il rifugio Pussa è nuovamente interrotta e chiusa. Dopo la tempesta Vaia del 2018, la viabilità era stata finalmente riaperta a luglio 2021. Siamo preoccupati che pure questa stagione possa essere compromessa, anche se al momento non si conoscono i danni effettivi».Il Pussa, che si trova a 960 metri di quota, è ubicato al termine della Val Settimana in Comune di Claut, all'interno del Parco naturale delle Dolomiti friulane. A breve distanza c'è la sorgente solforosa-magnesica cha ha dato il nome alla località. Nei giorni scorsi, il Cai aveva annunciato di essere alla ricerca di un nuovo gestore per stagione estiva 2023. Quello attualmente in attività terminerà il suo incarico a ottobre.Nel 2018, le precipitazioni di ottobre, che avevano provocato ingenti danni in tutto il Friuli, avevano causato in Alta Valcellina anche l'interruzione della viabilità di accesso alle vallate principali (strade comunali) e la parziale distruzione del patrimonio boschivo e della rete dei sentieri. La Val Settimana, una delle più importanti del Parco delle Dolomiti Friulane, assieme alla parallela Val Cimoliana, era impraticabile per una lunga serie di frane e smottamenti.Il Cai di Claut anche allora aveva lanciato un appello, ricordando che «l'apertura della strada è fondamentale per garantire varie attività: in valle sono situate numerose malghe e stalle, che svolgono un'importante attività zootecnica, la viabilità è indispensabile anche per l'utilizzo dei boschi e la cura dei prati, funzioni più che mai necessarie anche per il recupero e il riutilizzo del materiale legnoso abbattuto dal maltempo e che se non prontamente esboscato verrà completamente perso. L'apertura della strada è inoltre fondamentale perché questa valle non perda quel turismo di montagna assicurato anche dal rifugio Pussa, in posizione strategica a cavallo della Val Cellina e della Val Tagliamento,

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importante punto di appoggio per quanti si addentrano nel Parco, nonché essenziale punto di collegamento per le traversate verso la Val Cimoliana, verso le valli dell'alto Tagliamento e verso la val di Giere e i canali di Meduna». Ora il nuovo appello a intervenire. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 11 luglio 2022 p. 18 I rifugi sentinelle di legalità alleanza ad alta quota tra Libera Veneto e Agrav L'iniziativa Francesco Dal Mas Dai rifugi alpini "sentinelle del clima" ai rifugi "sentinelle anti mafia". O anti 'ndrangheta, anti camorra. Insomma, sentinelle della legalità, o, se preferiamo, tutori della "Montagna libera". Lo conferma, appunto, il protocollo d'intesa "Montagna Libera" che sarà sottoscritto giovedì in Cansiglio tra il Coordinamento di Libera del Veneto e Agrav, l'Associazione dei gestori dei rifugi alpini del Veneto. Appuntamento alle 10 al rifugio Vallorch, nella foresta del Cansiglio.Il protocollo mira a realizzare iniziative in collaborazione tra le due associazioni favorendo occasioni d'incontro e percorsi educativi aventi per tema la legalità, la responsabilità civica e il rispetto dell'ambiente, con particolare riferimento a quello delicato dell'alta montagna, a vantaggio delle persone frequentanti i rifugi alpini del Veneto. Alla cerimonia parteciperanno l'onorevole Rosy Bindi, già presidente della Commissione parlamentare Antimafia, e Alfio Curcio della cooperativa sociale "Beppe Montana" di Libera Terra. Per Agrav sarà presente il presidente Mario Fiorentini. Le firme saranno di Marco Lombardo, referente Associazione Libera del Veneto, e di Fiorentini.«Il nostro intento è di promuovere la cultura della legalità anche sulle terre più alte. Se ci preoccupano le valli per li sviluppi della criminalità al traino delle grandi opere pubbliche, compresi taluni cantieri prima dei Mondiali e poi delle Olimpiadi (ma per nostra fortuna la vigilanza delle forze dell'ordine è somma), siamo non meno allarmati della prospettiva dello sviluppo turistico», afferma Pier Mario Fop, leader di Libera nel Bellunese. «Quando si vuol portare in quota un numero sempre maggiore di turisti, magari moltiplicando gli impianti, progettando nuovi alberghi, trasformando i rifugi alpini in confortevoli salotti, la trasparenza si opacizza e gli interessi si oppongo radicalmente a quelli della "montagna libera", per tutti». Sono recenti le denunce di Gianandrea Mencini, autore di "Pascoli di carta", in cui ha dimostrato che la criminalità organizzata ha messo le mani perfino sugli alpeggi, da quelli dell'Alpago a quelli della Val Fiorentina. «L'ingente quantità di risorse messa in campo dalla Comunità europea per il settore agricolo», è solito spiegare il giornalista, «ha generato una speculazione che inquina il settore montano dove spesso si intrecciano azioni scorrette, false dichiarazioni, animali "figuranti", pratiche di compravendita di alpeggi al limite della legalità. Un meccanismo per far salire il prezzo degli affitti dei pascoli e che, fra mancanza di controlli, creazione di società fittizie e truffe reiterate, danneggia la montagna». È ovvio che i rifugisti non potranno fungere da carabinieri forestali, «ma», assicura Fiorentini, «ci prenderemo cura dei nostri territori come fossero il giardino di casa nostra. Non potremmo non denunciare gli intrusi». Intrusi non solo sul piano malavitoso, ma anche in altri settori. «È evidente che, occupandoci di trasparenza e di giustizia ambientale e quindi sociale», afferma Fop, «non potremmo non denunciare ciò che di poco rispetto viene operato contro l'ambiente, con le manipolazioni più o meno sofisticate, più o meno abusive».Ecco perché, fra l'altro, Libera costituirà in autunno, in provincia, altri tre presidi. «L'accordo prevede anche la promozione dei prodotti delle cooperative sociali di Libera Terra, nate sui terreni confiscati alle mafie, informando i gestori sulle modalità di acquisto degli stessi perché possano presentarli e utilizzarli nei rifugi alpini», fa sapere Fiorentini. Rifugi che già quest'estate daranno ospitalità a dei "Filò", cioè ad incontri informali, per una sempre maggiore informazione sugli argomenti che motivano la difesa più strenua delle terre alte. «Senza ideologismi», precisa Fop, «prendendo a prestito le raccomandazioni del fondatore di Libera don Ciotti a Modena e tenendo conto della complessità». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Messaggero Veneto | 14 luglio 2022 p. 48, edizione Pordenone «Sistemare la strada costa troppo L'abbiamo fatto per anni, basta» Fabiano Filippin ERTO E CASSO Un rimpallo continuo di competenze e di uffici, le stagioni che trascorrono inesorabilmente, nel frattempo i titolari del rifugio escursionistico Cava Buscada si trovano costretti a provvedere di tasca loro alla manutenzione dell'unico accesso all'ex cava. «Non ne possiamo più, le spese ormai sono diventate insostenibili, ma nessun ente si vuole prendere in carico la gestione della strada», affermano Giampietro e Roberta Corona.AREA STORICAQuindici anni fa i due titolari del rifugio hanno acquistato la storica area di scavo di Erto. Da qualche anno sono costretti a sistemare quotidianamente i cinque chilometri di itinerario che si inerpicano sino a

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Buscada, dal 2010 ufficialmente museo dell'arte mineraria con annesso ristoro. Se non fosse per loro il tracciato sterrato sarebbe impraticabile, complici le intemperie e il dissesto dovuto al traffico di mezzi pesanti che a più riprese hanno percorso la strada nel passato. «In zona sono transitati camion e macchine operatrici per operazioni di disboscamento e di regimazione idraulica ma nessuno ha provveduto al successivo ripristino dei luoghi - sottolineano i Corona - . Abbiamo interpellato il Comune di Erto e Casso, la Regione, il Parco naturale delle Dolomiti friulane e la Forestale». Non vi è certezza su chi sia il proprietario del tracciato, osservano, oltretutto necessario per consentire eventuali soccorsi in quota (due gli interventi d'emergenza nel solo week end da poco trascorso). «Da anni chiediamo che qualcuno assuma formalmente la gestione dell'infrastruttura, ma non riceviamo riscontri ufficiali - specificano - . In attesa, siamo costretti a farcene carico, con esborsi da migliaia di euro ogni volta».APPELLO ALLA REGIONELa pista originaria risale agli anni Cinquanta. Era stata allargata dalla Regione nel 1976. Una buona parte, cioè tre chilometri e mezzo, si snoda su terreni del Comune, m anche l'ente locale sembra non interessato a farsi avanti. Tanto che ora i Corona si appellano all'assessore regionale Stefano Zannier perché sbrogli la matassa burocratica. Da Buscada si gode di una panoramica unica sulla Val Vajont. Da qui si raggiunge anche il rifugio Maniago. Grazie alla famiglia di Erto è stato possibile salvare dall'oblio una pagina della storia industriale ancora poco conosciuta (in zona si estraeva il pregiato marmo rosso).PROBLEMI ECONOMICI«A parole tutti vogliono aiutare la montagna, nei fatti non è così - commentano amareggiati Giampietro e Roberta - . Un cantiere forestale ha divelto le tabelle di indicazione della nostra attività e abbiamo dovuto riinstallarle. Se piove più del solito dobbiamo subito intervenire sul tratto stradale per evitare problemi alle navette che organizziamo con il fondovalle. È dura continuare così. Non sappiamo ancora per quanto potremmo resistere e non solo dal punto di vista economico». --© RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 15 luglio 2022 p. 18 Bindi: «Basta soldi per le Olimpiadi La semplificazione favorisce la malavita» Francesco Dal Mas BELLUNO I mafiosi? «Sono i nuovi ladri di democrazia, di bellezza, di giustizia». Parole di Rosi Bindi, già presidente della Commissione parlamentare antimafia. «Sì, la mafia esiste anche a casa nostra. Non ce ne accorgiamo perché ha una straordinaria capacità camaleontica di adeguarsi. La sua forza sta nella complicità di professionisti e di imprenditori che si sentono sollevati dal rispetto delle regole, delle leggi» . E dunque? Dunque dobbiamo aprire bene gli occhi - è l'insistenza di Bindi - sulla gestione dei fondi per le Olimpiadi, ma anche dei tanti miliardi del Pnrr.L'ex parlamentare, che trascorre dei periodi di vacanza in Cadore, pur facendo capire di non essere contraria ai Giochi, rilancia le tante perplessità sulle opere olimpiche. Condivide in particolare i dubbi sulla cosiddetta semplificazione, cioè sulle scorciatoie autorizzative per rendere più rapidi i cantieri. «C'è una corsa all'escalation, esattamente come accade per la guerra: io sono contraria alla richiesta di ricorrere a norme straordinarie. E al tempo stesso vorrei un uso più corretto delle risorse».Siamo in Pian Cansiglio. L'associazione "Libera" e Agrav, il coordinamento regionale dei rifugi alpini, sono ospiti del rifugio Vallorch per sottoscrivere un protocollo d'intesa sulla cultura antimafia, da promuovere anche alle quote più alte. Questo rifugio che s'affaccia sulla piana, nel 2017 ha subito un incendio. Gli hanno dato fuoco alla legnaia e le fiamme sono finite anche sull'immobile, Tre anni di sospensione dell'attività, per recuperare la struttura da parte della proprietà, Veneto Agricoltura. Un attentato "mafioso" anche in questo caso? Pare di sì. Ecco, dunque, motivata la scelta di Libera e di Agrav. Ma torniamo ai Giochi del 2026. "Libera Cadore" si è già pronunciata sulla pista di bob, sul villaggio olimpico e su altre opere, condividendo con altre associazioni la preoccupazione per l'iter autorizzativo troppo semplificato. Puntualizza Bindi: «Nelle Dolomiti vive la contraddizione tra la forza di queste montagne e la loro fragilità, tra il senso di perennità, di eternità che manifestano e lo sbriciolamento, quasi tra le mani, di queste crode. Vogliamo tenerlo presente nei lavori che andiamo a fare? Oppure ci comportiamo come padroni, anziché come custodi del Creato? Dobbiamo trovare una sintesi e un equilibrio, anche in questi lavori olimpici, per evitare la devastazione di tanta bellezza».Ascolta e poi interviene anche Gian Candido De Martin, professore emerito della Luiss di diritto costituzionale e per lunghi anni presidente della Magnifica Comunità del Cadore. Concorda anche lui che sulla semplificazione bisognerà stare molto attenti. «C'è una semplificazione auspicabile, quella che risponde ad esigenze di legalità e di giustizia, ma», sottolinea con forza, «c'è una semplificazione del tutto negativa, quella orientata a eliminare le procedure e a non garantire la necessaria trasparenza». Per De Martin, la trasparenza è un obiettivo ineliminabile sia per le procedure delle opere olimpiche, sia per la cantierizzazione del Pnrr. Ancora Bindi: gravissima a suo avviso la sospensione delle regole sugli appalti.Al rifugio Vallorch ha voluto essere presente anche il colonnello Michele Di Cosmo, comandante dei carabinieri forestali e per la biodiversità di Vittorio Veneto, con giurisdizione anche sulla provincia di Belluno. Porta la sua esperienza soprattutto sul piano della formazione, come appunto Libera e Agrav intendono promuovere. Poi, a margine dell'incontro, ci confida che «la mia preoccupazione principale, per quanto riguarda l'ambiente, è l'occupazione eccessiva del territorio. Occupazione intesa come costruzioni ed impianti». Secondo il comandante, bisognerebbe «non consumare ulteriori terreni» per cementificare, ma recuperare i volumi già costruiti e magari abbandonati, come tante case in provincia

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di Belluno.Ma c'è una seconda preoccupazione che il colonnello Di Cosmo intende sottolineare: è quella dell'overtourism, cioè della pressione turistica che in maniera eccessiva si crea in determinati siti. Dovrebbe preoccuparsene in modo più equilibrato la promozione turistica. In questo modo i carabinieri forestali lanciano anche messaggi in vista dei grandi eventi olimpici. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 15 luglio 2022 p. 18 I rifugi diventano presìdi di legalità Siglato l'accordo Libera-Agrav Il protocollo I filò antimafia nei rifugi alpini. Dove saranno anche venduti i prodotti, pardon i "beni" delle terre confiscate ai mafiosi. È quanto prevede il protocollo sottoscritto ieri in Pian Cansiglio da Marco Lombardo e Pier Mario Fop di Libera e da Mario Fiorentini, gestore del "Città di Fiume" e presidente dell'Associazione Rifugi alpini del Veneto. Anzi, in calce al protocollo c'è pure la firma di Rosi Bindi, già presidente della Commissione Parlamentare Antimafia. Libera Cadore, che tra i suoi aderenti ha anche la cadorina Bindi, ha ottenuto la disponibilità di numerosi rifugi a creare un angolo dove l'escursionista potrà trovare materiale di Libera e alimenti prodotti dalla cooperativa sociale "Beppe Montana" di "Libera terra", in Sicilia."Montagna libera" è il titolo del protocollo, che è tutto un programma. «Vogliamo realizzare insieme», hanno spiegato Fop e Fiorentini, «occasioni d'incontro e percorsi educativi che hanno per tema la legalità, anzi la giustizia, la responsabilità civica e il rispetto dell'ambiente, con particolare riferimento a quello delicato dell'alta montagna, a vantaggio delle persone frequentanti i rifugi alpini del Veneto».«Quando si arriva in un rifugio e ci si ferma magari a riposare, si ha tutto il tempo di riflettere. Anzi, l'ambiente induce alla riflessione. E magari anche a chiedersi come si possa salvaguardare, quindi difendere tutta questa bellezza che ci circonda», hanno condiviso ancora Fop e Fiorentini.Alfio Curcio, responsabile della Cooperativa "Beppe Montana" ha portato dalla Sicilia la pasta bio, «la migliore al mondo», come l'ha definita Rosi Bindi, e alcune bevande bio, prodotte grazie agli agrumeti che la coop coltiva. L'accordo prevede infatti la promozione dei prodotti delle cooperative sociali di Libera Terra, nate sui terreni confiscati alle mafie, informando i gestori sulle modalità di acquisto degli stessi perché possano presentarli ed utilizzarli nei rifugi alpini. Nel corso dell'incontro, svoltosi all'aperto, a monte dei pascoli del Cansiglio, si è denunciato che purtroppo ci sono ancora terreni e immobili per un valore complessivo di 25 miliardi da sbloccare. E al tempo stesso si è denunciato che la disponibilità di questi beni avviene troppo lentamente e senza fondi per rigenerarli. È un problema che riguarda solo la Sicilia ed il Sud? Assolutamente no. Sequestri per sospetta mafia sono avvenuti anche a Cortina e più in generale nel Veneto.Sempre nel corso del convegno c'è stato chi, come Giancandido de Martin, già presidente della Magnifica Comunità del Cadore, ha auspicato, anzi raccomandato che si cambino stili di vita, in particolare nei confronti dell'ambiente e dell'uso che se ne fa, uso troppo aggressivo, fino all'abuso. I rifugi alpini possono essere i laboratori ideali di questa nuova cultura. --fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’Adige | 24 luglio 2022 p. 14 Temporali lunedì notte. Poi temperature in calo. Ieri nubifragio in Val Canali «Un po' di acqua dal cielo scenderà nella notte tra lunedì e martedì, ma senza eventi estremi come la grandine. E, a partire da martedì, le temperature torneranno "normali", abbassandosi di quasi una decina di gradi. Non farà fresco, semplicemente si tornerà in linea con il periodo, passando dai quasi 40 gradi ai poco più di 30». A spiegarlo è Giacomo Poletti, nostro collaboratore, ed appassionato meteorologo. Insomma, due buone notizie (un po' di pioggia e una po' meno caldo), ma domani - lunedì - si potrebbero raggiungere le temperature record, soprattutto in quota.Ma intanto c'è già chi ha sperimentato la pazzia del tempo in queste ore. Ieri la Val Canali, a San Martino di Castrozza, è stata colpita da un nubifragio improvviso. È stata danneggiata la strada che porta ai parcheggi del rifugio Treviso. Per il resto nessun altro danno. Ma intanto il resto del Trentino boccheggia. Già ieri abbiamo toccato i massimi di temperatura in Trentino, dopo che venerdì i picchi fra le stazioni di Meteotrentino sono stati a Rovereto 38.8°, a Trento Galilei 37.6° e ad Aldeno e Levico 37.4°. Poletti torna sulla tanto attesa pioggia, che si spera possa aiutare in agricoltura, per pulire l'aria e per aiutare contro la siccità. «La pioggia? Penso che fra lunedì 25 e martedì 26 avremo i primi temporali, una passata più ampia è probabile proprio martedì, da monitorare. A seguire sembra esserci un nuovo miglioramento, ma restano buone possibilità per un altro passaggio temporalesco sabato 30». Poletti, nel suo seguitissimo bollettino meteo su Facebook, riporta poi una curiosità. «La temperatura di rugiada (o dew point in inglese, cioè la temperatura alla quale raffreddando l'aria si avrebbe condensazione con formazione di nuvole o appunto di

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rugiada) è molto importante per capire quanto è sopportabile il caldo. Se l'aria è secca, infatti, il nostro sudore evapora bene togliendo calore alla pelle e il dew point è molto più basso della temperatura dell'aria: si parla in quel caso di caldo torrido, più sopportabile. È il caso di venerdì, con le temperature di rugiada fra i 15° e i 17°, per fortuna non ancora elevatissime probabilmente in virtù del gran secco attuale. In caso di aria più umida si parla invece di caldo afoso: in questo caso il dew point cresce e se supera i 20° la sensazione di afa è notevole». Va avanti, intanto, l'allerta della Protezione civile del Trentino per temperature elevate, alla luce delle previsioni di Meteotrentino. Fino a domani, le temperature saranno molto sopra la media a tutte le quote. «Lo zero termico in libera atmosfera supererà i 4.500 metri; in molte zone dei fondovalle a bassa quota le temperature massime supereranno i 35 gradi centigradi e le minime non scenderanno sotto i 20 gradi (notti tropicali)». «Nei bassi strati, nelle ore più calde, sarà probabile l'aumento della concentrazione di ozono», si legge nell'avviso che porta la firma dell'ingegner Mauro Gaddo, direttore dell'Ufficio previsioni e pianificazione della Provincia autonoma di Trento. L’Adige | 25 luglio 2022 p. 9 Il rifugista: mai vista una cosa così Il giorno dopo, la Val Canali si lecca le ferite.Il violento temporale che, con due distinti acquazzoni nel giro di meno di due ore, nel tardo pomeriggio ha investito la zona, ha causato numerosi danni, soprattutto ai sentieri che salgono verso il rifugio Treviso e - sull'altro versante - verso il bivacco Minazio.«Mai vista una cosa del genere in tanti anni», ha raccontato il gestore del rifugio Treviso Tullio Simoni: «Soprattutto dal punto di vista dell'intensità in un così ristretto periodo di tempo».Una beffa, tra l'altro, oltre ai danni, perché questo tipo di precipitazioni serve a ben poco nel contrastare la siccità dato che il terreno non ha il tempo di assorbire quanto arriva dal cielo, con l'acqua che devasta senza lasciare in dote neppure i propri benefici.«Ed è andata anche bene», ha spiegato il sindaco del Comune di Primiero San Martino Daniele Depaoli: il ponte all'altezza del Cant del Gal è stato messo a dura prova ancora più che in altre occasioni. Se il secondo temporale fosse proseguito per un'altra decina di minuti la situazione avrebbe potuto diventare ancora più critica di quanto già non sia successo».Ieri, all'alba, Tullio Simoni ha dovuto ricorrere all'impiego di un piccolo escavatore e di alcuni collaboratori per risistemare il sentiero permettendo così agli escursionisti di raggiungere il Treviso, mentre sempre nel corso della mattinata sono state ultimate le operazioni di sgombero del materiale che ha travolto alcune delle auto in sosta, l'altro ieri pomeriggio.Paura, poi per un gruppo di escursionisti che proprio l'altro ieri erano stati visti nei pressi del torrente Canali nel momento più critico. Era stato mobilitato il Soccorso alpino, con sei operatori della Stazione del Primiero che hanno assistito una quindicina di escursionisti, che dovevano scendere a valle dopo il temporale, ad affrontare i tratti del sentiero fortemente danneggiati dal temporale e dal torrente ingrossato. Tutti gli escursionisti sono quindi rientrati a valle illesi. Intorno alle 20 è stato inviato sul posto anche l'elicottero per effettuare un sorvolo sull'area del rifugio Treviso, del bivacco Minazio, della Val Canali e del rifugio Pradidali per accertarsi che nessun altro escursionista avesse bisogno di aiuto. Nessuna persona è stata trovata in difficoltà. Le operazioni di soccorso alpino si sono concluse intorno alle 21, mentre sono proseguite le attività dei Vigili del Fuoco per la messa in sicurezza della zona. Anche ieri il Soccorso alpino ha assistito numerosi escursionisti. Tre gli interventi principali: intorno alle 11.05 è stato soccorso un 40enne roveretano in difficoltà sulla ferrata Bolver Lugli (gruppo Pale di San Martino). Poco prima delle 11.30 nel gruppo del Carega, nei pressi del sentiero attrezzato Pojesi, verso cima Tibet, dove un escursionista ha perso la via, incrodandosi in una zona molto esposta, privo di assicurazione. Altro intervento in ferrata sulle Dolomiti di Brenta, lungo il sentiero attrezzato Vidi per un escursionista in difficoltà e impaurito.

Alto Adige | 30 luglio 2022 p. 23 Una legge per interventi sui rifugi alpini BOLZANO L'assessore provinciale Bessone ha ufficializzato con una legge la collaborazione con Cai e Alpenverein per costruire e ristrutturare i rifugi in maniera sostenibile nel rispetto della montagna. La proposta di legge è stata approvata con 28 voti a favore e due astensioni. Nella nuova legge viene inserito, rispetto al testo del 1987, l'articolo 15 bis riguardante i "Rifugi di proprietà provinciale". «Con questo articolo - ha spiegato l'assessore Bessone - vogliamo dare un'ufficialità ed un forte peso istituzionale alla collaborazione con le due associazioni alpinistiche. E' prevista l'istituzione di un gruppo di esperti con i presidenti di Cai e Avs. La commissione dovrà definire il fabbisogno di investimenti, manutenzione e le relative priorità d'intervento dei rifugi alpini di proprietà provinciale. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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PELMO D’ORO 2022 Corriere delle Alpi | 31 luglio 2022 p. 18 Cultura e passione dolomitiche arrivano i premi Pelmo d'oro VIGO DI CADORE La montagna in tutte le sue sfaccettature, ma soprattutto le persone che la vivono, che la valorizzano e la tutelano. Nella mattinata di ieri all'arena di Laggio di Vigo di Cadore è andata in scena la 24esima edizione del Pelmo d'Oro, il premio che vuole dare lustro ai nomi forti della montagna. Un'occasione per riflettere sui temi quanto mai attuali legati al mondo montano, all'ambiente e alle politiche di salvaguardia del territorio con l'inevitabile ricordo delle vittime della Marmolada. LE PAROLEAlla presenza di numerose autorità e di un folto pubblico la cerimonia si è aperta con il passaggio del testimone dal Comune di Cesiomaggiore, che aveva ospitato la scorsa edizione del premio, a quello di Vigo. Un rituale allietato dai canti del Coro Oltrepiave e da un gruppo di tamburini del paese cadorino. «Per Vigo è un onore ospitare questa edizione del Pelmo d'Oro», ha commentato il primo cittadino Silvia Calligaro. «Noi bellunesi sappiamo l'importanza di parlare in senso positivo della montagna come stiamo facendo in questa occasione. Non bisogna più pensare solo allo spopolamento ed ai pericoli della montagna ma alla sua bellezza, alle difficoltà che ci sono ma che temprano i caratteri di chi ci vive. Le Dolomiti sono una risorsa per tutti, continuiamo a ribadirlo». Dichiarazioni a cui fanno eco quelle del Presidente della Provincia: «Mi chiedo spesso cosa siamo noi di fronte a queste montagne e la risposta sarebbe scontata se non ci fossero le persone che premiamo oggi, simbolo di fatica, impegno e sforzo ma anche di cultura, passione e scienza. Uomini che hanno dedicato la loro vita ai monti, racconto delle nostre comunità che è terra di grandi imprese e non solo di difficoltà, di alpinisti esperti e non solo di problemi idrogeologici, di persone appassionate del territorio e non solo di spopolamento».Tra gli interventi anche quello del Ministro Federico D'Incà che ha rimarcato come sia fondamentale per la politica far sentire la forza dei cittadini di montagna, tutelandola ed incrementando le misure già esistenti in favore del territorio. I PREMIIl premio per l'alpinismo in attività è stato consegnato alla coppia formata dal limanese Loris De Barba e dal cadorino Francesco Vascellari, da sempre attivi nel settore dello scialpinismo. Il premio per la carriera alpinistica è andato invece a Mauro Valmassoi del Gruppo Ragni di Pieve; quello per la cultura alpina a Pietro Sommavilla, grande conoscitore del Pelmo; il premio Dolomiti Unesco al falcadino Anselmo Cagnati. Infine il premio speciale della Provincia, tra gli applausi, è stato assegnato a Stefania Constantini ed a Renè De Silvestro, campioni nello sport che hanno portato la terra bellunese e le sue montagne in tutto il mondo. Tutti i premiati hanno ricordato l'importanza del sostegno avuto da amici e famiglia, un fattore fondamentale per dedicare gran parte della vita alla montagna. Immancabili i ricordi personali a tanta gente che non c'è più e che sui monti ha lasciato la vita. E' anche per loro che la tradizione del Pelmo d'Oro continua. --Luca De Michiel© RIPRODUZIONE RISERVATA

DOLOMITES WORLD HERITAGE GEOTRAIL Gazzettino | 26 luglio 2022 p. 15, edizione Belluno In cordata per vivere la magia dolomitica Sarà Vigo a ospitare la presentazione del Dolomites World Heritage Geotrail, moderne guide a trekking di più giorni tra i 9 sistemi dolomitici Patrimonio dell'umanità grazie al riconoscimento Unesco del 2009. L'occasione è fornita dalla consegna del Premio Pelmo d'Oro, in programma sabato alle 10.15 nell'arena di Laggio. «La promozione delle Dolomiti è nel dna del premio con cui la Provincia da anni valorizza gli alpinisti e i cultori dello spirito montano e dolomitico - spiega Roberto Padrin, presidente della Provincia -. La cordata (è doveroso chiamarla così) con Cai, Guide alpine e Soccorso alpino ci ha portato a scalare 24 anni di questo prestigioso riconoscimento. La cordata con la Fondazione Dolomiti Unesco ci porterà a valorizzare sempre di più le meraviglie in cui abbiamo la fortuna di vivere e che abbiamo il dovere di tutelare e poi di amare e apprezzare, prima di proporli ai turisti». L'ultima iniziativa della Fondazione Unesco, Geotrail, è stata ideata e realizzata per introdurre l'escursionista, passo dopo passo e in modo semplice, alla straordinaria storia geologica delle montagne rosa. La geologia viene di volta in volta affiancata ad altri ambiti (ecologia, storia locale, toponomastica) utili a comprendere meglio il territorio. Il Geotrail non è solo un prodotto per la frequentazione turistica del Patrimonio

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Unesco, ma uno strumento per rendere il visitatore sempre più consapevole dello straordinario valore delle Dolomiti, appoggiandosi a diversi strumenti che aiutano il visitatore nell'esplorazione e nell'interpretazione del paesaggio geologico dolomitico, in particolare le guide escursionistiche e un percorso multimediale. Sono 4 i volumi frutto del lavoro di un team molto eterogeneo per professionalità e provenienza, estesa a tutti i territori dolomitici. Il volume 1 va dalle Giudicatarie alla Val di Non (6 tappe); il 2 tratta il percorso dal Bletterbach alle Dolomiti di Sesto (10 tappe); il 3 è il più corposo: dalle Dolomiti di Sesto al Monte Pelmo (21 tappe); infine, il volume 4 tratta le Dolomiti Friulane e d'Oltrepiave (10 tappe). I tracciati sfruttano la rete sentieristica già esistente, incluse diverse alte vie, ma le caratteristiche uniche del Geotrail ne fanno il principale percorso dedicato all'esplorazione e alla scoperta delle Dolomiti Patrimonio Mondiale. I volumi vengono distribuiti in 3 lingue (italiano, tedesco e inglese) e ognuno contiene capitoli iniziali di introduzione alla storia geologica delle Dolomiti e al loro riconoscimento come Patrimonio mondiale, seguiti dalla descrizione del percorso tappa per tappa, da affrontare in un cammino di più giorni oppure in escursioni giornaliere. In attesa di una prossima pubblicazione sabato si potranno visionare i 4 volumi; a seguire la consegna del premIo Pelmo d'Oro 2022 all'arena di Laggio di Vigo.

Corriere delle Alpi | 27 luglio 2022 p. 30 Il Geotrail debutta sulle Dolomiti Uno strumento per conoscerle vigo di cadore Sarà Vigo di Cadore il luogo deputato per il debutto del Dolomites World Heritage Geotrail. Sabato, in occasione del Premio Pelmo d'Oro 2022, sarà presentata l'ultima iniziativa della Fondazione Dolomiti Unesco, un trekking tra i nove sistemi del Patrimonio mondiale. Il Geotrail è ispirato ai principi del geoturismo ed è stato creato per introdurre l'escursionista, passo dopo passo e in modo semplice, alla straordinaria storia geologica delle Dolomiti. La geologia viene affiancata ad altri aspetti utili a capire il territorio e i processi che lo caratterizzano, come l'ecologia, la storia locale, la toponomastica. Il Geotrail quindi non è solo un prodotto per la frequentazione turistica del Bene Unesco, ma uno strumento per rendere il visitatore sempre più consapevole dello straordinario valore delle Dolomiti. Il Geotrail si appoggia a diversi strumenti che aiutano il visitatore nell'esplorazione e nell'interpretazione del paesaggio geologico dolomitico, guide escursionistiche e un percorso multimediale. Sono quattro volumi: il volume 1 va dalle Giudicatarie alla Val di Non (6 tappe). Il volume 2 tratta il percorso dal Bletterbach alle Dolomiti di Sesto (10 tappe). Il volume 3 è il più corposo: dalle Dolomiti di Sesto al Monte Pelmo (21 tappe). Infine, il volume 4 tratta le Dolomiti Friulane e d'Oltrepiave (10 tappe). Ciascuno italiano, tedesco e inglese. Ogni tappa è divisa in una sezione escursionistica e una dedicata all'interpretazione geologica del paesaggio attraversato. La sezione geologica contiene inoltre dei momenti di pausa e osservazione lungo il cammino chiamati Geostop che invitano l'escursionista ad approfondire alcune particolarità geologiche nelle vicinanze. Di prossima pubblicazione è il percorso multimediale associato al Dolomites World Heritage Geotrail, che consentirà di immergersi nella storia geologica delle Dolomiti, prendendo spunto dal percorso fisico del Geotrail e arricchendolo grazie alla multimedialità. «Siamo molto contenti di poter presentare il Geotrail durante il Pelmo d'Oro 2022», commenta il presidente della Provincia, Roberto Padrin. «La promozione delle Dolomiti è nel dna del Premio con cui la Provincia da anni valorizza gli alpinisti e i cultori dello spirito montano e dolomitico. La cordata con Cai, Guide alpine e Soccorso alpino ci ha portato a scalare 24 anni di questo prestigioso riconoscimento. La cordata con la Fondazione Dolomiti Unesco ci porterà a valorizzare sempre di più le meraviglie in cui abbiamo la fortuna di vivere. Territori da favola che dobbiamo tutelare, amare e apprezzare, prima di proporli ai turisti». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 31 luglio 2022 p. 18 Trekking in 47 tappe per scoprire la geologia VIGO DI CADORE Un trekking nei nove sistemi delle Dolomiti. Presentato ieri nel corso della cerimonia del Pelmo d'Oro il Dolomites World Heritage Geotrail, un progetto di Fondazione Dolomiti Unesco portato avanti con la collaborazione della Provincia ed in particolare del geologo Franco Fiammoi. Quarantasette tappe, di cui ben 21 nel territorio bellunese, lunghe circa 13 km e con un dislivello medio di oltre 1000 m. «Questo è un progetto di divulgazione della geologia», ha sottolineato Mara Nemela, direttrice della Fondazione, «ed ha come scopo creare delle nuove opportunità per un turismo più sostenibile e più consapevole, dove chi viene a visitare le Dolomiti ha la possibilità di conoscere più a fondo questo patrimonio mondiale e soprattutto di farne esperienza. Poter toccare con mano la geologia delle Dolomiti permette di capire perché siamo considerati un territorio unico al mondo». --LDM© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Alto Adige | 16 luglio 2022 p. 25 Geotrail, il sentiero in 10 tappe Bolzano Presentato il Geotrail: un viaggio nell'evoluzione geologica delle Dolomiti.L'idea del Geotrail è nata in Alto Adige ed è frutto della collaborazione tra la Ripartizione provinciale Natura, paesaggio e sviluppo del territorio, le associazioni turistiche dell'area dolomitica, Idm Alto Adige, l'Ufficio provinciale Geologia e prove materiali, i Parchi naturali nonché con l'Avs e il Cai Alto Adige. Un'esperienza unica nel suo genere che permette agli amanti della montagna e della natura di attraversare le Dolomiti patrimonio mondiale Unesco in numerose e affascinanti tappe intermedie. L'assessora provinciale allo Sviluppo del territorio, al Paesaggio e ai Beni culturali Maria Magdalena Hochgruber Kuenzer, presentando questa iniziativa, ha ribadito che «alla base di questo progetto c'è la volontà di promuovere una più approfondita conoscenza delle Dolomiti patrimonio mondiale Unesco, sia tra gli abitanti che tra gli ospiti, comprendere questo meraviglioso mondo montano attraverso l'eccezionale valore universale di queste montagne, riconosciuto al massimo livello internazionale, camminando con passo lento e gli occhi aperti tra passato e presente», spiega Hochgruber Kuenzer. «Vivere in prima persona l'esperienza Geotrail significa anche fare in modo che queste esperienze condivise possano rafforzare la responsabilità comune nei confronti della natura, favorendo la tutela e il rispetto del paesaggio culturale», ha rimarcato l'assessora.Elisabeth Berger, responsabile delle Dolomiti patrimonio mondiale per la Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige ha curato in prima persona il progetto e sottolinea che «Il Dolomites World Heritage Geotrail non è soltanto finalizzato a fornire informazioni sulle Dolomiti Unesco e a sensibilizzare per un approccio consapevole ad esse, ma è anche sinonimo di un'esperienza rispettosa e decelerata delle Dolomiti e quindi di un turismo di qualità, sempre utilizzando sentieri esistenti».In Alto Adige, il Geotrail conduce in 10 tappe dal Bletterbach alle Dolomiti di Sesto. Corrado Morelli dell'Ufficio Geologia e prove materiali, autore della parte geologica della guida altoatesina, evidenzia: "All'interno del percorso si trovano 19 geo-stop, punti informativi che illustrano le particolarità geologiche del luogo e trasmettono all'escursionista in forma comprensibile a tutti la storia geologica delle Dolomiti e quindi uno dei criteri, per i quali le Dolomiti sono state dichiarate patrimonio mondiale Unesco».Dopo l'esperienza positiva in provincia di Bolzano, la Fondazione Dolomiti Unesco e le province e le regioni che ospitano le Dolomiti patrimonio mondiale Unesco hanno condiviso l'idea del Geotrail e l'hanno allargata all'intera area del patrimonio mondiale, estendendola alle province di Trento e Belluno e alla regione Friuli-Venezia Giulia. Il sentiero escursionistico è lungo complessivamente 622 chilometri, attraversa 47 tappe, collega tutte le province e le regioni e i 9 sistemi, attraversando così l'intero territorio delle Dolomiti Unesco.

PASSI DOLOMITICI Corriere dell’Alto Adige | 4 luglio 2022 p. 3 Cusumano: «Passi dolomitici, stop ai raduni di auto e moto» Il Commissario del Governo annuncia: «Traffico in montagna, controlli intensificati In giugno sono state elevate ben 176 multe» BOLZANO Dalla movida alla viabilità sui passi alpini: il commissario del Governo Vito Cusumano affronta alcuni dei temi d’attualità più dibattuti in Alto Adige. Prefetto, negli ultimi mesi in Alto Adige è emerso il problema delle baby gang. La situazione è preoccupante? «Analogamente ai recenti avvenimenti accaduti a livello nazionale, anche in Alto Adige si è registrata una serie ravvicinata di episodi, in coincidenza con la ripresa della vita di relazione, dopo la pandemia. La situazione è stata immediatamente ed attentamente affrontata per individuare le opportune strategie di intervento attraverso una completa sinergia tra tutte le istituzioni. Da una preliminare analisi statistica delle fattispecie di reato ascritte ai minori, risulta una tendenza alla diminuzione del 35% nell’ultimo quadriennio». Il fenomeno impegna molto le forze dell’ordine? «Nella maggior parte dei casi e in breve tempo, sono stati individuati e segnalati all’autorità giudiziaria coloro che sono stati ritenuti responsabili di comportamenti penalmente sanzionabili. Si è avuto modo di constatare, nell’insieme delle fattispecie delittuose poste

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in essere da minori in questa provincia, come vi sia stato un incremento di aggressioni e danneggiamenti derivanti da sfoghi istintivi, che riflettono sovente situazioni di disagio personale, familiare e sociale, su cui occorre lavorare sul piano della prevenzione». Vengono coinvolte anche le istituzioni scolastiche nella prevenzione? «Il tema del disagio giovanile è stato trattato in seno al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, alla presenza dei rappresentanti della vasta rete delle amministrazioni pubbliche altoatesine, competenti in materia di istruzione scolastica e di politiche sociali, nonché dei Comuni di maggiori dimensioni. La problematica richiede di essere fronteggiata con misure strutturali e poliedriche di medio e lungo periodo, rafforzando l’attività di prevenzione sugli aspetti pedagogici. È stato deciso di sviluppare specifici progetti interdisciplinari a livello di comunità locali. I sindaci hanno già fatto pervenire al Commissariato del Governo le proprie relazioni sulle iniziative avviate, che saranno riprogrammate alla ripresa dell’anno scolastico». Per quanto riguarda invece la movida, si ripropone il tema degli schiamazzi notturni nel centro storico di Bolzano. Il Comune cerca di porre un argine con delle ordinanze di limitazione di vendita degli alcolici. Come valuta la situazione? «La movida, intesa quale forma di divertimento notturno, pone anche a Bolzano il tema del delicato equilibrio tra le opportunità di un sano svago con l’interesse alla quiete e al riposo dei residenti. La recente ordinanza sindacale si inquadra nell’ambito degli interventi in materia di sicurezza urbana, adottati per contrastare le oggettive criticità riscontrate, sanzionando i soggetti responsabili degli eccessi. Si tratta di misure temporanee da rivalutare in relazione all’evolversi della situazione: ma potrebbero essere esaminate ulteriori proposte migliorative». Con l’arrivo dei turisti per la stagione estiva, aumenta in maniera sensibile il traffico sui passi dolomitici. Ve ne occupate al Comitato per l’ordine e la sicurezza? «Sì, abbiamo definito un apposito calendario di attività, che vede impegnate le pattuglie delle forze dell’ordine e dei corpi di polizia municipale, per garantire la sicurezza viaria: in giugno sono state elevate 176 sanzioni. L’attenzione è rivolta anche al contrasto dei raduni di vetture e moto che si riversano sui passi per esaltarne le prestazioni tecniche, turbando l’ecosistema ed indignando le comunità. Abbiamo disposto di monitorare i canali social per intercettare le incursioni, in collaborazione con i corrispondenti organi di polizia d’oltre confine. Stiamo attrezzando le forze dell’ordine di fonometri e rilevatori messi a disposizione dagli uffici della motorizzazione per il controllo delle emissioni nocive». Come considera le proposte di mitigazione del traffico sulle strade di montagna? «La problematica è molto complessa. Da un lato è fortemente avvertita la necessità di introdurre in determinate aree geografiche una regolamentazione in grado di preservare in misura maggiore il patrimonio naturale, ma occorre studiare misure compatibili con l’assetto normativo vigente. Ne abbiamo discusso di recente con i rappresentati della Provincia, che stanno elaborando un programma». In seguito alla promozione in serie B dell’Fc Sudtirol, il prossimo anno approderanno allo stadio Druso tifoserie organizzate da tutta Italia. Lo stadio, appena ristrutturato, è pronto. Lo è anche la città? «Si è creato un grande entusiasmo non solo fra i sostenitori di lungo corso ma anche nell’ambiente cittadino, che potrà sentirsi rappresentato dalla propria squadra ed immagino si recherà, anche per la prima volta, allo stadio, desideroso di confrontarsi sportivamente con i prestigiosi club della serie cadetta. Il numero degli spettatori locali sarà maggiore e crescerà pure la presenza dei tifosi ospiti, attesi in misura consistente. Ci siamo già confrontati sull’argomento per essere pronti alla partenza del campionato, concordando un piano di azione». Lei per quale squadra tifa? «Nel massimo campionato nazionale non ho una particolare preferenza e simpatizzo per quelle che puntano sulla crescita dei giovani ed interpretano in modo autentico i valori dello sport». Andrà a vedere il Sudtirol? «Con vero piacere». In Trentino è in corso un processo sulla presenza della ‘ndrangheta nel settore del porfido. Le organizzazioni mafiose sono un pericolo nella nostra regione? «La criminalità organizzata è un pericolo a qualunque latitudine geografica. La sua effettiva capacità di penetrazione nel tessuto locale dipende dall’argine che si costruisce insieme, a protezione dell’economia sana e legale del territorio, soprattutto quando esiste una elevata ricchezza e un diffuso benessere». Anche in Alto Adige? «In questi anni è cresciuta molto la sensibilità sul tema e vi è la consapevolezza che le insidie possono concretizzarsi anche dalle nostre parti. Occorre mantenere sempre elevata l’attenzione verso ogni elemento di anomalia per prevenire eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa nei confronti delle imprese altoatesine, anche in vista dell’impiego delle consistenti risorse del Pnrr. Abbiamo adottato le necessarie cautele nella realizzazione delle grandi infrastrutture, come la galleria di base del Brennero, con accurate verifiche sulle numerose ditte esecutrici». Nel fare un bilancio della gestione della pandemia fino ad oggi, che voto dà alle istituzioni sanitarie altoatesine ed ai cittadini? «Il sistema sanitario nazionale ha reso nel suo insieme un grande servizio al Paese. Al raggiungimento di questo importante risultato hanno contribuito anche gli operatori altoatesini. Per quanto riguarda i cittadini, ho sempre apprezzato l’elevato senso civico di questa comunità, confermato dalle statistiche sul rispetto delle misure di contenimento: dal marzo 2020, a fronte di circa 800.000 controlli alle persone, sono state accertate 10.000 violazioni. Gli indici delle vaccinazioni raggiungono livelli meno lusinghieri ma restituiscono un quadro abbastanza positivo».

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Quest’anno viene celebrato in Alto Adige il 50esimo anniversario del secondo Statuto di Autonomia. L’Autonomia ha realizzato i suoi obiettivi? «Il modello autonomistico altoatesino ha il merito di essere riuscito a garantire la pacifica convivenza tra i gruppi linguistici in attuazione dei principi statutari posti a tutela delle minoranze etniche, tanto da essere preso ad esempio, soprattutto nell’attuale scenario di conflitto internazionale».

Alto Adige | 28 luglio 2022 p. 30 Passi dolomitici, prima intesa sul contingentamento estivo DOLOMITI/ROMA. Proficuo viaggio a Roma dell'assessore provinciale alla mobilità Daniel Alfreider che ha incassato il sostegno dei ministri uscenti Colao e Giovannini sul tema del contingentamento estivo sui Passi dolomitici. Annunciate anche gare d'appalto per i sistemi di prenotazione e accesso, tipo quello di Braies, che potrebbe fungere da modello. Le basi dell'intesa forse già in estate. Grazie ad un accordo tra la Provincia di Bolzano, le Province di Trento e Belluno, la Regione Veneto e i Ministeri competenti a Roma già quest'estate dovrebbero essere poste le basi giuridiche per il contingentamento degli accessi ai Passi dolomitici. L'assessore provinciale alla Mobilità ne ha avuta la conferma dal ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile e da quello dell'Innovazione tecnologica e della Digitalizzazione.Un'importante base per il colloquio tra l'assessore provinciale alla Mobilità e i ministri è stata l'esperienza del Piano Braies, a partire dal potenziamento della mobilità sostenibile, passando per il sistema di prenotazione di parcheggi, biglietti degli autobus e ristoranti introdotto l'anno scorso, fino al sistema di accesso digitalizzato adottato poche settimane fa.Braies preso come modello pioneristico anche per le Ztl.L'introduzione di una zona a basse emissioni ha lo scopo di orientare in modo ottimale i flussi di traffico sui Passi dolomitici e la gestione della mobilità deve essere migliorata in modo significativo con ulteriori misure come un sistema di guida ai parcheggi, l'ulteriore espansione del trasporto pubblico e la mobilità ciclabile, è stato concordato. Gli innovativi sistemi di prenotazione e di accesso digitale introdotti dal Piano Braies sono un modello pionieristico e possono essere utilizzati per altre aree sensibili in Italia e forse anche per le zone a traffico limitato (Ztl) nelle città, ha dichiarato il Ministro per l'Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione. I ministri hanno annunciato che presto sarà indetta una gara d'appalto per il finanziamento di tali sistemi. A Roma, l'assessore ha incontrato anche il vicedirettore Unesco, incontro nel quale è stato discusso anche il piano Braies. L'incontro con il viceministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile, invece, si è concentrato sulla produzione di idrogeno.©RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere del Trentino | 29 luglio 2022 p. 3 «Passi, piano necessario. Ma non seguendo Braies» Marika Giovannini, Aldo De Pellegrin Le promesse di un piano per il contingentamento del traffico sui passi dolomitici sul modello Braies — emerse nel corso dell’incontro tra l’assessore altoatesino Daniel Alfreider e i ministri Giovannini e Colao — non convincono gli ambientalisti regionali, ma non solo. Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, si dice perplesso: «Secondo noi la misura ottimale per la calmierazione del traffico sui passi dolomitici restano le fasce orarie, dalle 9 alle 16 o dalle 10 alle 17. Lo diciamo da sempre: chi va in montagna o in escursione, alle nove è già in quota e non ha vincoli per la sua escursione mentre alla sera può ritornare tranquillamente a valle. Il sistema di Braies funzione bene parlando di località specifiche. Meno per un’area vasta e di transito come i passi dolomitici dove i visitatori possono (devono) usare la mobilità pubblica. Una prenotazione per il Sella o il Pordoi ha dell’assurdo, anche perché spesso i passi sono solo dei punti di partenza o di arrivo per gli escursionisti senza contare che l’andare in montagna dipende anche dal meteo e da molti altri aspetti e fattori». A indicare una base normativa già pronta è Mountain wilderness. «Nelle recenti modifiche al codice della strada — scrive Silvia Simoni, componente del direttivo dell’associazione — è stata introdotta la possibilità per l’ente proprietario della strada di limitare il traffico sulle strade che attraversano i siti inseriti nella lista Unesco». E ancora: «Sicurezza e tutela della salute sono ora finalità primarie». «Entrambe le modifiche al codice della strada — dice Simoni — concretizzano ciò che le associazioni ambientaliste e alpinistiche chiedono da tempo: azioni concrete piuttosto che nuove promesse». A mostrarsi soddisfatto del passaggio romano è Alfreider: «Nell’area dei Passi dolomitici è necessario ed urgente fare qualcosa. Però stiamo parlando di 50 chilometri di strada all’incrocio di due Province autonome e la regione Veneto, aree con competenze e giurisdizioni diverse. Per questo era necessario l’accordo per una piattaforma giurisdizionale comune, in deroga alle singole norme

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localmente vigenti, sulla quale poi elaborare le soluzioni comuni. Questo accordo è stato finalmente trovato e sarà elaborato nei dettagli dalla società milanese specializzata Sistemica. Contiamo che il contratto fra Regione, Province e Ministeri possa essere elaborato e sottoscritto già entro settembre, per poi, su quella nuova base, elaborare le soluzioni migliori per tutti». Con, negli occhi, la «soluzione Braies», che ha contribuito a ottenere l’attenzione dei ministeri, pur con i dubbi ancora presenti in Alto Adige.

GESTIONE DEI FLUSSI TURISTICI Corriere dell’Alto Adige | 4 luglio 2022 p. 2 Braies, da domenica al via il numero chiuso «Più qualità di vita» BOLZANO Da domenica, chi vorrà arrivare in macchina o in moto al lago di Braies, dovrà prima prenotare il parcheggio. Cosa che gli conviene fare con largo anticipo, considerato che ci sono già giornate sold out, sul portale online delle prenotazioni (www.prags.bz). «Si tratta di una strategia contro il turismo di massa e mordi-e-fuggi — spiega il sindaco di Braies, Friedrich Mittermair — che garantirà una migliore qualità della vita. In valle, non entreranno più di 5.500 persone al giorno». Dopo Venezia, la rivoluzione del «numero chiuso» ha contagiato anche l’Alto Adige. Che ha deciso di partire da Braies, dove, dal 10 luglio al 10 settembre, dalle 9.30 alle 16, il lago sarà raggiungibile solo a piedi, in bici o in autobus (compresi i pullman turistici organizzati), mentre chi arriva in macchina o in moto dovrà prima prenotare il parcheggio. La speranza degli amministratori è di dire addio all’assalto dei turisti allo specchio d’acqua in fondo alla valle, a 1.500 metri di quota, la cui fama è stata alimentata dalla serie tv «Un passo dal cielo» con Terence Hill. Di non vedere più quelle code, lungo i sentieri, immortalate nelle foto che, negli anni della pandemia, avevano fatto preoccupare gli esperti della sanità per il mancato rispetto delle distanze e dell’obbligo di indossare la mascherina in caso di affollamenti. Né di dover ripescare quelli che, nella frenesia di scattare la foto più «instagrammabile» possibile, l’inverno scorso s’erano avventurati a piedi sul sottile strato di ghiaccio, finendo nelle acque gelate. Ad aprile, in un solo weekend, erano stati dodici, fra i quali un bambino di 4 mesi salvo per miracolo. La soluzione: una stanga che sbarri l’unica strada d’accesso alla valle di Braies che si apra solo per chi abbia prenotato un posto (auto o moto). «Sono tre i parcheggi attorno al lago — annuncia il sindaco —. In tutto, i posti disponibili sono 800». A ben vedere, però, sul sito internet il parcheggio «P3» risulta al momento non disponibile. Sono prenotabili, invece, il «P2», a 800 metri di distanza dal lago, con tariffa giornaliera di 18 euro, e il «P4», a 100 metri, di proprietà dell’hotel Wildsee, con una tariffa di 20 euro per il solo parcheggio, di 30 per la formula «food&parking» che comprende 20 euro spendibili nei punti di ristoro attorno al lago. Per prenotare basta inserire i propri dati e il numero di targa: si paga con la carta di credito. L’alternativa, per non riuscisse a prenotare il posto auto, è raggiungere il lago con uno dei bus navetta che passano ogni mezz’ora: si lascia la macchina al parcheggio «P1», a 5,5 chilometri dal lago, per il quale la tariffa giornaliera è di 11 euro (prenotabile online). Nella valle di Braies, non entreranno più di 5.500 persone al giorno, nella stima degli esperti del posto. Il dato, spiega Mittermair, «è preciso. E comprende anche i turisti che occuperanno gli 800 posti auto dei parcheggi in riva al lago. Abbiamo calcolato una media di due persone e mezzo ad auto». Alla messa in funzione del sistema di prenotazione (e riconoscimento targhe) si lavora da un anno, «ma adesso ci siamo. Ci aspettiamo una stagione turistica di maggiore qualità, meno traffico e un miglioramento generale della qualità della vita in valle».

Corriere del Trentino | 9 luglio 2022 p. 4 «Non è un progetto ecologico, serve più coraggio» «Il numero chiuso a Braies è un primo passo nella direzione giusta, ma non lo considererei un progetto ecologico. È una semplice questione di gestione dei flussi turistici». Dal Dachverband, è la direttrice Madeleine Rohrer a chiedere più coraggio alla Provincia, data l’importanza del paesaggio da tutelare. Per avere un progetto più verde, sarebbe stato necessario investire su autobus non inquinanti, come quelli elettrici, e bandire del tutto le auto: «In una visione lungimirante questi hotspot dovrebbero essere accessibili

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solo a piedi, in bici o con mezzi a zero emissioni» ribadisce Rohrer. Intanto il Dachverband effettuerà un monitoraggio dei provvedimenti in vigore da domani, che poi sarà sottoposto alla Provincia «per migliorare l’accesso e il management degli hotspot» . Il turismo sostenibile è d’attualità, soprattutto in questi giorni, per via della tragedia della Marmolada, e delle polemiche che ne sono seguite sulla necessità o meno di limitare l’accesso alle montagne in determinate condizioni. Nelle intenzioni della Provincia, far arrivare meno persone nei luoghi più sensibili è un modo per salvaguardare l’ecosistema. In questa direzione andava anche il tetto ai posti letto previsto nella legge provinciale sul turismo, oggetto proprio in questi giorni di uno scontro tra le correnti di albergatori e contadini interne alla Südtiroler Volkspartei dopo che la riforma era stata svuotata nella seconda commissione legislativa. Tornando a Braies, la limitazione all’accesso in auto, che poi si traduce in meno turisti al giorno, non sembra preoccupare troppo chi sul lago ci lavora: «Anche se avremo meno clienti si tratta di un provvedimento necessario. Speriamo che venga gestita bene, soprattutto per quanto riguarda il traffico verso la Val Pusteria» raccontano gli addetti della Palafitta, il noleggio delle barche sul lago. Il problema semmai diventa quello della permanenza dei turisti, che spesso sono solo di passaggio per un selfie: «Temo che la gente tenterà lo stesso di salire a Braies, dove la situazione già oggi è insostenibile. Io credo che si stia cercando di risolvere una situazione senza sapere bene come fare: il 70-80% delle persone neanche fa il giro del lago» commenta scettico il presidente della sezione altoatesina del Cai, Carlo Alberto Zanella, secondo cui i turisti mordi e fuggi difficilmente prenoteranno il parcheggio. Complicazioni che potrebbero sorgere pure per gli anziani, non sempre in grado di comprare un biglietto online con congruo anticipo. «Di sicuro — aggiunge Zanella — ci aspetta un’estate spaventosa dal punto di vista delle presenze. Ci sarà caos in bici e a piedi».

NOTIZIE DA ALTRI PATRIMONI MONDIALI Corriere della Sera | 1 luglio 2022 p. 25, segue dalla prima Prenotazioni, ticket e sconti: le regole per entrare a Venezia Fatale, magica, fragile e ora anche città pilota. Il progetto è rivoluzionario e ha due parole d’ordine: prenotazione e contributo d’accesso. Venezia si difende così dal caos del turismo di massa, con un clic che consente di prenotare la propria presenza in città e dà diritto a sconti su vari servizi, tipo trasporti pubblici e musei. Si parte dai vaporetti: da agosto il biglietto passerà da 7,5 a 9,5 euro ma chi prenoterà con un mese di anticipo continuerà a pagare il vecchio prezzo e risparmierà 5 euro di parcheggio. Ci sarà un portale e un codice Qr personale da esibire all’occorrenza, in modo da usufruire delle agevolazioni. Così, almeno, nella fase sperimentale che partirà in agosto e durerà tutto l’anno. Dall’inizio del prossimo, la svolta: scatta il ticket. Tutti i turisti che arrivano da fuori regione e non pernottano dovranno pagare un contributo, che varierà in funzione dell’anticipo con il quale si prenota e dell’afflusso previsto. Nelle giornate da bollino nero o rosso la tariffa naturalmente aumenta (chi pernotta non versa nulla in più perché paga già la tassa di soggiorno). «Sia chiara una cosa: non esiste il numero chiuso», si affrettano a precisare in Comune, dove oggi presenteranno il progetto dopo l’approvazione da parte della giunta del regolamento del contributo. Tutti potranno comunque entrare a Venezia ma la tassa da pagare in alcuni giorni caldi, come a Pasqua, Redentore e Regata Storica, è finalizzata a sconsigliare la visita (dai 3 ai 10 euro a persona). L’obiettivo è quello di regolare i flussi ed evitare che la città venga presa d’assalto. Nel 2023 dovrebbero tornare in funzione anche i tornelli alla stazione ferroviaria, cioè i varchi d’accesso alla città dove il turista dovrà passare il codice un po’ come allo stadio. Il sistema sarà governato dalla Control Room già attiva all’isola del Tronchetto, un po’ il Grande Fratello tecnologico che vigila su Venezia attraverso un centinaio di grandi monitor capaci di restituire le immagini di 360 telecamere e 40 contatori di persone piazzati su ponti, calli, canali e campielli. La presenza dei turisti viene rilevata anche attraverso l’accesso alle celle telefoniche. «Sia chiaro che non possiamo identificare le persone», hanno prudentemente precisato i responsabili della struttura pensando forse al garante della privacy. Il sindaco Luigi Brugnaro, che si prepara a lanciare la «città prenotabile», ha già spiegato le ragioni del cambiamento: overtourism che in alcuni giorni si traduce in oltre 100 mila turisti in centro storico: «A preoccupare sono i vacanzieri giornalieri che arrivano in maniera improvvisa la mattina e se ne vanno la sera e creano spesso intasamento... Abbiamo studiato questo sistema premiante: chi prenota potrà beneficiare di un risparmio evidente anche sul contributo d’accesso». Quello che lui chiama intasamento per Gianfranco Bettin, consigliere comunale di Venezia Verde progressista, è «caos insopportabile». Bettin, verde, uomo di sinistra e di opposizione, andrebbe oltre la prenotazione, che condivide: «L’idea è buona. Il problema è la marea di visitatori che stravolge il tessuto socioeconomico e demografico. Bisogna trovare il modo di arginare il mordi e fuggi e io dico che ci vogliono numero chiuso e interventi drastici. Staremo a vedere». E Venezia assomiglia sempre di più a Disneyland.

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OLIMPIADI: AGGIORNAMENTI Alto Adige | 2 luglio 2022 p. 32 Olimpiadi, gli ambientalisti chiedono precise garanzie al Cio massimiliano bona PUSTERIA Le associazioni ambientaliste non mollano la presa sulle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026, che come noto interesseranno in parte anche l'Alto Adige e la Val Pusteria in particolare. Questa volta Cai, Italia Nostra, Lipu, Pro Natura, Mountain Wilderness e Touring Club - ma anche diversi Comitati locali - si sono rivolti direttamente a Thomas Bach, presidente del Comitato Olimpico Internazionale (Cio). In assoluto le associazioni di protezione ambientale chiedono maggiore attenzione in merito agli impatti delle opere previste. Nel mirino ci sono, tra le altre cose, «l'ambiente a rischio in diverse località, i ritardi accumulati, le gare di bob da spostare e l'illuminazione della pista Stelvio» .Grande preoccupazione sulle opere e sui tempi.«Con questa lettera intendiamo manifestare la nostra fortissima preoccupazione in quanto ci siamo resi conto di come l'ambiente di alcune località sia a rischio a causa degli interventi che sono in corso o che si stanno progettando in preparazione delle Olimpiadi». Uno dei temi centrali è la necessità, per diverse amministrazioni, di accelerare per farsi trovare pronti. «I gravissimi ritardi finora accumulati vengono presi a pretesto per ricorrere a procedure speciali allo scopo sia di annullare ogni confronto con la società civile, e in particolare con gli stakeholders, sia di evitare le valutazioni ambientali previste dalla legge, o quanto meno di parcellizzarle depotenziandone l'efficacia». Patrimonio Unesco da tutelare e Vas. «Da tempo abbiamo chiesto ai competenti Ministeri italiani la redazione di un Piano unitario riguardante le opere e gli interventi essenziali, connessi e di contesto funzionali alla realizzazione dei Giochi da sottoporre a procedura di Valutazione Ambientale Strategica (Vas) nazionale - oltre che a Valutazione di Impatto Ambientale e a Valutazione di Incidenza Ambientale nei casi in cui quest'ultima sia prevista dalla normativa Ue - sottolineando che la maggior parte degli eventi si svolgerà all'interno del perimetro tutelato dalla Convenzione delle Alpi e una parte rilevante anche all'interno del territorio Dolomiti "Patrimonio dell'Umanità" dell'Unesco. Oggi noi chiediamo al Cio di intervenire al più presto per controllare che gli interventi in corso o progettati, strettamente funzionali allo svolgimento dei Giochi, non costituiscano violazione del principio di sostenibilità di cui all'Agenda 2020: lo chiediamo anche per evitare che - nell'immaginario collettivo di tutto il pianeta - le Olimpiadi invernali vengano collegate all'idea di aggressione alla montagna, di consumo di suolo e di spreco delle risorse finanziarie».Le tre richieste principali al Cio. «I tempi sono molto stretti e pertanto ci permettiamo di chiederLe di intervenire al più presto per affrontare seriamente, con Italia e Austria, la possibilità di spostare le gare di bob presso la vicina e funzionante pista di Innsbruck; scegliere l'opzione meno invasiva per quanto riguarda la sistemazione della famiglia olimpica nella costruzione di nuove infrastrutture rispettando gli standard ambientali anche promuovendo l'uso delle strutture ricettive esistenti; impedire la realizzazione dell'illuminazione della pista Stelvio e di tutti gli impianti di risalita non strettamente funzionali alle gare dei giochi olimpici». E poi un impegno: «Non mancheremo di segnalare al Cio, come all'opinione pubblica, ogni tentativo di sottrarsi alle valutazioni ambientali, ogni spreco di risorse finanziarie».«Guarderemo con particolare attenzione agli impianti di innevamento artificiale e soprattutto ai bacini per il prelievo idrico, che, a causa del cambiamento climatico, rischiano di diventare un modello devastante per le montagne di tutto il mondo».©RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 2 luglio 2022 p. 37 Pista da bob: nuovo affondo della Guarda (Europa Verde) CORTINA Per progettare e quindi realizzare la pista di bob ci sono tutta una serie di vere e proprie prescrizioni da rispettare. Sull'argomento ritorna la consigliera regionale Cristina Guarda (Europa verde). «Quanto sta emergendo è non solo allarmante per l'impatto che tutto questo potrà avere sull'ambiente e sulle tasche dei contribuenti, ma dimostra ancora una volta come la nostra opposizione non sia mai stata ideologica, ma frutto di osservazioni e timori che purtroppo stanno trovando conferma. Nonostante i diversi atti ispettivi presentati», spiega l'esponente di Europa verde, «apprendiamo che sul tavolo della Conferenza dei servizi sarebbe giunto un progetto che metterebbe il territorio in ginocchio. Da quanto emerge, l'infrastruttura non sarà la riqualificazione della storica pista Eugenio Monti, ma un'opera nuova, dalla lunghezza che supera i 2000 metri, con un eccesso di 11. 160 metri cubi di terra e la realizzazione di sei edifici per un totale di 18 mila metri cubi e quasi 5. 000 metri quadrati». --f.d.m.

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Corriere delle Alpi | 3 luglio 2022 p. 27 Olimpiadi 2026, obiettivo sostenibilità Lorenzi: guadagniamo in infrastrutture cortina «Piaccia o non piaccia, la pista da bob sarà per Cortina l'occasione per bonificare un'area oggi degradata. La struttura riempirà gli alberghi quando sarà in funzione e ci darà l'occasione di visibilità all'esterno: nei paesi nordici questo sport è importante e potremmo beneficiarne». Il sindaco di Cortina Gianluca Lorenzi liquida con poche parole la questione della pista da bob, da molti osteggiata a Cortina per l'eccessiva spesa in rapporto ai pochi praticanti in tutta Italia, ma soprattutto per il grande impatto sul territorio. La questione è tornata al centro del dibattito in questi giorni, in seguito alla pubblicazione venerdì su Ilfattoquotidiano.it dei contenuti dello studio di fattibilità tecnico economico e i relativi rendering di come sarà il nuovo impianto. Lorenzi è intervenuto all'ultimo incontro della settimana di Cortina Tra le righe, dedicata ai corsi di formazione professionale per giornalisti, che si è conclusa ieri, sul "Comunicare la sostenibilità, quando si parla di turismo e Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026". Al tavolo con Lorenzi, Silvia Cavazzi, sindaca di Bormio, Remo Galli sindaco di Livigno, Erwin Hinteregger, ceo Idm Alto Adige, e la partecipazione della grande campionessa di sci alpino Federica Brignone. Ogni rappresentante dei quattro Comuni ha illustrato i propri progetti e le iniziative per la sostenibilità ambientale e la tutela del territorio, che sono indicazioni dal Cio. Lorenzi ha spiegato che la sua giunta punta a «fare sistema con i privati per porsi come acceleratore per l'offerta turistica». Altre nuove strutture per le Olimpiadi saranno il nuovo impianto di collegamento dal centro a Socrepes con relativo parcheggio da 700 posti auto e il villaggio olimpico. «L'impianto e il parcheggio ridurranno il traffico di auto sulle strade; il villaggio olimpico potrà essere un'opportunità se sarà una risorsa, potremo riutilizzare gli alloggi per i dipendenti delle aziende di Cortina». «Il punto decisivo per me - ha detto il nuovo sindaco - è che i progetti olimpico dovranno lasciare un'eredità alla comunità e al territorio».Vale per ciascun territorio. «Sulla sostenibilità abbiamo ricevuto degli input precisi» ha iniziato Silvia Cavazzi. «Attraverso un accordo con i privati siamo riusciti ad acquisire delle strutture dismesse che si trovano in centro nei pressi della finish area. Un primo traguardo, che ci porterà in seguito non a fare nuove costruzioni, ma a recuperare quelle vecchie e puntare su strutture mobili. In progettazione anche un parcheggio in centro da collegare con la rete ciclo pedonale, oltre ad una bretella di collegamento: strutture che rimarranno» ha spiegato.Livigno dice "No" al villaggio olimpico e punta a riqualificare i grandi alberghi della zona per ospitare gli atleti. «Non faremo nuove costruzioni» ha affermato il sindaco Galli. Dall'altra parte, tuttavia, ammette che «un po' di paesaggio si dovrà sacrificare per una migliore vivibilità sotto il profilo turistico». Si riferisce al collegamento già finanziato dalla Regione tra i due versanti sciistici «che ridurrebbe il traffico del 23%», dice, e della realizzazione di due laghetti alpini «In un periodo di siccità come quello che stiamo vivendo sono importanti». Erwin Hinterreger racconta che in Anterselva, dove si svolgeranno le gare di biathlon, «lo stadio c'è già, si faranno solo interventi di sistemazione. La vera sfida per noi è la mobilità - ha aggiunto - intervenendo sulla linea ferroviaria della Val Pusteria e sul collegamento bus». --Marina Menardi © RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 7 luglio 2022 p. 28 Pista da bob, i dubbi stavolta sono della Corte dei Conti CORTINA Torna a far parlare di sé il progetto di riqualificazione della pista di bob di Cortina. Martedì, nell'aula udienze della sede della Corte dei Conti, a Venezia, ha avuto luogo il giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Veneto riferito all'esercizio 2021. Durante la seduta, come rendono noto la consigliera regionale Cristina Guarda di Europa Verde e il capogruppo di "Cortina Bene Comune" Roberta de Zanna, si è discusso anche delle Olimpiadi di Cortina del 2026 e degli impianti previsti.«La Corte», rivela in una nota de Zanna, «al di là del tono misurato usato dai giudici, ha avuto parole assai dure nei confronti dell'organizzazione delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026. In particolare ha osservato che desta perplessità la complessa e stratificata architettura di sistema venutasi a creare con l'istituzione di più enti tra i quali sono state ripartite le competenze, senza che vi sia un netto e chiaro riparto tra esse, ed ha manifestato preoccupazione per la realizzazione di tutte le opere correlate e/o connesse con la gestione dell'evento, in considerazione dei tempi stretti che rimangono e dei ritardi già rilevati. Allo stato, non risulta nemmeno adottato un cronoprogramma degli adempimenti e dei costi generale».Il proliferare di soggetti che intervengono all'interno dello stesso ambito di azione, con contorni che rimangono ancora vaghi, imporrà, volta per volta, il capire chi deve fare cosa, con un aggravio di tempi, procedure e costi. Il sistema appare complicato, contrario all'ottica di semplificazione e di velocizzazione che si intende perseguire - ha osservato la Corte - e inoltre appare prevedibile un aumento dei costi che andrà accuratamente monitorato.De Zanna e i suoi durante tutta la campagna elettorale, ma anche prima, avevano manifestato contrarietà al progetto inerente la pista di bob "Eugenio Monti".«La Corte», sottolinea de Zanna, «ha chiaramente esplicitato quello che "Cortina Bene Comune" ha sempre sostenuto durante la campagna elettorale.

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Abbiamo avuto la fiducia di oltre il 22 % degli elettori. Riteniamo sia ora urgente che la nuova Amministrazione prenda atto della situazione e guidi il paese fuori da quella supina acquiescenza a decisioni esterne che ci sta esponendo a gravi pregiudizi ambientali, economici e di immagine. Siamo ancora in tempo. Ci riferiamo in particolare al progetto di nuova pista da bob i cui costi sono già lievitati dai 48 milioni di euro previsti nel dossier di candidatura agli 85 milioni attuali e sono destinati a superare i cento, come avvenuto con la pista di Cesana per Torino 2006. Le notizie trapelate indicano che la nuova pista sarà un ottovolante simile, anche se in scala minore, a quella di Pechino 2022. L'alternativa c'è», conclude de Zanna, «per disputare le gare ed è la pista di Igls-Innsbruck, come suggerito anche dal CIO, che i nostri vicini tirolesi metterebbero volentieri a disposizione in un'ottica di proficua collaborazione». -alessandra segafreddo© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gazzettino | 16 luglio 2022 p. 13, edizione Belluno «La pista da bob sarà utilizzata anche dopo le Olimpiadi» La Federazione internazionale bob e skeleton, nel congresso di Losanna, ha accolto con entusiasmo la presentazione dei progetti per rifare la pista di bob di Cortina. Lo sottolinea Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, che torna con rinnovato entusiasmo dalla trasferta in Svizzera, dove ha riscosso il plauso dei dirigenti mondiali, primo fra tutti Ivo Ferriani, già pilota di bob, confermato presidente della federazione. «Il congresso di Losanna è stato occasione importante per presentare ufficialmente alla Federazione le scelte che intendiamo portare avanti per riqualificare la storica pista Eugenio Monti di Cortina. Un'opera importante che ci permetterà di essere protagonisti nei Giochi olimpici invernali 2026», commenta Zaia. IL CRONOPROGRAMMA E' stato delineato il passaggio di consegne delle progettazioni alla società Infrastrutture Milano Cortina 2026 e al commissario straordinario Luigivalerio Sant'Andrea, in vista della realizzazione del nuovo impianto. E' stato depositato anche il cronoprogramma, con evidenza delle date, per le verifiche dei tecnici delle federazioni. La Regione Veneto, dopo aver mostrato la center line e tutti i dati tecnici di interesse degli atleti, ha ribadito ciò che Zaia aveva già chiesto alle federazioni: che si consolidi la collaborazione, cominciando a programmare su Cortina, già dalla stagione agonistica 2027, appuntamenti di Coppa del modo e Coppa Europa, con gli allenamenti. Si vuole così garantire l'utilizzo dell'impianto anche dopo i Giochi 2026, assicurando vitalità alla struttura. UN LUOGO SIMBOLO «Losanna è stata una bella opportunità per mostrare cosa stiamo facendo ai vertici delle organizzazioni dei fruitori finali della pista: è il passo necessario per iniziare a fare marketing e promozione della nuova pista del Veneto, chiedendo a tutti i presenti la massima collaborazione, sia per la realizzazione tecnica, sia l'impegno per la sostenibilità futura», aggiunge Zaia. Il presidente Ivo Ferriani ha commentato: «L'intervento della Regione ha finalmente dato contezza di cosa si sta facendo a Cortina ed in Italia per le nostre discipline, in vista dei Giochi 2026, e dimostra la sensibilità del presidente Zaia per lo sport. I partecipanti al congresso si sono congratulati delle scelte fatte per recuperare uno dei luoghi simbolo degli sport invernali. Ciascuno ha preso molto positivamente l'invito di Elisabetta Pellegrini, ingegnere della Regione Veneto, rivolto all'utilizzo della pista per i grandi eventi sportivi post olimpici, non appena saranno iniziati i lavori, avanzando già delle ipotesi». Alla Federazione è stato chiesto anche di inserire la disciplina del bob fra le gare delle Paralimpiadi invernali, considerato che la Eugenio Monti sarà la prima pista da bob al mondo completamente accessibile. Infine Zaia si è complimentato con Ferriani per la rielezione a presidente Ifbs: «Il suo ruolo sarà fondamentale nel percorso da compiere assieme per realizzare l'infrastruttura sportiva, che diventerà l'emblema di questi Giochi a cinque cerchi. Continueremo a collaborare con il commissario, monitorando i tempi: la pista da bob sarà un sorvegliato speciale». Marco Dibona

COLLEGAMENTO TIRES – MALGA FROMMER Corriere dell’Alto Adige | 9 luglio 2022 p. 6, segue dalla prima Tires, accuse ecologiste La replica: tutto in regola

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di Chiara Currò Dossi Ottenuto l’accesso agli atti, nei Comuni di Tires e Nova Levante, (Cai, Alpenverein, Dachverband e Mountain wilderness hanno scoperto che, nella stazione a valle della funivia Tires-malga Frommer, alcuni locali sono stati interrati. Il timore è che si tratti di una misura temporanea per ottenere le autorizzazioni alla riapertura dell’impianto. La buona notizia è che i Comuni di Tires e Nova Levante hanno acconsentito alla richiesta delle associazioni ambientaliste (Cai, Alpenverein, Dachverband e Mountain wilderness) di accedere agli atti relativi al progetto della nuova funivia Tires-malga Frommer. La cattiva, che è emersa la presenza di alcuni locali interrati riempiti di terra e quindi chiusi. Il sospetto delle associazioni, assistite dall’avvocato Laura Polonioli, «è che questa sia la modalità con la quale la società proprietaria dell’infrastruttura (la Funivia Tires Spa, ndr ) abbia ritenuto di sanare l’opera». Provvisoriamente. «Di fatto — osserva —, i locali ci sono. Semplicemente, sono stati riempiti e chiusi». Gli ambientalisti non arretrano di un millimetro. E l’epopea del nuovo collegamento tra San Cipriano e malga Frommer si arricchisce di un nuovo capitolo. L’impianto, prima cabinovia «cabrio» d’Italia, era stato inaugurato il 10 febbraio. Appena trentasei giorni più tardi, il 18 marzo, era arrivata l’ordinanza del sindaco di Tires, Gernot Psenner, che disponeva «l’immediata sospensione dell’esercizio» per la mancanza del certificato di agibilità della stazione a valle e del nullaosta necessario all’esercizio. I gestori avevano tenuto duro, sostenendo di essere in possesso di tutti i requisiti del caso, e ipotizzando di poter essere costretti, tutt’al più, a pagare una sanzione pecuniaria, ma non a fermare l’impianto. Cosa che però era avvenuta tre giorni dopo, il 21 marzo. A corroborare la tesi degli ambientalisti, il 18 giugno era arrivata anche la «bandiera nera» di Legambiente, assegnata al collegamento con i suoi «piloni altissimi che svettano simili a scheletri su un territorio già devastato dalla tempesta Vaia nel 2018», con un finanziamento pubblico di 11,3 milioni di euro, pari al 75% del costo totale dell’opera (15,5). Un «contributo a fondo perduto» deliberato dalla giunta provinciale, definito «un’offesa pesante non solo all’ambiente, ma anche al paesaggio e alla cittadinanza. Un altro caso in cui le tasse della collettività sono spese per drogare un’economia che sempre più spesso si sostiene solo grazie a soldi pubblici a scapito dell’ambiente, da tempo in crisi a causa del cambiamento climatico e delle molte pressioni antropiche». Non bastasse la polemica sul contributo pubblico (a un impianto sdoganato come parte dei collegamenti per il nuovo piano della mobilità sostenibile di Carezza) erano emersi dei sospetti anche sulla conformità dell’impianto al progetto. In particolare per quel che riguarda la stazione a valle: il timore è che i proprietari abbiano riempito di terra i locali «in più», di modo da far risultare una cubatura complessiva inferiore a quella esistente. «Abbiamo verificato — spiega Polonioli — e constatato che, effettivamente, alcuni locali tecnici sono stati riempiti di terra e chiusi. Abbiamo presentato le nostre osservazioni all’Agenzia per l’ambiente della Provincia (Appa), chiedendo che non venga rilasciata la concessione. Ci muoviamo a livello amministrativo: entro l’autunno, la Conferenza dei servizi è tenuta a esprimersi». Di tutt’altro avviso Martin Damian, presidente dalla Funivia Tires Spa. «La cubatura è quella che è stata approvata — rivendica —, così come la superficie, anche se non è identica a quella del progetto iniziale. Per questo abbiamo chiuso alcuni vani e presentato una variante, ora in attesa di un parere della Provincia». Il presidente rassicura circa l’impossibilità di riaprirli: «Ci vorrebbe un nuovo progetto — spiega —, che non è detto verrebbe approvato». Quel che è certo, è che ogni giorno di chiusura dell’impianto, è un giorno di incassi mancati. «Non abbiamo quantificato le perdite — spiega Damian —, ma è chiaro che essere ancora fermi, all’inizio dell’alta stagione, e con un impianto pronto, è un disagio per tutti. Per noi, come per i turisti. Speriamo che la nostra richiesta venga vis ionata il prima possibile».

SASSOLUNGO: LE RICHIESTE DI MAGGIOR TUTELA Alto Adige | 26 luglio 2022 p. 34 «Sassolungo e Plan de Cunfin: la tutela è urgente» Appello degli ambientalisti VAL GARDENA Presa di posizione congiunta di Protezionisti, Heimatpflegeverband, Lia per Natura y Usanzes, Nosc Cunfin e Lia da Mont sulla richiesta di riconoscimento come parco naturale del Sassolungo e sul sopralluogo congiunto con l'assessora provinciale Kuenzer. Il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico chiede che fino al 50% delle superfici non siano più utilizzate intensivamente e vengano quindi restituite alla natura. Gli ecosistemi sani sono più resistenti di fronte ai cambiamenti climatici. Gli ecosistemi danneggiati devono quindi essere risanati, e protetti quelli ancora intatti. Questo vale anche per il Plan da Cunfin. «Ci

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appelliamo alla giunta provinciale affinché protegga i nostri monti e la loro bellezza da uno sfruttamento senza freni», così Engelbert Mauroner della Lia per Natura y Usanzes e Tullio Mussner della Lia da Mont. In considerazione dei rapidi cambiamenti climatici e della moria di numerosi tipi di piante ed animali sono quindi urgenti provvedimenti che frenino l'attuale andamento, a tutela della natura. Il Plan da Cunfin sotto al gruppo del Sassolungo si trova già nel mezzo di una fitta rete di impianti di risalita tra Sellaronda e Alpe di Siusi, ed è di immenso valore. I consigli comunali di S. Cristina e Castelrotto nel 2020 si sono accordati per avviare uno studio di fattibilità per un collegamento tecnico sciistico tra Monte Pana e Saltria sull'Alpe di Siusi. «Un collegamento non solo rovina i prati umidi, unici nel loro genere, ma inoltre mette in pericolo le fonti di acqua potabile del comune di Ortisei e non comporta una soluzione al problema del traffico in Val Gardena», ricordano Valentine Kostner e Heidi Stuffer di Nosc Cunfin. Per loro è incomprensibile il motivo per cui fino ad oggi la giunta provinciale non abbia previsto l'inserimento del gruppo del Sassolungo e del Plan da Cunfin tra i parchi naturali. Questo corrisponde anche al desiderio della popolazione del luogo, che appunto si identifica fortemente con questo paesaggio e vede il gruppo del Sassolungo come il loro simbolo di casa. Circa l'80% dei partecipanti al sondaggio organizzato da Nosc Cunfin, all'inizio dell'anno, si é pronunciata a favore della messa sotto tutela

NOTIZIE DAL CORPO NAZIONALE DEL SOCCORSO ALPINO Gazzettino | 2 luglio 2022 p. 10, edizione Belluno Soccorsi in quota già saliti del 10% «Un altro elicottero serviva davvero» L'elicottero Delta Echo è decollato anche ieri, dalla base temporanea sull'aviosuperficie di Fiames, a Cortina, per interventi di soccorso e di recupero di escursionisti. Era partito già venerdì, pochi minuti dopo la presentazione del nuovo servizio sperimentale, che affiancherà l'elicottero Falco del Suem 118 di Pieve di Cadore, coordinati entrambi dalla stessa centrale. IL SECONDO ELICOTTERO A volere con forza questa novità è stata Dolomiti Emergency, l'associazione presieduta da Laura Menegus: «L'ideazione è nostra conferma e per questo abbiamo creato un gruppo di lavoro che, oltre a me, comprende Dimitri De Gol, Chiara Da Damos e Giovanni Cipollotti. Ci siamo impegnati per un anno, per riuscire a creare un modello. L'intento è far capire alla Regione quanto importante sia, durante le stagioni estiva e invernale, avere un secondo elicottero in provincia. Infatti la Regione ci ha dato il supporto, insieme all'Ulss; ha erogato centomila euro per il progetto. A questo punto vogliamo portare numeri, dati, statistiche, che facciano capire quanto è importante disporre del secondo velivolo, invece di dover chiamare un elicottero da fuori provincia, con tempi più lunghi, quando il Suem è già impegnato. Così c'è anche la possibilità di coprire l'arco intero della giornata: un elicottero può volare soltanto dodici ore e attualmente quello del Suem vola dalle 9 alle 21. Se invece usciamo per soccorsi, come è accaduto in questi giorni, già alle 6 del mattino, si capisce la necessità del secondo mezzo». 5 PER MILLE E SPONSOR Dolomiti Emergecy è in crescita, con numerose adesioni fra le persone che frequentano la montagna: «Devo dire grazie ai nostri soci, che sono passati da 9mila a 18mila, in questi sei anni della mia presidenza ha spiegato Laura Menegus e tanti ci aiutano anche con la firma del 5 per mille, che lo scorso anno ci ha fruttato 50mila euro. Poi ci sono gli sponsor, davvero tanti, aziende del territorio che credono in noi e ci sostengono, con contributi e in altre forme». Si sta affrontando una estate intensa, con tante chiamate di soccorso, anche se non tutte sono di somma urgenza: «E' vero commenta Laura Menegus soprattutto dopo la pandemia, la montagna è stata riscoperta anche da persone non esperte e ci sono stati tantissimi recuperi in più. Quest'anno la differenza si è vista addirittura già a metà maggio, per cui sicuramente ci saranno dei numeri importanti, a fine stagione». IL PRIMO SEMESTRE Il 18 giugno, a Cortina, all'incontro sul coordinamento delle istituzioni che si occupano di soccorso in montagna, Rodolfo Selenati, il presidente del Cnsas Veneto, aveva riferito: «I numeri sono in salita; dal 1 gennaio a oggi abbiamo già 424 interventi, con 440 persone soccorse: a metà giugno c'è ormai un aumento di oltre il 10 per cento sul 2021. Continuo a notare interventi anomali: spossatezza o perdita di orientamento. Bisogna lavorare bene per eliminarli: innescare una cultura della montagna, già dalle scuole». Corriere delle Alpi | 11 luglio 2022 p. 9 Barattin: tanta gente ad alta quota anche dopo la strage sul ghiacciaio

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la testimonianza Il fascino irresistibile delle Dolomiti. Tantissima gente anche ieri sulle montagne bellunesi, tra alpinisti e semplici escursionisti. Sia turisti che locali. A meno di una settimana dalla tragedia sotto il seracco della Marmolada, ieri sono stati innumerevoli gli interventi degli uomini di Soccorso alpino, 118, Soccorso alpino della Guardia di finanza e Aiut Alpin. Sul campo e in cielo, tutti gli uomini e gli elicotteri disponibili, per recuperare feriti, contusi e purtroppo anche una persona deceduta.Non c'è una contabilità precisa, ma «siamo ai livelli di una giornata di agosto», sottolinea il delegato del Cnsas, Alex Barattin, che ieri era ancora a Canazei per le operazioni di recupero dell'ultimo corpo restituito dal ghiacciaio della Marmolada, «le chiamate sono state numerosissime e non dev'essere stato per niente semplice gestirle tutte. I ragazzi sono stati impegnati per tutta la giornata e hanno fatto un grande lavoro in ogni situazione».Nessuna situazione potenzialmente a rischio come quella della Marmolada, ma un vero assalto a sentieri, rifugi e cime: «Ce ne siamo accorti già in mattinata, quando abbiamo dovuto affrontare una coda infinita, anche solo per arrivare a passo Fedaia e scollinare dall'altra parte. Si continua ad andare molto volentieri in montagna, mettendo anche in conto il fatto che possa accadere un imprevisto. Purtroppo capita e noi ci siamo apposta». Quello che non deve mai mancare, nei confronti delle crode, è il rispetto. Non ci può essere spazio per chi improvvisa e si presenta sul sentiero con le infradito brasiliane o al rifugio in bermuda come all'ora dell'aperitivo. Così si va al mare: «Non ci si può permettere d'improvvisare in montagna, questo è sicuro e lo andiamo dicendo da sempre, non sempre ascoltati. Occorre essere adeguatamente attrezzati, a meno che non si tratti di una passeggiata senza alcuna insidia e, comunque, sempre grande attenzione. Per quello che so da Canazei, ieri non sono stati registrati casi di questo tipo e meno male. La maggior parte degli interventi ha riguardato alpinisti, che si sono trovati in difficoltà ed erano consapevoli di quello che stavano facendo e senz'altro preparati. L'incidente può capitare e noi soccorritori dobbiamo essere pronti a intervenire con la nostra esperienza e le nostre conoscenze».In altri tempi, si andava sui monti a prendere il fresco. Afa era una parolina sconosciuta, al di fuori delle città della pianura. Con il cambiamento climatico in corso, questo non è più tanto vero: «La temperatura in quota è senz'altro più gradevole», osserva Barattin, «ma non c'è dubbio che si sia alzata, rispetto ad anni fa. Questo può essere un fattore di rischio in più e non va certo sottovalutato. Il clima, adesso, è questo, e occorre moltiplicare l'attenzione». --G.S.© RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 13 luglio 2022 p. 17 Montagna, il pericolo viene dai social «Consigli errati e superficiali, state attenti» Francesco Dal Mas BELLUNO Ma si può andare in alta montagna seguendo il tutorial che si trova su youtube? «Altro che social. Ti capita di vedere escursionisti che si orientano al cellulare, con il tutorial, appunto, che ti consiglia tutto, dalle scarpe da calzare al ritmo da tendere, ma non ti indica magari il pericolo e il tratto esposto», racconta Marco Spazzini, a capo delle guide del Veneto. La montagna digitale. Ma il soccorso, quando accade l'incidente, è reale."Una volta arrivati con la funivia sul Pordoi, qual è il miglior giro da fare?" si chiedeva ieri, su un noto gruppo social, un escursionista probabilmente improvvisato. Consiglio come risposta: "Io eviterei la funivia, andrei su per la forcella del Pordoi, poi Capanna Fassa, Rifugio Boè, tornerei indietro fino al Rifugio Maria e prenderei la funivia per scendere al passo". Immaginiamo che cosi quel passeggiatore abbia fatto. «Ci auguriamo che gli sia andata bene, ma quell'invito era quanto meno improprio, perchè non si sa a chi è rivolto», commenta Rodolfo Selenati, capo del Cnsas veneto.I social, dando spazio all'improvvisazione, sono quanto di più rischioso si possa immaginare per chi perlustra le alte quote. Che il più delle volte non conosce i luoghi dove si avventura. «Ma sapete che su questi social», chiede, sorpreso lui per primo, il presidente Selenati, «ci sono mamme al nono mese che chiedono percorsi in montagna adatti alla loro condizione; persone che si ritrovano senza conoscersi; altri che consultano qualche blog quando si svegliano e poi si lanciano magari in camminate di due o tre ore. Altri ancora che fanno colonna lungo il sentiero per il Sorapis, solo perché hanno visto splendide foto sul sito di determinati influencer affrontando. Senza contare chi dà consigli sbagliati». E i siti che celebrano itinerari da suggestione, magari con tanto di foto, ma che ovviamente non descrivono i pericoli? "Ciao a tutti - leggiamo. "Avrei intenzione di andare a fare la Ferrata delle Trincee. Ricordo che l'inizio è caratterizzato da un muro di 20/30 metri da superare in aderenza. Il mio ricordo risale a più di 25 anni fa. Qualcuno sa dirmi se è rimasto così o se hanno messo una scaletta per agevolare la salita?". È un altro post di questi giorni. Tanta leggerezza è testimoniata dalla superattività del Soccorso alpino di questi giorni: «Prima di intraprendere qualsivoglia percorso, è indispensabile consultare il bollettino molto meticoloso dell'Arpa, una guida del Cai, scritta da chi quel sentiero lo ha percorso», afferma Selenati. «Non va improvvisata neppure la più semplice camminata. I soccorsi di questi giorni certificano che in molti casi le persone non sono attrezzate, a volte neppure delle scarpe adatte». Lo sfinimento e il disorientamento costituiscono il motivo delle chiamate più frequenti. «È un'altra prova dell'impreparazione», insiste il presidente Cnsas. «Ci sono tanti che mitizzano il fatto di andare da soli, che è la cosa più pericolosa che esista».Lo ammette anche la guida alpina: «Arrivano da soli, magari però chiedono l'accompagnamento della guida e che cosa pretendono? Di essere portati dove vogliono loro, perché pagano. E dicono che quella salita è praticabile perché l'hanno vista su

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youtube. È evidente che nessuna guida va a rischiare», sospira amaramente Spazzini. «La montagna, l'arrampicata come self service proprio no».«Proprio così», ammette Selenati. «C'imbattiamo in gente che va in determinati posti solo per fare una fotografia: poi si trovano in difficoltà perché non sapevano del rischio, del pericolo. Non possiamo che ricordare a tutti la necessità di una cultura di base della montagna: necessaria prima di intraprendere qualsiasi cammino, fondamentale per quelli impegnativi come può essere una ferrata. Un avvicinamento graduale, che implica allenamento, conoscenza dei propri limiti (vedi paura del vuoto), percezione dei rischi, vicinanza all'ambiente, imparare a rinunciare». --© RIPRODUZIONE RISERVATA

NOTIZIE DAI COLLEGI DELLE GUIDE ALPINE E ACCOMPAGNATORI DI MEDIA MONTAGNA Alto Adige | 29 luglio 2022 p. 23 Caldo in quota, le guide alpine: «Imparate a valutare i rischi» Bolzano Il cambiamento climatico, la poca neve invernale, la siccità, il caldo torrido. Incidono molto anche sull'alpinismo e in particolare sulla sua forma più direttamente ancillare anche al sostegno economico del turismo altoatesino, ossia le guide alpine. Un mestiere sempre più difficile, dove saper valutare quando e se effettuare una salita è sempre più complicato. E in futuro lo diventerà ancora di più. Ma coinvolti saranno anche i normali frequentatori dell'alta montagna - ghiacciai e pareti - i quali dovranno imparare che se prima una certa ascensione era fattibile quasi sempre, ora non è detto che lo sia. Vigilare, sempre. E coinvolta verrà anche la politica turistica. A partire dalla necessità di introdurre incentivi per chi parte presto al mattino, non intasa le strade, non rischia incidenti perché non si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato, non gravando così sui costosissimi soccorsi. E questo coinvolgendo anche gli albergatori: «Anticipino le colazioni». Non è la panacea, ma chi parte presto e torna presto rischiava già meno prima, ancor meno ora. Lo spiega il presidente delle guide alpine altoatesine Kurt Walde.Sulle Occidentali va peggioSe sulle Alpi Occidentali i locali collegi delle guide alpine sono stati costretti a cancellare certe salite al Bianco o al Cervino, in Alto Adige va diversamente. «La valutazione è molto individuale», chiarisce Walde. «La guida alpina è stata formata in questo modo: decide all'ultimo momento; non è che se hai scelto una salita x giorni fa col cliente poi la fai comunque; se ci sono certi pericoli cambi itinerario. È sempre stato così». La valutazione del rischio fa parte della formazione di base delle guide. Ora però si deve porre ancora più attenzione. «È chiaro che avvertiamo dei pericoli connessi al riscaldamento globale, c'è un gran caldo anche in quota e bisogna chiaramente tenerne conto». Sempre di più.Non sempre si puòUn esempio: sul Sasso Nero in valle Aurina le condizioni del ghiacciaio ora come ora sono ottime, poco ripido o addirittura pianeggiante, ha nevicato abbastanza in inverno. «Invece - prosegue Walde - se dal Sasso Nero si attraversa su ghiacciaio dietro al rifugio bisogna fare molta attenzione, c'è il rischio di caduta sassi da entrambi i lati. Occorre valutare quando, in che momento della giornata posso andare. Bisogna evitare l'uscita del sole o quando in generale fa più caldo. Valutare quando e dove, per evitare il pericolo».Walde ha appena tenuto un corso ghiaccio con dei clienti «che volevano imparare le tecniche su ghiacciaio, come fare per uscire da un crepaccio, come comportarsi con questo caldo».Un'altra zona delicata è quella di Ortles e Gran Zebrù. «È sempre delicato, lì; a un certo momento della stagione le guide del posto decidono che certe salite non si fanno più. Quest'anno per ora va ancora, ma la situazione è molto delicata, sotto i seracchi, nel passaggio dei crepacci per raggiungere il ghiacciaio principale. Si deve cambiare itinerario, si trovano soluzioni alternative come posizionare delle scale per passare i crepacci. Senza "aiuti" si rischia di non riuscire più a salire».Negli anni, tutto diversoLa situazione, negli anni, è cambiata moltissimo, conferma Walde. «Ogni anno peggiora, specie sulle Alpi Occidentali, dove in certe zone i colleghi hanno grandissimi problemi a fare certe vie che prima si salivano senza problemi. C'è la questione degli avvicinamenti, per esempio, in zone dove le rocce magari prima erano tenute insieme dal ghiaccio, ma adesso il caldo entra in profondità, rendendo instabili i versanti». In Alto Adige va un po' meglio perché le guide in alternativa possono proporre le Dolomiti, che sono rocciose. «Ma noi non siamo estranei al fenomeno, sta cominciando anche da noi».Alzare il livello di guardiaWalde prosegue spiegando che anche in estate occorrerà alzare il livello di guardia, al pari di come prima si faceva in inverno, per eliminare quanto più possibile il rischio di valanghe. «Si dovrà valutare il rischio ancor più del solito, riconoscere il pericolo, conoscere le condizioni atmosferiche e climatiche oltre che tecniche». Si dovranno scegliere itinerari con alte probabilità che si verifichino solo piccole conseguenze. «E questo in futuro non varrà solo per le guide». Anche le persone comuni, gli alpinisti della domenica, «dovranno imparare a valutare il rischio». Tutti, nessuno escluso.«Fate colazione prima»Un problema, grosso, è anche questo: «In Alto Adige in tanti alberghi servono la colazione molto tardi e già questo per via dei temporali e del riscaldamento in quota... Le ore mattutine andrebbero sfruttate meglio. Se la colazione è alle 7.30-8, poi tutti partono alle 8.30-9, troppo tardi, per di più stesso bus, stesso parcheggio, stessa montagna, stessa via...» Secondo Walde bisognerebbe trovare degli incentivi: «Vai a fare il giro dei

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Quattro Passi in bici? Parti alle 5, ti faccio parcheggiare gratis e poi è bellissimo perché te lo fai senza traffico». Bisognerebbe distribuire meglio i flussi durante tutto il giorno. «Sempre però tenendo conto che al pomeriggio i temporali sono molto più probabili». Walde però è ottimista, «perché vedo che la politica turistica sta cercando alternative». Ma anche i turisti dovrebbero cambiare le loro abitudini: «Da una vacanza pigra ad una più attiva. Non avete idea di che bello sia andare in Lavaredo alle 5 del mattino arrivando in cima alle 8 o alle 9». DA.PA

NOTIZIE DAI PARCHI Alto Adige | 6 luglio 2022 p. 13

Messaggero Veneto | 12 luglio 2022 p. 33, edizione Pordenone Cura dei sentieri Fondi dalla Regione per 700 mila euro Fabiano Filippin Cimolais Settecentomila euro per tenere in costante manutenzione e riqualificare oltre 200 chilometri di sentieri: il Parco naturale delle Dolomiti friulane si è visto assegnare questo contributo dalla direzione regionale alle foreste. «Siamo grati all'assessore Stefano Zannier per aver ottenuto questo stanziamento, oggi più che mai indispensabile per il rilancio del turismo nelle montagne della Destra Tagliamento - ha detto il presidente dell'ente Parco e sindaco di Erto e Casso, Fernando Carrara -. Immagino che qualcuno creda che sarebbe stato meglio investire questi soldi pubblici su strade e carreggiate. Sarebbe un errore di valutazione: i nostri boschi sono frequentati da migliaia di visitatori ogni anno, con ricadute economiche che sconfinano in pianura. Dobbiamo garantire agli escursionisti la sicurezza nell'affrontare territori spesso impervi e franosi».È proprio il problema del dissesto idrogeologico a preoccupare di più Carrara. «La tempesta Vaia del 2018 ha lasciato profondi danni sull'intera sentieristica di nostra competenza - ha riferito l'amministratore -. In questi mesi molto è stato fatto, ma molto deve ancora essere portato a termine. Abbiamo centinaia di chilometri di percorsi da monitorare, sistemare quando serve e tenere puliti. Con i fondi riconosciuti da Zannier potremo portare avanti il progetto di ripristino e di gestione che abbiamo preso in carico all'indomani di Vaia».La rete di itinerari del Parco si estende sino alla Carnia e attraversa siti tutelati dall'Unesco per il loro carattere selvaggio e non antropizzato. «Bisogna disporre in ogni momento di accessi

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funzionali alle singole vallate per assicurare tempestività nei soccorsi e nelle operazioni antincendio, non rari in questo periodo dell'anno», ha concluso Carrara. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’Adige | 29 luglio 2022 p. 30 Duecento anni di carte geologiche ANDREA ORSOLIN PRIMIERO Duecento anni di cartografia geologica delle Dolomiti, con un riferimento specifico all'area del Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino, ma con uno sguardo all'insieme dei complessi dolomitici dell'ambito Trentino-Veneto. Domani alle ore 15, nel fienile di villa Welsperg in val Canali, sarà inaugurata la mostra "Volta la carta 1822-2022". Verranno esposte carte realizzate negli ultimi due secoli, accompagnate da un ricco apparato testuale ed iconografico che permetterà di comprendere meglio il contesto storico e scientifico della loro redazione. La più antica risale esattamente a duecento anni fa, al 1822, quando Leopold von Buch, geologo e paleontologo fra i più importanti del XIX secolo, pubblicava a Parigi la prima carta geologica della regione dolomitica, uno dei primi tentativi di rappresentare sulla carta la geologia di un territorio. Nel corso del XIX e XX secolo l'evolversi delle conoscenze in ambito geologico portò alla realizzazione di carte e mappe sempre più dettagliate e attendibili, che in molti casi (per la ricchezza di informazioni e la cura nella redazione) sono documenti di grande valore scientifico e in qualche modo anche artistico. «La mostra - dicono i vertici del Parco - si preannuncia come un momento particolarmente significativo sul piano scientifico, storico e culturale, che travalica nei contenuti anche gli stessi confini dell'area protetta. Un'occasione importante, non solo a livello locale, per apprendere meglio l'evoluzione della conoscenza delle nostre montagne, nel frattempo riconosciute come Patrimonio dell'Umanità». La mostra è accompagnata da un catalogo, realizzato dallo stesso curatore della mostra Fabrizio Bizzarini, formatosi come ricercatore e docente all'Istituto di geologia dell'Università di Padova. L'esposizione ha il patrocinio della Società Geologica Italiana, della Biblioteca di geoscienze dell'università di Padova e della Fondazione Dolomiti Unesco e con la collaborazione della Fondazione Museo Civico di Rovereto.

CORSO DI GEOGRAFIA SULLE VETTE FELTRINE Corriere delle Alpi | 7 luglio 2022 p. 24 Una giornata di studio sulle Alpi Feltrine con esperti e studiosi FELTRE La Fondazione Angelini, assieme a Dolomiti Unesco e in collaborazione con il Parco e il Cai di Feltre, presenta una giornata di studi dedicata alle Alpi Feltrine, venerdì 8 luglio (ore 9.30 - 18) al liceo Dal Piaz di Feltre, nell'ambito del corso interdisciplinare di formazione sul gruppo delle Alpi Feltrine.Il programma prevede, dopo una breve introduzione, un intervento di Benedetta Castiglioni dal titolo "Camminare nel paesaggio come strategia per l'apprendimento", seguito da "La natura come patrimonio: riferimenti teorici e proposte didattiche" di Margherita Cisani. Alle ore 11, invece, Paolo Rosato parlerà de "Il valore economico dei beni ambientali" e Andrea Ermolato de "La montagna come luogo di benessere. I sentieri della salute". Chiuderà la prima parte della giornata Matteo Melchiorre con "Spartiacque di cosa? Prospettive storiche sulle Alpi Feltrine".Nel pomeriggio i lavori riprenderanno, alle 14.30, con Danilo Giordano che tratterà gli "Aspetti geologici e geomorfologici delle Alpi Feltrine", mentre Cesare Lasen si occuperà delle Vette Feltrine come "straordinario patrimonio naturalistico e vegetale".Gianni Poloniato ed Enrico Vettorazzo, poi, introdurranno il ruolo della Carta qualità del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi. Alle 16.40, Ester Cason parlerà dei "Note su toponimi ed oronimi delle Alpi Feltrine".Chiuderà la giornata la presentazione del progetto di valorizzazione del fondo Piero Rossi a cura della Fondazione Angelini e dell'ente Parco. La giornata di studi rientra nel corso di formazione interdisciplinare di geografia sugli aspetti geologici, geomorfologici, antropici e paesaggistici del gruppo delle Alpi Feltrine. Per informazioni: corsi@angelini-fondazione.it o 0437.948446 (orario ufficio).L'evento sembra quasi la prosecuzione naturale della Settimana dell'escursionismo che ha visto il Cai di Feltre protagonista la scorsa settimana.--F.R.© RIPRODUZIONE RISERVATA

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NOTIZIE DAI MUSEI DELLE DOLOMITI Gazzettino | 23 luglio 2022 p. 15, edizione Belluno Mappa gioco dei musei ora anche a Seravella IL PROGETTO La mappa gioco dei musei delle Dolomiti è arrivata anche nella villa di Seravella, nella nuova iniziativa del Museo etnografico, ideata dalla Fondazione Dolomiti Unesco. Alla scoperta dei #DolomitesMuseum unisce oltre 30 musei e centri visita: contiene 12 domande per mettere alla prova la conoscenza del patrimonio dolomitico e andare a scoprire risposte e approfondimenti seguendo il Qr code su Officina di storie, lo spazio digitale in cui operatori museali e appassionati hanno arricchito il racconto delle Dolomiti online. È un vero strumento ibrido (in inglese lo chiamerebbero con il neologismo phygital), che invita turisti e residenti a visitare i musei diffusi sul territorio e che valorizza le tante collezioni dolomitiche sia online sia offline, unendo operatori culturali e appassionati in un racconto corale e partecipato. Disponibile in tre lingue - italiano, inglese e tedesco - la mappa include anche uno spazio dove inserire il bollino I've been there dopo ogni visita, in modo da tenere traccia di tutti i musei visitati. Sia i bollini sia la mappa gioco possono essere richiesti all'ingresso delle strutture partecipanti, come il Museo etnografico di Seravella. GLI ORARI DI VISITA La villa cesiolina ha archiviato le iniziative primaverili legate alla fioritura delle rose, ma continua con le attività estive: il museo attende i visitatori dal martedì al venerdì dalle 9 alle 13, e nei fine settimana dalle 15 alle 18.30.

BANDO MINISTERO DEL TURISMO PER COMUNI IN TERRITORIO UNESCO Corriere delle Alpi | 1 luglio 2022 p. 26 L'Unesco cerca turisti attraverso i social: 4 milioni dal ministero Alessia Forzin Belluno Far crescere il turismo nei territori meno battuti, destagionalizzando e puntando sull'accessibilità. Sono i cardini del progetto finanziato dal ministero del turismo, che punta a valorizzare i comuni a vocazione turistico-culturale nei cui territori sono ubicati siti riconosciuti dall'Unesco Patrimonio dell'umanità, incrementando in qualità e quantità l'attrattività e le presenze turistiche. Per il sito Unesco delle Dolomiti sono a disposizione 3,8 milioni di euro (già assegnati), che ricadranno su settantotto comuni. Nel Bellunese sui territori di Agordo, Alleghe, Auronzo, Belluno, Borca, Calalzo, Canale d'Agordo, Cesiomaggiore, Comelico Superiore, Cortina, Domegge, Falcade, Feltre, Gosaldo, La Valle, Livinallongo, Longarone, Lorenzago, Lozzo, Perarolo, Pieve di Cadore, Rivamonte, Rocca Pietore, San Gregorio, San Vito, Santa Giustina, Sedico, Selva, Sospirolo, Sovramonte, Taibon, Val di Zoldo, Valle, Vodo, Voltago e Zoppè.I Comuni sono chiamati ad approvare un accordo di collaborazione con Livinallongo, che si è offerto di fare da capofila, e a dargli la delega ad operare. I tempi sono molto stretti: il progetto va inviato al ministero entro il 15 luglio.I dettagli per il momento sono pochi, perché si sta lavorando proprio sulla proposta progettuale, ma l'obiettivo è quello di aumentare del 5% le presenze turistiche nei comuni dell'area core delle Dolomiti rispetto al periodo pre-pandemia. Non ovunque, beninteso, è stato spiegato nell'assemblea dei sindaci della Provincia di ieri. Ci sono aree che già sono fin troppo affollate. Altre, invece, sono meno frequentate, pur non avendo nulla da invidiare alle località più rinomate. Il progetto punterà sulla destagionalizzazione, ma anche sull'accessibilità e l'inclusività, sulla scorta del progetto Dolomiti accessibili che ha definito una serie di percorsi fattibili da persone a ridotta capacità motoria o che si muovono su una sedia a rotelle. Un altro aspetto progettuale verterà sulla cultura della visita, e molte azioni di marketing saranno indirizzate ai più giovani, con promozioni digital. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Corriere delle Alpi | 12 luglio 2022 p. 19 "DolomitiUnesco4" montagna da vivere 365 giorni l'anno da giovani e disabili Paola Dall'Anese Belluno Un progetto da 3,8 milioni di euro per valorizzare i 78 comuni dei nove sistemi delle Dolomiti Unesco (36 sono quelli del Bellunese). Denominato "DolomitiUnesco4", vede capofila il comune di Livinallongo, è finanziato dal Ministero del Turismo e la documentazione dovrà essere consegnata a giorni a Roma.L'obiettivo è intercettare un pubblico giovane, abile nell'uso del digitale e con a cuore l'ambiente, ma anche le persone con problemi visivi e motori «perché vogliamo incentivare un turismo inclusivo», precisa il sindaco fodomo Leandro Grones. «Si tratta di un'occasione importante, che non potevamo lasciarci sfuggire per rendere appetibili i nostri territori 365 giorni l'anno. Basta con le ascese in montagna soltanto durante l'estate e l'inverno: la montagna, e le Dolomiti in particolare, possono essere meta di gite ed esperienze 12 mesi l'anno».Ed è proprio la destagionalizzazione turistica uno degli obiettivi di questo progetto che vuole realizzare una piattaforma digitale dove lanciare in modo strutturato l'offerta turistica di questi territori. Offerta che finirà così in una rete di collegamento virtuale. Rete che potrà contare su 15 mila strutture ricettive con un potenziale di 300 mila posti letto e un livello di occupazione di circa 40 mila persone. Si, perché queste risorse messe a disposizione dal ministero mirano a risollevare le sorti del turismo nei territori che hanno subito una flessione di presenze durante il Covid: è proprio in base a questo parametro che sono stati distribuiti i contributi.«L'ammontare complessivo stanziato da Roma è di 75 milioni di euro, 58 dei quali da ripartire tra i 52 siti Unesco italiani. E se una decina di milioni sono andati a Roma, oltre 3,8 milioni andranno alle Dolomiti, che per presenze all'anno sono seconde solo a Roma», precisa Grones. Il progetto dovrà essere pronto entro il novembre 2024 e prevede la realizzazione di una piattaforma digitale di prenotazione di offerte turistiche, interoperabile col sito www.italia.it. Attraverso una spesa di 500 mila euro si cercherà di rendere facilmente accessibili e fruibili le Dolomiti Unesco a un ospite internazionale, giovane e sportivo, a giovani famiglie con figli e a persone ipovedenti e cieche nonchè a persone con ridotte capacità motorie e sensoriali. Saranno anche realizzati degli itinerari turistici di collegamento fra i nove sistemi delle Dolomiti Unesco, sostenibili e a basso impatto per un valore di 122mila euro.Per individuare aree o percorsi dotati di dispositivi tecnologici, rivolti a persone ipovedenti o con ridotte capacità motorie saranno investiti 427mila euro: «Attraverso un approccio esperienziale, autonomo e diretto, queste persone potranno fruire di questo ambiente naturale dolomitico per far sì che ogni sfumatura tattile possa arricchire il bagaglio estetico-cognitivo del visitatore», sottolinea ancora Grones. Saranno allestiti anche itinerari collocati in un ambiente immersivo e interattivo per le persone con disagi motori e visivi. Nello specifico saranno realizzati dei plastici in 3D reattivi al tatto e e con effetti multimediali per vivere in modo sensoriale il mondo dolomitico. Infine ci sono le risorse per progetti di marketing digitale (oltre 1,5 milioni di euro) ed eventi per attirare le nuove generazioni e per lanciare l'inclusività nelle Dolomiti. --© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gazzettino | 22 luglio 2022 p. 11, edizione Belluno Turisti fuori stagione: c'è il progetto Il sito Unesco Dolomiti, secondo in Italia per presenze turistiche solo a quello di Roma, beneficerà presto di quasi 4 milioni di euro. Fondi ministeriali che giungeranno sulla scia di un'idea progetto presentata da 78 Comuni il cui capofila è quello di Livinallongo. «Le linee guida sono chiare - spiega il sindaco Leandro Grones (nella foto) -: si lavorerà non su opere materiali bensì digitali e tecnologiche dedicate all'incentivazione della destagionalizzazione, alla promozione delle nostre montagne tra le famiglie e tra i più giovani e all'inclusività delle persone non vedenti». GLI OBIETTIVI Tra gli obiettivi principali del percorso Dolomitiunesco4@ii.it è l'incremento delle presenze turistiche nei mesi primaverili e autunnali, ottimizzando così al massimo l'occupazione dei posti letto, aumentando la permanenza media degli ospiti, sicuramente più diversificati per motivazione al viaggio, interessi, condizione sociale, età, rispetto ai turisti di massa che caratterizzano i periodi di alta stagione. Tra i fruitori slow di questo periodo destagionalizzato possono quindi rientrare le famiglie con bambini, i giovani e le persone ipovedenti, cieche e con ridotte capacità sensoriali. «Queste categorie - sottolinea Grones - rappresentano il target del progetto. All'interno di questi segmenti vanno considerati poi coloro che amano la natura, lo sport, le attività all'aria aperta, la storia, la cultura nonché la gastronomia. In linea con l'obiettivo di destagionalizzare i flussi turistici, attirando i turisti in primavera e autunno, i mercati maggiormente indicati per la promozione sono quelli esteri, con calendari scolastici e di vacanza diversi da quelli italiani e quindi con maggiore disponibilità a viaggiare quando da noi è bassa stagione». Le proposte verranno presentate su una piattaforma digitale onnicomprensiva, costantemente aggiornata e interconnessa con le offerte di mobilità sostenibili, dove tutte le informazioni turistiche

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rilevanti saranno reperibili per la pianificazione del viaggio, ma anche per la raccolta di impressioni dopo la vacanza. La piattaforma sarà linkata sul sito di www.italia.it. Non mancheranno azioni di webmarketing e social media. IL PRODOTTO «Il progetto - sottolinea il sindaco - è all'insegna di tanta tecnologia. Non verrà costruito nulla ex novo se non allestimenti, ad esempio quelli pensati per i non vedenti, come un ambiente interattivo che consenta loro di percepire quei luoghi e paesaggi naturali delle Dolomiti altrimenti non fruibili o un percorso dove spostarsi in autonomia coadiuvati da dispositivi tecnologici». Ma tra le idee vi è anche quella di promuovere una mobilità sostenibile per spostarsi tra i 78 comuni Dolomiti Unesco aderenti avvalendosi del servizio pubblico locale, ovvero treno e autobus, nonché incentivando il noleggio di veicoli e bici elettriche, car sharing, car pooling e impiantistica esistente. In aggiunta potrebbero essere ideati itinerari di collegamento fra i nove sistemi da percorrere in bici, dando così un forte contributo alla mobilità sostenibile nonché alla riduzione delle emissioni. «Questo progetto - conclude Grones - è una bella sfida per il nostro Comune che fa capo agli altri 77 appartenenti alle Province di Belluno, Bolzano, Trento, Pordenone e Udine. Abbiamo la fortuna di avere la responsabile dell'area amministrativa, Elda Soccol, molto preparata in materia. La cifra in ballo è consistente e verrà poi suddivisa tra i vari enti aderenti. Se tutto andrà per il verso giusto Dolomitiunesco4@ii.it sarà realtà nella primavera del 2026 e saprà certamente pescare nella maniera più adeguata, là dove ci sono buoni margini di azione, a favore dell'incremento turistico delle nostre Dolomiti». Raffaella Gabrieli

EDITORIALI E INTERVISTE Alto Adige | 1 luglio 2022 p. 23 «Le polemiche sui rifugi si basano su un falso storico» paolo campostrini bolzano Domanda: è "avulso dal contesto" un rifugio novecentesco in legno dove di legno e dunque di alberi non c'è neppure l'ombra ma solo pietre e rocce, oppure una struttura contemporanea che si uniforma ad un uso della montagna altrettanto legato alla modernità e non più al bisogno? Da cui una seconda domanda: è "storica" la riproposizione di stili che di storico, ai tempi ( cento anni o meno fa) non avevano nulla ma soltanto un richiamo ad una "tradizione inventata", oppure è semplicemente kitsch? Come mettere arredi da caccia a duemila metri. In conclusione: la polemica sulle costruzioni contemporanee in quota rischia di essere molto polverosa. E fatta con la testa girata all' indietro. Dove l'indietro, cioè il passato, era altrettanto fuori contesto. Perchè ci basiamo sulla difesa di una tradizione che, quando venne applicata ai rifugi e alle architetture alpine aveva ben poco di tradizionale? "E' frutto di uno sguardo distorto. Quando nacque l'alpinismo - dice Carlo Calderan - a due o tremila metri non c'era nulla di costruito. Chi lo fece, inventò letteralmente un gusto, una estetica. Portando legno dove non c'era mai stato e mettendo in piedi, come accade in alcune montagne meranesi, dei cottage che di alpino avevano poco ma molto invece di britannico...". Calderan è un architetto. Già ai vertici dell'ordine e direttore di "Turris Babel", la rivista della Fondazione architettura Alto Adige. E osserva la polemica riaccesasi ultimamente sul progetto del nuovo rifugio Santner con l'occhio di chi ne ha già viste tante. E per vederle, basta scorrere la falange di alberghi alpini costruiti come se fossero in Baviera, adottando uno stile che riteniamo essere immutato e invece è stato mutevole come le stagioni. "Prendiamo per storico quello che non lo è mai stato e pretendiamo di riproporlo artificiosamente, scadendo inevitabilmente nel cattivo gusto" aggiunge il progettista. Che è appena tornato, con i vertici del suo ordine, da Winterle a Roland Baldi, al presidente Thaler, da Cervinia dove si sono svolti gli "stati generali" dell'associazione architetti dell'arco alpino. Un luogo in cui ci si è confrontati sui bisogni del costruire in quota e sul senso di farlo oggi, nel 2022, e non ad inizio Novecento.Ha letto delle nuove polemiche sui progetti innovativi in alta quota?"Purtroppo si"Perchè purtroppo?"Perchè si basano su un falso storico"-Vale a dire?"Sulla convinzione che la modernità delle nuove strutture si contrapponga ad una preesistenza pura, che ci racconta di una montagna immutata e immutabile nel suo panorama anche costruito".E invece?"Se si giudicano fuori contesto i nuovi progetti cosa si dovrebbe dire dei vecchi rifugi? Che lo sono di più. Perchè quando furono costruiti nacquero da idee progettuali senza alcun richiamo a ciò che avevano intorno. Oggi li riteniamo tradizionali. E invece non lo sono".E perchè?"Per la semplice ragione che quella tradizione è inventata. La gran parte si richiamano ai cottage inglesi, tutti legno e finestrine. Parlo in particolare delle Huetten, delle malghe. Sono di legno. Materiale che oggi si invoca anche per i nuovi rifugi. Ma il legno non esiste a quelle altezze. C'è solo la pietra. Dunque perseguendo una purezza di stili che non esiste si rischia di scendere ancor più di livello".A cosa di riferisce?"Alle operazioni falsamente ricostruttive. Per ottenere un facile effetto sul turista si mette il legno a ricoprire il tetto che invece è in cemento. Si riempiono i locali di arredi molto kitsch, si prova a

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copiare un passato che non c'entra nulla con la vita reale delle popolazioni di cento anni fa".Giusta la tecnologia nelle nuove costruzioni alpine?"Facciamoci un'altra domanda: come si va oggi in montagna? Con gli scarponi chiodati come ieri o vestiti da marziani, con giacche dai tessuti innovativi, con attrezzature di ultima generazione? Ecco, anche i luoghi che accolgono queste persone è giusto che si dotino di materiali ecosostenibili, contemporanei, capaci di rendere ad alte quote".Dunque anche i modelli che si vogliono preservare non rispondono a realistiche relazioni col contesto?"Moltissimi no. Vennero costruiti dentro una scuola di architettura storicistica, tipica del Novecento o di fine Ottocento in cui si proponevano continue citazioni di architetture "altre".Si inserivano stili piacevoli ma di tradizioni anche lontane. Erano false allora, quelle costruzioni, perche si rifacevano a stilemi letteralmente inventati, e lo sono a maggior ragione oggi che le si vuole riproporre come elementi coerenti col paesaggio. Un paesaggio che, a quelle quote, non aveva mai visto un muro...".Anche la montagna è dunque cambiata?"Non ci si va più per bisogno. O per scoprire luoghi ignoti come cento anni fa. Si va, letteralmente, per divertimento. Oggi la montagna è una tipica espressione della società moderna. Sarebbe singolare voler riproporre, nei progetti, un antico che perdipiù non esiste, non è mai realmente esistito se non nella fantasia e nel mito".L' Alto Adige è diverso in questo?"Confrontandoci con i colleghi delle altre regioni, anche aostani, i rischi insiti nel frenare l'uso di nuovi materiali nelle costruzioni sono comuni. Ma qui almeno ci sono elementi positivi abbastanza evidenti nel complesso del contesto progettuale alpino. Alfons Benedikter, con le sue durezze, ha tuttavia evitato una massiccia diffusione delle seconde case in quota. Che altrove invece stanno mettendo a dura prova l'ecosistema. Sono edifici che si affollano in stagione ma che si desertificano per lunghi periodi dell'anno. Una cementificazione poco virtuosa. In Alto Adige abbiamo a che far col kitsh imperante ma almeno in questo siamo stati precursori di una nuova sensibilità..". ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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