Rassegna Stampa Dolomiti UNESCO | Marzo 2025

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R A S S E G N A S T A M P A

MARZO 2025

Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis

CORSO DI FORMAZIONE IN COLLABORAZIONE CON OCSE: TRE GIORNI PER IL FUTURO DELLE DOLOMITI

Trentino | 28 febbraio 2025

https://www.giornaletrentino.it/montagna/il-futuro-delle-dolomiti-le-sfide-per-uno-sviluppo-sostenibile-1.4010179

Il futuro delle Dolomiti: le sfide per uno sviluppo sostenibile

A maggio tre giornate di confronto, a Trento, organizzate dal Centro Ocse, in collaborazione con la Fondazione Dolomiti Unesco […]

Lo Scarpone | 4 marzo 2025

https://www.loscarpone.cai.it/dettaglio/tre-giorni-per-il-futuro-delle-dolomiti-a-maggio-il-confronto-su-sviluppo-e-sostenibilit%C3%A0/

Tre giorni per il futuro delle Dolomiti: a maggio il confronto su sviluppo e sostenibilità

di Gian Luca Gasca

A Trento dal 7 al 9 maggio il Centro OCSE – Organisation for Economic Co-operation and Development, in collaborazione con la Fondazione Dolomiti UNESCO nell’ambito della Rete della Formazione e della Ricerca Scientifica, coordinata dalla Provincia autonoma di Trento attraverso TSM|STEP Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio, organizza un’iniziativa di capacity building dal titolo: "Pronti per il futuro: opportunità e sfide per lo sviluppo sostenibile nel Sito delle Dolomiti Patrimonio Mondiale UNESCO".

2025: L’ANNO DEI GHIACCIAI

Corriere del Trentino | 19 marzo 2025

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L’anno dei ghiacciai

Il Muse per il clima

I ghiacciai sono le «sentinelle del clima», ma anche memoria storica, riserva idrica, elemento paesaggistico in grado di influenzare il pensiero culturale e artistico di popolazioni di ogni parte del mondo. E stanno scomparendo. Per questo il 2025 è stato nominato l’Anno Internazionale per la Conservazione dei Ghiacciai. Da venerdì, Giornata mondiale dei ghiacciai, il Muse, Museo delle Scienze di Trento, darà il via a una programmazione lunga nove mesi, dedicata alle trasformazioni climatiche e eco-sociali legate alla scomparsa dei ghiacciai. «Il Muse non è solo un museo - spiega il direttore Massimo Bernardi - ma anche un centro di ricerca e istituzione culturale il cui obiettivo è contribuire alla conoscenza e al dibattito sociale sull’importanza fisica e simbolica dei ghiacciai. I musei hanno il potere di trasformare la conoscenza in azione: per questo nasce questo programma di attività multidisciplinari, accessibili e coinvolgenti». Dalla ricerca scientifica alle mostre, dalle attività educative ai cicli di proiezioni cinematografiche, gli incontri ed eventi a tema saranno più di 80 fino a dicembre, estesi in tutta la rete del Muse, per coinvolgere le persone a riflettere. La divulgazione scientifica sulla crisi climatica deve coincidere con un nuovo modo di pensare, che metta al centro l’intero ecosistema. La programmazione inizia con il nuovo allestimento nello spazio Agorà del Muse intitolato Dal ghiaccio a noi. Le ricerche Muse sui ghiacciai nell’Antropocene , che partendo dalle motivazioni che hanno spinto le Nazioni Unite a dichiarare il 2025 Anno Internazionale per la Conservazione dei Ghiacciai arriva a riflettere sulle conseguenze che la scomparsa dei ghiacciai avrà sulle vite di tutte e tutti. L’allestimento si trasformerà anche in un palcoscenico per i «Dialoghi sul ghiaccio», calendario di appuntamenti dedicati alla storia, all’evoluzione e al futuro dei ghiacciai. E poi spiritualità, storia bellica, produzione di energia idroelettrica e le «vite al limite» degli ecosistemi glaciali. «Nell’immaginario collettivo il concetto di ghiacciaio è associato a qualcosa di immutabile e fermo - riflette Valeria Lancioni, la coordinatrice di Ricerca Clima Ecologia del Muse -. Ma non è così. Non solo esistono organismi che necessitano della presenza del ghiacciaio per vivere, ma la progressiva fusione può portare alla riemersione di altri microorganismi, ordigni bellici, composti chimici. Potrebbero essere forme di vita sconosciute, o inquinanti di cui conosciamo perfettamente la pericolosità come il Ddt. Per questo lo scioglimento dei ghiacciai ha conseguenze che toccano ogni aspetto della vita umana». Altro momento atteso è la mostra dedicata a

Sebastião Salgado, dal titolo Ghiacciai che vede la collaborazione tra il Muse, il Mart e il Trento Film Festival, nella sede del Museo delle Scienze di Trento, inaugurazione il 12 aprile. Tra gli eventi anche una rassegna cinematografica in collaborazione con Harpolab, cicli di incontri con esperti e ricercatori in partnership con Sat, la programmazione di eventi per la fascia di popolazione più giovane come Muse Fuori orario e i Party per famiglie declinati con attività a tema, spettacoli teatrali e molto altro. A cui si aggiungono le iniziative nella sede territoriale del Museo geologico delle Dolomiti, a Predazzo. Una realtà tanto complessa come quella dei ghiacciai merita una rete di collaborazioni altrettanto estesa, la sinergia è tra Dipartimento Protezione civile, foreste e fauna, Sistema Bibliotecario Trentino, Comune di Trento, Servizio sviluppo sostenibile e aree protette e Agenzia Provinciale per la protezione dell’ambiente della Provincia autonoma di Trento, più una quantità di enti di ricerca, musei, università e associazioni di varia natura.

Alto Adige | 20 marzo 2025

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Poca neve e temperature elevate: l’acqua c’è, ghiacciai in sofferenza

DAVIDE PASQUALI

BOLZANO

Domani termina l’inverno e si festeggia la giornata mondiale dell’acqua e dei ghiacciai. Ma come siamo messi, in Alto Adige? Quanto a precipitazioni ci siamo salvati per il rotto della cuffia con l’ultimo weekend e con il prossimo. Temperature però più alte della media di 1-1,5 gradi in inverno. Niente emergenza idrica, ci salvano ancora le abbondanti precipitazioni del 2024. I ghiacciai invece restano a forte rischio. Per il rotto della cuffia «L’anno scorso - così Dieter Peterlin del meteo provinciale - era molto piovoso fino a settembre/ottobre. Poi da novembre è cambiato tutto: inverno abbastanza secco. Solo di recente tante precipitazioni. Un inverno più secco ma non eccezionalmente secco; poi la settimana scorsa tante precipitazioni, perciò siamo più o meno in linea, nella media». Però comunque è stato un inverno poco nevoso. «In montagna ora c'è abbastanza manto, anche un metro di neve fresca». Ha nevicato dappertutto soprattutto nelle zone di Stau: val Sarentino, val Ridanna, Brennero, val Passiria, meno a ovest in Venosta e a est in Pusteria. «Quindi precipitazioni in media, temperature però in inverno in media sempre più alte di 1 o 1,5 gradi. Al di là delle nevicate primaverili, spiega, «per i ghiacciai sono molto più importanti le temperature che le precipitazioni. Potrebbe anche fare una bella nevicata d'inverno, però se le temperature poi sono alte, quella neve scompare subito. Meglio temperature basse che tanta neve. Naturalmente anche tanta neve è buono per i ghiacciai, però il focus sta più nelle temperature». Comunque sia, conclude, «altre precipitazioni sono previste da questo fine settimana, il meteo cambierà di nuovo». Risorse idriche salve Come va invece con le risorse idriche? «L'inverno - così Roberto Dinale, direttore dell’ufficio idrologia e dighe della Provincia - non è stato particolarmente ricco di precipitazioni. Ma tenuto conto dell'ultimo evento e dell'evento che c'era stato anche verso fine gennaio, tutto sommato siamo rientrati in media rispetto alla quantità d'acqua stoccata sotto forma di neve». Fino a un paio di settimane fa c'era un po' di preoccupazione: «Direi che questa al momento è rientrata e stiamo un pochino in una situazione di un fine inverno abbastanza normale rispetto quantomeno a disponibilità di neve. Idem per quanto riguarda anche l’acqua nei bacini artificiali, dove in media il riempimento è leggermente maggiore rispetto a quello tipico di questo periodo, forti anche di un 2024 che era stato molto molto piovoso, soprattutto per la parte centrale dell'anno, ossia la primavera e l'estate. Le stesse acque sotterranee sono nella norma, quindi tutto sommato quel po’ di preoccupazione legata soprattutto alle temperature, fino adesso elevate, è rientrata». Ora ha nevicato soprattutto dalla media montagna in su, prosegue, «e questo anche nelle regioni che ci stanno a valle, quindi anche in Trentino e in Veneto, dove le montagne sono mediamente più basse; loro chiaramente risentiranno un po’ di più di questo tipo d'inverno, noi tutto sommato abbiamo ricevuto un po’ più di neve e siamo un po’ più tranquilli che non magari negli ultimi anni, dove la questione siccità era sempre stata all'ordine del giorno, soprattutto nel ’22-’23. Veramente avremo bisogno comunque di ulteriori precipitazioni nei prossimi mesi, ma se facciamo il punto della situazione oggi, siamo abbastanza nella norma». Ghiacciai in panne Questo vale per le risorse idriche, «invece - va oltre - per i ghiacciai temperature più alte e poche precipitazioni in tardo autunno e inverno pesano o comunque rischiano di pesare abbastanza». Però, come detto, «essendo un po’ rientrata anche la questione della neve in quota, sicuramente anche sui ghiacciai abbiamo avuto un accumulo a tratti fino a un metro». Questo dà un po' di respiro. «Per contro sappiamo che la stagione in qualche modo determinante per i ghiacciai è l'estate, perché insomma un po’ di neve in più o in meno non fa di solito differenza, diverso è il discorso riguardo alle temperature». Quindi quello che si può dire «è che andrà magari a concludersi con qualche altra precipitazione; adesso in aprile tipicamente sui ghiacciai ancora nevica, quindi la stagione potrebbe chiudersi in media anche per l’accumulo glaciale». Però, conclude, «un accumulo nella media vuol dire sicuramente un bilancio di massa negativo a fine estate, dovuto alla forza termica. Quindi diciamo: abbiamo avuto un inverno normale che vorrà dire anche un’estate quantomeno mediamente normale per quanto riguarda le perdite di massa glaciale, che negli ultimi anni sono sempre state significative».

Corriere delle Alpi | 21 marzo 2025

p. 8 e 9, segue dalla prima

Ghiacciai ridotti: emergenza idrica

Sulle Dolomiti perso un volume d'acqua pari a 15 volte il lago di Auronzo

Dal 1980 a oggi i ghiacciai delle Dolomiti hanno perso il 56% della loro superficie. Addio a 105 milioni di tonnellate di ghiaccio. Addio a una riserva d'acqua di oltre 94,5 miliardi di litri: 15 volte il lago di Auronzo. Negli anni 50 le Dolomiti avevano 33 ghiacciai: oggi ne sono rimasti solo nove. È emergenza. Proprio per questo, da oggi, il 21 marzo è la Giornata Mondiale dei Ghiacciai che, come ricorda il professor Barbante, «Sono destinati a sparire». Dal mas e berlinghieri / PAGine 8 e 9.

Dal 1980 ad oggi solo i ghiacciai delle Dolomiti hanno perso il 56% della loro superficie. Sono stati cioé persi 105 milioni di tonnellate di ghiaccio. È venuta meno una riserva d'acqua di oltre 94,5 miliardi di litri, pari alla scomparsa di un decimo del lago di Garda, pari a 15 volte la scomparsa del lago di Auronzo. Alla fine degli anni 50 le Dolomiti avevano 33 ghiacciai: oggi di attivi ne sono rimasti solo nove. È una emergenza. Proprio per questo l'assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 21 marzo Giornata Mondiale dei Ghiacciai e il 2025 Anno Internazionale per la Conservazione dei Ghiacciai. Giornata che è occasione di analisi, riflessioni, proposte e nuove iniziative finalizzate alla preservazione di questo particolare patrimonio. Negli ultimi 40 anni sempre i ghiacciai delle Dolomiti hanno perso un volume pari a 0,105 gigatonnellate, 105 milioni di tonnellate si diceva, di cui 22 milioni, quindi un quarto, tra il 2010 ed il 2013. C'è di che preoccuparsi? «Di più» afferma Andrea Securo, dell'Università di Trieste, che ha coordinato il lavoro di 9 esperti che hanno indagato l'involuzione delle superfici ghiacciate delle Dolomiti bellunesi per un triennio e che pubblicheranno lo studio a giorni. I ricercatori delle università Ca' Foscari e Roma Tre, del Cnr, del Comitato Glaciologico e di altri istituti hanno ricostruito gli ultimi 40 anni di scioglimento dei ghiacciai nella regione delle Dolomiti, concludendo che dal 1980 è stato perso il 56% della superficie. E il volume complessivo che si è esaurito significa, in sostanza, che le Dolomiti non dispongono di 94,5 miliardi di litri d'acqua, la riserva che avevano più di 40 anni fa. «La verità è che la neve caduta resta sotto la media» analizza Securo, «Più di un metro in meno prima delle recenti precipitazioni. È difficile dire ora quale contributo darà. Ma la preoccupazione resta elevata». Alla fine degli anni 50 le Dolomiti ospitavano 33 ghiacciai, di cui solo 9 sono ancora attivi; due di questi sono stati suddivisi in porzioni più piccole. Ebbene, secondo le rilevazioni in corso e le proiezioni, tutti i ghiacciai delle Dolomiti sono destinati a scomparire, perché non hanno possibilità di alimentarsi. È vero che corpi minori potrebbero resistere sotto la copertura dei detriti diventando da glaciale a periglaciale, e magari dimostrandosi più resilienti in un clima che si riscalda. Ma gli esperti prevedono che alla fine scompariranno. In 40 anni, ad esempio, lo stesso baricentro dei ghiacciai analizzati da questi studiosi sulle Dolomiti è sprofondato di 28,7 metri, di cui il 33% tra il 2010 e il 2023. Si tenga presente, comunque, che il 66% dell'intera perdita di volume è dovuto al solo ghiacciaio della Marmolada. L'inventario più recente disponibile per i ghiacciai italiani (Smiraglia, 2015) riporta che 51 corpi glaciali erano presenti sulle Dolomiti nel 2009, per una superficie complessiva di 5,04 chilometri quadrati, pari all'1,4% della superficie totale dei ghiacciai italiani. Ma, attenzione: 13 erano classificati come ghiacciai montani mentre 38 venivano considerati chiazze di neve o ghiaccio. La situazione nell'ultimo decennio si è aggravata e oggi in Veneto troviamo il Popera Alto, il Popera Pensile, il Cristallo, il Sorapiss Occidentale, l'Antelao Inferiore, l'Antelao Superiore, La Marmolada (Principale, Punta Penia, Ovest, Centrale), il Fradusta (Superiore ed Inferiore), il Travignolo. L'Arpav monitora costante i ghiacciai per considerarne quella che permane una progressiva involuzione. Una vigilanza finalizzata alla possibile prevenzione rispetto ad eventuali emergenze. Arpav gestisce infatti un proprio data base che viene costantemente aggiornato sia attraverso l'acquisizione di dati di rilevamenti svolti da vari enti, sia attraverso l'effettuazione di rilievi diretti. Nell'ultimo anno si è dato inizio a una serie di rilievi con droni di alcuni apparati periglaciali. Arpav partecipa inoltre al gruppo di lavoro sul rischio di dissesto in ambienti glaciali e periglaciali istituito dal dipartimento nazionale di Protezione civile. Nei mesi scorsi ad Arabba i tecnici dell'agenzia hanno infatti condotto rilievi con droni su alcuni siti di rilevanza per la criosfera, cioè la superficie coperta da neve, ghiacciai e permafrost. In particolare, sono stati monitorati ghiacciai, colate detritiche (debris flow), ghiacciai rocciosi (rock glacier) e depositi di glacionevato (dead ice). I siti sono stati scelti considerando il rischio di dissesto e la rilevanza per il monitoraggio climatico. Per le misure, i tecnici Arpav hanno utilizzato il drone in dotazione al centro di Arabba e un drone equipaggiato con sensore Lidar, che usa impulsi laser per misurare distanze con precisione, creando mappe tridimensionali dell'ambiente. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Evaporati 105 milioni di tonnellate di ghiaccio: sono passati da 33 a nove lo studio sulle masse ghiacciate dei gruppi montuosi delle alpi orientali Addio a una riserva d'acqua di oltre 94,5 miliardi di litri, pari a 15 volte il lago di Auronzo.

Gazzettino | 21 marzo 2025

p. 27, edizione Belluno

Il deficit di neve a oggi sfiora il 40% e rispetto ai dati storici meno 57%

I DATI BELLUNO

Un terzo in meno sulle Dolomiti, quasi la metà in meno sulle Prealpi. E qui nel Bellunese va anche meglio della media nazionale che nel bilancio idrico nivale dell'Italia segna un meno 57% rispetto alle medie storiche. LA FOTOGRAFIA Nel Bellunese, come spiega Arpav nel suo report, a febbraio sono caduti mediamente 50-65 centimetri a 2000 metri nelle Dolomiti e 65-85 centimetri di neve a 1600 metri nelle Prealpi. Dall'inizio della stagione invernale il deficit di precipitazione nevosa è ancora del 34% nelle Dolomiti (-130 centimetri circa di neve fresca) e del 38% nelle Prealpi (-100 centimetri). La copertura nevosa sulla montagna veneta (SCA-Snow Cover Area), il giorno 3 marzo era giudicata discreta anche a seguito delle nevicate dei giorni precedenti ed è stimata in 2050 km2, circa il 45% del territorio montano veneto. La densità della neve in quota è, mediamente, di 240-270 kgm-3, «leggera per il periodo a causa della mancanza della neve di inizio inverno». IL REPORT A tinte fosche il report di Fondazione Cima che segnala le «poche luci e molte ombre sulla risorsa idrica nivale. L'inverno dovrebbe essere il periodo in cui la neve si accumula, raggiungendo il suo picco

tra la fine di febbraio e la meta di marzo secondo i dati storici, costruendo una riserva d'acqua importante per la primavera e l'estate, ma la realta che emerge dai dati attuali e ben diversa». Il bilancio idrico nivale dell'Italia infatti si mantiene in negativo, con un deficit nazionale dello Snow Water Equivalent (Swe) pari al -57% rispetto alle medie storiche. Questo valore riflette una tendenza in corso da diversi anni, segnalando una progressiva riduzione della disponibilità di neve. La fusione precoce della neve e direttamente influenzata dall'aumento delle temperature, con conseguenze dirette sulla disponibilità idrica per i mesi successivi. L'inizio della stagione e stato incerto: un novembre insolitamente secco ha ritardato la formazione del manto nevoso, privando le montagne della solida base su cui normalmente si accumula la neve nei mesi successivi. Dicembre ha tentato di correggere questo squilibrio con alcune precipitazioni, ma le ripetute ondate di calore hanno compromesso significativamente questo accumulo. Nei primi due mesi dell'anno, poi, il panorama e cambiato nuovamente. Gennaio ha portato nevicate abbondanti su parte delle Alpi, alimentando la possibilità di un parziale recupero. Tuttavia, febbraio non ha sostenuto le speranze: temperature superiori alla media hanno accelerato il processo di fusione, soprattutto a media e bassa quota.

Gazzettino | 21 marzo 2025

p. 27, edizione Belluno

«Lanciai l’allarme già 33 anni fa: ora è troppo tardi»

L'ESPERTO BELLUNO

«Il ghiacciaio della Marmolada ha 30 anni di vita, ed è l'esempio emblematico della tragedia glaciologica che sta succedendo». A dirlo è il geologo e glaciologo Franco Secchieri, che nella sua lunga carriera ha svolto ricerche per diverse amministrazioni pubbliche e ha collaborato con il Comitato Glaciologico Italiano per la stesura del nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani. Per conto di Arpa Veneto ha iniziato nel 1999 il monitoraggio glaciologico delle Dolomiti, ed è componente del Comitato Glaciologico Italiano, membro della International Glaciological Society e nel 1992 ha fondato il Servizio Glaciologico del Cai Alto Adige, di cui è Responsabile Scientifico. «Le valutazioni da terra assieme a quelle aeree negli ultimi 40 anni mostrano come in questi anni il ghiacciaio si sia frammentato in prospettiva scomparsa - spiega il glaciologo -. Inizialmente copriva tutto il versante settentrionale del monte, mentre a oggi sono rimaste una serie di placche destinate a ridursi col tempo». PRECURSORE Il 2025 è l'anno internazionale della conservazione dei ghiacciai, proclamato dalle Nazioni Unite con l'obiettivo di sensibilizzare la società sul ruolo essenziale dei "giganti bianchi" nel sistema climatico e idrologico, e la sentenza della futura scomparsa del ghiacciaio della Marmolada pare inappellabile, alla luce di due fattori. «Nelle mie pubblicazioni ho inserito quasi sempre un articolo pubblicato su Il Gazzettino 33 anni fa nel quale lanciai già allora allarme per i ghiacciai, ma allora non ci badava nessuno - afferma l'esperto -. Il bilancio glaciologico di questi ultimi anni però parla chiaro. La massa di neve è minore e al contempo aumenta la temperatura; queste due condizioni insieme fanno sì che diminuiscano le masse gelate». I FATTORI Ed entra nel dettaglio: «Cade meno neve in inverno, e quella della primavera è più calda e quindi non ha il tempo di trasformarsi in nevato, ovvero quella che ha una difesa maggiore alle radiazioni solari; in primavera anche se cadono quattro metri di neve questa in un mese se ne va. Il secondo fattore, ma il principale, è l'innalzamento delle temperature estive con lo zero termico che sale anche oltre i 4000 metri, ma anche quelle invernali hanno il loro peso. Le condizioni favorevoli al glacialismo superano i 3000 metri di quota e quindi le montagne che stanno sotto vedono le masse di ghiaccio estinguersi». LE CONSEGUENZE La progressiva riduzione dei ghiacciai porta conseguenze anche verso la pianura riguardo la minor disponibilità di risorse idriche estive, ma è anche motivo di variazione nel paesaggio, portando anche rischi idrogeologici. «Le riserve d'acqua che diminuiscono e quindi l'alimentazione dei fiumi con tutte le conseguenze - prosegue Secchieri -. Le portate d'acqua dell'Adige e del Po del 2021 e 2023 hanno visto condizioni addirittura di secca nel mese di luglio e agosto con tutte le criticità del cuneo salino. Ma c'è anche un aspetto paesaggistico che sta cambiando rapidamente e la Marmolada è esempio emblematico di questo». «Aumentano anche le frane perché si scioglie il permafrost, ovvero il terreno gelato e altre cose di questo genere. Non è improvvisa la scomparsa dei ghiacciai, ma la riduzione è in atto da tempo, e anche se qualcuno dei prossimi inverni fosse più nevoso, il bilancio glaciologico non cambierebbe in quanto l'unità di misura temporale è trent'anni, in quanto il clima ha tempi molto lunghi». INARRESTABILE Lo sci estivo in Marmolada è già un lontano ricordo, mentre si è tentato in passato l'esperimento di conservare la neve con dei teloni. «Tutti i glaciologi concordano nel dire che quest'ultima misura non serve a nulla - conclude Secchieri -. I cinesi stanno tentando di ricostruire i ghiacciai sparando acque, ma ciò ha costi elevati e che quindi non trovano il beneficio. Anche il futuro dello sci al di sotto dei 2000 metri è destinato a cambiare, considerando che serve acqua anche per la produzione di neve programmata». Claudio Fontanive © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corriere del Trentino | 21 marzo 2025 p. 6

«Ghiacciai in via di estinzione» L’allarme di enti e associazioni

Ma. Gio. TRENTO

Il messaggio ha il sapore dell’sos: «I grandi giganti bianchi, a causa della crisi climatica e delle alte temperature, arretrano di anno in anno e con loro rischiamo di perdere la più grande riserva d’acqua del pianeta». Alla vigilia della Giornata internazionale dei ghiacciai che si celebra oggi Cai, Comitato glaciologico italiano, Cipra Italia, Legambiente ed European Mountaineering association lanciano il «Manifesto europeo per una governance dei ghiacciai e delle risorse connesse». Mettendo nero su bianco la situazione attuale del manto in quota, ma anche le azioni da promuovere per provare ad arginare l’impatto del cambiamento climatico. Un documento, quello presentato ieri a Milano, a cui hanno aderito anche sessanta enti di ricerca, ong, organizzazioni, tra cui il Museo delle scienze di Trento e il Progetto «Rock-me» (Gect Tirolo, Alto Adige, Trentino). E che poggia sui dati elaborati da Legambiente nel report «Sos ghiacciai», diffuso ieri. «Dal 2000 al 2023 si legge la maggior perdita relativa di ghiaccio si è verificata nelle regioni con una piccola area glaciale (cioè minore di 15mila chilometri quadrati)». Guardando ai ghiacciai alpini, prosegue il report, «ad oggi si registra la perdita di almeno un terzo della massa e con l’incremento delle temperature previsto entro il 2050 tutti i corpi glaciali al di sotto dei 3.500 metri di quota saranno scomparsi». Dopo l’estinzione del ghiacciaio di Flua in Valsesia, ora si guarda ai prossimi: e quelli «destinati a scomparire» sono la Marmolada e l’Adamello. Di qui gli imperativi indicati nel Manifesto. Il primo: «Ridurre le emissioni di gas serra limitando il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali». Il secondo: «Aumentare le azioni di adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici». Per raggiungere gli obiettivi, il documento fissa delle azioni comuni, delle quali le associazioni si fanno garanti: quattro da mettere in programma a livello europeo e quattro a livello generale. Per quanto riguarda le azioni europee, si parte con la necessità di «creare un sistema europeo di monitoraggio del rischio criosferico, favorendo la condivisione di esperienze maturate a livello locale e regionale». Ancora, si punta a «istituire una rete multidisciplinare di competenze da condividere», ma anche a «valorizzare gli strumenti e le politiche internazionali per la mitigazione e l’adattamento alla crisi climatica nelle aree glaciali europee» e a «sostenere la leadership e il ruolo guida dell’Europa a livello globale, orientando le scelte dell’Unione europea verso la tutela degli ambienti glaciali». A livello generale, i promotori del manifesto insistono sulla necessità di «sostenere il valore e la protezione dei ghiacciai e del permafrost», di «collaborare con università, centri di ricerca e scuole per sensibilizzare i cittadini», di «istituire spazi di confronto» e di «promuovere e mettere in rete le esperienze».

Corriere delle Alpi | 22 marzo 2025

p. 18

Ghiacciaio della Marmolada malato grave In 137 anni persi 162 milioni di litri

FDM

ROCCA PIETORE

Sono 162 milioni i litri di acqua persi in 137 anni dal ghiacciaio della Marmolada, pari a circa due laghi del Centro Cadore. Per celebrare la Giornata dei Ghiacciai, che si colloca all'interno dell'Anno Internazionale della loro protezione lanciato a Ginevra dall'Unesco e dalla World Meteorological Organization (WMO), la Fondazione Dolomiti Unesco ha pubblicato un numero speciale della Newsletter interamente dedicato ai ghiacciai delle Dolomiti Patrimonio Mondiale, grazie alla collaborazione del professor Alberto Carton, geomorfologo dell'Università di Padova e membro della Rete del Patrimonio Geologico della Fondazione. MENO NEVE «Nel 2023 la Marmolada aveva perso 3 metri di neve, l'anno scorso un po' meno, ma quest'inverno il deficit è di nuovo grave. Vediamo quanto resterà delle ultime precipitazioni. Un bilancio, in ogni caso, si fa alla fine perché può nevicare anche in piena primavera». Lo fa sapere l'ingegner Mauro Gaddo, che dirige il MeteoTrentino e ieri ha relazionato sulla Marmolada ad un convegno svoltosi a Roma, assicurando che dopo la tragedia con le 11 vittime «il monitoraggio continua, ma verrà meglio strutturato nel prossimo futuro, perché non si è ancora capito, ad anni di distanza e di analisi, perché sia caduto quel blocco di ghiaccio anziché qualche altro». NON È UN SOLO GHIACCIAIO Quando si parla della Marmolada bisogna tener conto che la montagna è frantumata in quattro ghiacciai, un tempo erano il doppio. Nel 1888 la massa glaciale copriva un'area di 4,28 km quadrati, nel 2018 si era ridotto a 1,48Km quadrati. Pari ad una riduzione del 66% della superficie, che oggi è arrivata al 72%, mentre il volume si è contratto dell'89%, da 181 milioni di metri cubi a 19 milioni. «Si pensi che dal 1971 al 2015 le fronti sono retrocesse di diverse centinaia di metri, anche di 650 nella parte centrale. A partire dagli anni 2000 il tasso medio di ritiro è aumentato passando dai 3,94 metri l'anno (nel periodo dal 1880 al 2000) ai 31,95 negli ultimi 20 anni», specifica Canton. Fino a 60 anni fa la Marmolada era articolata in 8 ghiacciai. Da allora ad oggi alcuni sono scomparsi, mentre altri si sono frazionati. «Durante la prima guerra mondiale il ghiacciaio era sufficientemente profondo da ospitare gallerie e difese sotterranee e accoglieva circa 300 soldati austro ungarici nella ben nota Città di Ghiaccio», ricorda ancora Canton. Nel 2004 lo spessore medio del ghiaccio era di 18 metri, con un massimo vicino ai 50 metri. Solo 10 anni più tardi, lo spessore medio si contraeva a 12,9 metri e quello massimo neppure a 40. Nello stesso periodo di tempo l'area coperta si è ristretta del 22%. Con questi ritmi la scomparsa è datata al 2050. NON SOLO MARMOLADA Il lavoro scientifico del prof. Carton prende in esame la storia del glacialismo dolomitico, ripercorre gli studi che dalla fine del XIX secolo hanno iniziato a delinearne il quadro evolutivo e arriva fino a tracciare le caratteristiche dei ghiacciai e dei glacionevati che sono presenti nei nove Sistemi delle Dolomiti Patrimonio Mondiale e che sono segnati dalla riduzione di superficie e di volume dovuta al processo di fusione in corso. Se un paragrafo è dedicato al caso specifico della Marmolada, molto interessante è anche l'indicazione dei possibili itinerari glaciologici sulla Marmolada, sulle Pale di S. Martino e sull'Antelao. Vengono analizzati anche i ghiacci del Sorapiss e del Pelmo. Per la Fondazione Dolomiti Unesco, questo è «un modo per contribuire alla conoscenza e alla divulgazione scientifica sullo stato dei ghiacciai delle Dolomiti e per continuare a stimolare la riflessione su tutto ciò che, insieme ai ghiacciai, stiamo perdendo a causa dei cambiamenti climatici». POSTER INFORMATIVI In occasione della Giornata mondiale dei ghiacciai, la Provincia di Trento ha installato poster informativi ai piedi di quattro ghiacciai per

evidenziarne l'evoluzione tramite immagini storiche, tra cui la Marmolada. «Vogliamo sensibilizzare la comunità locale e i visitatori sul valore unico dei nostri ghiacciai, che rappresentano una risorsa naturale fondamentale per l'equilibrio delle nostre montagne», evidenzia l'assessore provinciale all'ambiente, Giulia Zanotelli. «Le immagini documentano l'evidente riduzione dei ghiacciai». fdm

L’Adige | 22 marzo 2025 p. 39

È l’anno dei ghiacciai Le iniziative del Parco

GIULIANO BELTRAMI

CARISOLO

"Ghiacciai - il futuro dei ghiacciai perenni nelle nostre mani". È il titolo della mostra inaugurata ieri pomeriggio alla Casa del Parco Geopark di Carisolo e realizzata dal Muse assieme a numerosi partner locali. Che sia una mostra importante lo dice la tempistica anomala della sua apertura. Sarà visitabile infatti fino al 30 settembre ogni mercoledì dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 17 e ogni venerdì dalle 14 alle 17; inoltre mercoledì prossimo, 26 marzo, venerdì 4 e mercoledì 23 aprile dalle 18 alle 20, nell'ambito degli appuntamenti di Libriamoci. Come spiegano al Parco, «è composta da pannelli in plexiglass che offrono una visione complessiva dello stato dei ghiacciai nel mondo, e da un estratto del docufilm ‘Il canto del ghiaccio’, visibile in loop». Rimanendo nelle mostre, in collaborazione con il Parco fluviale della Sarca verrà allestita presso la Casa Acqua Life a Spiazzo la mostra dedicata al fiume Sarca dal titolo “Sottosopra - in viaggio con la Sarca”, con visite guidate e attività per famiglie. Il Parco ospiterà inoltre la mostra curata dalla Fondazione Dolomiti Unesco sul Geotrail, intitolata “Dolomiti in cammino nella geologia della meraviglia”. Dolomiti, Sarca... Comunque sia, tutto nasce dal ghiacciaio. Per questo nel corso del 2025 verranno organizzate escursioni tematiche guidate a cadenza settimanale assieme al personale del Parco, uno o più trekking più impegnativi (di due giorni) per conoscere il ghiacciaio dell’Adamello-Mandrone (nella foto, il più esteso dell’arco alpino) e il ghiacciaio d’Agola, con pernottamento al rifugio Mandron e Dodici Apostoli. Senza dimenticare le serate divulgative sul tema “I ghiacciai del Parco” in varie località dell’area protetta. Non mancheranno gli incontri per la presentazione del docufilm “Il canto del ghiaccio” con gli esperti del Parco, assieme ai colleghi della Sat, del Muse e degli altri enti che hanno collaborato alla realizzazione del progetto. Un estratto del film, “L’estate del Lares”, sarà visibile, oltre che al Muse, nell’ambito della mostra sui ghiacciai allestita a Carisolo. Infine verrà presentato al pubblico il database geomorfologico del Geoparco, «strumento fondamentale - per dirla con il Parco - per la conoscenza della geologia del Parco e quindi anche dei suoi ghiacciai e propedeutico alla realizzazione della Carta geomorfologica del Parco». Formazione e didattica. Nel 2025 prenderà il via un nuovo progetto formativo rivolto alle scuole superiori sul tema dei ghiacciai, che farà perno sul rifugio Mandrone. «Attraverso un percorso dinamico dal fondovalle all’alta quota gli studenti e i loro insegnanti impareranno a riconoscere i segni indelebili lasciati sul territorio dagli imponenti ghiacciai che hanno dominato la zona nei secoli passati, e che ora, a causa degli effetti del cambiamento climatico, stanno rapidamente scomparendo». I ghiacciai, tesori in via di estinzione. Saperlo è importante, ma non è sufficiente. Bisogna proteggerli, minacciati come sono dallo scioglimento causato dall’innalzamento delle temperature. Proteggerli significa preservare una delle ricchezze più importanti del Trentino: la risorsa idrica. Serve ricordare l’uso in casa, in campagna e nella produzione di energia idroelettrica? «Proteggerli - affermano al Parco - significa pure tutelare la biodiversità montana, la stabilità dei suoli e contribuire alla regolazione del clima a livello locale. I ghiacciai svolgono un ruolo chiave nella ricerca scientifica, cui il Parco tiene molto». Insomma, l’appello alla tutela dei “giganti bianchi” è accorato e soprattutto inevitabile. E chissà se saremo ancora in tempo.

Corriere del Veneto | 22 marzo 2025

p. 2, edizione Treviso – Belluno

Frenata sulle infrastrutture a Nordest «In ritardo A4 e treno per l’aeroporto»

M. Za.

Venezia

Confindustria prende la temperatura alle infrastrutture del Nord Italia e il Veneto fa decisamente la parte del leone. Dal quadruplicamento dei binari per l’Alta velocità agli hub portuali, dai potenziamenti autostradali al treno per l’aeroporto a Venezia gru ed escavatrici stanno lavorando sodo. Lo certifica l’annuale Osservatorio Territoriale Infrastrutture (Oti) con Fondazione Nord Est. Il macro dato nordestino è che nel 2024 l’83% degli interventi monitorati è avanzato, sì, ma accumulando del ritardo rispetto al rispetto dei cronoprogrammi nel corso dell’anno precedente. In sostanza nel 2024, il 66,7% dei lavori per le grandi infrastrutture in Veneto, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige è proseguito secondo i programmi. Nel 2023 il rispetto della tabella di marcia arrivava, però, al 78%. In buona sostanza, una frenata sulle infrastrutture c’è stata. La «classifica» dice che rispettano le tempistiche previste: la Tav tutta (Brescia-Verona ma anche Verona-Padova nonostante gli extra costi ancora da «regolarizzare»); la velocizzazione della linea storica fra Venezia e Trieste; il tunnel di base del Brennero; l’hub portuale di Venezia; il terminal Passeggeri dell’aeroporto Marco Polo di Venezia; l’interporto Quadrante Europa di Verona e anche il «servizio ferroviario metropolitano di Venezia» vale a dire il potenziamento e l’aumento della qualità del servizio delle linee ferroviarie che in Veneto trasportano i pendolari,

a partire dall’elettrificazione sulle tratte che ancora utilizzano motrici diesel. Là dove, invece, i cantieri hanno rallentato facendo peggio del previsto si incrociano la terza corsia sull’A4 fra Quarto d’Altino e Villesse ma anche l’A22 Autobrennero, la ferrovia FortezzaVerona, la superstrada Pedemontana (ultimata, in ritardo, a febbraio 2024 e poi agganciata all’A4 solo a maggio) e, soprattutto, la bretella ferroviaria fra Mestre e l’aeroporto di Venezia. Su quest’ultimo cantiere va detto che pesa la scadenza ormai vicina di giugno 2026 legata ai fondi Pnrr utilizzati. Tanto che ormai è assodato lo sforamento della dead line . C’è poi una sola opera che a Nordest che si guadagna il bollino rosso di «grave ritardo» e, però, non è veneta: si tratta dell’Autostrada Cispadana, una sorta di «Pedemontana emiliana», 65,7 chilometri per collegare A22 e A13 attraversando le province di Reggio Emilia, Modena e Ferrara. «Tra i lavori che stiamo seguendo con grande attenzione - commenta Raffaele Boscaini, presidente di Confindustria Veneto – ci sono anche quelli di Milano Cortina 2026. Restiamo fiduciosi che il completamento di queste infrastrutture avvenga nei tempi prospettati. Auspichiamo inoltre che entro l’anno si avviino anche i lavori per il fondamentale elemento di snodo costituito dalla variante di Longarone». E le due super-varianti di Cortina e di Longarone, ormai è chiaro, arriveranno ben dopo lo spegnimento della fiaccola olimpica sulle Dolomiti. Per gli industriali, però, c’è anche un altro comparto che necessità attenzione: la logistica. «Questo è un altro tema cruciale per la nostra regione - dice Boscaini - Confindustria Veneto da tempo segue con grande interesse le evoluzioni in atto su questo fronte. Lo stesso Pnrr, ad esempio, prevede finanziamenti per investimenti su nuovi modelli e piattaforme logistiche che ci permetterebbero di essere più efficienti e sostenibili superando l’attuale frammentazione nelle informazioni». Cambiano le esigenze delle imprese oltre che dei territori e cambiano anche le opere monitorate da Oti. Per il 2025 il sistema confindustriale veneto ha chiesto di inserire il monitoraggio di sei nuove opere: la nuova Romea Commerciale (o, meglio, la variante alla statale 309 fra Ravenna e Mestre), la Valdastico Nord (quel prolungamento a Nord dell’A31 che pare votato a non vedere mai la luce data la strenua opposizione del Trentino); il potenziamento della Pedemontana con i collegamenti Nord-Sud (sulla Valsugana, la statale 50 bis nell’area industriale di Feltre e e la 308 Del Santo); l’intera tratta dell’A13 alle prese con l’introduzione su alcuni tratti della terza corsia; l’aeroporto Catullo di Verona con l’ampliamento del terminal passeggeri e il completamento della regionale 10 da Carceri a Legnago. Non c’è, naturalmente, la Via del Mare che è ancora sulla carta e su cui si attende una valutazione dei costi aumentati a carico del consorzio Sis.

Il T | 22 marzo 2025 p. 9

«Ghiacciai in crisi, già persi novanta chilometri quadrati»

La Sat lancia il progetto «Freez the future». Ferrari: agire subito

Mostre, collaborazioni, convegni, laboratori. Sono tanti gli eventi promossi dalla Sat all'interno del progetto «Freeze the future» dedicato alla tutela dei ghiacciai trentini. L'iniziativa è stata presentata ufficialmente ieri in occasione della Giornata internazionale dei ghiacciai, una ricorrenza speciale visto che il 2025 è anche stato proclamato dall'Onu come l'anno internazionale a loro tutela. «Abbiamo pensato a lungo sul come riuscire a portare un tema apparentemente lontano come quello dei ghiacciai nel fondovalle trentino - spiega il presidente della Sat Cristian Ferrari - Siamo partiti dall'idea che un ghiacciaio sia tante cose insieme: uno spettacolare paesaggio montano, un fondamentale attore degli ecosistemi locali, una sentinella del cambiamento climatico, un luogo di memoria storica e ricerca scientifica. E tutto questo va raccontato in tanti modi, con tante iniziative e andando direttamente sul territorio. Il titolo Freeze the future vuole essere un appello all'azione, un tentativo di ispirare un cambiamento reale di fronte a una crisi climatica che sta lasciando sempre più il segno: dalla seconda metà dell'Ottocento sono andati persi 90 chilometri quadrati di ghiacciai». Contestualmente è stata inaugurata ieri proprio la prima iniziativa del progetto Freeze the future, cioè l'omonima mostra fotografica che raccoglie gli scatti dello stesso Ferrari sui ghiacciai trentini, che verrà ospitata nella sede della Sat di via Manci. «Durante gli anni, attraverso l'attività della Commissione glaciologica, ci siamo resi conto di come i dati e la mera misurazione numerica non siano efficaci nel dare consapevolezza di cosa sta succedendo in quota - prosegue il presidente Sat - Abbiamo quindi scelto il linguaggio delle immagini, del confronto visivo fra il prima e il dopo. Siamo convinti che questo aiuterà i visitatori a capire al meglio di costa si sta parlando». Oltre alla mostra, la sede Sat ospita da ieri anche l'opera «Albedo, memorie di un gigante», un'installazione da 2,5 metri di altezza e 3,75 di larghezza realizzata dal trentino Federico Seppi. «Sono quattro pannelli in legno di pioppo, foglie argento e rame ossidata - spiega l'artista - Ho usato una tecnica nata osservando la natura e i ghiacciai da vicino, quindi senza usare colore ma solo metallo che si ossida nel tempo». Per tutto il 2025, poi, Sat sarà affiancata da diversi partner (Muse, La Sportiva, Dolomiti Energia, Itas, Surgiva, Risto3, Casse Rurali) nella sensibilizzazione e promozione di azioni concrete per la tutela dei ghiacciai: ci saranno campagne digitali, uscite tematiche, laboratori dedicati ai giovani e, a settembre, è previsto un convegno scientifico sul tema. Presenti alla conferenza anche la vicepresidente provinciale Francesca Gerosa e l'assessora comunale Giulia Casonato. «Siamo di fronte a un tema che non può lasciare nessuno di noi indifferente - ha detto Gerosa - Viviamo in tempi veloci, frenetici, e il titolo Freeze the future è un invito, come dice lo slogan, a fermarci, osservare, riflettere. Lavorare sulle immagini come fatto attraverso la mostra è il giusto modo per dare consapevolezza di quanto sta succedendo, così come coinvolgere tutto il territorio e il maggior numero di attori possibili: andando a velocità diverse, avere sensibilità differenti sul tema renderebbe qualsiasi intervento a riguardo solo una goccia nell'oceano. Nelle nuove generazioni vedo comunque un'attenzione verso le tematiche ambientali che forse a noi, in passato, è mancata, e questo fa ben sperare per il nostro futuro».

Corriere del Veneto | 28 marzo 2025

p. 11, edizione Treviso – Belluno

Le estati più lunghe e torride «I ghiacciai delle Dolomiti spariranno entro il 2050»

DIMITRI CANELLO

BELLUNO

I ghiacciai dolomitici sono a serissimo rischio scomparsa entro il 2050. Il drammatico innalzamento delle temperature, le estati sempre più torride e l’innevamento più irregolare rispetto al passato sono alla base della drastica riduzione che sta avvenendo soprattutto sul versante bellunese. Sotto stress e sempre più ridotti, oltre alla Marmolada al confine col Trentino Alto Adige, anche Popera Alto, Popera Pensile, Cristallo, Sorapis Occidentale, Antelao Superiore e Antelao Inferiore. Anche gli altri ghiacciai sulle montagne italiane potrebbero scomparire nei prossimi decenni. Un innovativo studio pubblicato su «The Cryosphere», condotto dall’Isp (Istituto di Scienze polari) del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche), in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia, fornisce la prima stima pluridecennale (dagli Anni ’80 del secolo scorso al 2023) del bilancio di massa e delle variazioni topografiche dei ghiacciai montani della regione. Il progetto, supportato da enti come il Comitato glaciologico italiano, la Società meteorologica Alpino-Adriatica, l’Arpa (Agenzia regionale di protezione ambientale) Veneto e ulteriori istituzioni internazionali, ha adottato un duplice approccio metodologico: da un lato, l’utilizzo della tecnica «Structure from Motion» su immagini aeree storiche per il periodo 1980-2010; dall’altro, il ricorso a droni e alle acquisizioni LiDar da elicottero dal 2010 al 2023, garantendo una precisione elevata nelle misurazioni. Nel 2023 si contavano nove ghiacciai, ma la frammentazione della Marmolada in quattro corpi distinti porta il totale a 12. L’area complessiva di questi ghiacciai è passata da poco più di 4 chilometri quadrati negli Anni ’80 a meno di due chilometri quadrati oggi, registrando una perdita del 56%, di cui il 33% solo dal 2010 in poi, con una notevole accelerazione. Inoltre, il manto nevoso ha subito una diminuzione media di 28,7 metri di spessore dal 1980 al 2023, con un calo del 33% nel periodo più recente. Tra tutti, il ghiacciaio della Fradusta, in Trentino, ha subito la maggiore riduzione, perdendo 50 metri di spessore e riducendosi del 90% in termini di area. I dati climatici, elaborati in collaborazione con Arpa Veneto, evidenziano un aumento delle temperature di circa due gradi negli ultimi 40 anni, equivalenti a +0,5 gradi per decade. Sebbene si osservi un incremento delle precipitazioni nevose in alta quota, tali fenomeni non compensano l’accelerata fusione dovuta alle estati più lunghe e calde. Lo studio conclude che il 66% della perdita totale di volume degli attuali ghiacciai delle Dolomiti è attribuibile alla Marmolada e che le aree di accumulo dei ghiacciai si trovano ora al di sotto della linea di equilibrio glaciale alpina. Questo scenario preannuncia che, anche in presenza di condizioni climatiche stabili, i ghiacciai potrebbero frammentarsi in piccoli corpi statici o scomparire completamente entro pochi decenni. «I danni spiega Renato Colucci del Cnr sono ormai irreversibili e dovuti all’innalzamento delle temperature soprattutto d’estate. Ci saranno profondi mutamenti nell’ecosistema e nei prossimi due decenni, forse prima, i ghiacciai dolomitici sono destinati a scomparire».

Gazzettino | 28 marzo 2025

p. 26, edizione Belluno

«Tutti i ghiacciai delle Dolomiti stanno sparendo»

IL REPORT BELLUNO

«I ghiacciai delle Dolomiti stanno scomparendo». Sembra una frase da incipit di un film thriller catastrofico all'americana, eppure è la verità osservabile dei nostri giorni, per quanto sia difficile da digerire. E non si parla solo della Marmolada, il ghiacciaio simbolo delle Dolomiti: nei prossimi decenni potrebbero ridursi, fino a sparire, anche gli altri ghiacciai di queste montagne. A sostenerlo per la prima volta uno studio realizzato dall'Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) e dall'Università Ca' Foscari di Venezia, appena pubblicato sulla rivista "The Cryosphere". Hanno collaborato alla ricerca il Comitato Glaciologico Italiano, la Società Meteorologica Alpino-Adriatica, l'Arpa Veneto, il Servizio geologico di Danimarca e Groenlandia, l'Università tecnica della Danimarca, l'Università Roma Tre e l'Università del Quebec a Montreal. LA PREMESSA «Le Dolomiti sono state oggetto di numerosi studi in ambito geologico, geomorfologico e sulla biodiversità. Tuttavia, i ghiacciai di questa regione sono spesso rimasti ai margini dell'esplorazione scientifica, ad eccezione del ghiacciaio della Marmolada, il più esteso della zona», spiega Renato R. Colucci, ricercatore del Cnr-Isp e coautore del paper. «Nonostante le informazioni sui ghiacciai delle Dolomiti fornite dalle due edizioni dei catasti dei ghiacciai italiani del 1962 e del 2015, i dati disponibili in merito alla loro evoluzione nel corso del tempo sono stati finora estremamente frammentari, e spesso sono stati solo qualitativi, soprattutto per quanto riguarda le loro variazioni di volume. Il nostro è il primo lavoro a presentare una stima pluridecennale (dagli anni '80 al 2023) della variazione topografica e del bilancio di massa degli attuali ghiacciai montani presenti nelle Dolomiti». LA METODOLOGIA Un risultato raggiunto in due step: per il periodo dagli anni '80 al 2010 è stata impiegata la tecnica Structure from Motion (SfM) applicata ad immagini aeree storiche; dal 2010 al 2023 invece si è fatto uso anche di immagini con droni (Uav) e acquisizioni Light Detection and Ranging (LiDAR) da elicottero, che hanno permesso un'elevata risoluzione e accuratezza. I RISULTATI Al 2023, ultimo anno preso in esame dallo studio, si contavano 9 ghiacciai, anche se la frammentazione del ghiacciaio della Marmolada in 4 corpi glaciali distinti porta il numero totale a 12. «L'area totale di questi ultimi 12 ghiacciai è passata da poco più di 4 chilometri quadrati negli anni '80 a poco meno di 2 km quadrati oggi, con una perdita del 56%, di cui il 33% dal 2010», precisa Andrea Securo, dottorando dell'Università Ca' Foscari Venezia e coautore dello studio. I RISULTATI

«Complessivamente abbiamo riscontrato una diminuzione della superficie topografica media dei ghiacciai di 28,7 metri dal 1980 al 2023, di cui il 33% tra il 2010 e il 2023. Il ghiacciaio che ha subito la riduzione maggiore è quello della Fradusta, che ha visto una diminuzione di spessore medio di 50 metri ed una riduzione areale del 90%». Interessanti anche i dati sulle temperature elaborati per lo studio assieme ad Arpa Veneto che ha quantificato un aumento di +2.0°C, circa +0.5°C per decade negli ultimi 40 anni. Al contempo i dati mostrano anche un certo aumento delle precipitazioni nevose ma solo in alta quota, fenomeno che, avvertono i ricercatori, non è stato sufficiente a colmare la maggiore fusione dovuta a estati sempre più lunghe e sempre più calde. In conclusione, lo studio mette in luce che in tutta l'area il 66% dell'intera perdita di volume è attribuibile al solo ghiacciaio della Marmolada. «Oggi le aree di accumulo dei ghiacciai delle Dolomiti si trovano al di sotto della linea di equilibrio glaciale alpina, un indicatore del fatto che, nel giro di pochi decenni, questi ghiacciai scompariranno o si frammenteranno in piccoli corpi glaciali senza dinamica. Il loro destino appare purtroppo inevitabile anche assumendo una stabilizzazione del clima sui valori medi degli ultimi 30 anni (1991-2020)», concludono gli autori. Giulia Prior © RIPRODUZIONE RISERVATA.

La Usc di Ladins | 28 marzo 2025

p. 24

GLI EFFETTI DELLA CRISI CLIMATICA SULLE DOLOMITI

Corriere dell’Alto Adige | 1 marzo 2025

p. 5

Il meteorologo: «Un inverno mite e secco»

L’inverno meteorologico è stato eccezionalmente mite in tutto l’Alto Adige, con temperature, nei tre mesi di riferimento, superiori a quelle registrate nel periodo di riferimento di 30 anni, dal 1991 al 2020. Lo afferma il meteorologo Dieter Peterlin, dell’Ufficio provinciale Meteorologia e prevenzione valanghe, che spiega: «Lo scostamento è compreso tra un grado e un grado e mezzo». La temperatura

più alta dell’inverno ormai in archivio è stata registrata il 27 febbraio a Gargazzone con 16,6 gradi. La più fredda nella mattinata del 4 gennaio con meno 17,3 gradi, registrata a Monguelfo e Sesto Pusteria. La maggior parte dell’inverno è stato secco: «Questa fase di scarse precipitazioni è iniziata già a novembre» conferma Peterlin. Tuttavia, un unico e forte accumulo di neve a fine gennaio ha fatto sì che l’inverno meteorologico fosse comunque nella media. La primavera meteorologica inizia oggi: prevista in provincia un’alternanza tra sole e nubi.

Corriere del Trentino | 9 marzo 2025

p. 2

«La crisi climatica sta già modificando il comportamento di animali e piante»

TRENTO

I cambiamenti climatici non hanno solo degli effetti diretti sull'intensità degli eventi meteorologici estremi, ma possono influenzare indirettamente l'intero ecosistema. Un esempio è rappresentato dagli effetti riscontrabili su flora e fauna. «La crisi climatica sta già modificando il comportamento di animali e piante», afferma Filippo Zibordi, zoologo e divulgatore scientifico che per tredici anni ha lavorato con il Parco Naturale Adamello Brenta nell'ambito del progetto di reintroduzione dell'orso bruno in Trentino. «Abbiamo già moltissimi esempi dice Zibordi l'Eurac di Bolzano ha scoperto che la fioritura della varietà di melo Golden Delicious a Laimburg inizia circa n giorni prima rispetto al 1975». Una tendenza che con ogni probabilità riguarda l'intero Alto Adige, specie selvatiche incluse. La fioritura del melo dipende fortemente dalle temperature medie di fine inverno e primavera ed è influenzata anche dalle temperature notturne. Inoltre, non bisogna dimenticare che sull'arco alpino le temperature medie stanno aumentando a una velocità quasi doppia rispetto alla media globale. La conseguenza diretta, come evidenziano dailturac, è che di fronte a una fioritura precoce aumentino i danni dovuti alle gelate improvvise. Questo anche se le gelate tardive stanno diventando più rare a causa del riscaldamento climatico. «La fioritura anticipata ha effetti negativi persino sulla sopravvivenza dei piccoli di stambecco», prosegue lo zoologo citando i risultati di uno studio coordinato dal Parco nazionale del Gran Paradiso. «L'evoluzione degli stambecchi ha fatto sì che i capretti nascessero a giugno, quando la vegetazione e più rigogliosa, ora ciò non accade più e il latte delle femmine di stambecco è diventato meno calorico. Il problema è che in questo modo i piccoli si trovano ad affrontare l'inverno con una minor massa grassa e questo fa aumentare la mortalità». L'impatto dei cambiamenti climatici sulla fauna alpina è stato confermato anche da una ricerca coordinata da Maurizio Ramanzin (dell'Università di Padova) e da Francesca Cagnacci, della Fondazione Edmund Mach. L'inesorabile innalzamento delle temperature sta infatti spingendo alcune specie di ungulati verso altitudini più elevate. Gli stambecchi della Marmolada stanno già modificando gli orari in cui si alimentano e d'estate si sposta.

TRE CIME DI LAVAREDO: GLI AGGIORNAMENTI

Corriere delle Alpi | 5 marzo 2025

p. 18

Tre Cime, la soluzione è on line «Ma ci vorrà tempo per farlo»

il focus

Il primo grande parcheggio "a valle" è indubbiamente quello di Acquabona, a Cortina. «Per la verità ancora poco utilizzato perché», spiega il sindaco Gianluca Lorenzi, «deve maturare la cultura del trasbordo in navetta». Iniziative "promozionali" ancora più mirate saranno promosse per l'estate prossima. Ma ecco che s'affaccia, sempre sull'estate 2025, la rivoluzione di Auronzo, per Misurina. «In questi giorni», annuncia il sindaco Dario Vecellio, «abbiamo deliberato l'avvio delle procedure per razionalizzare ed informatizzare l'accesso alle Tre Cime di Lavaredo, attraverso il sistema della prenotazione, in modo da evitare ogni possibile coda. Si prenota il parcheggio a monte. I posti disponibili sono 700». Ma col tempo si arriverà anche alla prenotazione della sosta a valle, a Misurina e dintorni. Il che significa l'attivazione di un sistema di mobilità attraverso i mezzi pubblici. Si partirà da Misurina, ma soprattutto da Auronzo (oltre che da Calalzo). «La prenotazione esige che i posti macchina sia segnati e ben strutturati. Quindi ci vorrà del tempo. A valle, quindi ad Auronzo, non realizzeremo una mega area di sosta, ma tanti siti, di dimensione compatibile e opportunamente mascherati». In prospettiva non manca l'impianto a fune, per collegare la val Marzon alle tre Cime. Ma si tratta di un progetto delicato e complesso, nonché costoso, quindi dai tempi lunghissimi. Dall'altra parte della Provincia, intorno al gruppo del Sella è allo studio, per il mese di giugno, la chiusura dee passi nelle giornate di sabato per dedicarle al cicloturismo. Per il momento sono calendarizzati il Sellaronda Bike Day del giugno (Passo Sella, Passo Gardena, Passo Pordoi e Passo di Campolongo), il Dolomites Bike Day del 21 giugno (Campolongo, Falzarego e Valparola), la Maratona dles Dolomites del 6 luglio (Campolongo – Pordoi – Sella – Passo Gardena – Passo Giau – Valparola) e in settembre il Sellaronda Bikeday del giorno 13. Michela Lezuo, presidente del Consorzio Turistico di Arabba, conferma che c'è l'intenzione di comprendere altri sabati di giugno, per dedicare un intero mese all'attività cicloturistica che

richiama un numero sempre maggiore di appassionati. «Ma nulla è stato ancora deciso. È in corso una interlocuzione tra le valli, che peraltro tiene conto di varie problematiche. Certo è che una nuova consapevolezza di accesso alla montagna è ormai imprescindibile». I Comuni intorno al Gruppo del sella, immaginando nuove modalità di accesso, stanno progettando anche i necessari parcheggi a valle. "È ancora presto per ipotizzare prenotazioni o altri sistemi" ammette il sindaco di Livinallongo Nagler. Paolo Frena, sindaco di Colle Santa Lucia, ha allo studio modalità nuove accesso e di parcheggio al passo Giau. «Ma in questo caso», afferma, «la soluzione radicale arriverà solo con il collegamento in cabinovia da fedare a Colle santa Lucia e al Fertazza, quindi con parcheggia a valle». fdm © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corriere delle Alpi | 8 marzo 2025

p. 35

Tre Cime, parcheggi solo su prenotazione Il costo per le auto passa da 30 a 40 euro

Gianluca De Rosa / auronzo

L'attesa è stata tanta, ma alla fine la prima grande novità per l'accesso alle Tre Cime di Lavaredo è arrivata. L'amministrazione comunale di Auronzo ha dato il via libera all'introduzione del sistema di prenotazione on line dei parcheggi del rifugio Auronzo, con l'obiettivo di ridurre le code in entrata al casello e il conseguente caos che quotidianamente, durante il periodo estivo, coinvolge tutta l'area fino a Misurina. Sarà un sistema pensato per gestire da remoto il pagamento del parcheggio delle Tre Cime, capace di garantire un posto riservato ad auto, camper o van limitati ad un numero massimo di 800 unità, lo stesso del recente passato. Sarà, soprattutto, l'unico sistema per accedere alle Tre Cime di Lavaredo visto che il vecchio pedaggio da pagare una volta giunti al casello andrà in pensione. «Stiamo lavorando per riuscire ad attivare il sistema di prenotazione per il parcheggio delle Tre Cime di Lavaredo in tempo per l'inizio della stagione estiva», annuncia Nicola Bombassei, consigliere delegato alle Tre Cime di Lavaredo e Misurina. «Riteniamo che la prenotazione del parcheggio sia l'elemento fondamentale per ridurre le code in entrata verso le Tre Cime da Misurina. Non ci sarà più la possibilità di accedere ai parcheggi del Rifugio Auronzo senza prima aver riservato il proprio posto. Il nuovo sistema ridurrà il traffico superfluo che si generava tra chi rimaneva ad aspettare in coda nell'attesa che si liberasse un posto nel parcheggio». L'introduzione del sistema on line per riservare un posto auto alle Tre Cime non sarà l'unica novità dell'estate 2025: contestualmente infatti, l'amministrazione comunale ha varato un aumento delle tariffe del medesimo parcheggio che passano dalle 30 euro giornaliere (per un'auto) a 40 euro (che diventano 60 euro per un van). Invariato l'orario di permanenza che resta di dodici ore. Aumento così spiegato dallo stesso consigliere Nicola Bombassei. «Il vecchio sistema produceva per il Comune di Auronzo incassi importanti, questo è risaputo. Il nuovo sistema ridurrà gli incassi perché rivoluzionerà le modalità di accesso al sito, ma per noi la priorità in questo momento è quella di eliminare le code e contestualmente migliorare l'accesso in quota a tutto vantaggio dell'esperienza dei visitatori. Altro tema importante è quello della riduzione dell'inquinamento. L'aumento delle tariffe è da considerare fisiologico, visto che le stesse erano ferme ormai da molti anni». L'aumento delle tariffe garantirà ugualmente introiti importanti al Comune di Auronzo ma al tempo stesso potrebbe fungere (il condizionale è d'obbligo) da deterrente per l'accesso motorizzato alle Tre Cime a tutto vantaggio di sistemi alternativi. Tra questi quello che richiede il ricorso al trasporto pubblico, altro tema al vaglio delle autorità competenti. «Il parcheggio riservato è solo un primo atto, continueremo a lavorare alacremente per ridurre l'impatto delle auto su tutta l'area, Misurina compresa che finora ha pagato un prezzo carissimo, strettamente collegato al caos ed alle code in direzione Tre Cime», conclude Nicola Bombassei. «L'obiettivo primario è contrastare il parcheggio selvaggio. Lo spettacolo offerto dalle macchine in sosta in ogni dove, prati compresi, è uno scempio che cozza con il paesaggio circostante».

Corriere delle Alpi | 9 marzo 2025

p. 27

«L'obiettivo è la funivia per le Tre Cime»

L'introduzione del sistema di prenotazione dei parcheggi alle Tre Cime di Lavaredo, grande novità in vista dell'estate 2025, rappresenta solo il primo passo di un progetto più ampio pensato per modificare completamente la mobilità attorno al monumento naturale simbolo del patrimonio Unesco nel mondo. Ad Auronzo, infatti, si continua a lavorare alla realizzazione di un impianto di risalita che raggiunga l'area delle Tre Cime di Lavaredo da Misurina. Obiettivi a breve, medio e lungo termine nella testa degli attuali amministratori auronzani, che con la delibera che sancisce il passaggio al posto auto riservato da remoto, hanno "sganciato" il territorio di Misurina dalle sabbie mobili in cui è rimasto impelagato per tanto, troppo tempo. La prenotazione del posto, che avverrà attraverso un portale ad hoc i cui dettagli verranno resi noti più avanti, a ridosso della riapertura della strada (attualmente ancora chiusa come avviene tradizionalmente durante il periodo invernale) e del via alla stagione turistica estiva, manda in pensione il casello situato un paio di tornanti più su del lago Antorno. Questo significherà che, quando si sarà riempito il parcheggio, a nulla servirà mettersi in coda per ore sotto il sole con la sola conseguenza di creare caos e disagi. L'altro tema attualmente al vaglio delle autorità è legato alla fruibilità del sistema di

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trasporto pubblico. Un obiettivo da considerare non proprio a breve termine, più giusto forse dire a medio. I ragionamenti con i vertici di Dolomitibus proseguono, seppur a far spenti, da tempo, ma sul discorso della mobilità scende in campo anche la vicina Pusteria (che nel frattempo approva la mossa del ticketing on line, varato sulla falsa riga di quanto già avviene, con ottimi riscontri, da qualche anno a Braies). «Dobbiamo dare respiro a Misurina cancellando il parcheggio selvaggio delle auto che interessa non solo l'area intorno al lago ma anche i prati circostanti», ha sottolineato il consigliere comunale con delega a Tre Cime e Misurina Nicola Bombassei, «si tratta di una conseguenza del caos che si genera sin dal mattino presto lungo la strada d'accesso alle Tre Cime. Questo ora non succederà più. Misurina non merita certi scempi». Il tutto con un progetto ambizioso sullo sfondo: la realizzazione di un impianto di risalita Misurina-rifugio Auronzo che cancelli definitivamente la presenza di macchine nelle vicinanze del rifugio Auronzo e dunque, letteralmente, a due passi dalle Tre Cime. «Non è un sogno ma un obiettivo concreto da perseguire», ha aggiunto Bombassei, confermando di fatto le indicazioni emerse già qualche settimana fa. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Gazzettino | 12 marzo 2025

p. 37, edizione Belluno

Tre Cime, contro overtourism parcheggi prenotabili online

AURONZO

Primo provvedimento da parte della Giunta del Comune di Auronzo di Cadore guidata dal sindaco Dario Vecellio Galeno per mitigare gli effetti dovuti all'enorme afflusso turistico estivo verso i parcheggi ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. Si tratta, come recita il dispositivo, di avviare una fase sperimentale finalizzata a mitigare l'impatto antropico in tutta l'area, fornendo un servizio adeguato all'utenza turistica e valorizzando l'area che, tra l'altro, è Patrimonio Unesco. Lo strumento che l'esecutivo ha deciso di adottare è l'introduzione di un sistema di accesso al parcheggio in quota attraverso la prenotazione da portale dedicato digitale multilingue, utile al calmieramento dei flussi nell'area. IL PROBLEMA Difatti in ogni estate al casello di esazione del parcheggio si verifica un blocco delle auto, creando code chilometriche lungo la strada che impattano anche nell'area di Misurina e di conseguenza nelle direzioni di Auronzo, di Carbonin di Dobbiaco e di Cortina con il Passo Tre Croci. Tutta l'area dunque si trova con il traffico congestionato con conseguenti disagi anche agli automobilisti in transito. NUOVO SISTEMA Al potenziale visitatore si presenterebbero dunque delle possibili scelte alternative di accesso per giorno e fascia oraria disponibile con il pagamento informatizzato. Nello stesso tempo, anche tramite l'introduzione del sistema di vendita predittivo dell'intelligenza artificiale sarebbe garantita la capienza massima disponibile alla vendita dei ticket. Nella delibera si ricorda che tale servizio «debba interagire ed essere strettamente coordinato con i consueti servizi che vengono ordinariamente affidati agli operatori economici all'uopo individuati, oltre che con le maestranze messe a disposizione dall'ente, e le attività degli operatori economici terzi per garantire la buona gestione complessiva del sistema della Strada e parcheggi delle Tre Cime per l'incipiente stagione 2025». Insomma il sistema di prenotazione digitale è ritenuto una valida alternativa che integra quello fin qui adottato. Questo è uno dei tasselli di un disegno più ampio che l'Amministrazione comunale auronzana ha in animo di adottare per fronteggiare un fenomeno che negli ultimi anni è cresciuto in modo esponenziale e da razionalizzare. (G.G.) © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corriere delle Alpi | 25 marzo 2025

p. 28

Sabato una tavola rotonda sui problemi delle Tre Cime

Auronzo

Sabato 29 marzo alle 17.30 ad Auronzo, nella sala consiliare del municipio, si terrà una tavola rotonda con la presenza di: Dario Vecellio Galeno sindaco di Auronzo, Renato Frigo presidente Cai Veneto, Georg Simeoni presidente Alpenverein Südtirol (AVS), Carlo Alberto Zanella presidente Cai Alto Adige e Luigi Casanova presidente Mountain Wildernss Italia coordinati dalla giornalista Mirta Da Pra Pocchiesa. La serata apre il confronto partecipato sulla gestione del territorio delle Tre Cime di Lavaredo, in modo specifico sugli accessi, da parte altoatesina e da parte bellunese. Un incontro aperto a tante domande che necessitano di risposte adeguate: chiusura al transito privato, navette pubbliche e private con prenotazione, una o più cabinovie, parcheggi e dove, come gestire e riqualificare un territorio patrimonio Unesco, quali ricadute economiche e sociali sui territori, sulla biodiversità e sui paesaggi. Sono rare le situazioni in cui si riscontrano tanti problemi fra loro interconnessi, causa di pesanti conflitti che portano all'immobilismo. Conflitti che, qualora fossero affrontati e risolti, potrebbero produrre rigenerazione, qualità, ordine e rispetto verso la natura, verso i residenti, verso gli ospiti, verso le Istituzioni. A chi spetta il compito di indirizzo della gestione del territorio su un'area tanto vasta, fragile, delicata? Come costruire un percorso partecipato che porti a smorzare i conflitti e a costruire trasparenza e condivisione? I promotori sono: il Coordinamento associazioni per ambiente e legalità alto bellunese, Mountain Wilderness Italia, Italia Nostra Belluno, Wwf, O.A. Terre del Piave Libera Cadore, Ecoistituto Veneto A. Langer, Gruppo Promotore Parco del Cadore e Peraltrestrade Dolomiti. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Gazzettino | 25 marzo 2025

p. 37, edizione Belluno

Tre Cime come il centro di Milano: sabato un convegno per fare ordine

GIANFRANCO GIUSEPPINI

AURONZO

Le Tre Cime di Lavaredo saranno al centro di un dibattito nel municipio di Auronzo di Cadore sabato alle 17,30. Il gruppo promotore è costituito da Mountain Wilderness Italia, Italia Nostra sezione di Belluno, Wwf Terre del Piave, Libera Cadore presidio Barbara Rizzo, Ecoistituto Veneto Langer, Gruppo promotore parco del Cadore e Peraltrestrade Dolomiti. Alla tavola rotonda parteciperanno il sindaco Dario Vecellio Galeno, i presidenti del Cai Veneto Renato Frigo, di Alpenverein Südtirol Georg Simeoni, del Cai Alto Adige Carlo Alberto Zanella, di Mountain Wildernss Italia Luigi Casanova. Assenti, le istituzioni territoriali delle Regole auronzane che in un'ormai annosa vertenza con il Comune di Auronzo rivendicano l'area facente parte dell'ormai famosa particella catastale 402. Perchè è potenziale parte in causa nella gestione del territorio. Altra notazione è quella che non si è mai assistito nel municipio auronzano ad una partecipazione così massiccia di associazioni interessate all'aspetto ambientale, provenienti anche dal vicino Alto Adige. Il tema su cui verterà la discussione è "La lunga visione di Dino Buzzati: Le Tre Cime di Lavaredo assediate dalle auto". L'ORIGINE Lo spunto di partenza del dibattito è dunque quello di un ampio articolo del 5 agosto del 1952 del giornalista scrittore bellunese che con chiaroveggenza lanciava l'allarme dell'assalto da parte di mezzi motorizzati alla celebre triade dolomitica e alle vette che la circondano. Un fenomeno legato a sovraffollamento turistico di tutta l'area, da Braies, a Misurina al Sorapiss e che nelle Tre Cime trova il suo culmine. Sono mille i quesiti che il fenomeno di questi tempi propone e che i partecipanti proveranno ad affrontare: chiusura al transito privato? Navette pubbliche e private con prenotazione? Una o più cabinovie? Parcheggi, ma dove? Come gestire e riqualificare un territorio patrimonio Unesco? Quali ricadute economiche e sociali sui territori? E sulla biodiversità? E sui paesaggi?. IL PROBLEMA «Sono rare puntualizza l'organizzazione - le situazioni in cui si riscontrano tanti problemi fra loro interconnessi, causa di pesanti conflitti che portano all'immobilismo. Conflitti che, qualora fossero affrontati e risolti, potrebbero produrre rigenerazione, qualità, ordine e rispetto verso la natura, verso i residenti, verso gli ospiti, verso le istituzioni». Conseguenti a questi interrogativi sono quelli relativi alla gestione di una tale situazione: a chi spetta il compito di indirizzo della gestione del territorio su un'area tanto vasta, fragile, delicata? Come costruire un percorso partecipato che porti a smorzare i conflitti e a costruire trasparenza e condivisione? Dicono gli organizzatori: «Questo è lo scopo della serata, attendiamo non solo un folto pubblico, ma le istituzioni coinvolte. È compito della politica e delle istituzioni fare la sintesi». Gianfranco Giuseppini © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corriere del Veneto | 28 marzo 2025

p. 11, edizione Treviso – Belluno

Tre Cime di Lavaredo e l’overtourism Tavola rotonda col sindaco di Auronzo e gli ambientalisti per una soluzione

Ugo Cennamo

Auronzo

Originale la teoria del sindaco dei sindaci Andrea De Bernardin, tre mandati consecutivi a Rocca Pietore prima di passare il testimone l’anno passato e oggi «solo» segretario provinciale della Lega. Sostiene, lui che è cresciuto nell’Agordino ai piedi della Marmolada, che se un turista di passaggio per le strade dolomitiche vede un parcheggio strabordante di auto ci si butta a capofitto, ignorando quelli meno frequentati e che magari nascondono bellezze altrettanto uniche. Di certo quel che accade in luoghi-simbolo delle montagne divenute non per caso patrimonio Unesco è sotto gli occhi di tutti. I ventimila turisti ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo registrati nelle giornate di massimo afflusso, molti dei quali arrivati passando da un altro gioiello quale è il lago di Misurina, sono il classico esempio di quel sovraffollamento turistico che trasfigura la bellezza di un luogo. Più che legittimo chiedersi cosa accadrà se non si mette un freno a questa tipologia di turismo, devastante quanto il granchio blu per l’habitat marino delle nostre coste. «Necessario trovare soluzioni afferma convinto Dario Vecellio Galeno, sindaco di Auronzo ma non dimentichiamo che il turismo evita lo spopolamento, porta ricchezza a chi vive nelle nostre valli, non possiamo creare delle riserve come predica l’ambientalismo estremo». Per conoscere le contromisure che il primo cittadino intende adottare per il versante veneto delle Tre Cime un’occasione la offre la tavola rotonda domani alle 17.30 in municipio ad Auronzo. Il sindaco Galeno sarà tra i protagonisti dell’incontro organizzato dal Coordinamento delle associazioni per l’ambiente e la legalità dell’Alto Bellunese ovvero Mountain Wilderness Italia, Italia Nostra, Wwf Terre del Piave, Libera Cadore, Ecoistituto Veneto Langer, Gruppo Promotore Parco del Cadore, Peraltrestrade Dolomiti. Incontro pubblico che s’ispira a una previsione azzeccata del giornalista del «Corriere della Sera» e scrittore Dino Buzzati. «Le Tre Cime di Lavaredo assediate dalle auto» è il titolo dell’appuntamento al quale parteciperanno anche Renato Frigo, presidente del Cai (Club alpino italiano) Veneto, Georg Simeoni, presidente Alpenverein Südtirol, Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige e Luigi Casanova, presidente Mountain Wilderness.

Corriere delle Alpi | 30 marzo 2025

p. 28

Una rete per costruire ma spicca l'assenza della Fondazione Unesco

FDM

il dibattito «Bisogna pensare al bene comune. Forse, dunque, l'impianto di trasporto a fune potrebbe essere una soluzione». Così Mauro Corona, intervenuto anche lui al confronto di Auronzo sull'accessibilità alle Tre Cime. Ma lo scrittore, alpinista e scultore ha sollecitato una soluzione anche per il lago di Sorapis. Il convegno di ieri aveva lo scopo di riattivare una rete, affidando alla Fondazione Dolomiti Unesco la regia di ogni possibile azione. Ma come ha fatto rilevare la moderatrice Mirta Da Pra, la Fondazione non è intervenuta. E la Provincia neppure. «I conflitti, laddove non gestiti, generano le macerie degli errori, irrecuperabili (si pensi alla strada delle Tre Cime) e dell'immobilismo», ha osservato Gigi Casanova, presidente di Mountain Wilderness. «La Fondazione Dolomiti Unesco è un ente sovraregionale. Ha finalità coerenti con il nostro progetto: liberare dalla morsa delle auto l'intero areale delle Tre Cime di Lavaredo, senza trasferire in altri ambiti costi ambientali e paesaggistici. Noi siamo qui per affermare la nostra piena disponibilità a una collaborazione costruttiva». E allora – ha invocato - dotiamoci di un metodo, di un agire condiviso nell'affrontare questo nodo che qualifica le intere Dolomiti. Confronto, anche conflitto serio se necessario. Ma per arrivare dove? «Avere le Tre Cime di Lavaredo e Monte Piana liberi da auto private e altri mezzi a motore, anche invernali, anche dai voli di qualunque tipo. Montagna libera da rumori, ridonata alla natura, montagna che venga vissuta con umiltà e leggerezza, montagna capace di trasferire emozioni e non solo utile allo scatto di qualche foto». Ovvero, come ha osservato Da Pra, una prospettiva sempre più lontana dall'overtourism. E in questo senso è necessario un dialogo costante sia all'interno delle terre alte e tra queste e la pianura, la città, con «un ascolto reciproco». Infatti il "conflitto" è dietro l'angolo, basta considerare il pendolarismo turistico ormai esasperato. Occorre anche un patto fra generazioni. Da Pra l'ha definito il "Metodo Tre Cime". Tutti d'accordo, gli altri, a cominciare da Renato Frigo, presidente regionale del Cai, che ha raccomandato «programmazione, pianificazione», ciò che oggi ancora manca. Si veda, appunto, il tema del traffico verso le Tre Cime, un tema sollevato a suo tempo dallo stesso Dino Buzzatti, ma più recentemente (40 anni fa circa) da Alex Langher con le prime proteste al parcheggio in quota. Secondo Frigo la necessaria programmazione deve evitare, ad esempio, che mentre Auronzo studia accessi sostenibili, ci siano aziende di Tpl che incentivino a dismisura le corse verso la "Trinità". Carlo Alberto Zanella del Cai Alto Adige ha sollecitato un freno al turismo mordi e fuggi, dichiarandosi comunque favorevole alla prenotazione. E in particolare ha rinnovato l'esigenza che l'accesso ai passi dolomitici avvenga a fasce orarie e con prenotazione. Certo è che l'assenza della Fondazione Dolomiti Unesco, in particolare del suo vertice politico, ieri ha pesato. E a questo proposito Frigo ha tenuto a ribadire un suo concetto: «La Fondazione siamo noi. Riempiamola noi di contenuti». In sede di convegno è stata rivalutata anche la funzione delle Regole. «Hanno permesso la vita di comunità di montagna. Grazie alle Regole nella gestione del territorio si sono istituiti i demani collettivi, democratici, forti di solidarietà, di condivisione. Sono le Regole ad aver permesso alle comunità locali e valligiane la sopravvivenza in autonomia di governo del territorio in tempi di scarsità di risorse. Oggi», è stata la riflessione di Casanova, «il termine "regole" viene trasformato in negativo e letto come vincolo, impedimento, non più come regola tesa alla tutela di un bene nel futuro. Si tratta di un preoccupante arretramento culturale che poggia su una lettura della libertà individuale e collettiva priva di una minima attenzione alle necessità delle generazioni future». fdm © RIPRODUZIONE RISERVATA Escursionisti davanti allo spettacolo delle Tre Cime di Lavaredo.

Corriere delle Alpi | 30 marzo 2025 p. 28

Alle Tre Cime in bus e funivia: tavolo Comune-ambientalisti

Francesco Dal Mas / AURONZO

Comune di Auronzo e ambientalisti per la prima volta gli uni di fronte agli altri per provare a decidere insieme il destino del traffico mortifero fino ai piedi delle Tre Cime. E in 150, ieri pomeriggio, nella sala del municipio, per partecipare all'inedito confronto. Il sindaco Dario Vecellio Galeno ha confermato che la prossima estate da Misurina si salirà solo con la prenotazione, in modo da evitare le code anche di tre ore. Ha pure confermato che il pedaggio aumenterà a 40 euro per le auto: per incentivare il trasporto pubblico. Ha quindi anticipato l'idea di un partenariato pubblico privato per risolvere definitivamente le problematiche dell'assalto alla ‘Trinità'. «Registriamo punte addirittura di 13 mila arrivi in quota, nei giorni di picco, comunque la media non è mai inferiore alle 8-10 mila presenze. Il numero compatibile è invece di 4-5 mila», ha precisato il sindaco introducendo la riflessione del convegno organizzato dalle associazioni ambientaliste. L'intenzione dell'amministrazione Vecellio Galeno è di chiudere il parcheggio vicino al rifugio Auronzo, e quindi la strada, e di realizzare - con investitori privati - un collegamento funiviario, più precisamente una cabinovia, con partenza da Misurina, magari dal parcheggio sopra il lago, dove la stazione rimane quasi invisibile. Ma, attenzione: a Misurina non si arriverà più in macchina, se non in transito. Vi si approderà attraverso una fitta rete, coordinata, di trasporti dalla Val d'Ansiei, da Cortina e dall'Alta Val Pusteria. «Prevediamo servizi di trasporto privato (perché ormai il pubblico non è in grado di garantire corse efficienti) che ad orario cadenzato raccolgono il turista o escursionista davanti agli alberghi e presso i parcheggi a valle, ovviamente meglio strutturati, per consegnarli al trasporto funiviario». Ma non si è sempre detto che la strada col pedaggio era insostituibile per garantire alle casse municipali 2 milioni

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Gazzettino | 30 marzo 2025

p. 27, edizione Belluno

Tre Cime, meno auto e un nuovo impianto che sale al rifugio

LUCIO EICHER CLERE

IL PROGETTO AURONZO DI CADORE

Basta con l'assedio delle auto alle Tre Cime di Lavaredo. Al convegno organizzato ieri da diverse associazioni ambientaliste, tra cui Italia Nostra, Libera, Pas, Mountain Wilderness, nella sala consiliare del Comune di Auronzo, c'era più di un centinaio di persone, in rappresentanza della comunità auronzana, ma anche dai territori vicini del Cadore e della Pusteria. Nel ricordo della presa di posizione fatta da Dino Buzzati nel 1952 contro la costruzione della strada che sale fino al rifugio Auronzo, appello vano visto che la strada è ora l'argomento di discussione sulla necessità di intervenire per fermare o almeno frenare l'enorme numero di auto e pullman vicino al lago di Misurina e di Antorno e le lunghe code al casello per salire pagando il pedaggio, si è affrontato il drammatico problema che da decenni aspetta di essere risolto GLI INTERESSI IN BALLO È quindi tra interesse economico dell'ente pubblico e prospettiva di un turismo rispettoso della fragilità dell'ambiente, che lo stesso Comune di Auronzo sta affrontando il problema di limitare l'accesso alle Tre Cime. Nell'introduzione fatta da Mirta Da Pra Pocchiesa, presidente del Parco del Cadore, giornalista, coordinatrice di Casa Comune del Gruppo Abele di Torino, è stato sottolineato il problema del surplus turistico, a cui dovrebbero porre freno le istituzioni, e la ricerca di un nuovo approccio alla questione che potrebbe diventare il "Metodo Tre Cime", da estendere a tutte le località dolomitiche e di altre zone di montagna invase dai turisti. Lo stimolo di Mirta ha dato modo al sindaco di Auronzo, Dario Vecellio Galeno di entrare al centro della questione del sovraffollamento, sopratutto nei mesi estivi, delle Tre Cime di Lavaredo: «È un problema che stiamo affrontando da tempo e la nostra proposta si concretizza in una limitazione delle auto al fondovalle, la prenotazione degli accessi con salita in pullman e la costruzione di un impianto di risalita che da Misurina porti i turisti fino alla base delle Tre Cime. È una idea che dovremo condividere con i Comini di Cortina e Dobbiaco, ma che va nella direzione di ridurre l'inquinamento di anidride carbonica provocato dall'enorme numero di automobili e di abbassare il numero giornaliero di turisti, possibilmente dilatando le presenze nei mesi primaverili e autunnali». IL COORDINAMENTO Una proposta che dovrà essere esaminata anche nei contesti politici di Provincia e Regione, entrambe assenti, così come con la Fondazione Dolomiti Unesco. E contro la mancanza di difesa del territorio da parte della Fondazione si sono espressi sia il presidente del Cai Veneto Renato Frigo che quello della provincia di Bolzano Carlo Alberto Zanello. Nell'intervento conclusivo, il presidente di Mountain Wilderness. Luigi Casanova ha criticato il "convitato di pietra", quale è stato il progetto di collegamento tra Padola e Passo Monte Croce Comelico. Una critica dura ai nuovi impianti, anche in considerazione dei cambiamenti climatici. L'ALTRO COMUNE Tra gli interventi del pubblico, di rilievo quello del sindaco di Sesto, dirimpettaio del Comune di Auronzo per le Tre Cime, che si è rammaricato che dopo i primi contatti per affrontare il problema del sovraffollamento sotto le Drei Zinnen, non si sia più proseguito nella condivisione di idee e progetti, come quello illustrato da Dario Vecellio Galeno. Una platea cosciente della necessità di intervenire rapidamente per la limitazione del traffico e dell'afflusso incontrollato, ha potuto ribadire in molti altri interventi il sostegno alla tutela e al rispetto della natura, per consegnare un ambiente vivibile alle generazioni future. Secondo molti il convegno deve essere di stimolo per operare decisi nella direzione di fermare l'afflusso automobilistico da Misurina alle Tre Cime di Lavaredo. Lucio Eicher Clere © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corriere del Veneto | 30 marzo 2025

p. 8, edizione Treviso - Belluno

Tre Cime di Lavaredo come Venezia «Traffico e ressa, adesso si prenota»

AURONZO DI CADORE (Belluno)

Oggi per arrivare alla Tre Cime di Lavaredo, al confine fra Veneto e Trentino Alto Adige, per godere di uno dei panorami più belli del mondo, si paga dai 20 euro in moto, 30 euro in auto, fino ai 120 euro in un pulmino di trenta persone. Ciò nonostante, l’afflusso di turisti resta troppo elevato, fino a toccare punte di 7-8 mila persone al giorno. E così, nel 2025 arriva una nuova stretta: a riferire della novità, ieri in una tavola rotonda ad Auronzo di Cadore nel Bellunese, il sindaco Dario Vecellio Galeno: «Abbiamo pensato a una

17 e mezzo di introiti? «Disponiamo di studi che con un trasporto più sostenibile riusciremmo perfino a raddoppiare questo introito. E nello stesso tempo a salvaguardare il nostro straordinario contesto ambientale», è la risposta del sindaco. Tra l'altro, secondo Vecellio Galeno, con una siffatta organizzazione la destagionalizzazione potrebbe essere assicurata per 10 mesi l'anno. Il sindaco ha illustrato anche uno studio molto interessante sulle emissioni di Co2: 80 grammi al km a passeggero tramite bus, 143 grammi in auto. Ebbene, calcolando 10 mesi di auto e bus con una media di 4 mila trasportati al giorno in alta stagione e 700 in bassa, la quantità di Co2 ammonterebbe a 2.283 tonnellate al dì. Nello stesso periodo di tempo, con il collegamento funiviario si potrebbero risparmiare 1.959 tonnellate, senza contare l'impatto visivo dei parcheggi, l'inquinamento acustico, il continuo traffico veicolare da Misurina alle Tre Cime. La reazione degli ambientalisti? Non è stata di immediata contrarietà. L'importante, hanno detto, è avviare un tavolo di confronto. Piena la disponibilità del sindaco.

soluzione per arginare il traffico nella zona ha detto perché ha toccato punte insostenibili e questo nonostante il pedaggio che si paga attualmente. Il mio Comune ha pensato a un sistema di prenotazione per gestire i flussi di turisti e per limitare l’accesso». Il piano segue l’esempio del ticket d’accesso di Venezia dove a undici giorni dall’apertura del portale in 10 mila hanno già prenotato e 20 mila chiesto l’esenzione tra il 18 aprile e il 4 maggio. Obiettivo di Auronzo: «Dare respiro all’area di Misurina attorno al lago dice il sindaco . Ci si potrà prenotare sul web e potrà essere garantito un accesso regolamentato favorendo il più possibile bus navetta dedicati più che l’auto singola. Vogliamo un turismo sostenibile e responsabile». I passaggi formali come le delibere comunali non sono ancora stati compiuti, ma la strada è tracciata. E nel dibattito di ieri l’opinione comune di tutti i partecipanti è che si debba trovare una soluzione il prima possibile: «Se per limitare l’accesso ai parcheggi spiega il presidente del Cai altoatesino Carlo Alberto Zanella bisogna far pagare cento euro, io sono a favore. Non è possibile vedere scene come quelle che abbiamo visto sinora. Sarà pure un turismo elitario, ma non possiamo permettere che si stia in coda per ore». Al dibattito è intervenuto anche il presidente del Cai Veneto Renato Frigo. Rispetto al suo pari grado altoatesino, la sua posizione è allineata con quella di Vecellio Galeno: «Sinceramente non vorrei che le Tre Cime di Lavaredo si trasformassero in una meta per ricchi argomenta ma c’è da dare respiro a tutta la viabilità attorno al lago di Misurina, che in estate diventa invivibile, così come durante le festività dove l’accesso turistico raggiunge i picchi più elevati. Regolamentare gli accessi è l’unica soluzione». Frigo propone una ricetta: «Dobbiamo pensare a un numero massimo di persone che possano arrivare nella zona. Ne va della qualità complessiva del turismo, che non può diventare un luogo dove si fa una parata di Porsche o un turismo mordi e fuggi. Deve essere un turismo consapevole della bellezza di quello che si va a visitare e, per questo, rispettoso e regolamentato». Luigi Casanova, presidente di Mountain Wilderness Italia, ha un’idea precisa in mente. «Dobbiamo avere le Tre Cime di Lavaredo e Monte Piana liberi da automobili private e mezzi a motore, anche dai voli di qualunque tipo spiega Montagna libera da rumori, ridonata alla natura, vissuta con umiltà e leggerezza, capace di trasferire emozioni e non solo utile allo scatto di qualche foto, montagna dove i temi della conservazione, paesaggistica e naturalistica, ritornino protagonisti nel rispetto dell’articolo 9 della Costituzione italiana»

FUNIVIA SOCREPES: GLI AGGIORNAMENTI

Gazzettino | 13 marzo 2025

p. 27, edizione Belluno

La svolta di Socrepes: rinascono 2 impianti

MARCO DIBONA

PISTE DA SCI CORTINA

Le due attuali seggiovie Roncato e Ra Freza, nel comprensorio sciistico di Socrepes, a Cortina, alle pendici della Tofana, potranno essere sostituite con una unica cabinovia. Il progetto del nuovo impianto, con cabine da dieci posti, una portata oraria di tremila persone, è stato approvato dalla Provincia di Belluno: «In appena tredici mesi la pratica è stata analizzata ed evasa, con tempi decisamente rapidi commenta il consigliere provinciale Marzio Sovilla, delegato agli impianti a fune - l'Amministrazione provinciale e consapevole dell'importanza degli impianti di risalita per la montagna, come sistema per la fruibilità del territorio, per lo sci e il turismo, e mezzo di trasporto sostenibile. Tanto più che questo impianto va a sostituire due vecchie seggiovie». L'OFFERTA La nuova cabinovia Lacedel - Socrepes servirà diverse piste da sci già esistenti e consentirà di indirizzare ancora più rapidamente gli sciatori verso il comprensorio della Tofana da una parte, verso Pocol dall'altra, portandoli alla cabinovia Cortina Skyline, inaugurata nel 2021, che sale verso Cinque Torri, Averau, i passi Falzarego e Giau, il Lagazuoi. La società Ista, che ha presentato il progetto, avrà la concessione di linea fino al 2048 e dovrà demolire i due impianti esistenti. La nuova cabinovia servirà principalmente durante l'inverno, in uno dei comprensori sciistici più frequentati della conca d'Ampezzo, ma anche d'estate, per portare in quota gli appassionati di mountain bike. Potrà inoltre agevolare l'accesso degli spettatori che saliranno a piedi sino al traguardo di Rumerlo, in fondo alla pista Olympia, per assistere alle gare di Coppa del mondo di sci. Se sarà realizzata già durante la prossima estate, così da aprire per l'inverno che verrà, potrà servire anche per fare accedere il pubblico alle gare dei Giochi olimpici e paralimpici invernali 2026. L'ALTERNATIVA Al vasto comprensorio sciistico di Socrepes si potrà arrivare anche con il nuovo impianto di arroccamento, che si intende realizzare, con la stazione a valle nel centro del paese, in piazzale Revis, vicino ai campi di tennis Apollonio, per salire alla stazione intermedia di Mortisa, passare accanto agli abitati di Meleres e Lacedel, e arrivare infine sopra Ria de Saco, proprio sulle piste da sci. A quel punto ci sarebbe un carosello di una ventina di impianti collegati, sci ai piedi, con partenza dal centro di Cortina. Per questa nuova cabinovia, oggetto di contestazioni, di critiche, di molteplici richieste di integrazioni del progetto, con numerose prescrizioni, poiché attraversa zone geologicamente instabili, con frane attive, si è in attesa della conferenza di servizi decisoria, ormai prossima. Intanto è arrivato il parere favorevole del Comitato tecnico regionale, nella valutazione di impatto ambientale. La società Iniziative turistiche ampezzane nasce il 18 novembre 1965. I soci di Ista sono inizialmente soltanto maestri di sci, quando a Cortina c'è una sola scuola; poi la compagine sociale si amplia, sino a comprendere più di quattrocento sottoscrittori. La prima sciovia sale da Roncato a Socrepes; alla fine degli anni Sessanta se ne aggiunge una seconda più breve, oltre Socrepes, per il collegamento verso Pocol; poi arriva lo skilift baby, per i principianti. Con il tempo tutte le sciovie sono sostituite da seggiovie. Dopo la fusione con la Società seggiovie di Cortina, nel 2002, Ista acquisisce gli impianti alle pendici della Tofana, sino ai rifugi Duca d'Aosta e Pomedes. Acquista quindi la vecchia sciovia

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doppia Olimpia, a Pocol, e la sostituisce con una seggiovia quadriposto. Nel 2005 si aggiungono la seggiovia e la sciovia del Col Gallina, al passo Falzarego. Lo stesso anno apre Tofana Express, la prima sei posti del Veneto. Dal 2021 Ista gestisce la cabinovia Cortina Skyline, che porta alle Cinque Torri e al passo Falzarego. Marco Dibona © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corriere delle Alpi | 11 marzo 2025

p. 29

Nuovo rinvio della Conferenza di servizi decisoria che dovrà approvare il progetto riguardante la cabinovia Apollonio Socrepes.

Alessandro Michielli / cortina

Nuovo rinvio della Conferenza di servizi decisoria che dovrà approvare il progetto riguardante la cabinovia Apollonio Socrepes. Il Piano delle opere di Simico – presente sul sito della società e aperto a tutti gli utenti – ha aggiornato ancora una volta la data della Conferenza che dovrebbe essere il prossimo 24 marzo. Il condizionale è d'obbligo, però, visto che la riunione che darà o no il via libera definitivo all'impianto ha già subito innumerevoli rinvii nel corso degli ultimi mesi/settimane. E quindi dare per certa una data, ormai, risulta difficile. le dichiarazioni delle istituzioni A leggere le dichiarazioni di politici, istituzioni e dirigenti non ci sono dubbi: la cabinovia si farà. Ma l'ennesimo rinvio della Conferenza di servizi (questo è quello che si legge sul sito di Simico) che ha il compito di ufficializzare il progetto, qualche preoccupazione in più l'ha fatta venire: «Da quello che mi dicono va tutto bene, arriverà l'ok definitivo dalla Conferenza di servizi», ha dichiarato il ministro dello Sport, Andrea Abodi. «Non vedo grandi preoccupazioni, fermo restando che non essendo superficiali c'è grande attenzione. Ma mi sembra che stia andando tutto come deve». «Socrepes si farà», ha detto in una recente intervista il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. «Dopodiché esistono sempre gli spalti poco nutriti di quelli che tifano affinché tutto vada male». «Sono fiducioso che il progetto possa andare avanti», ha dichiarato il sindaco di Cortina Gianluca Lorenzi durante l'evento dedicato alle Paralimpiadi. I dettagli sul progetto Il progetto, ritenuto strategico da Fondazione Milano Cortina per garantire la logistica dell'evento, prevede un sistema combinato di opere ed include la costruzione di un impianto di risalita, con una capacità di 2.400 persone all'ora, integrato in un edificio multifunzionale che ospita servizi, ristoro e un centro wellness su cinque livelli. È compreso un parcheggio su tre livelli per 750 auto e 114 box privati oltre a un'ampia area per i trasporti pubblici. La prima fase di cantiere riguarderà solo l'impianto di risalita e non il parcheggio che verrà realizzato solo dopo i Giochi. La gara sul portale appalti Simico, fiduciosa, ha già pubblicato sul portale appalti la gara europea per la progettazione e l'esecuzione dei lavori per l'impianto. La determina a contrarre firmata dal ceo Fabio Saldini, indice "l'avvio della procedura ristretta, per l'affidamento dell'appalto per l'importo complessivo di 22.841.328 euro, di cui 21.953.460 per lavori a corpo e 229.264 per lo sviluppo della progettazione esecutiva oltre a 658.603 per i costi della sicurezza, a fronte di una durata complessiva dell'appalto pari a 240 giorni".

Gazzettino | 21 marzo 2025

p. 37, edizione Belluno

Nuova cabinovia: «Una cattedrale nel deserto»

MARCO DIBONA

CORTINA

Stia attento il Comune di Cortina d'Ampezzo, perché rischia di ritrovarsi a gestire il nuovo, oneroso impianto di risalita da Revis a Socrepes, senza avere a disposizione il parcheggio alla partenza della cabinovia, nel piazzale sotto i campi di tennis Apollonio. Nel caso peggiore, l'amministrazione pubblica ampezzana dovrà addirittura sobbarcarsi l'onere di smantellare una struttura che non potrà andare avanti, nel suo esercizio, perché insiste su una frana attiva, che sposterà i sostegni, i piloni che reggono le funi: è il monito che lancia Andrea Gillarduzzi, geologo ingegneristico e manager, che vive e lavora all'estero, soprattutto nel Regno Unito, ma che mantiene stretti contatti con la sua comunità di origine, risiede a Lacedel, il villaggio che sarà affiancato dal nuovo impianto di risalita. LA SCADENZA A pochi giorni dalla conferenza di servizi di lunedì che dovrà varare il progetto della cabinovia, al termine di un iter travagliato, Gillarduzzi invia una lettera aperta ai consiglieri comunali di Cortina, ai funzionari del comune, della Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture dei trasporti e della Provincia di Belluno, servizio impianti a fune. I mesi scorsi Gillarduzzi aveva già avuto modo di esprimere motivate riserve sul progetto della cabinovia, valutando gli aspetti ambientali, con il passaggio delle funi a ridosso delle abitazioni e soprattutto con l'ipotesi di costruirla sopra la frana, che scende dalle pendici della Tofana sino al fondovalle, all'alveo del torrente Boite. L'ESPERIENZA Nelle valutazioni del progetto porta la sua esperienza di ventisei anni, nella pianificazione, progettazione preliminare ed esecutiva, supervisione dei lavori e monitoraggio e studi forensi per opere di trasporto, come strade, tunnel, ponti, ferrovie, porti, in oltre trenta paesi, nei cinque continenti. Gillarduzzi elabora inoltre una valutazione economica: «La Valutazione di impatto ambientale per questo sistema integrato di mobilità intermodale, legato ai Giochi 2026, è stata ottenuta il 13 febbraio 2025. In seguito, Società infrastrutture Milano Cortina ha diviso il progetto in tre stralci: il parcheggio sotterraneo, la cabinovia e un people mover. Inoltre Simico, per assicurare la realizzazione dell'impianto in tempo utile, è subentrato nella titolarità del progetto, per la sola cabinovia, alle società Pool Engineering e Quick no problem parking, che erano i proponenti privati. L'attuale proposta

COLLEGAMENTO COMELICO – PUSTERIA: GLI AGGIORNAMENTI

Gazzettino | 12 marzo 2025

p. 37, edizione Belluno

«No al collegamento Comelico - Pusteria»

ALDO DE PELLEGRIN BOLZANO

Da ben più di un decennio ormai, l’ampliamento dell’area sciistica delle Tre Cime di Lavaredo in Alta Pusteria, è uno degli scopi primari dell’intero settore turistico economico delle due aree sciistiche confinanti, italiana ed austriaca, ed anche del comune di Comelico Superiore. L’obiettivo è quello di realizzare un carosello sciistico che coinvolga l’austriaca Thurntal da Lienz a Sesto Pusteria attraverso la Cresta Carnica e, sul versante sud-est di Passo Monte Croce Comelico, anche gli impianti di Padola. Mentre sul versante italo austriaco si sta già lavorando avvicinandosi alla soluzione, il progetto di un impianto di risalita a due tronconi, già pronto da un paio d’anni presso il municipio di Comelico Superiore è invece fortemente avversato dalle associazioni ambientaliste Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness e Wwf che la giudicano un’opera dal grave impatto su aree di elevata integrità naturalistica e patrimonio dell’umanità Unesco. Il conseguente ricorso al Tar del Veneto per ottenere un deciso «no a nuove piste o impianti sciistici in aree della Rete Natura 2000» ha vissuto giovedì scorso l’udienza di discussione davanti al Tribunale di giustizia amministrativa di Venezia. Secondo i legali delle associazioni ambientaliste il previsto collegamento tocca aree di elevata integrità naturalistica, ambientale ed ecosistemica, sottoposte al vincolo di area vasta ed intersecante aree della Rete Natura 2000. Anche in questa occasione le associazioni ambientaliste hanno ribadito che il collegamento sciistico non si può fare, stante l’assoluto divieto nelle aree della Rete Natura 2000 di realizzare nuove piste da sci e nuovi impianti sciistici ad eccezione di quelli già previsti negli atti di pianificazione esistenti alla data della sua entrata in vigore. Nel corso dell’udienza le stesse associazioni hanno rilevato che nessun documento offerto in giudizio dal Comune di Comelico Superiore è stato idoneo a dimostrare che nel 2007 il collegamento sciistico contestato fosse già previsto negli atti di pianificazione comunale. Ora si rimane in attesa della decisione del Tar. Le associazioni ricorrenti auspicano «una sentenza che preservi un territorio di grande valore ambientale».

Gazzettino | 12 marzo 2025

p. 37, edizione Belluno

Ambientalisti in tribunale: «No al collegamento sciistico»

YVONNE TOSCANI

COMELICO SUPERIORE

Nuovo affondo delle associazioni ambientaliste sul collegamento sciistico fra il comprensorio del Comelico e quello della Val Pusteria. Nei giorni scorsi, al Tribunale amministrativo regionale di Venezia, c'è stata l'udienza degli ambientalisti, che hanno parlato di «opera dal grave impatto su aree di elevata integrità naturalistica e patrimonio dell'umanità Unesco». E dall'aula hanno alzato il tiro evidenziando il no a nuove piste o impianti sciistici nelle aree della rete Natura 2000. Ed ora Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness e Wwf auspicano una sentenza che tuteli la biodiversità del Comelico. LA BATTAGLIA Dunque, il 6 marzo scorso, davanti al Tar Veneto, si è tenuta l'udienza di discussione del ricorso presentato dalle associazioni ambientaliste avverso il contestato collegamento

20 prevede di realizzare la cabinovia con solo scopo di servizio durante gli eventi olimpici. Dopo le Olimpiadi non potrà essere in servizio ordinario, fintanto che non saranno completati il parcheggio e il people mover. Un cronoprogramma molto ottimistico suggerisce un periodo di 20-22 mesi per completarli: pertanto la cabinovia resterebbe ferma un paio di stagioni dopo le Olimpiadi. Società Simico ha durata fino al 31 dicembre 2026, quando verrà liquidata e smetterà di esistere: non vedrà il completamento del parcheggio e del people mover. La responsabilità della cabinovia, costruita con soli soldi statali, sarà ceduta al comune, che la gestirà. Ne diverrà responsabile, anche se non funzionante, e si accollerà i costi notevoli di gestione ed eventuale smantellamento». I DUBBI Permangono tutti i timori di carattere idrogeologico: «Il tracciato delle funi giace su una frana attiva e richiederà il monitoraggio obbligatorio del suolo e della cabinovia per la durata della struttura: servirà il continuo coinvolgimento di esperti per mantenere, monitorare, sostituire e interpretare la strumentazione. Per i certi movimenti della frana, vi sarà la necessità di continua manutenzione anche straordinaria dei supporti. Nel caso peggiore, il sistema di monitoraggio della cabinovia potrebbe indicarne l'incompatibilità con la frana. C'è il rischio che si resti con una cattedrale nel deserto, o piuttosto con una cabinovia inutilizzata o di difficile gestione. Resta la speranza di non aggiungere un'altra struttura, costruita con fondi pubblici, a una lunga lista. Simico ha certamente a cuore le Olimpiadi, ma non si capisce chi stia tutelando Cortina e chi ci abita». Marco Dibona © RIPRODUZIONE RISERVATA.

sciistico tra il Comelico e la Val Pusteria. Hanno ribadito che il progetto tocca aree di elevata integrità naturalistica, ambientale ed ecosistemica, sottoposte ai vincoli ex lege ed al vincolo di area vasta del 2019. Quest'ultimo, che riguarda anche la Val d'Ansiei, come noto era stato annullato nel 2022 dal Tar ed è stato ripristinato nel 2024 dal Consiglio di Stato. Davanti ai giudici le associazioni ambientaliste hanno sostenuto, per l'ennesima volta, che il collegamento sciistico non si può fare, stante l'assoluto divieto normativo che vieta nelle aree della Rete Natura 2000 la realizzazione di nuove piste da sci e di nuovi impianti sciistici, ad eccezione di quelli già previsti negli atti di pianificazione esistenti alla data della sua entrata in vigore. «Difatti spiegano Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness e Wwf nessun documento offerto in giudizio dal Comune di Comelico Superiore è stato idoneo a dimostrare che nel 2007 il collegamento sciistico contestato fosse già previsto negli atti di pianificazione comunale». In udienza le associazioni ambientaliste hanno anche evidenziato come negli atti del giudizio la stessa Soprintendenza aveva qualificato come particolarmente grave il fatto che le varianti urbanistiche approvate dal Comune ed impugnate dalle associazioni ambientaliste non abbiano tenuto in alcun conto il decreto ministeriale di area vasta, pienamente vigente ed efficace al momento della loro approvazione, agendo come se tale decreto non fosse mai esistito. GLI AUSPICI Ora Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness e Wwf restano in attesa della decisione del Tar, auspicando «in una sentenza che preservi un territorio di grande valore ambientale e ricco di biodiversità, nel rispetto delle generazioni future, per contribuire alla battaglia contro i cambiamenti climatici». L'APPELLO Le associazioni, infine, si rivolgono alle comunità locali per invitarle a ripensare alla pianificazione del loro territorio, cercando di valorizzare e preservare la ricchezza naturale e la biodiversità che ancora sopravvivono nel loro comprensorio, affinché si facciano portatrici di nuovi valori ecologici, fondamentali in questo periodo in cui la crisi climatica pone ogni giorno sfide nuove da gestire. Ma la maggioranza della popolazione guarda con favore al collegamento, come strumento per fermare lo spopolamento. Il collegamento sciistico tra il Comelico e l'Alta Pusteria è inserito nel più grande piano progettuale denominato Stacco, cioè Strategia per l'accessibilità del sito Unesco e per uno sviluppo equilibrato del Comelico, contenitore con ampie iniziative integrate per un progresso secondo principi di sostenibilità e rispetto ambientale dell'intero territorio. E l'esempio di buone pratiche cui guardare è quello della Pusteria, il cui sistema, come quelli nelle Alpi svizzere o austriache, ha curato molto l'impatto ambientale e paesaggistico. Del resto le due piste e i due impianti di risalita previsti occuperebbero soltanto l'1,5 per cento della superficie boschiva comeliana, pari complessivamente a 18mila ettari. Yvonne Toscani

Corriere del Veneto | 12 marzo 2025

p. 10, edizione Treviso – Belluno

Comelico-Valpusteria, funivie al Tar «Gli impianti non si possono realizzare»

Ugo Cennamo

Belluno

Non c’è pace per il Comelico. Dopo la chiusura totale della galleria nello scorso weekend per consentire di effettuare lavori straordinari e che ha costretto residenti e turisti a doversi allungare fin verso Danta o Comelico Superiore per entrare o per uscire dal territorio, torna a far discutere il progetto di collegare il comprensorio sciistico della Val Pusteria con il Comelico, tanto caldeggiato da operatori economici e residenti nel territorio quanto osteggiato dagli ambientalisti. L’ultimo capitolo della vicenda si è giocato nei giorni scorsi davanti al Tar del Veneto in occasione dell’udienza di discussione del ricorso presentato dalle associazioni ambientaliste Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness e Wwf da sempre contrari alla realizzazione di nuovi impianti di risalita. Progetto già finanziato per un totale di 38,5 milioni di euro per realizzare due cabinovie: la prima dalla Val Grande sale verso Col d’la Tenda e la seconda che dalla stessa Val Grande porta al Collesei, sopra il Passo Monte Croce, per le due piste che si chiameranno Valgrande e Popera. Il nuovo collegamento, attualmente garantito da un servizio di navette su gomma, secondo quanto sostengono le associazioni, tocca aree di elevata integrità naturalistica, ambientale ed ecosistemica, sottoposte al vincolo di area vasta ripristinato nel 2024 dal Consiglio di Stato, dopo che il Tar Veneto nel 2022 lo aveva annullato, e intersecante aree della Rete Natura 2000. Davanti ai giudici amministrativi gli ambientalisti hanno ribadito che il collegamento sciistico non si può fare. Nessun documento offerto in giudizio dal Comune di Comelico Superiore è stato idoneo a dimostrare che nel 2007 il collegamento sciistico contestato fosse già previsto negli atti di pianificazione comunale, pur trattandosi di un’opera annunciata e mai realizzata di cui si favoleggia da decenni proprio perché rappresenterebbe un evidente valore aggiunto all’attrattività turistica del Comelico. La stessa Soprintendenza aveva qualificato come «particolarmente grave» il fatto che le varianti urbanistiche approvate dal Comune e impugnate non abbiano tenuto in nessun conto il decreto ministeriale di area vasta, pienamente vigente ed efficace al momento della loro approvazione. Nella nota congiunta, le associazioni auspicano una sentenza «che preservi un territorio di grande valore ambientale e ricco di biodiversità, nel rispetto delle generazioni future, per contribuire alla battaglia contro i cambiamenti climatici» e si rivolgono alle comunità locali per «ripensare alla pianificazione del loro territorio, cercando di valorizzare e preservare la ricchezza naturale e la biodiversità che ancora sopravvivono nei loro territori, affinché si facciano portatrici di nuovi valori ecologici, fondamentali in questo periodo in cui la crisi climatica ci pone ogni giorno sfide nuove da gestire». Da un punto di vista strettamente turistico e in una visione di rilancio di un territorio ai margini delle aree più sviluppate del Bellunese, come Agordino e Cadore, l’impianto arricchirebbe la zona di un’attrazione che ad oggi è solo parzialmente sfruttata. Progetto finanziato attraverso un partneriato pubblico e privato, investimento che coinvolge Franz Senfter, presidente della società Tre Cime Dolomiti che gestisce gli impianti sciistici di San Candido, Monte Elmo, Croda Rossa, Signaue e Padola che coprirebbe il 30 per cento dei costi totali, mentre il restante 70 per cento arriverebbe dal Fondo dei Comuni Confinanti.

Gazzettino | 13 marzo 2025

p 27, edizione Belluno

«Padola-Monte Croce: presidio contro lo spopolamento»

LUCIO EICHER CLERE

L'ITER COMELICO

Il conflitto tra le associazioni ambientaliste, Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness e Wwf, e le istituzioni locali sul collegamento tra Padola e Passo Monte Croce Comelico attende la risposta del Tar veneto al ricorso presentato a Venezia dalle associazioni stesse, che auspicano una sentenza che tuteli la biodiversità del Comelico. L'avversità degli ambientalisti alla realizzazione di piste e impianti di risalita nell'area di Valgrande di Comelico Superiore e del monte Coldè va avanti da decenni, come i progetti del Comune di Comelico Superiore, che hanno superato anche le osservazioni della Soprintendenza, con l'accordo sulla integrazione tra impiantistica e valorizzazione storico culturale del sito. Nell'attesa della sentenza del Tar, il Comune di Comelico Superiore ribadisce la completezza dei vari passaggi burocratici del progetto e lo farà con un comunicato del sindaco Marco Staunovo Polacco. PALAZZO PILONI Intanto dalla Provincia di Belluno prende posizione Silvia Calligaro, in qualità di rappresentante delle terre alte, contro il ricorso delle associazioni ambientaliste. «Solo un territorio abitato - dice- è un territorio che può essere tutelato. Oggi la montagna che lotta contro uno spopolamento feroce ha bisogno di strumenti concreti per creare economia, turismo, lavoro, servizi. E un impianto sciistico, che è un mezzo di trasporto sostenibile, può essere proprio uno di questi strumenti». La vice presidente della Provincia non sottovaluta le preoccupazioni degli ambientalisti. «È chiaro -ribadisce- che non possiamo prescindere dalla sostenibilità. Sostenibilità presente sia nel progetto dell'impianto sciistico, sia anche nella vivibilità e nell'economia dei territori, e questo come gente di montagna lo sappiamo benissimo. A maggior ragione per un'area - quella del Comelico - che oggi soffre una potenziale marginalità in termini di servizi. Nelle terre alte è fondamentale preservare la presenza umana con il senso di comunità che le contraddistingue, anche creando motori di sviluppo e di lavoro, perché è questo che preserva la montagna, il suo paesaggio, i suoi valori ecosistemici e fondanti. L'uomo normalmente abita in un territorio, in montagna invece vive e rende vivo un territorio, perché lì può lavorarci e starci bene. Ecco, questo è il primo presidio contro lo spopolamento e a tutela dell'ambiente». IL PRECEDENTE Questo nuovo passaggio della venticinquennale vicenda del collegamento Padola-Pusteria riempie d'amarezza soprattutto la gente di Padola, che nutre ormai poca speranza sull'esito positivo del progetto di collegamento sciistico tanto atteso per far crescere l'economia turistica locale, sia invernale che estiva. Lucio Eicher Clere © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corriere delle Alpi | 13 marzo 2025

p. 29

Calligaro sul ricorso contro la funivia «Fa male al territorio» Guarda: «Pietra miliare dei diritti dei cittadini»

Comelico

«Solo un territorio abitato può essere tutelato. Oggi la montagna che lotta contro uno spopolamento feroce ha bisogno di strumenti concreti per creare economia, turismo, lavoro, servizi. E un impianto sciistico, che è un mezzo di trasporto sostenibile, può essere proprio uno di questi strumenti». Così la vice presidente della Provincia di Belluno, Silvia Calligaro, in qualità di rappresentante delle terre alte, in merito al ricorso al Tar presentato dalle associazioni ambientaliste contro il collegamento sciistico Comelico-Pusteria. «Ovviamente non possiamo prescindere dalla sostenibilità. Sostenibilità presente sia nel progetto dell'impianto sciistico sia nella vivibilità e nell'economia dei territori e questo come gente di montagna lo sappiamo benissimo. A maggior ragione per un'area – quella del Comelico – che oggi soffre una potenziale marginalità in termini di servizi. Nelle terre alte è fondamentale preservare la presenza umana con il senso di comunità che le contraddistingue, anche creando motori di sviluppo e di lavoro, perché è questo che preserva la montagna, il suo paesaggio, i suoi valori ecosistemici e fondanti. L'uomo normalmente abita in un territorio, in montagna invece vive e rende vivo un territorio, perché lì può lavorarci e starci bene. La montagna e noi montanari, non abbiamo bisogno di un amministratore di sostegno nelle nostre scelte», conclude Calligaro. «Anche perché chi vorrebbe imporre la propria visione è quasi sempre proveniente da fuori, non abita questi territori, non li conosce e li apprezza solo come villaggio vacanza. Non è questo che serve alla montagna». © RIPRODUZIONE

Gazzettino | 18 marzo 2025

p. 37, edizione Belluno

«Collegamento con la Pusteria vitale per il comprensorio»

Fronte del territorio compatto contro la dura presa di posizione delle associazioni ambientaliste. Nei giorni scorsi, davanti al Tar di Venezia, Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness e Wwf hanno descritto il collegamento sciistico fra il Comelico e la Pusteria come "opera dal grave impatto su aree di elevata integrità naturalistica e patrimonio dell'umanità Unesco". Da più parti si era levata una dura reazione. LA PRESA DI POSIZIONE «Il collegamento con la Pusteria afferma Davide Zandonella Necca, delegato comunale Confcommercio di Comelico Superiore e componente della giunta provinciale rappresenta non solo un'opportunità di sviluppo turistico, ma un elemento chiave per l'intero tessuto imprenditoriale del Comelico». Confcommercio Belluno-Dolomiti da quasi vent'anni si sta adoperando affinché il collegamento venga completato, considerandolo un'opera di cruciale importanza per il rilancio economico e turistico dell'area, che non può più subire ulteriori ritardi o incertezze. L'associazione evidenzia come garantire economia alla montagna significhi garantirne il popolamento e il presidio del territorio. «Lo sviluppo infrastrutturale della montagna è il più efficace strumento per garantire la permanenza delle comunità locali e il mantenimento di servizi essenziali sottolinea Davide Zandonella Necca . Senza una solida economia di supporto il rischio è lo spopolamento progressivo, con conseguenze devastanti per l'equilibrio socioeconomico e ambientale della nostra valle». L'integrazione dell'offerta sciistica locale con un sistema di collegamenti più ampio garantirebbe un afflusso turistico costante, una maggiore competitività rispetto ad altre località alpine e un significativo indotto economico per le attività del commercio e del turismo. «Investire in infrastrutture turistiche sostenibili prosegue Zandonella Necca significa creare le condizioni per un'economia di montagna solida e resiliente, capace di offrire opportunità di lavoro e di crescita per le future generazioni».

L'IMPEGNO Nonostante gli sforzi profusi negli ultimi due decenni da Confcommercio Belluno-Dolomiti, il progetto del collegamento scioviario continua a essere oggetto di ritardi e incertezze. «Non possiamo più permetterci procrastinazioni e tentennamenti conclude il delegato comunale . Se questa situazione persisterà, a breve, le attività del commercio e del turismo locali si troveranno in numeri assoluti tali da richiedere una tutela urgente da parte dell'associazionismo più attento alla salvaguardia socioambientale». Confcommercio BellunoDolomiti ribadisce così con forza l'urgenza di portare a compimento lo strategico progetto, nella convinzione che solo attraverso un serio impegno istituzionale e una chiara volontà politica si potrà garantire un futuro solido e sostenibile al territorio montano del Comelico. Yvonne Toscani © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corriere delle Alpi | 19 marzo 2025

p. 35

Collegamento con la Pusteria è ancora muro contro muro comelico superiore È muro contro muro tra ambientalisti da una parte e amministratori locali e operatori economici dall'altra sul progettato collegamento sciistico tra Padola e la Pusteria, dopo che davanti ai giudice del Tar Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness e Wwf hanno ribadito il loro no al progetto. Dopo che il sindaco Marco Staunovo Polacco e la vice presidente della Provincia Silvia Calligaro hanno difeso le ragioni del progetto, le associazioni ambientaliste tornano alla carica. «La narrativa di queste dichiarazioni è anacronistica e costruita su luoghi comuni», dicono gli ambientalisti. «Ancora oggi, in piena crisi climatica, mentre sulle Alpi scorre l'inverno più caldo e povero di neve di questo secolo, si continua a sostenere lo sviluppo dell'industria dello sci a scapito dei beni comuni, del paesaggio, delle risorse autentiche che la montagna può offrire. La Banca d'Italia ha dichiarato, nel proprio rapporto annuale del 2022, che gli investimenti in ambito sciistico sotto i 2000 metri di quota non sono economicamente sostenibili.

L'area in questione è esposta a sud-ovest, compresa tra i 1.200 e i 1.900 metri di altitudine e pertanto estremamente vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico. Investire risorse in un impianto sciistico in un contesto che, anno dopo anno, vede ridursi drasticamente l'innevamento naturale non è sostenibile: è una scommessa azzardata». «Garantire economia alla montagna significa garantirne il popolamento e il presidio del territorio», ribattono Confcommercio e Davide Zandonella Necca, delegato comunale di Comelico Superiore e componente della giunta provinciale dell'associazione di categoria. «Senza una solida economia di supporto», dichiara, «il rischio è lo spopolamento progressivo, con conseguenze devastanti per l'equilibrio socio-economico e ambientale della nostra valle.

Il collegamento con la Val Pusteria rappresenta non solo un'opportunità di sviluppo turistico, ma un elemento chiave per l'intero tessuto imprenditoriale del Comelico». L'integrazione dell'offerta sciistica locale con un sistema di collegamenti più ampio garantirebbe un afflusso turistico costante, una maggiore competitività rispetto ad altre località alpine e un significativo indotto economico per le attività del commercio e del turismo. «Siamo consapevoli», prosegue Zandonella Necca, «che investire in infrastrutture turistiche sostenibili significa creare le condizioni per un'economia di montagna solida e resiliente, capace di offrire opportunità di lavoro e di crescita». Intanto da tutti i municipi del Comelico viene espresso pieno appoggio al progetto Stacco, che comprende anche il collegamento con la Pusteria. I sindaci sottolineano «la valenza culturale, naturalistica e ambientale della proposta del progetto Stacco: non è solo un collegamento sciistico, ma un'idea di sviluppo delle comunità nel rispetto della nostra tradizione e della nostra storia. La comunità del Comelico ha sempre operato scelte volte a bilanciare gli interessi antropici con quelli paesaggistici e naturali: anche il progetto Stacco si inserisce perfettamente nella storia e nella tradizione di queste scelte. Il collegamento tra valli contigue non va letto solo e unicamente in chiave economico-turistica, ma contempla una serie di ulteriori interessi che ben si sposano con i valori di tutela dell'ambiente e del patrimonio. Il collegamento rappresenta il superamento della visione della montagna come divisiva, aprendo ad una visione di montagna come luogo d'incontro tra storie e culture diverse, che possono, con questo progetto, parlarsi e crescere insieme».

Corriere delle Alpi | 22 marzo 2025

p. 36

Padola, collegamento con la Pusteria: Regole a fianco di sindaco e Provincia

YVONNE TOSCANI

COMELICO SUPERIORE «Gli interventi sul collegamento sciistico della vicepresidente della Provincia di Belluno, Silvia Calligaro, e del sindaco di Comelico Superiore, Marco Staunovo, non sono la voce della politica, ma il grido della gente comeliana»: la puntualizzazione è del caporegola di Padola, Nunzio Pocchiesa Vecchiuto che sottolinea che i comeliani «vogliono continuare a vivere qui, decidendo come e senza intromissioni di persone o enti esterni, rappresentanti di una minoranza che non ha nessuna proposta alternativa per il futuro». IL MESSAGGIO Destinatari del messaggio sono gli ambientalisti che, davanti ai giudici del Tribunale amministrativo regionale di Venezia, nella recente udienza, hanno parlato del collegamento sciistico tra il Comelico e la Pusteria come di un'"opera dal grave impatto su aree di elevata integrità naturalistica e patrimonio dell'umanità Unesco". «Non possiamo accettare lezioni da chi, senza nessun titolo riconosciuto, con arroganza e senza rispetto, ci dice cosa fare delle nostre vite e del futuro dei nostri figli, dimenticando la nostra storia e le nostre origini afferma il presidente della Regola . Vorrei ricordare alcune cose che fanno parte della nostra storia e che le associazioni ambientaliste ignorano, si dimenticano o non ne tengono conto». In una breve sintesi storica, Nunzio Pocchiesa Vecchiuto ricorda sia le finalità delle Regole, che nei secoli hanno mantenuto un equilibrio fra uomo, famiglia, comunità, ambiente, sia il nuovo statuto che prevede la destinazione dei beni regolieri a fini turistici. L'APPELLO «È incomprensibile continua il caporegola se non addirittura inaccettabile, non solo per me, ma per tutta la gente di montagna, che qui vive tutto l'anno, che persone o enti, non si sa bene a che titolo o in base a quali competenze o diritto, possano, senza nessuna vergogna, non rispettare la volontà delle comunità locali che dei boschi e pascoli sono i legittimi proprietari, decidendo per loro il futuro di quelle terre». Per il presidente della Comunione familiare di Padola, le cui decisioni sono state sempre prese democraticamente dall'assemblea, gli investimenti fatti, per lo sci tanto alpino quanto nordico e per il turismo in generale, hanno creato nuove opportunità di lavoro per la gente locale dopo l'abbandono dell'agricoltura. «Dove ora sorgono gli impianti conclude una volta c'erano prati e pascoli che venivano puntualmente sfalciati. Anche a Colesei, dove è in programma il collegamento, il bosco tagliato verrà compensato come previsto dai regolamenti forestali. Negli ultimi 50 anni il bosco è aumentato esponenzialmente». Yvonne Toscani © RIPRODUZIONE RISERVATA.

COLLEGAMENTO SALTRIA – MONTA PANA

Alto Adige | 4 marzo 2025

p. 30

«L’impianto a Monte Pana non è al passo coi tempi»

MASSIMILIANO BONA

SANTA CRISTINA/ALPE DI SIUSI

Se non è una sentenza poco ci manca: l’assessore provinciale all’ambiente Peter Brunner, dopo aver incontrato gli attivisti dell’associazione “Nosc Cunfin”, ha sostanzialmente chiuso le porte al nuovo impianto da Monte Pana (a Santa Cristina) a Saltria (Alpe di Siusi, nel Comune di Castelrotto). Ha ricordato che il processo partecipativo deve ancora concludersi - e in effetti le tre assemblee pubbliche informative non si sono tenute per espressa volontà degli imprenditori che sostengono l’iniziativa - ma ha aggiunto che «un simile progetto non è al passo coi tempi e che difficilmente esso troverebbe la maggioranza in giunta provinciale». Non ci sarebbero inoltre i presupposti «per inserirlo nel piano provinciale delle piste da sci». E ancora: «I processi partecipativi, dunque, devono essere portati a termine e solo allora i nostri uffici attueranno le procedure di tutela». Come molti ricorderanno i residenti, soprattutto quelli contrari, hanno fatto sentire “forte e chiara” la loro voce. Oltre 1600 cittadini hanno presentato le loro osservazioni sul controverso collegamento e il 95% di essi si è dichiarato contrario. Al punto da indurre, appunto, gli impiantisti interessati a rimettere il progetto nel cassetto in attesa di tempi migliori. Il progetto, in realtà, potrebbe essere definitivamente cassato già domani sera, quando approderà in consiglio comunale a Santa Cristina. È verosimile che, per evitare discussioni accese, si scelga la strada del voto segreto. “Nosc Cunfin” ha approfittato dell’incontro con Brunner per chiedere una maggiore tutela del Gruppo del Sassolungo, una battaglia che ha consentito di raccogliere nei mesi scorsi ben 70 mila firme, tra turisti e residenti. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

PRUDENZA IN MONTAGNA

Corriere del Trentino | 18 marzo 2025

p. 2

Informazione, attrezzatura, prudenza

Cristian Ferrari, Informarsi sulle condizioni meteo e del manto nevoso prima di partire, consultando bollettini nivologici e previsioni affidabili permette di raccogliere le informazioni basilari per programmare itinerari e percorsi da seguire con consapevole sicurezza. Pianificare bene l’itinerario, tenendo conto dell’esposizione, dell’altitudine e delle possibili variazioni della neve durante la giornata. Attrezzarsi adeguatamente: ramponi, piccozza, ARTVA, pala e sonda devono sempre far parte dell’equipaggiamento in ambiente innevato. Evitare di uscire nelle ore più calde, quando il manto nevoso è più instabile e il rischio di valanghe è maggiore. Non sottovalutare la fatica e l’idratazione: la neve primaverile può rendere più pesanti i movimenti, aumentando lo sforzo fisico. Non avventurarsi da soli e comunicare sempre il proprio itinerario a qualcuno. Proprio per questo, la Sat assieme a Fondazione Dolomiti Unesco, l’Associazione Rifugi del Trentino, il Soccorso Alpino e Speleologico Trentino, il Collegio delle Guide Alpine, il Collegio Provinciale Maestri di Sci del Trentino e le Forze dell’Ordine hanno dato vita al progetto «Prudenza in montagna». L’obiettivo è presto detto: diffondere correttamente e in modo condiviso, il concetto della prudenza in ambiente alpinistico. Ogni anno, gli incidenti in montagna sono spesso legati a un’eccessiva fiducia o alla sottovalutazione delle condizioni ambientali. L’esperienza è importante, ma deve sempre essere accompagnata da una valutazione oggettiva della situazione.

Corriere del Trentino | 18 marzo 2025 p. 3

Corriere delle Alpi | 18 marzo 2025

p. 5

Bottacin: «Troppi pericoli Lo scialpinismo va evitato»

L'intervista «In questi giorni il bollettino evidenzia come con neve fresca e vento il pericolo di valanghe sia marcato. Inoltre sono previsti movimenti per scivolamento di neve». Quindi? «Meglio starsene a casa, in questi giorni, e attendere condizioni migliori. Il bollettino Arpav segnala marcato pericolo (grado 3) per Dolomiti e Prealpi. E nei prossimi giorni i punti pericolosi e la probabilità di distacco aumenteranno con l'altitudine». Dopo la tragedia del Passo Giau e la valanga caduta ieri a Capanna Presena, in Trentino, scende in campo, con le raccomandazioni Gianpaolo Bottacin, presidente nazionale Aineva e responsabile di Arpav nella sua veste di assessore

regionale all'ambiente. È meglio che gli scialpinisti evitino le uscite in questi giorni? «È consigliato. Al di sopra dei 1900 metri circa sono caduti da 15 a 20 centimetri di neve. Durante la notte scorsa ci sono stati sino a 30 centimetri al di sopra dei 2500 metri. In alcune aree nelle prossime ore cadranno da 5 a 10 centimetri, localmente anche di più. Bene, con neve fresca e vento, ci sarà un progressivo aumento del pericolo di valanghe. Le quali, ricordiamolo, possono distaccarsi in modo provocato o spontaneo, anche in seguito a un debole sovraccarico». Le nevicate più recenti sono state di forte richiamo per gli scialpinisti, che sembrano concentrare l'attività in questo periodo. «Periodo che non è il più adatto, considerate le temperature miti. Capisco che l'inverno meteorologico è stato, in quota, mite e che la quantità di neve caduta è stata inferiore alla media degli ultimi 10 anni. Capisco che per gli scialpinisti non sia stato un super inverno, ma non per questo bisogna rischiare la vita». Quali sono le aree assolutamente da evitare? «I punti pericolosi si trovano ovunque al di sopra dei 2000 metri, come pure nelle conche, nei canaloni e dietro ai cambi di pendenza. Va posta una particolare attenzione soprattutto alle basi di pareti rocciose nelle regioni più colpite dalle precipitazioni. Sfavorevoli sono anche i pendii carichi di neve ventata, dove nel manto di neve vecchia sono presenti strati deboli. Nelle zone di passaggio da poca a molta neve – come per esempio all'ingresso di conche e canaloni – i punti pericolosi sono più numerosi. Sono possibili valanghe di medie e, a livello isolato, anche di grandi dimensioni». È proprio il caso, dunque, di non andare all'avventura? «Le condizioni per gli sport invernali al di fuori delle piste assicurate sono pericolose e quindi da evitare. Mi sento di consigliare una prudente scelta degli itinerari. Si tenga presente che in alcune aree è caduta pioggia fino ai 2000 metri e con l'umidificazione in corso, soprattutto sui pendii erbosi ripidi, sono possibili valanghe per scivolamento di neve di piccole e, a livello isolato, di medie dimensioni. Questo perché la neve fresca e la neve ventata poggiano su una sfavorevole superficie di neve vecchia. E, cosa da non sottovalutare, gli accumuli di neve ventata di più recente formazione sono stati innevati e quindi difficilmente individuabili». I rischi da mettere in conto sono per se stessi ma anche per i soccorritori. «Appunto. In caso di valanga anche i soccorritori vengono esposti a rischi rilevanti e quindi chi si avventura in modo inconsapevole, oltre ad esporre se stesso, rischia di esporre anche i soccorritori. Con l'occasione voglio ringraziare tutti i soccorritori, professionisti e volontari che anche ieri hanno dato dimostrazione di grande professionalità e dimostrando ancora una volta la grandissima efficacia del sistema dei soccorsi presente in Veneto».

Corriere delle Alpi | 19 marzo 2025

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Cagnati: «In questi giorni tutti i versanti dolomitici nascondono un pericolo»

L'intervista

Francesco Dal Mas

Non ci sono dubbi per Anselmo Cagnati, una vita dedicata allo studio della neve e delle valanghe. Anche da responsabile della sede Arpav di Arabba. «Bisogna ritornare all'Abc della nivologia per apprendere le lezioni minime, ma fondamentali, della sicurezza», afferma. Sbaglia chi fa il fuoripista in questi giorni? «Ha sbagliato chi l'ha fatto domenica, con quelle condizioni meteo. Non mi riferisco solo ai poveri morti, a cui dobbiamo portare il massimo rispetto (anche alle loro famiglie; basta, dunque, sciocchezze sui social). Domenica c'erano decine di scialpinisti anche in altre zone. Siccome la verità va detta in rispetto anzitutto alla vita, domenica non era una giornata da uscita. E lo dicevano chiaramente anche i bollettini meteo e valanghivi». Al di là dei comportamenti dell'appassionato del fuoripista, ci sono imputazioni da fare al clima o al meteo? «Ovviamente no. Ho sentito qualcuno affermare che i cambiamenti climatici hanno moltiplicato le valanghe, rendendole più pericolose. Dov'è l'evidenza scientifica? Possono esistere delle condizioni meteo e climatiche – si pensi solo al rialzo delle temperature – che condizionano il movimento valanghivo. Ma la responsabilità ultima è sempre dell'uomo e del suo comportamento». Prendiamo come esempio gli ultimi movimenti, quelli di oggi (ieri per chi legge, ndr) sul Pordoi. I residenti avvertivano rumori di distacchi fin dalle 9 del mattino. «Si tratta delle valanghe bagnate tipicamente primaverili, un fenomeno naturale più frequente rispetto a un volta. La causa sono le temperature elevate. Ebbene, questi sono movimenti facilmente prevedibili, da mettere in conto con rialzi termici come quelli di questi giorni. Ma è tutto scritto. Basta leggere e, ovviamente, rispettare i bollettini Arpav. Poi ci sono le valanghe provocate dall'uomo. Che si possono (e si devono) evitare. Basta sempre rispettare le raccomandazioni puntuali di Arpav». Lei è appena rientrato da una bella mattinata sugli sci: com'era la neve? «Si sta progressivamente stabilizzando. Domenica, subito dopo le precipitazioni, non lo era di certo. Basta, dunque, avere qualche giorno di pazienza. E mantenere sveglia la coscienza: alpinismo e scialpinismo sono attività pericolose, non esenti dal "rischio zero", da qui la necessità di comportamenti prudenziali. I rischi insiti in questi sport non sono cambiati, nonostante le modificazioni climatiche, è invece cambiato radicalmente l'approccio direi quasi popolare verso la montagna. Ormai si esce con qualsiasi tempo, in presenza di ogni condizione meteo possibile. Non si ha tempo di aspettare neppure un giorno. E quest'inverno, tra l'altro, di neve ne era venuta poca, per cui adesso si approfitta per recuperare il tempo perduto». Di che cosa bisogna avere anzitutto consapevolezza? «Dicevo dell'abc della nivologia. Si sa che il manto nevoso si destabilizza in brevissimo tempo, come in altrettanto breve tempo si stabilizza. Quindi avere pazienza è il comportamento più saggio. Pazienza è sinonimo di prudenza, in casi come questi». Ci sono versanti, valli, insomma territori dolomitici più pericolosi di altri dove, in ogni caso, è sconsigliabile andarci? «No. I versanti più a rischio sono quelli con una inclinazione superiore ai 30 gradi e questi si trovano un po' dappertutto. I pericoli sono evidenti su tutte le Dolomiti. A renderli più o meno rischiosi intervengono le condizioni climatiche e, soprattutto, i nostri comportamenti». Sarebbero utili le zone rosse per vietare l'ingresso nelle aree definite a rischio? «Ma quali zone rosse? Dovremmo palettare tutta la montagna. O meglio, anzitutto l'intera fascia sopra il limite del bosco, là dove appunto il versante, libero dalle piante che frenano il movimento valanghivo, questo ha più libertà appunto di muoversi. Ma chi va a fissare le palette rosse fin lassù e su tutto l'orizzonte dolomitico? E poi, chi andrebbe a controllare?

Esiste già, se vogliamo, una zona rossa virtuale...». E qual è? «È quella delimitata dai bollettini Arpav. Che sono precisissimi. Ti dicono quotidianamente dove non puoi andare se ci tieni alla tua salute, alla sicurezza tua e degli altri». È la scarsa disponibilità di tempo a fagocitare le uscite degli appassionati? «La maggior parte degli scialpinisti va in uscita al sabato e alla domenica. Siccome ha a disposizione solo quelle due giornate, non rinuncia per nulla al mondo. È vero, io che sono pensionato posso permettermi di aspettare la neve stabilizzata e di fare la passeggiata il martedì anzichè la domenica. Ciò non vuol dire che sia permesso andare all'avventura».

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Corriere delle Alpi | 19 marzo 2025

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Il presidente veneto: «Le zone rosse? Sono gli esperti a dover dire cosa serve»

L'appello di Zaia: «I bollettini meteo vanno rispettati non interpretati»

FDM

Il commento

L'Arpav avverte che le temperature massime aumenteranno sensibilmente a partire da mercoledì (oggi, quindi) e contribuiranno ad inumidire ulteriormente il manto nevoso. Con il riscaldamento diurno e l'irraggiamento solare saranno possibili distacchi spontanei di valanghe di neve umida a debole coesione sui pendii ripidi, soprattutto nelle ore più calde della giornata. Permane, dunque, il grado 3 marcato di rischio. Il presidente della Regione, Luca Zaia, rinnova, quindi, il suo invito alla massima prudenza. Lo fa dall'ospedale di Conegliano, esprimendo di nuovo la sua vicinanza alle famiglie delle vittime e ai loro amici. Ma la domanda insistente è se, col rischio elevato di valanghe, non sia il caso di istituire una zona rossa, come chiedono alcuni operatori dello stesso Soccorso alpino. «Hanno ragione, loro sono gli esperti, sanno che cosa ci vuole», risponde Zaia. «Noi, d'altra parte, non possiamo immaginare che lo scialpinismo scompaia. Detto questo, bisogna anche aggiungere che ci sono delle condizioni nelle quali, ed esco dai casi specifici di questi incidenti recenti, in montagna a fare fuori pista per fare scialpinismo non ci puoi andare perché i bollettini ti dicono che il rischio è alto». Domenica due morti e tante valanghe, lunedì un'altra vittima, ieri ancora valanghe (questa volta sul Pordoi). D'ora in avanti i giorni diventeranno tali da invogliare alle uscite. La neve, per la verità, si è un po' compattata, ma il rischio resta elevato. «Bisogna sempre leggere i bollettini dell'Arpav che sono puntuali», è l'invito di Zaia. «Abbiamo fior fiore di professionisti che fan parte di una squadra che conosciamo, che emettono bollettini di tutti i tipi rispetto alla montagna, alle valanghe, al meteo e tutto quello che conosciamo. Quindi penso che i bollettini devono essere letti e rispettati, non interpretati». Ne va della sicurezza degli appassionati che sempre più numerosi fanno il fuoripista, magari attratti dalla neve fresca. Ma – è l'invito puntuale di Zaia – bisogna tenere in debito conto anche le persone che soccorrono, per la maggior parte volontari, che intervenendo sono tra l'altro costretti ad affrontare anche loro condizioni rischiose. «Vanno tutti ringraziati», afferma Zaia.

TURISMO DI LUSSO NELLE DOLOMITI

Corriere del Trentino | 7 marzo 2025

p. 7

In regione vola il turismo «luxury» «Ma in Trentino mancano gli hotel»

MARIO PAROLARI

TRENTO

Il turismo «luxury» fa stappare champagne alla nostra regione, ma per gli albergatori trentini si può fare di più. È il quadro che emerge da una nota realizzata dall’istituto di ricerca Demoskopika sull’evoluzione del turismo di lusso in Italia: nel 2024 la spesa diretta del turismo «luxury», registrata dagli alberghi 5 stelle e 5 stelle lusso, sarebbe oltre 9 miliardi di euro, con incidenza del 16,8% sull’ammontare complessivo dell’offerta alberghiera totale, (54 miliardi). Tra il 2008 e il 2024, inoltre, il segmento del turismo di lusso ha registrato una crescita media molto superiore rispetto al comparto alberghiero complessivo. In questo giro d’affari da 18 miliardi di euro i big spender in Italia sono: Germania (5.336 milioni), Stati Uniti (4.058 milioni) e Regno Unito (1.724 milioni). In questo scenario di crescita, il Trentino Alto Adige è la seconda regione in Italia per numero di posti letto negli esercizi alberghieri sul proprio territorio: sono 249 mila, circa 30 mila meno dell’Emilia-Romagna. Sono 71 gli alberghi 5 stelle e 5 stelle lusso, terza posizione italiana. E la nostra regione si conferma alla guida delle classifiche italiane del 2024: prima per presenze, 41 milioni, terza per arrivi (9 milioni e 381 mila, dietro a Lombardia e Veneto). Questo se si conta il totale degli esercizi alberghieri. Infatti, l’incidenza degli stessi dati rispetto a quanti vengono in Trentino fermandosi nelle 71 strutture di lusso è la più bassa dell’intera penisola, forte di un quarto posto trentino per le presenze «luxury» (1 milione e 300 mila). In sintesi, il lusso sembra essere un motore trainante dell’«horeca» del Trentino Alto

Adige. Nonostante questi dati positivi, lo studio di Demoskopika piazza la nostra regione solo al settimo posto su 20 nella mappa dell’accoglienza «d’elite», assegnandoci la sua seconda categoria come «Premium Gold»: una regione «con risultati di fascia alta e un posizionamento solido nel mercato luxury, pur senza raggiungere l’eccellenza assoluta». Cosa manca dunque al Trentino Alto Adige dopo un inverno di polemiche per ostriche e Lamborghini nei rifugi, après ski al limite e voli in caccia ed elicotteri sulle Dolomiti per raggiungere le vette del turismo di lusso italiano? Una chiave di lettura potrebbe trovarsi alla voce «spesa turistica diretta», ovvero quanto gli ospiti delle nostre strutture lasciano negli alberghi 5 stelle e 5 stelle lusso, nonché l’incidenza sul totale della spesa turistica stimata nell’offerta ricettiva alberghiera. A fronte del nostro record italiano di quasi otto miliardi di euro (7.705.245.166) spesi dagli ospiti degli alberghi trentini, in Veneto, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia gli ospiti «luxury» spendono molto di più delle nostre cifre (892.730.080 euro). Non valorizziamo dunque abbastanza la nostra offerta turistica di lusso? Non secondo Gianni Battaiola, presidente dell’Associazione Albergatori ed Imprese Turistiche (Asat) del Trentino e di Trentino Marketing: «L’offerta non c’è proprio, il Trentino non l’ha mai sviluppata spiega . Da anni diciamo che serve uno sviluppo maggiore per la fascia di lusso. Bisogna abbinare le nostre bellezze naturali con la qualità delle strutture e il giusto posizionamento sul mercato». Per fare questo, secondo Battaiola servono urbanistica, formazione e meno polemiche: «Nel lusso non ci si può improvvisare spiega . Il turista ha richieste precise, come i negozi monomarca, che non abbiamo. Trovare una bottiglia di Dom Pérignon è difficile. Gli ospiti dei 5 stelle chiedono questo e poi scoprono altri aspetti del nostro territorio. Noi trentini ci poniamo sempre in punta di piedi, e ci scandalizziamo per le ostriche in rifugio. Con i canederli si fa fatica a conquistare determinati mercati. Se vogliamo intercettare quella clientela bisogna rispondere alle esigenze. Poi quella del lusso non dev’essere la totalità dell’offerta turistica, le diverse realtà possono coesistere. Ma servono più hotel a 5 stelle, la ristrutturazione delle strutture esistenti, senza aver paura di ostentare. Guardiamo cosa succede a Montecarlo». E alla domanda su quale provincia debba accelerare su questo tema, il presidente Battaiola torna ai numeri: «Di quei 71 alberghi a 5 stelle o 5 stelle lusso in regione, solo 9 sono in Trentino. Quei pochi che abbiamo fanno il loro meglio. È chiaro quale dei due territori debba fare di più. Serve buona volontà urbanistica. Con il lusso non ci sono mezze misure, chi spende certe cifre pretende».

DOLOMITI: POLEMICA PER I VOLI A PAGAMENTO

Alto Adige | 18 marzo 2025

p. 15

«Col jet da caccia sulle Dolomiti» Polemica per i voli a pagamento

BOLZANO

«Ora potete volare con un L-39 nel cuore delle Dolomiti!». Ed è subito polemica rovente. «Potrete sperimentare passaggi a bassa quota su cime impervie, brusche virate attraverso strette valli e adrenaliniche acrobazie aeree». «Preparatevi a sperimentare l’aspra bellezza di scogliere frastagliate, valli profonde e laghi alpini cristallini da una prospettiva completamente nuova». «L’Alto Adige non è solo una regione di splendori naturali, ma anche un luogo dal ricco patrimonio culturale, dove la miscela di influenze italiane e austriache crea un’atmosfera unica. Sorvolare questa terra storica a bordo di un jet da combattimento è un’esperienza unica nella vita che fonde il brivido dell’aviazione con la serena bellezza delle montagne». È quanto propone il sito web di Migflug, società svizzera, che come claim pubblicitario usa: «Piloti da caccia per un giorno». Decollo da Trento. Costo: 4.500 euro per 30 minuti di volo col jet, 6.350 per 45 minuti, se vuoi il video sono altri 250 euro. Il tutto a bordo di un L-39 Albatros, aereo da addestramento per piloti militari utilizzato a partire dagli anni Settanta nei paesi del blocco comunista. «Non ne avevamo bisogno», taglia corto il presidente del Cai Alto Adige Carlo Alberto Zanella. Madeleine Rohrer (Verdi) preannuncia una interrogazione d’attualità in consiglio, mentre Andreas Leiter Reber (Freie Fraktion) ha depositato la sua interrogazione scritta già ieri. Si chiedono lumi, anche se la Provincia non ha competenza primaria in tema di volo. Contattata dall’Alto Adige, Migflug da Zurigo ha fatto sapere che l’unico deputato a parlare della questione è il ceo, ieri non raggiungibile. Non è dato sapere, quindi, al momento, se sia stata richiesta e rilasciata autorizzazione da parte dell’Ente nazionale aviazione civile, che comunque, secondo fonti confidenziali, da qualche tempo starebbe monitorando la situazione. Né è dato sapere se già siano stati effettuati concretamente dei voli. Si possono però prenotare e pagare dal sito, con tanto di date disponibili, le prime il 29 e il 30 marzo. Così almeno dal web. «Mi pare difficile», commenta Marco Kostner della gardenese Elikos. «Già per dei semplici voli turistici in elicottero occorre una tale mole di carte e autorizzazioni, per il velivolo e per i piloti». Ma qualcosa del genere al mondo esiste, prima della guerra in Ucraina, ad esempio, in Russia. «La nostra legge provinciale stabilisce che i parchi naturali e le aree montane al di sopra dei 1.600 metri non possano essere sorvolati a un’altitudine inferiore ai 500 metri. Ciò significa che i pubblicizzati “voli a bassa quota” e le “emozionanti manovre” intorno alle cime delle Dolomiti non sarebbero consentiti», afferma il consigliere Leiter Reber, che chiede lumi anche su quante sanzioni e a chi siano state elevate dal 1997 fino ad oggi. «Ci sono diverse ragioni - scrive invece Rohrer - per cui questa è una pessima idea. Le Dolomiti sono patrimonio dell'Unesco, meritano protezione e non un marketing da Disneyland. Le emissioni dannose per il clima prodotte dal turismo sono già alle stelle e contribuiscono al fatto che attualmente siamo ben lontani dai nostri obiettivi climatici. E ogni jet che attraversa le Dolomiti per divertimento è un ulteriore peso per la natura e la popolazione locale». L'Alto Adige, conclude, «non è un parco giochi per i jet da

combattimento». «Spero che sia solo una pubblicità», incalza Zanella. «Se così non fosse, lo Stato e la stessa Provincia dovrebbero intervenire. Se pianto una tenda in un parco naturale arrivano subito otto forestali per impedirmelo. Già gli elicotteri, lo sappiamo, spesso non rispettano la quota minima di 500 metri da terra, figurarsi un aereo da caccia in volo a bassa quota».

Dolomiten | 18 marzo 2025

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L’Adige | 18 marzo 2025

p. 16

Voli dei jet tra le Dolomiti Ed è ancora polemica

Il tema non è nuovo e se n’era parlato e discusso già qualche mese fa, con le nette prese di posizione delle associazioni ambientaliste e di alcuni politici. Ma le pubblicità sono tornate e fanno tornare d’attualità i jet che sfrecciano tra le nostre montagne. «Ora potete volare con un L-39 nel cuore delle Dolomiti!». Lo slogan è semplice e chiaro. E, appunto, in Alto Adige è subito polemica rovente. Ancora: «Potrete sperimentare passaggi a bassa quota su cime impervie, brusche virate attraverso strette valli e adrenaliniche acrobazie aeree». «Preparatevi a sperimentare l’aspra bellezza di scogliere frastagliate, valli profonde e laghi alpini cristallini da una prospettiva completamente nuova». «L’Alto Adige non è solo una regione di splendori naturali, ma anche un luogo dal ricco patrimonio culturale, dove la miscela di influenze italiane e austriache crea un’atmosfera unica. Sorvolare questa terra storica a bordo di un jet da combattimento è un’esperienza unica nella vita che fonde il brivido dell’aviazione con la serena bellezza delle montagne». È quanto propone il sito web di Migflug, società svizzera, che come claim pubblicitario usa: «Piloti da caccia per un giorno». Decollo da Trento. Costo: 4.500 euro per 30 minuti di volo col jet, 6.350 per 45 minuti, se vuoi il video sono altri 250 euro. Il tutto a bordo di un L-39 Albatros, aereo da addestramento per piloti militari utilizzato a partire dagli anni Settanta nei paesi del blocco comunista. «Non ne avevamo bisogno», taglia corto il presidente del Cai Alto Adige Carlo Alberto Zanella. Madeleine Rohrer (Verdi) preannuncia una interrogazione d’attualità in consiglio, mentre Andreas Leiter Reber (Freie Fraktion) ha depositato la sua interrogazione scritta già ieri. Si chiedono lumi, anche se la Provincia non ha competenza primaria in tema di volo. Contattata dal quotidiano Alto Adige, Migflug da Zurigo ha fatto sapere che l’unico deputato a parlare della questione è il Ceo, ieri non raggiungibile. Non è dato sapere, quindi, al momento, se sia stata richiesta e rilasciata autorizzazione da parte dell’Ente nazionale aviazione civile, che comunque, secondo fonti confidenziali, da qualche tempo starebbe monitorando la situazione. Né è dato sapere se già siano stati effettuati concretamente dei voli. Si possono però prenotare e pagare dal sito, con tanto di date disponibili, le prime il 29 e il 30 marzo. Così almeno dal web. «Mi pare difficile», commenta Marco Kostner della gardenese Elikos. «Già per dei semplici voli turistici in elicottero occorre una tale mole di carte e autorizzazioni, per il velivolo e per i piloti». Ma qualcosa del genere al mondo esiste, prima della guerra in Ucraina, ad esempio, in Russia. «La nostra legge provinciale stabilisce che i parchi naturali e le aree montane al di sopra dei 1.600 metri non possano essere sorvolati a un’altitudine inferiore ai 500 metri. Ciò significa che i pubblicizzati “voli a bassa quota” e le “emozionanti manovre” intorno alle cime delle Dolomiti non sarebbero consentiti», afferma il consigliere Leiter Reber, che chiede lumi anche su quante sanzioni e a chi siano state elevate dal 1997 fino ad oggi. «Ci sono diverse ragioni scrive invece Rohrer - per cui questa è una pessima idea. Le Dolomiti sono patrimonio dell'Unesco, meritano protezione e non un marketing da Disneyland. Le emissioni dannose per il clima prodotte dal turismo sono già alle stelle e contribuiscono al fatto che attualmente siamo ben lontani dai nostri obiettivi climatici. E ogni jet che attraversa le Dolomiti per divertimento è un ulteriore peso per la natura e la popolazione locale». L'Alto Adige,

conclude, «non è un parco giochi per i jet da combattimento». «Spero che sia solo una pubblicità», incalza Zanella. «Se così non fosse, lo Stato e la stessa Provincia dovrebbero intervenire. Se pianto una tenda in un parco naturale arrivano subito otto forestali per impedirmelo. Già gli elicotteri, lo sappiamo, spesso non rispettano la quota minima di 500 metri da terra, figurarsi un aereo da caccia in volo a bassa quota».

Corriere del Trentino | 27 marzo 2025

p. 7

Voli con il jet sulle Dolomiti, Helijoy denunciata per truffa

TIZIANO GROTTOLO

TRENTO

Aveva fatto molto discutere la proposta di un’azienda trentina che offriva dei voli su un jet per ammirare le Dolomiti, ma ora la vicenda potrebbe avere anche dei risvolti penali. Nei giorni scorsi, la polizia postale di Brescia ha infatti raccolto una denuncia per truffa contro uno dei soci fondatori della Helijoy Srl. Al momento le indagini sono in corso ma stando a quanto riportato nella denuncia dopo aver ottenuto un primo acconto di circa mille euro per prenotare il volo sul jet, il referente dell’azienda sarebbe sparito senza più farsi sentire. «Nonostante le numerose mail e i messaggi racconta una delle vittime non ho più ricevuto risposta». In sostanza, sempre secondo quanto riportato nella denuncia, dopo aver raccolto un primo acconto non sarebbe stato organizzato nessun volo. In questo caso, l’aereo sarebbe dovuto decollare da Ancona per offrire un’esperienza unica al cliente, che però è rimasto deluso. Dopo aver chiesto maggiori informazioni sul pilota del jet, l’intermediario della Helijoy ha smesso di rispondere. Come se non bastasse, quella presentata alla polizia postale di Brescia non sarebbe una denuncia isolata, anche altre persone sarebbero rimaste vittima dello stesso schema. Il sito della Helijoy Srl risulta ancora online, ma la proposta di sorvolare le Dolomiti a bordo di un jet era stata ritirata dopo le polemiche sollevate dagli ambientalisti. L’azienda trentina prometteva di mettere a disposizione un L-39 Albatros, un jet ad alte prestazioni (può superare i 900 chilometri orari) che venne progettato all’inizio degli anni Settanta nell’allora Cecoslovacchia. Un velivolo dello stesso tipo, in Italia, viene utilizzato dalla pattuglia acrobatica dei Blueagles. Per un volo da 20 minuti venivano chiesti 3.500 euro, mentre per il pacchetto «Top gun» (da 45 minuti) si poteva arrivare a spendere fino a 5.900 euro. Eppure, come scoperto da questo giornale, l’L-39 Albatros non era di proprietà della Helijoy. Il jet appartiene a un privato che non ha nulla a che fare con la società trentina. Dopo gli articoli usciti sulla stampa, lui stesso aveva ordinato alla società di rimuovere immediatamente qualsiasi riferimento ai voli turistici. «Con la Helijoy non è stato sottoscritto alcun accordo commerciale», aveva specificato il pilota responsabile del velivolo. Da quanto risulta, in Trentino-Alto Adige il jet in questione non ha mai effettuato voli turistici a pagamento. Già a gennaio l’L-39 Albatros aveva lasciato l’aeroporto di Mattarello. Ciononostante, sembrerebbe che la società abbia comunque continuato a pubblicizzare i voli con il jet in altre località. Il problema, a detta di chi ha denunciato, è che una volta ottenuto l’acconto pattuito i responsabili della società si sarebbero dileguati.

MONTE RITE: PROPOSTE TURISTICHE

Corriere delle Alpi | 27 marzo 2025

p. 30

Un resort nell'ex caserma sul monte Rite

Paola Dall'Anese / cibiana Cibiana punta tutto o quasi sulla riscoperta della sua vocazione turistica. E lo fa impegnandosi nel sistemare le vecchie abitazioni del borgo per trasformarle in B&B, ma anche aprendo a gruppi di investitori esterni. Ed è proprio da fuori, da un gruppo italiano rinomato nel campo del turismo, che è arrivata la proposta di trasformare l'ex caserma sul monte Rite in un resort. «Ad oggi», precisa l'ex vice sindaco Pierpaolo Bianchi, «abbiamo soltanto dei primi contatti con questo gruppo italiano. La questione è delicata, ma l'idea è interessante. L'ex caserma, che si sviluppa su due piani e a cui è stato rifatto il tetto, ora giace abbandonata, ma potrebbe diventare una struttura ricettiva di un certo rilievo. Consideriamo che misura 50 metri per 15, quindi avrebbe un'ampia disponibilità di spazi e di camere», prosegue Bianchi. «Ci sono altre strutture, adesso crollate, che erano perlopiù depositi o attività legate alla caserma, come il negozio del barbiere, che potrebbero essere sistemate. E poi sappiamo che c'è l'intenzione di intervenire sul museo del monte Rite di Messner per migliorarlo. Tutto questo potrebbe diventare fondamentale per il rilancio del turismo nel nostro territorio. Il piano è interessante, vediamo se potrà diventare realtà», auspica l'ex vice sindaco. «Confida che il commissario prefettizio, arrivato dopo le dimissioni del sindaco, possa dare seguito ai desiderata di questo territorio». Intanto si attendono i bandi comunali per le manifestazioni di interesse per il servizio di navette che collega il borgo con il monte Rite e per la gestione del ristorante in vista della stagione estiva.

«Il monte Rite attira sempre molte persone, l'idea è di fare un bando della durata della stagione estiva. Se poi i progetti per questa zona andranno in porto, si potrebbe pensare di prevedere un servizio navetta e di ristorante anche durante l'inverno». Cibiana, quindi, scommette sul turismo per rinascere e per uscire da quello stato di semiabbandono che si registra da diversi anni. Lo stesso vice sindaco ha trasformato un vecchio fienile di famiglia, dove teneva delle caprette, in un bed&breakfast aperto da giugno a metà settembre. «E sto lavorando su un altro immobile che ho acquistato per adibirlo sempre a struttura ricettiva. La soluzione è molto positiva visto che ricevo già richieste da paesi come Usa, Israele, Svezia». In paese i B&B stanno aumentando a vista d'occhio. «In molti stanno investendo qui, non solo i residenti, ma anche famiglie da fuori provincia e anche da fuori regione. Un proprietario di seconda casa viene qui 15 giorni l'anno, se invece questi alloggi diventano strutture ricettive, potrebbero essere sfruttate per più mesi. E questo porterebbe inevitabilmente a una ripresa della nostra economia locale. Chi arriva qui va al supermercato, al bar, al ristorante, alla farmacia: insomma, utilizza gli esercizi commerciali, dando impulso alla vita del nostro comune. Dobbiamo entrare nei circuiti turistici per avanzare la nostra proposta tra le Dolomiti patrimonio dell'umanità».

‘ACCADDE A CORTINA’: IL MUSEO LETTERARIO OPEN AIR

Corriere delle Alpi | 6 marzo 2025

p. 31

Ecco "Accadde a Cortina" il museo letterario open air

V.D.

Cortina

«Il primo museo open air e diffuso della letteratura delle Dolomiti è realtà. Con grande soddisfazione annunciamo la nascita di "Accadde a Cortina", percorso di segnaletica letteraria, culturale e turistica per la valle d'Ampezzo e le Dolomiti, patrimonio Unesco. Un viaggio nel tempo per riscoprire e valorizzare il passato. Un progetto di cui siamo particolarmente orgogliosi, con il quale, attraverso una serie di pannelli e attività interattive, intendiamo coinvolgere il pubblico in un'esperienza che celebra il ricco patrimonio culturale e storico di questo suggestivo angolo della nostra Regione. Un'eredità permanente, destinata a durare nel tempo, ben oltre Milano Cortina 2026». Con queste parole il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha ricordato ieri la nascita di "Accadde a Cortina", il primo museo diffuso della letteratura delle Dolomiti, presentato ieri a Palazzo Balbi da Francesco Chiamulera, responsabile di Una Montagna di Libri, festa della letteratura di Cortina che ha curato l'iniziativa con il contributo e il patrocinio di Regione, del Comune di Cortina d'Ampezzo e di partner privati. «Ringrazio Francesco Chiamulera, un visionario che ha dimostrato come talento, determinazione e forza di volontà possano portare grande risultati», ha aggiunto Zaia, «Le Dolomiti ampezzane oltre ad essere uno dei luoghi più evocativi al mondo, sono anche uno straordinario crocevia di scrittori, storie, letteratura, cinema. Eugenio Montale ad esempio ha dedicato una poesia magnifica al Lago del Sorapis. Hemingway ha incontrato Fernanda Pivano lungo Corso Italia in una sera d'autunno del 1948. Buzzati ha amato più di tutte, tra le nostre montagne, la Croda da Lago. Le parole che questi scrittori dedicarono alle montagne di Cortina, insieme a quelle di molti altri classici della letteratura, tra cui Saul Bellow, Goffredo Parise, Mario Rigoni Stern, Amelia Edwards, E.M. Forster, trovano ora posto in 18 cartelli di acciaio corten, collocati nel centro della città ma anche sulle piste, nei boschi, sui sentieri o in corrispondenza dei luoghi a cui l'autore si è ispirato». Attraverso un Qr code i cartelli, oltre ad essere consultati online, possono essere cercati su una mappa interattiva. © RIPRODUZIONE RISERVATA

BOLZANO BOZEN FILM FESTIVAL 2025

Alto Adige | 28 marzo 2025

p. 10

Bolzano Film Festival 38, tra coerenza ed empatia

FABIO ZAMBONI

BOLZANO. Quella che si accenderà il 4 aprile per illuminare di pubblico, di eventi e di idee le sale del Capitol fino al 13 aprile, sarà l’edizione numero 38 del Bolzano Film Festival Bozen, la terza dell’era firmata Vincenzo Bugno. Il nuovo direttore artistico al suo arrivo due anni or sono ha rimescolato clamorosamente le carte della gestione nonché quelle progettuali della rassegna bolzanina, mentre lo scorso anno ha avviato altre novità importanti arrivando ora a consolidare i cambiamenti irrobustendo i progetti varati nelle prime due edizioni. Locale e internazionale Nella conferenza stampa tenutasi ieri mattina in una sala del cinema Capitol, ha usato come

parola d’ordine “coerenza”, spiegando che un festival di queste dimensioni in una realtà piccola e complessa come quella altoatesina deve assolutamente perseguire e rafforzare il suo essere di frontiera, attingendo dunque da un lato alle produzioni dell’area alpina (Italia, Germania, Austria e Svizzera), senza però rinunciare ad uno sguardo internazionale possibilmente dedicato ad altre realtà che coltivano gli stessi valori: le minoranze, le piccole lingue, la vita di confine. Una scelta ben visibile già nell’elenco dei dodici film in concorso, fra i quali spiccano il germanico “Riefenstahl” dedicato alla celebre regista che supportò il nazismo, il film d’animazione sardo “Balentes”, la coproduzione italo-germanica “My boyfriend El Fascista” qui in prima mondiale. Temi “umani” Altra parola forte usata da Bugno è stata “empatia”: «In un momento storico drammatico, ci siamo resi conto che si possono fare scelte culturali che privilegiano temi forti e fortemente “umani”, come lo stare insieme, vivere problemi reali e sentimenti forti e veri. Fino a farne un vero e proprio minimo comune denominatore della maggioranza delle pellicole scelte». Le dieci giornate Altra conferma di una novità voluta dal direttore artistico nella scorsa edizione, l’allungamento del festival da cinque a dieci giorni: «Abbiamo visto una crescita del pubblico, che contiamo di riscontrare anche quest’anno. Con tutte le sezioni su cui è articolato il festival è assurdo concentrare tutto in cinque giorni». Focus Taiwan Il BFFB quest’anno rafforza un altro aspetto: l’accostamento di uno sguardo internazionale che arriva fino a Taiwan con il Focus dedicato alle produzioni del Paese asiatico, a una valorizzazione delle produzioni e dei talenti locali, quelli dell’Euregio, anche grazie a una aumentata collaborazione con la film commission Idm. Dunque un festival ricco di spunti, di lingue, di confini abbattuti e confrontati, resi godibili al grande pubblico grazie a un puntuale uso dei sottotitoli su pellicole giustamente in lingua originale. Si parte il 4 aprile Il BFFB 38 prenderà ufficialmente il via venerdì 4 aprile con la prima italiana del lungometraggio d’esordio della regista slovena Urška Djukic “Little Trouble Girls (Kajti Je Deklica)”, film premiato alla recente Berlinale. Quest’anno i premi saranno sette; quello della Provincia assegnato al Miglior film in concorso, quello per la sezione Reale Non Reale (documentari), un Premio speciale della Giuria, quello della Fondazione Cassa di Risparmio alla migliore prestazione artistica, il Premio del Pubblico, il premio Unesco, l’Idm al miglior lungometraggio Euregio, il Premio alla Carriera, che andrà quest’anno all’attrice italiana Alba Rohrwacher e al regista Christian Petzold (entrambi saranno ospiti d’onore della rassegna bolzanina). Dopo aver studiato medicina, Rohrwacher si forma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma e debutta nel 2004 con L'amore ritrovato. Si afferma con Giorni e nuvole (2007) e prosegue con interpretazioni intense in film come Io sono l'amore (2009), La solitudine dei numeri primi (2010) e Hungry Hearts (2014). Collabora spesso con la sorella Alice Rohrwacher in opere premiate a Cannes, tra cui Le meraviglie (2014) e Lazzaro felice (2018). Il loro ultimo film, La Chimera (2023), ha ricevuto grande apprezzamento. Al BFFB verranno proiettati tre film con Alba Rohrwacher protagonista: Hungry Hearts (2014) di Saverio Costanzo, Le occasioni dell’amore (Hors-saison) (2023) di Stéphane Brizé e Mi fanno male i capelli (2023) di Roberta Torre. Christian Petzold è un regista tedesco tra i più innovativi. All’Accademia Tedesca di Cinema di Berlino è influenzato dal mentore Harun Farocki. Dopo lavori televisivi e cortometraggi, debutta al cinema con Die innere Sicherheit (2000), primo della “trilogia dei fantasmi” sulla riunificazione tedesca. Successivamente, con Barbara (2012), Phoenix (2014) e Transit (2018), realizza la “trilogia sull’amore nei tempi della repressione”. Nel 2020 avvia una trilogia sugli elementi naturali con Undine, seguita da Il cielo brucia (2023), premiato alla Berlinale. Durante il festival saranno proiettati tre dei suoi film: La scelta di Barbara (Barbara) (2012), La donna dello scrittore (Transit) (2018) e Il cielo brucia (Roter Himmel) (2023). La trilogia Un momento speciale del festival sarà “BFFB Special”, che prevede il 6, l’11 e il 12 la proiezione integrale della trilogia Sex, Love, Dreams del norvegese Dag Johan Haugerud, recentemente premiato con l’Orso d’Oro alla Berlinale per Dreams. Potrebbe essere davvero l’evento clou della rassegna, anche perché il 93enne regista norvegese che ha realizzato la trilogia con l’intelligenza artificiale sarà presente a Bolzano. La musica Al festival numero 38 spazio anche alla musica: nel prefestival il 3 aprile alle 20 musica elettronica dal Conservatorio di Bolzano, l’8 aprile una Carmen rimusicata dal vivo, e il 10 il concerto di Damian Dalla Torre. L’unione con la LUB Anche quest’anno spazio alla sezione delle Piccole Lingue Doc, organizzata in collaborazione con la Libera Università di Bolzano, per celebrare il potere del cinema nel preservare e diffondere lingue e identità spesso poco rappresentate, offrendo al pubblico uno sguardo unico su mondi lontani ma profondamente universali. Euregio Per capire infine quale importanza ha, nel festival la produzione locale, ritorna la sezione Local Heroes che presenta un ricco panorama di stili cinematografici provenienti dal Tirolo, dall'Alto Adige e dal Trentino e invita a cogliere prospettive diverse e insolite. Ecco infine i nomi dei giurati che assegneranno il premio al Miglior Film: Dominik Kamalzadeh, Fabio Ferzetti, Nadia Trevisan , Pascal Trächslin, Eva Trobisch , Barbara Weis. Info Primo ciak, dunque, il 4 aprile. Biglietti e abbonamenti disponibili alla cassa del Capitol e sul sito del Filmclub, info point presso la Casa della Pesa in piazza del Grano. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO

Gazzettino | 1 marzo 2025 p. 27, edizione Belluno

Strage di fratture in pista l’elicottero segna più 50% e le sale operatorie più 18

IL BILANCIO BELLUNO

Dal femore al gomito. Il trauma da sci la fa da padrone all'ospedale San Martino di Belluno che segna, nel confronto tra 6 dicembre 2024 e 24 febbraio 2025, un +18% di operazioni ad incidentati. Si scia troppo velocemente, non si è atleticamente preparati e si cade. Un po' in tutti i comprensori. Con collisioni che avvengono più sulle piste blu e rosse che sulle impegnative nere e sulle facili. Se da

una parte la stagione sciistica va alla grande nei comprensori dell'Alto Bellunese, dall'altra si assiste ad una ricaduta significativa nel reparto di ortopedia. FEMORI, BACINI, GOMITI... In volo, spesso, si è alzato Falco: ad attivarsi per l'ospedalizzazione, infatti, sono stati 955 mezzi, di cui 144 uscite con l'elicottero del Suem 118, ovvero il 50% (!) in più nel confronto con il pari periodo. Sono state operate 87 persone, tra cui ben 13 bambini/ragazzi. Queste le principali lesioni rilevate che hanno riguardato i "pediatrici": gamba, gomito, omero, femore (3 su giovanissimi). Tra gli adulti è la frattura alla gamba in cima alla lista (17 interventi di sintesi interna tra cui 3 per frattura del bacino, 12 del femore). Tra questi ultimi anche due sciatori ultra ottantenni, un milanese e un padovano. Le richieste di soccorso in pista ammontano, nel periodo considerato, a 1439: a farla da padrone è il comprensorio Arabba-Marmolada con il 39%, a ruota Cortina-San Vito (31%). Seguono Civetta (14%), Falcade-San Pellegrino (9%). Fanalino di coda è Auronzo-Comelico (2%).

STRANIERO IL 45 PER CENTO Il Suem 118, va precisato, grazie ad una reciproca collaborazione, va in aiuto anche sulle piste in Trentino-Alto Adige e Friuli (5%). I codici di chi viene raccolto in pista, da ambulanza o elicottero, sono vari: 50% verdi, 39% gialli, 5% rossi, 6% bianchi e 5% rossi. Il dato significativo è che il 97% delle chiamate ha come motivazione il trauma (1%, malore, 2% altro). Per gamba o braccio rotto nelle sale chirurgiche del reparto di ortopedia del San Martino, diretto da Corrado D'Antimo, arrivano tanti stranieri: il 45%. Diminuiti i polacchi rispetto allo scorso anno, sostanzialmente stabili americani, francesi, australiani, inglesi. In totale, nel periodo considerato, sono 87 le persone traumatizzate che sono state seguite a Belluno. PUNTA DELL'ICEBERG Oggettivamente un numero non di particolare rilievo: ma è solo la punta dell'iceberg, visto che non vengono conteggiate le persone seguite in altri ospedali dell'Ulss 1 Dolomiti. Ad Agordo, per vicinanza, afferiscono gli incidentati che arrivano dai comprensori di Falcade, Civetta, Arabba e Marmolada. E l'ospedale Santa Maria del Prato di Feltre è spesso riferimento per gli incidentati del Primiero. A proposito del recupero di fatturato a carico di coloro che hanno chiamato l'elicottero del Suem 118 senza la necessità di ricovero, quindi con trasporto e soccorso non considerati di emergenza, oppure perchè soccorsi in ambito sportivo estremo, il direttore generale, Giuseppe Dal Ben mostra i numeri. FATTURATI MILIONARI Il fatturato, nel 2024, è di un milione e mezzo di euro di cui 200mila riguardano fatture a carico di cittadini italiani e un milione e 300mila euro a carico di stranieri, per lo più provenienti da Germania (286mila euro di fatturato), Francia (105mila euro), Regno Unito (54mila euro), Usa (52mila euro), Austria (45mila euro). Seguono Polonia, Belgio, Slovenia, Spagna, Australia, Repubblica Ceca, Canada. EMESSE 332 FATTURE «Per il momento devono ancora entrare nelle casse dell'azienda sanitaria il 24% da parte di italiani e il 35% da parte di stranieri - così il direttore generale, Giuseppe Dal Ben - il numero di conti emessi per interventi Suem è in linea con gli scorsi anni, con 332 fatture emesse, il 67% a stranieri a testimonianza di un turismo globale». Daniela De Donà © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corriere del Veneto | 12 marzo 2025

p. 5, edizione Treviso – Belluno

Escursioni, scalate alpinistiche e sci Aumentano le tragedie in montagna

Alissa Claire Collavo

BELLUNO

Sono 1081 gli interventi - a carattere sanitario ma non solo - effettuati dal Soccorso Alpino e Speleologico Veneto nel 2024. Le persone soccorse sono state 1225: più di una a missione, trend frequente nell’ultimo decennio. Sessantuno invece i decessi (+3,4% rispetto all’anno precedente) in attività di escursionismo, alpinismo ma anche qualche caso delicato, legato al disagio sociale. Numeri nel complesso crescenti rispetto al 2023 che evidenziano un aumento dei frequentatori della montagna, dalle Prealpi Venete alle Dolomiti Bellunesi. Escursionisti improvvisati, molto spesso, senza alcuna preparazione fisica, tecnica e attrezzatura adeguata. «A loro - spiega il presidente, Giuseppe Zandegiacomo - dobbiamo trasmettere il concetto di responsabilità: conoscere il percorso e utilizzare l’attrezzatura adeguata». Cadute da sentieri e scivolate le cause più frequenti degli infortuni per escursionismo (il 55,7%). A seguire, sci in pista (7,4%), mountain bike ed e-bike (4,5%), ferrate (5,50%) e parapendio (2,3%). Ma nella casistica rientrano anche affaticamento e incapacità di proseguire in sicurezza il percorso, motivazioni che riguardano gli illesi tratti in salvo, 460 lo scorso anno. Rappresentano il 40,51% delle persone soccorse (una percentuale consistente ma stabile rispetto agli anni precedenti). Recuperi in quota ma anche in pista (91 interventi). Le fasce d’età più interessate dai soccorsi sono quelle di 20-30 anni e 50-60. Quanto alla provenienza, escursionisti e sciatori locali, perlopiù, ma anche nazionalità inusuali come Cile, Messico e Corea del Sud, indice della crescita turistica di vallate e comprensori. «Le Dolomiti sono il territorio più difficile al mondo; elevato il livello tecnico soprattutto per gli interventi notturni», spiega Michele Titton della seconda delegazione del Soccorso alpino (stazione di Cortina). «Occorre potenziare i percorsi legati alla sicurezza invernale e fare prevenzione». Ma anche spronare gli escursionisti a sottoscrivere l’assicurazione Cai: nel 2024 circa il 96,4% delle persone soccorse non disponeva di una polizza propria in grado di coprire le spese di recupero. «È una percentuale alta - aggiunge Zandegiacomo - dobbiamo insistere su questo». Cinque le basi di elisoccorso, per un totale di 2409 missioni: Pieve di Cadore (768), Treviso (563), Verona (818), Padova (68) e Belluno (182). Sentieri impervi, pareti rocciose ma anche grotte. «Il Veneto è la regione con il maggior numero di cavità censite», spiega Cristiano Zoppello, vicedelegato della sesta Zona Speleologica Veneto e Trentino-Alto Adige. Gli interventi sono complessi e articolati e proprio per questo motivo richiedono la presenza di tecnici qualificati, specialisti sanitari e speleosub capaci di operare in condizioni difficili (come i tratti allagati). «A volte servono anche 30 ore per completare un soccorso». Attività sul campo alle quali vanno affiancate le ore di formazione e addestramento (in totale, 112.422): circa quindici, in media, per ogni intervento. Oltre 11 mila i volontari coinvolti nel 2024, in media 6,98 ogni evento. Bene, ma servono nuove leve. Alberto Barbirato della delegazione undicesima Zona Alpina - Prealpi Venete fa un appello ai giovani, affinché si avvicinano alle attività del soccorso alpino. Un modo per coniugare la passione per la montagna e la vocazione all’aiutare gli altri.

Corriere delle Alpi | 12 marzo 2025

p. 17

Inesperienza e incapacità: boom di incidenti in montagna

Alessia Forzin / Belluno

Troppe persone affrontano ancora la montagna con superficialità, senza la dovuta preparazione fisica e tecnica e con attrezzatura non adeguata. Inesperienza, incapacità, una sopravvalutazione delle proprie capacità porta, spesso, a mettersi in situazioni difficili, che richiedono l'intervento del Soccorso alpino. Crescono infatti, nel 2024, le persone soccorse (sono state 1.225) mentre c'è un lieve calo negli interventi (1.081, nel 2023 erano stati 1.095). Il report dell'attività è stato presentato ieri nella sede del Cnsas, alla presenza del nuovo direttivo. ATTENZIONE E RESPONSABILITà «Negli ultimi anni abbiamo registrato un'impennata nei soccorsi a favore di escursionisti illesi, che chiamano per mancata preparazione fisica e psicofisica, perdita dell'orientamento, incapacità, ritardi», ha premesso il presidente del Cnsas Veneto, Giuseppe Zandegiacomo Sampogna. Sono stati 460 l'anno scorso, il 40% circa del totale. «Da qui la necessità di proseguire nelle campagne di prevenzione, per responsabilizzare i fruitori della montagna affinché la affrontino con elevata preparazione e conoscenza graduale. Pur sapendo che il rischio zero non esiste, un bagaglio personale di esperienza serve a evitare il più possibile di mettersi in situazioni spiacevoli». Il tema della responsabilità è cruciale. «Ogni tanto bisogna saper rinunciare» all'escursione, se non ci si sente pronti, se si capisce che c'è il rischio di mettersi in una situazione rischiosa. E attenzione ai social media, «che contribuiscono a minimizzare la percezione dei rischi, incentivano la frequentazione dei luoghi da selfie, facilitano l'aggregazione tra sconosciuti, quando, come nell'alpinismo, sono fondamentali la reciproca conoscenza e fiducia», ha aggiunto Zandegiacomo. I NUMERI Nel 2024 sono state soccorse dalle tre delegazioni venete (Dolomiti Bellunesi, Prealpi Venete, Speleo) 1.225 persone, dato che conferma il trend in aumento. Il numero di interventi (1.081) è leggermente inferiore al 2023 (1.095), con la sola delegazione Dolomiti Bellunesi che ne ha portati a termine 836, con 934 persone soccorse. Gli interventi a carattere sanitario sono stati 1.056, 25 quelli di protezione civile. Fra le persone soccorse, 460 erano illese (40,51%), dato in linea con quello degli anni precedenti e che dimostra che ancora troppi affrontano la montagna sottovalutandola. Gli incidenti in pista sono stati 91 (in linea con gli anni precedenti), le persone decedute 61 (+3,4% rispetto al 2023 quando erano state 59). LE CAUSE DEGLI INCIDENTI Mancata preparazione fisica, perdita dell'orientamento, incapacità e ritardi rappresentano il 30% degli interventi di soccorso (in aumento rispetto al 2023); in lieve crescita anche i malori (11,8% degli interventi di soccorso). Fra le cause, un incidente su tre è determinato da cadute o scivolate. In merito alle attività, invece, il 55,7% delle persone soccorse praticavano escursionismo; seguono sci in pista (7,4%) e ferrate (5,5%, in calo rispetto al 2023). Gli incidenti dovuti all'utilizzo di mountain bike e E-bike sono stati il 4,5%, valori simili agli anni precedenti. «C'è stato un boom di utilizzo delle e-bike dopo il Covid, quando tutti volevano riprendere le attività all'area aperta ma con una preparazione che era scarsa visti i mesi passati in casa», ha spiegato Alberto Barbirato, vicepresidente del Cnsas Veneto, illustrando il report. «Ora i dati sugli incidenti si sono stabilizzati, probabilmente per una maggiore formazione sull'utilizzo di questi mezzi». NAZIONALITà ED ETà Per quanto riguarda le nazionalità, il 70,3% delle persone soccorse è italiana: dato in calo, perché sono invece aumentati gli stranieri (+5,6%). In testa ci sono i polacchi, seguiti da francesi, americani, belgi, austriaci, sloveni. Ma fra le persone soccorse, a testimonianza del richiamo che esercitano le Dolomiti sui turisti, ci sono anche persone provenienti da Malesia, Guatemala, Bahrein, Messico, Cile, Australia, Corea del Sud. In quanto alle età delle persone soccorse, la maggior parte ha fra 50 e 60 anni e fra 20 e 30 anni. Ma c'è una buona fetta anche di 60-70enni e di 70-80enni. Nel 2024, infine, sono aumentate le ricerche per dispersi: sono state 66, il 10,1% in più rispetto al 2023, con 73 persone soccorse. POCHI ASSICURATI Anche il report del 2024 evidenzia un dato che desta preoccupazioni: circa il 96,4% delle persone soccorse non aveva un'assicurazione in grado di coprire le spese. Da qui la necessità, per il futuro, di aumentare ancora di più l'attività di informazione/formazione per sensibilizzare i frequentatori della montagna dell'importanza di avere un'assicurazione. Perché l'incidente può sempre capitare, al di là di tutto. L'IMPEGNO DEI VOLONTARI Il Cnsas ha 27 stazioni in Veneto. Le missioni nel 2024 hanno visto impegnati 4.375 volontari per un totale di 15.820 ore/uomo. Delle 1.081 missioni, 467 si sono svolte con l'elicottero ma nell'anno è risultato determinante l'impegno delle squadre a terra, insostituibili in tutte quelle occasioni in cui gli elicotteri non possono volare (e, spesso, anche in quelle missioni). Volontari preparatissimi, con un 2024 che ha visto un totale di 112.422 ore di formazione. «La formazione è continua», ha spiegato il delegato della II zona, Dolomiti Bellunesi, Michele Titton. «Il nostro territorio è uno dei più difficili nel comparto alpino. Spesso passa inosservata la difficoltà degli interventi portati a termine sulle pareti dolomitiche, che richiedono procedure e manovre specifiche, uniche a livello mondiale. Come Delegazione, abbiamo la necessità di aumentare il numero di giovani alpinisti, a cui vorremmo assicurare, al di là dei requisiti previsti dal piano formativo nazionale, la possibilità di integrare le proprie capacità tecniche a seconda delle esigenze specifiche del territorio». Un appello ai ragazzi, ad avvicinarsi alla grande famiglia del Soccorso alpino. © RIPRODUZIONE RISERVATA Oltre la metà (55,7%) delle chiamate arriva da escursionisti Caduta e scivolata le cause principali degli infortuni Il problema dei social «Contribuiscono a minimizzare la percezione dei rischi portando tutti nei luoghi da selfie» un intervento di soccorso le missioni effettuate nel 2024 hanno impegnato 4.375 volontari L'appello ai ragazzi per il ricambio generazionale «Serve aumentare il numero di giovani alpinisti».

NOTIZIE DAI RIFUGI

L’Adige | 4 marzo 2025

p. 11

In quota Gli interventi riguardano soprattutto rifacimento di teleferiche per trasporto materiale e pannelli solari Ai rifugi contributi provinciali per 941.594 euro

L’avvio della stagione estiva è ancora lontano ma i rifugisti hanno già programmato gli interventi per essere pronti per accogliere i turisti. Nei giorni scorsi la Provincia, con quattro determine, ha finanziato quattro interventi elargendo contributi per un totale di 941.594 euro. L’importo maggiore è destinato al rifugio Tucket e Sella a quota 2272 metri, raggiungibile a piedi da Madonna di Campiglio o dalla funivia Grostè. In questo caso è stato concesso alla Sat un contributo di 256.469 euro per il rifacimento delle stazioni a valle e a monte della teleferica per il trasporto materiali. La spesa prevista è di 320.587 che viene coperta per l’80% della Provincia. Un secondo contributo è stato autorizzato al Cai, sezione Treviso, per la manutenzione straordinaria del rifugio Pradidali, situato a quota 2278 metri, nel cuore delle Pale di San Martino. In questo caso la somma di 258.399 è stata concessa per il rifacimento dell'impianto fotovoltaico, per il potenziamento della capacità idrica, per il consolidamento della teleferica e per l'acquisto di arredi ed attrezzatura. In totale la spesa per i lavori è di 287.111 ed è stato concesso un contributo per il 90% dell’importo. Altra pratica e contributo concesso riguarda il rifugio Tosa "Tommaso Pedrotti", in Brenta. Un rifugio che dallo scorso anno è oggetto di lavori di riqualificazione e ammodernamento tanto che lo scorso anno e anche quest’anno saranno sospesi i pernottamenti in attesa che venga conclusa la riqualificazione. Con l’ultima determina la Provincia ha accolto la domanda della Sat per l’acquisto di arredi e attrezzatura per 176.687 per il rifugio Tosa Pedrotti. Il contributo coprirà il 90% della spesa, quindi 176.684 euro . Concesso un contributo di 78.066 alla Sat anche per la manutenzione straordinaria della teleferica per trasporto materiali a servizio del rifugio "Velo della Madonna, una struttura situata su un terrazzo roccioso ai piedi della Cima della Madonna, a quota 2358 metri, nel gruppo delle Pale di San Martino. Infine, sempre la Provincia, ha concesso un contributo alla Fondazione ai caduto dell’Adamello onlus di Trento, per il rinnovamento dell'impianto fotovoltaico e la posa batterie di accumulo del rifugio "Ai Caduti dell'Adamello". La spesa prevista è di 191.079 euro e il contributo concesso è di 171.971.

Gazzettino | 13 marzo 2025

p. 35, edizione Belluno

Le Alte vie sono sempre più frequentate

ELEONORA SCARTON

FELTRE

Cresce l'interesse per le Alte Vie 1 e 2: sempre più turisti extra europei alla scoperta del nostro territorio. Parliamo di persone che hanno una capacità di spesa importante e il cui passaggio diventa strategico per l'economia dei luoghi. È questo quanto emerge da un'indagine fatta dal Consorzio Dolomiti Prealpi con sede a Feltre nell'estate 2024 , il quale ha monitorato gli arrivi degli escursionisti lungo le Alte Vie n. 1 (Braies Belluno) e n. 2 (Bressanone Feltre) presso gli uffici turistici di Belluno e Feltre. I DATI I dati raccolti ed elaborati permettono di fotografare lo stato attuale della frequentazione delle due Alte Vie. Negli anni passati, la maggior parte degli escursionisti che completavano questi percorsi proveniva dall'area germanofona, seguita dagli italiani e da alcuni visitatori di altri Paesi europei. Tuttavia, dal 2010, con il riconoscimento delle Dolomiti come Patrimonio Unesco, la situazione è gradualmente mutata, registrando un incremento costante di escursionisti. L'analisi degli arrivi del 2024 evidenzia che gli escursionisti statunitensi hanno quasi raddoppiato il numero degli italiani. La Germania è scesa al quinto posto, mentre Regno Unito e Australia si collocano rispettivamente al terzo e quarto posto, seguiti dal Canada al sesto. Il turismo escursionistico nelle Dolomiti Bellunesi è ora dominato prevalentemente da viaggiatori di lingua inglese. Complessivamente, sono state rilevate 37 nazionalità tra gli escursionisti giunti a Belluno e Feltre, con circa 1.300 arrivi per l'Alta Via 1 e circa 600 per l'Alta Via 2. Dal punto di vista delle percentuali, gli escursionisti provenienti dagli Stati Uniti rappresentano il 25,9% del totale, seguiti dagli italiani (13,7%), dagli inglesi (12,3%), dagli australiani (8,8%), dai tedeschi (6,5%) e dai canadesi (4,5%). Completano la top ten Belgio (4,3%), Olanda (4,2%), Repubblica Ceca (4,2%) e Francia (3,4%). A livello continentale, il 56,5% degli escursionisti proviene dall'Europa (con rappresentanti di 22 Paesi), il 30,4% dagli Stati Uniti, il 9,6% dall'Australia, seguiti da Sud America, Asia e Medio Oriente (Israele). SERVE INVESTIRE Per mantenere la competitività del territorio, sono necessarie azioni strategiche. Per questo motivo, il Consorzio Dolomiti Prealpi, in sinergia con la Fondazione Dolomiti Bellunesi, intende avviare un tavolo di lavoro su più fronti. «Il nostro obiettivo spiega il presidente Lionello Gorza è incrementare le presenze turistiche a Belluno e Feltre anche oltre il termine della percorrenza delle Alte Vie. Negli ultimi anni, abbiamo osservato un aumento di escursionisti ad alta capacità di spesa, desiderosi di celebrare il traguardo raggiunto nelle città di arrivo. Inoltre, la vicinanza con un altro sito Unesco, le Colline del Prosecco, e la possibilità di visitare Venezia in giornata grazie al collegamento ferroviario con rientro serale a Feltre o Belluno, rappresentano elementi di grande interesse. Più dialogo con il Cai,

Fondazione Dolomiti e rifugisti». I RIFUGI I rifugi giocano un ruolo cruciale in questo contesto: spesso si trovano a interfacciarsi con escursionisti abituati a ricevere risposte rapide e a cercare informazioni oltre la semplice richiesta di pernottamento. Una collaborazione efficace tra il Consorzio Dolomiti Prealpi e i rifugi potrebbe rivelarsi strategica, consentendo al personale del Consorzio di supportare i rifugisti FUTURO PROMETTENTE «La Fondazione Dmo Dolomiti Bellunesi dichiara la direttrice Valentina Colleselli - parteciperà attivamente al tavolo operativo di confronto». Eleonora Scarton © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corriere delle Alpi | 13 marzo 2025

p 17

Alte Vie, sempre più stranieri «Portiamoli a Belluno e Feltre»

LO STUDIO

Uno studio sul turismo escursionistico in Italia condotto da Touring Club e Enit nel 2023 sottolinea che i viaggi a piedi itineranti sono destinati a diventare sempre più popolari. Per supervisionare questi trend nel territorio delle Dolomiti Bellunesi, il Consorzio Dolomiti Prealpi, nell'estate 2024, ha monitorato gli arrivi degli escursionisti lungo le Alte Vie n. 1 (Braies – Belluno) e n. 2 (Bressanone – Feltre). Negli anni passati, la maggior parte degli escursionisti che completavano questi percorsi proveniva dall'area germanofona, seguita dagli italiani e da alcuni visitatori di altri Paesi europei. Tuttavia, dal 2010, con il riconoscimento delle Dolomiti come Patrimonio Unesco, la situazione è gradualmente mutata, registrando un incremento costante di escursionisti provenienti da un numero sempre più ampio di nazioni, incluse numerose aree extraeuropee. L'analisi degli arrivi del 2024 evidenzia che gli escursionisti provenienti dagli Stati Uniti rappresentano il 25,9% del totale, seguiti da italiani (13,7%), inglesi (12,3%), australiani (8,8%), tedeschi (6,5%) e canadesi (4,5%). Completano la top ten Belgio (4,3%), Olanda (4,2%), Repubblica Ceca (4,2%) e Francia (3,4%). Sono state rilevate 37 nazionalità tra gli escursionisti giunti a Belluno e Feltre, con circa 1.300 arrivi per l'Alta Via 1 e circa 600 per l'Alta Via 2. La maggiore attrattività dell'Alta Via 1 è dovuta non solo alla sua numerazione, ma anche ai dislivelli e ai tempi di percorrenza relativamente più accessibili rispetto all'Alta Via 2, favorendo così una partecipazione più ampia. Ora, per mantenere la competitività del territorio, sono necessarie azioni strategiche. Per questo motivo, il Consorzio Dolomiti Prealpi, in sinergia con la Fondazione Dolomiti Bellunesi, intende avviare un tavolo di lavoro su più fronti. «Il nostro obiettivo come Consorzio Dolomiti Prealpi», spiega il presidente del Consorzio Lionello Gorza, «è incrementare le presenze turistiche a Belluno e Feltre anche oltre il termine della percorrenza delle Alte Vie. Negli ultimi anni, abbiamo osservato un aumento di escursionisti ad alta capacità di spesa, desiderosi di celebrare il traguardo raggiunto nelle città di arrivo. Inoltre, la vicinanza con un altro sito Unesco, le Colline del Prosecco, e la possibilità di visitare Venezia in giornata grazie al collegamento ferroviario con rientro serale a Feltre o Belluno, rappresentano elementi di grande interesse per i visitatori provenienti da Paesi lontani. Per questo motivo, vogliamo avviare un dialogo con il Cai, la Fondazione Dolomiti Bellunesi e i gestori dei rifugi lungo i due percorsi, al fine di promuovere le due città d'arte della provincia e informare gli escursionisti sulle opportunità esperienziali offerte dalla Valbelluna». «Nelle prossime settimane», conclude Gorza, «ci attiveremo per coinvolgere tutti gli interlocutori chiave e organizzeremo un primo incontro operativo, con l'obiettivo di definire un cronoprogramma di azioni concrete». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere delle Alpi | 13 marzo 2025

p. 27

Al rifugio Laresei parte la selezione di Miss Italia

il concorso Il rifugio Laresei a Falcade ospiterà domenica la prima selezione di Miss Italia 2025 in Veneto. L'appuntamento è per le 14 quando le candidate al titolo di Miss Falcade - Rifugio Laresei sfileranno circondate dal panorama delle Dolomiti Bellunesi. L'evento è organizzato da Mara e Massimo Manfroi, titolari del rifugio, in collaborazione con Promofalcade Dolomiti, coordinato dall'agenzia modashow.it di Paola Rizzotti e presentato da Michele Cupitò. La vincitrice parteciperà di diritto alle finali regionali in Veneto di Miss Italia. A Miss Italia possono partecipare ragazze di età compresa tra i 18 ed i 30 anni; per iscriversi in Veneto è possibile contattare direttamente l'agenzia modashow.it telefonando o inviando un messaggio al numero 393 3352362 oppure compilando il modulo sul sito www.missitalia.it (la partecipazione al concorso è totalmente gratuita). © RIPRODUZIONE

RIFUGIO RODA DI VAEL E BAITA PEDERIVA: IL CASO

L’Adige | 11 marzo 2025

p. 31

«Chiudete i rifugi Roda di Vael e Pederiva: inquinano ancora»

SÉN JAN

Nuova richiesta di chiusura “in autotutela” dei rifugi Roda di Vael e Baita Marino Pederiva, presentata dall’architetto Armando Loss il 5 marzo alla Sat, al Cai, all’assessore al Turismo Roberto Failoni, al Comune di San Giovanni di Fassa, a quattro servizi provinciali, al nucleo antisofisticazione e sanità e alla Procura della repubblica. Loss, che è titolare di una attività turistica a Tamion, da diversi anni denuncia lo sversamento nell’ambiente (nella foto) dei reflui dei due rifugi, a causa dell’assenza di una fognatura e dell’insufficienza degli impianti attuali, rispetto all’afflusso turistico in quota. Un problema che nel 2023 ha provocato un grave inquinamento della falda acquifera e malesseri importanti in diverse decine di turisti e residenti di Tamion e Vallonga, ai piedi del Ciampac, portando alla chiusura lampo (durata di fatto un giorno) dei due rifugi, da parte del sindaco. Il 23 febbraio scorso il caso è stato raccontato accuratamente dalla trasmissione di Raitre “Report”, che si è recata sul posto a documentare gli sversamenti ancora in atto in inverno, tramite un tubo provvisorio autorizzato dalla Provincia, che passerebbe tra l’altro su terreno dell’Asuc di Vigo di Fassa. Va detto che lo scorso anno i gestori dei due rifugi hanno avuto un decreto penale di condanna per “getto pericoloso di cose” (da loro poi impugnato), mentre il Comune di Sén Jan ha progettato una rete fognaria che dovrebbe risolvere il problema. Loss chiede la chiusura in autotutela finché proprio questa opera non sarà realizzata e messa in funzione. Una istanza probabilmente destinata a finire nel nulla, anche se dovrebbe essere interesse delle autorità pubbliche tutelare l’immagine di una località che fonda la propria economia sul turismo e sull’ambiente.

NOTIZIE DAI PARCHI

Corriere delle Alpi | 4 marzo 2025

p. 17

Pedavena-Croce d'Aune ambientalisti contrari «No alle gare nel Parco»

Belluno

Nulla contro la Pedavena - Croce d'Aune, ma un no netto alla corsa nell'area del Parco nazionale. Gli ambientalisti votarono contro la modifica al regolamento dell'ente, che esclude la gara dal divieto che invece interessa tutte le altre competizioni automobilistiche nell'area protetta. A prendere posizione è Augusto De Nato del Wwf, che interviene dopo l'illustrazione delle modifiche al regolamento del Parco illustrate qualche giorno fa dal commissario Ennio Vigne. «Quando valutammo quelle modifiche, mesi fa, io e la dottoressa De Marinis di Ispra votammo contro il punto legato alla Pedavena - Croce d'Aune», ricorda. «Ci fu molta discussione. Su tutti gli altri punti abbiamo votato all'unanimità, questo invece passò a maggioranza». Il motivo, continua De Nato, non ha nemmeno bisogno di essere spiegato: «Si spiega da solo. Una gara automobilistica non c'entra nulla con un Parco. Il Parco deve indicare una strada sostenibile, una collaborazione fra esseri umani e ambiente. Una corsa automobilistica va contro ogni fondamento di un'area protetta qual è quella del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi». Secondo De Nato, quindi, la corsa non dovrebbe svilupparsi all'interno dei confini del Parco, ma fermarsi prima. Come accade da qualche anno, ovvero da quando il ministero ha approvato il regolamento che era stato modificato dal consiglio del Parco nel lontano 2009. C'erano voluti dodici anni perché il documento venisse validato, ricorda ancora De Nato. «Fu il consiglio che era in carica nel 2009 a vietare la Pedavena - Croce d'Aune. Ora il nuovo regolamento vorrebbe escludere questa, e solo questa, gara dal divieto. Gli ambientalisti restano fermamente contrari a questa deroga, come dimostra il mio voto contrario quando si parlò di modificare il regolamento». Il documento è stato inviato mesi fa al ministero. Si attendono le decisioni, i tempi non sono noti. a.f. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

EDITORIALI E INTERVISTE

Corriere del Veneto | 7 marzo 2025

p. 14

Se la geografia scompare

Come Atlante che porta il mondo sulle spalle, anche Mauro Varotto, professore ordinario di Geografia e Geografia culturale all’Università di Padova, nell’ultimo saggio appena pubblicato per Einaudi, Il primo libro di geografia (23 euro, 274 pagg.) si mette sulle spalle il tema dei temi di questi tempi: la progressiva scomparsa della geografia dai radar dei programmi scolastici e dunque del bagaglio culturale minimo che ognuno di noi si porta dietro. «La geografia, uno splendido soprammobile: è questo il suo destino?», si chiede provocatoriamente nell’introduzione del saggio, la cui lettura si consiglia non solo agli studenti che candidamente ammettono di conoscere solo quattro regioni italiane e ignorare il nome delle altre sedici, ma anche ai loro professori e genitori, che magari le conoscono tutte e venti, ma lì si fermano nella padronanza di una materia da sempre, diciamolo, poco amata. La risposta che dà Varotto non è affatto scontata: «Sembrerebbe di sì - scrive il professore - a giudicare dalla drastica riduzione delle ore d’insegnamento della materia negli ultimi decenni (...). Eppure, fuori dalla scuola la geografia è ovunque: nei pacchetti turistici, nei messaggi promozionali di mele, prosciutti o vini, nei navigatori delle auto che si guidano da sole, negli smartphone che registrano ogni nostro spostamento quotidiano, nelle rotte dei migranti (...)». E come mai un sapere così pervasivo sta scomparendo dai programmi scolastici e dalle ore di insegnamento? Il libro offre tre motivi. Primo, perché per molti, tra navigatori nel telefono e tecnologia diffusa, appare superfluo sapere in che regioni scorra il Po. Secondo: perché negli anni si è alimentata una mitologia negativa sulla geografia, tutta memoria e nozioni. Ma è il terzo il più inquietante: «...un cittadino poco consapevole del complesso mondo in cui viviamo- si legge nel saggio - è facilmente manovrabile». Dunque, ecco l’ombra che si allunga ed ecco ancora di più perché leggere questo libro. Che affonda l’inchiostro nei temi più importanti di questi tempi martoriati, da un punto di vista storico, scientifico, antropologico. Dalla città alla campagna, dal clima al paesaggio, dal concetto di regione a quello di Stato e nazione, così evocati dai politici e così poco conosciuti. Molti sono anche i riferimenti a un territorio, quello veneto, che Varotto comprende con uno sguardo lucido. Nel capitolo dedicato a «Clima e Antropocene», l’analisi parte dalla Marmolada, «montagna iconica, per tanti versi simbolo della modernità, delle sue conquiste e delle sue fragilità». Perché la Marmolada è «linea di confine, punto conteso nell’affermazione degli Stati nazionali», ma anche «“montagna perfetta” secondo Dino Buzzati: sublime nella verticalità della parete sud, luogo di mirabili imprese alpinistiche, e abbacinante playground sciistico sul versante nord». Ma non si può far finta che la Marmolada non sia anche, e ora forse soprattutto, il simbolo «della drammaticità del riscaldamento climatico, al centro di un accelerato processo di fusione che ha assunto i tratti della tragedia il 3 luglio 2022 con la morte di undici persone travolte da una valanga di 64.000 tonnellate di ghiaccio e detriti, provocata da temperature estive roventi». Dunque è anche questo la geografia: conoscere i luoghi per poterli preservare e sapersi proteggere. Ed è un volo dall’alto quello di questo libro. Dall’immagine dell’erosione della spiaggia di Rosolina che apre il capitolo dedicato a «Mari e oceani» a quella dell’Isola Memmia al centro di Prato della Valle a Padova nel capitolo dedicato a «Storia, memoria e patrimonio», portata sotto la lente dello studioso per il caso della richiesta di destinare due degli stalli svuotati durante il periodo napoleonico a due statute di figure femminili. «...Il monumento rimane lì, immobile, solo in apparenza: le connessioni tra quel monumento e il contesto fisico e sociale l’hanno già di fatto cambiato (...)». E saperlo aiuterebbe.

L’Adige | 10 marzo 2025

p. 6

Il richiamo della montagna

PATRIZIA NICCOLINI

La rivoluzione culturale più profonda, quella genuinamente ecologista, deve affondare le radici nella spiritualità della montagna». E nell'amore per la Terra. È il forte messaggio che Matteo Righetto consegna con "Il richiamo della montagna", il primo saggio dello scrittore e filosofo della montagna veneto appena pubblicato da Feltrinelli, impreziosito in copertina dall'illustrazione dell'artista Marina Marcolin raffigurante il Pelmo, monte amato dall'autore, che vive tra Padova e Colle Santa Lucia (Dolomiti Bellunesi). "Il richiamo della montagna" è un "libro-manifesto per un nuovo Umanesimo che al centro ponga non più solo l'uomo, ma anche la natura", come ha dichiarato Righetto a Lo Scarpone, il portale del Cai; è un monito - "c'è chi si preoccupa di andare su Marte quando invece c'è da salvare la Terra" -, e non a caso è dedicato "A tutti i miei studenti, di ieri, di oggi e di domani", ed è una denuncia: "va riscoperto uno spessore umano, poetico, esistenziale che abbiamo perduto, altrimenti che differenza c’è fra andare in montagna e al luna park?". Il filo rosso che collega tutte le riflessioni è l'approccio etico-filosofico alla crisi ecologica, puntando alla riscoperta di una dimensione esistenziale che permetta di instaurare con la natura dei monti un rapporto di reciproco beneficio e non più di sfruttamento. La montagna, luogo sacro per eccellenza dove lo spirito trova ristoro e si eleva, non è più meta di una frequentazione rispettosa e, avverte l'autore, occorre cambiare strada e mettere in campo pratiche virtuose e urgenti. Le conseguenze dell'emergenza climatica si sono,

infatti, già manifestate, prima con la tempesta Vaia nel 2018, poi con « la tragedia della Marmolada il 3 luglio 2022, citata all'inizio del saggio. Un evento epocale, che si è svolto sì in "dieci maledetti secondi" che Righetto non riesce a dimenticare, ma "non è successa improvvisamente". Da tempo è in atto lo scioglimento dei ghiacciai a causa dell’aumento delle temperature e il 2025 è stato dichiarato dall'Onu Anno internazionale per la loro conservazione, mentre l'affollamento in montagna e la mentalità del consumo che la invade sono un chiaro indicatore che la sua voce è ignorata. Per lo scrittore e geopoeta Davide Sapienza quello di Righetto è "un pamphlet lucido, emozionante, antiretorico. Necessario". Riecheggiando nel titolo il Jack London del romanzo "Il richiamo della foresta", l'autore pone al centro delle sue riflessioni l'idea di "selvatico", il richiamo della natura che si manifesta in brivido di piacere, smarrimento o, addirittura, esperienza sublime e spirituale. Un "richiamo della montagna che non riusciamo più ad afferrare perché è talmente lontano nel tempo, che lo abbiamo dimenticato. Eppure ci rende felici". Si tratta, dunque, di tornare a riassaporare momenti come un tramonto, un'alba, l'emozione di avvistare un camoscio, ascoltare l'acqua di un torrente o di una cascata, osservare il cielo stellato, riscoprendo e portando nel quotidiano la bellezza e la poesia che la montagna offre. Per Righetto, presidente della sezione Cai di LivinallongoSanta Lucia, sapersi rieducare a riconoscere il valore inestimabile delle esperienze che si vivono nelle terre alte è perciò indispensabile per poter camminare al ritmo di un passo capace di inserirsi nell'ambiente naturale come una sua parte e per essere realmente custodi dell'unione indissolubile tra l'Uomo e la Terra. Matteo Righetto, Il richiamo della montagna, Feltrinelli, pp.128, 2025, 14 euro.

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