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CRISI IDRICA
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Righetto: “Guai smettere di camminare in montagna”
ROCCA PIETORE «Non dobbiamo smettere di camminare in montagna. Noi siamo parte di questo paesaggio e, come diceva Mario Rigoni Stern, abbiamo senso di esistere solo se ce ne facciamo custodi. I fatti luttuosi di alcuni giorni fa non devono farci dimenticare che questi luoghi hanno un loro flusso vitale che a causa della crisi climatica sta subendo uno stillicidio luttuoso, permanente, che richiama a una responsabilità condivisa». Così lo scrittore Matteo Righetto, per la seconda volta protagonista del trekking letterario organizzato dalla Fondazione Dolomiti Unesco nell'ambito della rassegna "Incontri d'alt(r)a quota".Quest'anno l'evento era previsto lungo il sentiero che conduce al rifugio Falier, lungo la Val Ombretta, sotto la parete d'argento della Marmolada, e lì si è svolto regolarmente per riflettere, in modo partecipato, su quanto avvenuto il 3 luglio scorso e ripensare ai nostri modi di vivere e abitare la montagna al cospetto della crisi climatica. «Questo ambiente unico al mondo» ha aggiunto Righetto, «va riscoperto attraverso il suo genius loci e dobbiamo avere il coraggio di interpretarlo in una chiave nuova, sostenibile, come stiamo facendo con questa camminata. Abbiamo bisogno soprattutto delle comunità locali perché quello che stiamo attraversando non è solo un patrimonio mondiale, è prima di tutto un patrimonio locale e proprio dalle comunità locali deve ripartire la consapevolezza dell'importanza della sua salvaguardia». «È importante essere qui, mettere ancora una volta i piedi sui sentieri delle Dolomiti», sono le parole di Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco, «ed è importante anche trovare le parole che ci consentono di cambiare la nostra relazione con il bene ambientale che dobbiamo custodire. Possiamo scegliere di parlare, ad esempio, di crisi climatica, anziché di cambiamento; possiamo ribadire l'imprevedibilità di eventi puntuali come quello del tre luglio, senza con questo negare la prevedibilità del fatto che sempre più spesso dovremo affrontare eventi estremi. Possiamo parlare di prudenza in montagna, anziché di sicurezza, termine che pare sottintendere un rischio zero che non esiste. Possiamo parlare di escursionisti e non di turisti, termine che appiattisce la fruizione della montagna su un piano ludico. Dobbiamo considerare la montagna come un ambiente da vivere, conoscere, interrogare e rispettare. Dietro la scelta delle parole c'è la responsabilità che dobbiamo condividere a livello politico, amministrativo, economico e sociale, a cominciare dalle comunità locali». Il tema del rapporto tra globale e locale, soprattutto in merito alle scelte da compiere per contenere la crisi climatica, è stato al centro delle riflessioni condotte da Matteo Righetto lungo il cammino guidato dagli accompagnatori di media montagna Laura Olivotto e Tommaso Zamarchi. Ascoltare il messaggio della natura richiama, in ultima istanza, ancora una volta alla responsabilità dell'uomo, riaffermata simbolicamente dai circa 40 partecipanti in Val Ombretta, dove si trova il centro geografico delle Dolomiti Patrimonio Mondiale.Non poteva mancare il contributo di chi, come i rifugisti, affronta in prima linea queste problematiche, sia per quanto riguarda la frequentazione consapevole della montagna sia per la custodia dell'ambiente dolomitico, di cui sono le prime sentinelle: «Non è solo il caldo di giugno ad aver provocato gli eventi del 3 luglio. È il caldo degli ultimi vent'anni», afferma Dante Del Bon, gestore del rifugio Falier, da dove ha osservato i cambiamenti avvenuti nei decenni di gestione da parte della sua famiglia, giunta in Val Ombretta nel 1953. --© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Adige | 16 luglio 2022
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La grande sete d'acqua dei rifugi
Il grande caldo richiama tanti turisti in quota ma anche i rifugi soffrono la sete, a causa della grave carenza d'acqua. C'è chi ha accorciato i tempi delle docce a gettone per gli escursionisti, e chi invece usa delle bacinelle per lavare i piatti. Franz Nicolini, gestore del Pedrotti, invece è stato costretto a prevedere 2,5 chilometri di tubi per riuscire a captare un rivolo essenziale: «A volte sembra che giù in valle siate sordi ai nostri problemi. Siamo in piena emergenza». C'è chi ha accorciato i tempi delle docce a gettone, e chi invece usa delle bacinelle per lavare i piatti limitando al massimo l'uso dell'acqua corrente, chi cerca di spiegare che l'acqua in quota è merce rara e preziosa, e perfino chi, per riuscire a captare un rivolo essenziale arriva a tirare anche 2,5 chilometri di tubi tra le montagne. È il caso del gestore del Pedrotti, in Brenta, Franz Nicolini, che mostra con rassegnazione il lungo serpentone di gomma che darà sollievo, almeno per un po', al suo rifugio. L'estate 2022 va molto bene dal punto di vista delle affluenze turistiche, ma va molto male per quanto riguarda l'approvvigionamento idrico. Va detto, innanzitutto, che in montagna l'acqua è scarsa. A dispetto delle pubblicità e dei pregiudizi che associano valli verdi e boschivi a torrenti e cascate, in alta quota l'acqua arriva o dall'alto come pioggia, o dal basso come sorgenti in quota e scioglimento delle nevi o dei
ghiacciai. Quest'anno, se si somma l'assenza di precipitazioni di una certa importanza a partire da novembre scorso a nevai e ghiacciai ormai allo stremo, il risultato è facilmente prevedibile: poca acqua da gestire con estrema cura.Franz Nicolini, gestore del rifugio Pedrotti alla Tosa, in Brenta, è sconsolato: «A volte sembra che giù in valle siate sordi ai nostri problemi: la situazione dell'acqua è sempre stata seria, ma quest'anno lo è ancora di più e per cercare di affrontarla serve più consapevolezza, che ognuno sappia rinunciare a qualcosa. Non va bene pretendere docce ed acqua a volontà come se ci si trovasse in un albergo in valle. Sono orgoglioso di gestire un rifugio per raggiungere il quale bisogna camminare quattro ore, non ha senso "addolcire" la montagna per far contenti tutti e soddisfare ogni esigenza, perché la montagna è soprattutto libertà».Anche al rifugio Città di Trento al Mandron la situazione è grave. «In oltre quarant'anni - spiega il gestore Davide Gallazzini - non si è mai visto il Lago Scuro in queste condizioni, è sotto di dieci metri. La sua acqua ci serve sia per bere che per la turbina idroelettrica e siamo in apprensione». E riprende: «Il rifugio è a 2450 metri, ma fa molto caldo, si sta in maniche corte, ed il ghiacciaio è nero fin sulla cima dell'Adamello. Gli escursionisti? Alcuni capiscono, ma sono tanti quelli che pretendono le docce come se fosse normale. É difficile spiegare loro che un rifugio non è un albergo». Anche il Lago di Cima d'Asta è sotto il livello normale, «Lo teniamo monitorato - spiega Emanuele Tessaro, gestore del rifugio Brentari in Cima d'Asta - e ci stiamo impegnando il più possibile per moderare il consumo d'acqua, sia in cucina che in sala che con i clienti. L'utilizzo dei rubinetti viene fatto a fascia oraria e cerchiamo di limitare l'uso dell'acqua corrente allo stretto indispensabile. Per bere di solito utilizzavamo una sorgente che in questo periodo aveva ancora un po' di portata ma adesso è in secca, mentre il lago è sotto di circa 60 centimetri. Con i clienti comunque a volte ci vuole davvero tanta pazienza, perché fanno fatica a capire le esigenze di chi vive e lavora in montagna».«Siamo riusciti a trovare un altro filetto d'acqua, e per qualche tempo ce la possimao fare». Duilio Boninsegna, gestore del rifugio Pradidali nelle Pale di San Martino cerca di essere ottimista. «Non sappiamo ancora se è acqua dal nevaio o da quel che resta del ghiacciaio della Fradusta - ammette - ma per ora ci permette di andare avanti, razionando il più possibile ed evitando gli sprechi, così con questa piccola presa si andrà avanti ancora per qualche giorno e poi si vedrà. Certo è che in trent'anni non era mai accaduto nulla del genere. Quanto agli escursionisti, si devono adattare, anche se è difficile far capire loro che l'acqua non si può inventare, che non c'è alternativa. In molti, soprattutto italiani, pensano che l'acqua sia a disposizione come a valle, con gli acquedotti». E prosegue: «Già la nostra stagione è breve: questa situazione rischia di ripetersi, e bisogna fare qualcosa, probabilmente pensare a vasche di accumulo o cose simili, investimenti importanti».
L’Adige | 16 luglio 2022
p. 11, segue dalla prima
Silva: «Imparare a limitare i consumi»
«Stiamo monitorando la situazione». Roberta Silva, che gestisce il rifugio Roda di Vaèl, in Catinaccio, ammette che la situazione dell'acqua in quota, a causa dell'inverno senza neve e della primavera asciutta resta «grave». «Ci sono diversi rifugi - ammette - in difficoltà». Il grido d'allarme dei rifugisti è unanime: «Siamo a metà luglio, ma la scarsità d'acqua è come se ci trovassimo alla fine di agosto».Prosegue Silva: «Le misure da adottare sono principalmente due: ridurre gli sprechi il più possibile, anche se questa dovrebbe comunque essere la norma in montagna, e cercare di captare l'acqua, chi con cisterne e riserve e chi cercando sorgenti o allungando tubature». Se sull'approvvigionamento non c'è molto da fare, se non interventi strutturali, è sul risparmio che la strada è ancora lunga: sono infatti molti i gestori che denunciano una generale insensibilità dei turisti su questi temi, ricordando che i vecchi alpinisti non chiedevano mai di fare la doccia. «La frequentazione - ammette Silva - in questi ultimi anni è molto cambiata e abbiamo a che fare con una tipologia di escursionisti che fatica a capire che c'è solo una sorgente di captazione, che vuole la doccia tutti i giorni, senza limiti di tempo, e che si scandalizza se trova i bagni chiusi. Devono comprendere che non è mancanza di rispetto o una cattiveria del rifugista che vuole i clienti puzzolenti, ma un'esigenza reale di chi fa presidio della montagna e dà accoglienza e servizi. In questo, solo la cultura può aiutare». Quanto ai rischi, «la montagna - rimarca la presidente - è un importante simbolo di libertà, ma si deve imparare a muoversi con consapevolezza contando sull'esperienza dei rifugisti e dei professionisti della montagna, e rispettando i propri limiti».
Gazzettino | 17 luglio 2022
p. 2, edizione Belluno
Incubo siccità in rifugio: espedienti anti disagio
Sciacquoni dei water con minimo rilascio d'acqua e docce con flusso contingentato. Anche i rifugi della provincia di Belluno fanno i conti con la siccità. Per resistere alla mancanza di precipitazioni si stanno attrezzando: chi, magari, con vasconi supplementari per la raccolta dell'acqua piovana, chi mettendo in atto piccoli accorgimenti per ridurre il consumo, come appunto quelli citati relativi ai servizi 22
igienici. «Non siamo ancora in emergenza ma l'attenzione di noi rifugisti è alta è la premessa di Mario Fiorentini, presidente dell'Associazione di rifugi alpini del Veneto (Agrav) e gestore del rifugio Città di Fiume, all'ombra del Pelmo, in Comune di Borca di Cadore si cerca di essere prudenti, per cui puntiamo, per quel che è possibile, sulla riduzione del consumo d'acqua. E ci si affida ai temporali notturni per caricare le cisterne». Fiorentini sgombera il campo dai luoghi comuni: «È falsa l'idea che nei rifugi l'acqua abbondi perché si è in montagna. Ecco perché occorrono sistemi di riserva».
LA SITUAZIONE
Alcuni rifugi riescono ad usare l'acqua di torrenti vicini e collegati, altri nella fascia Pedemontana (Fiorentini cita il Boz e il Dal Piaz in area feltrina, o il Semenza, in area Alpago) - da sempre devono attrezzarsi con cisterne sul tetto: «Qui l'acqua normalmente non c'è. Sta di fatto che l'apprensione esiste, visto che piove poco e anche i temporali notturni sono insufficienti a riempire le vasche». Altra situazione si vive in alta quota: vi sono rifugi con i nevai vicini a fare da banca per l'acqua, ma anche questi ultimi, si sa, sono in sofferenza. «Se non vi è la risorsa della neve da cui recuperare l'acqua si è in crisi - precisa il presidente Agrav, sottolineando un fatto il problema della attuale scarsità d'acqua, in alcuni rifugi, non riguarda solo l'uso per i servizi, ma anche il funzionamento delle turbine che, con l'acqua, generano energia elettrica». Fiorentini cita, a livello esemplificativo, il Vazzoler, in Agordino e Malga Rin Freddo in Comelico.
IL NEVAIO SENZA NEVE
È sconsolato Walter Bellenzier, gestore del rifugio Tissi al Col Rean, 2250 metri di quota (Comune di Alleghe). L'acqua gli arriva, normalmente, dal nevaio che si trova nel canalone tra Cima De Gasperi e Su Alto. Una presa, per caduta, porta al rifugio l'acqua che si scioglie: «Fino agli anni scorsi, quasi sempre eravamo a posto. Con quell'acqua si riempivamo le vasche e si riusciva a tirare fino a metà agosto. Già l'estate scorsa era più scarsa, ma proprio oggi non ne è arrivata più dal nevaio perché il temporalone della notte ha portato via l'ultima neve». Bellenzier si affida ai vasconi di deposito, l'ultimo arrivato grazie al contributo del Cai di Belluno: «Tengono, in totale, 120 metri cubi d'acqua. Ne consumiamo 4-5 al giorno», afferma Bellenzier.
LUCE SOLO PER 7 GIORNI
Ai 2000 metri del rifugio Berti al Popera (Comune di Comelico superiore) che è punto di riferimento per Strada degli alpini, ferrate Roghel e Cengia Gabriella lo storico gestore, Bruno Martini non nasconde l'apprensione. Qui non vi sono vasconi di recupero per l'acqua. «Ho una turbina che genera corrente con l'acqua, ma non piove, siamo senza acqua e quella che abbiamo ci basterà a far funzionare frigoriferi e luce solo per una settimana. Il problema è grande, insomma, tant'è che tra qualche giorno dovremo spegnere la turbina». Bruno Martini qualcosa recupera, a livello di acqua, dai tubi che pescano dal torrente Risina. Non basta. «Sta di fatto che, se non pioverà, dovrò fare uso dei gruppi elettrogeni per tutto il giorno». Con i disagi che ne conseguono. Daniela De Donà
L’Adige | 1 luglio 2022
p. 10
Acqua alla Lombardia, arriva il sì di Terna
Terna ieri ha dato il via libera al rilascio di 5 milioni di metri cubi di acqua dei serbatoi idroelettrici di malga Bissina e malga Boazzo chiesti dalla Lombardia al Trentino per salvare l'agricoltura padana. Ora la Provincia non ha più alibi per negare questa quantità enorme richiesta, pari a circa la metà della poca acqua rimasta nei due bacini, ma comunque il vicepresidente e assessore all'ambiente e all'energia, Mario Tonina, è deciso a prendere ancora tempo per rimandare una decisione che dubita che riuscirà da sola ad alleviare i gravi problemi di siccità in Lombardia.La Provincia aveva posto il quesito a Terna perché i 10 milioni di metri cubi d'acqua dei serbatoi dell'Alto Chiese sono considerati riserva di potenza per il sistema elettrico nazionale e dunque Dolomiti Energia, che gestisce quelle centrali idroelettriche, non può non rispettare queste prescrizioni senza autorizzazione per non incorrere in penali. Ma ora che Terna ha specificato che si può fare, la Provincia ha nuovamente richiesto a Regione Lombardia a formalizzare la richiesta scritta sia alla Provincia stessa che a Dolomiti Energia con adeguata motivazione.Morale, Regione Lombardia ha previsto una conferenza dei servizi per il 5 luglio sull'abbassamento del lago d'Idro, dove confluiscono le acque del Chiese che provengono dai due serbatoi trentini, e il Trentino ha già fatto sapere che dunque non prenderà alcuna decisione prima della settimana prossima.D'altronde, il vicepresidente Tonina è ormai dall'aprile scorso che cerca in tutti i modi di resistere alle richieste d'acqua che arrivano a ripetizione dalle regioni vicine.«Certo - dice Tonina - sembra che i milioni di metri cubi d'acqua siano una quantità enorme, però la pianura padana è grande e certo non risolvono il problema. Si deve affrontare l'emergenza con un intervento complessivo e coordinato, perché a livello nazionale ci sono resistenze a tutti i livelli nella ricerca di un equilibrio tra le risposte da dare agli agricoltori e, dall'altra, al turismo. Infatti, non è stato ancora dichiarato lo stato di emergenza né quello di calamità».«Se noi - insiste il vicepresidente Tonina - già ad aprile avessimo dato al Veneto l'acqua che ci chiedevano quando la stessa Protezione civile aveva negato lo stato di emergenza, chissà in che situazione ci saremmo venuti a trovare ora».Ma intanto la situazione, soprattutto del Po, si fa sempre più drammatica e ieri l'Autorità distrettuale del fiume Po è tornata a chiedere la riduzione del 20% dei prelievi irrigui a livello distrettuale rispetto ai valori medi dell'ultima settimana e «l'aumento dei rilasci dai grandi laghi alpini (Maggiore, Como, Iseo, Idro e Garda) pari al 20% rispetto al valore odierno». 23
Rilasci che vengono ritenuti necessari «al fine di sostenere le portate del Po nel tratto di valle per assicurare l'uso idropotabile della Provincia di Ferrara, della Provincia di Ravenna e della Provincia di Rovigo. E per contrastare la risalita del cuneo salino nelle acque superficiali e sotterranee riducendo, al contempo, i rischi di potenziali impatti negativi sullo stato ambientale dei corpi idrici». L'Autorità anche a Piemonte e e Valle d'Aosta rilasci aggiuntivi giornalieri dagli invasi idroelettrici, «in modo analogo a quanto già effettuato in Regione Lombardia e nella Provincia autonoma di Trento» invitando «le Regioni ad assumere, nelle opportune sedi decisionali, provvedimenti adeguati per l'attuazione delle misure». Le misure, dunque, per ora sono ancora volontarie. Il Trentino potrebbe ripete l'aumento di acqua turbinata nelle centrali di Santa Giustina e San Floriano in questo fine settimana per fare arrivare più acqua a Rovigo. L.P.
L’Adige | 1 luglio 2022
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Alto Adige | 1 luglio 2022
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Un giugno più caldo della media, molto asciutto in val d'Adige
Bolzano Un giugno più caldo della media. Lo chiariscono i tecnici del meteo provinciale.Il giugno di quest'anno in tutto l'Alto Adige è stato più caldo della media, le temperature sono risultate di due gradi superiori alla media di lungo periodo, rilevata tra gli anni 1991 e 2020, come affermano i meteorologi dell'Ufficio Meteorologia e prevenzione valanghe nell'Agenzia per la protezione civile nel loro tradizionale bollettino mensile.La più alta temperatura del mese si è registrata a Bolzano, la più bassa a Monguelfo. La temperatura più alta del mese è stata registrata a Bolzano il 27 giugno, 35,4 gradi. La più fresca, alla metà del mese, è stata misurata invece a Monguelfo, tra l'11 e il 12 giugno, con 4,7 gradi Celsius.Un mese asciutto nella Valle dell'Adige, bagnato in Alta Pusteria. Le precipitazioni nel mese di giugno sono risultate più o meno nella media, come indicano i meteorologi provinciali. Un po' più asciutta è stata la valle dell'Adige, con un deficit del 30%. Superiori alla media, invece, le precipitazioni registrate in Alta Val Pusteria (+50%).Le previsioni per le prossime settimane. Luglio inizierà oggi con un mix di sole e nuvole, come spiegano sempre i meteorologi della Provincia; nel pomeriggio in diverse zone dell'Alto Adige sono previsti temporali, il tempo migliorerà in serata. Il primo weekend di luglio avrà tanto sole e poche nuvole sabato, anche la domenica sarà soleggiata con un po' più di nuvolosità nel pomeriggio.Diagrammi del clima. I diagrammi climatici con informazioni su temperature e precipitazioni per Bolzano, Merano, Silandro, Bressanone, Vipiteno, Brunico e Dobbiaco sono aggiornati quotidianamente e mostrano se i dati attuali sono superiori o inferiori alla media a lungo termine.Bollettino meteo online. Le informazioni sulla situazione meteorologica generale e sull'evoluzione del tempo in Alto Adige sono costantemente aggiornate qui: https://meteo.provincia.bz.it/default.asp e sull'app ufficiale Meteo Alto Adige.
L’Adige | 3 luglio 2022
p. 10
Zaia: «L'acqua trentina è vitale»
leonardo pontalti «Tonina ha ragione, pianificare un nuovo approccio, virtuoso, per le risorse idriche è fondamentale. Ma non so se ci rendiamo conto dell'eccezionalità della situazione. Io, senza falsa modestia, avevo chiesto lo stato di emergenza ancora ad aprile. E siamo a luglio. Senza che gli allarmi che avevamo lanciato per tempo fossero raccolti per poter intervenire prima e meglio».Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia è molto preoccupato. Gli "aiuti" potrebbero non bastare.Dagli invasi trentini arriverà acqua sia sia per il Veneto che per la Lombardia. È un sacrificio non da poco per il territorio. E soprattutto, basterà?«Devo ringraziare il Trentino, come anche l'Alto Adige, per l'aiuto che stanno dando, anche perché lo sappiamo tutti che la situazione è drammatica, per tutti. Il tavolo tecnico che gestisce concretamente la questione dei maggiori rilasci nell'Adige è costantemente aperto. Quello che è stato fatto è importante ma non so davvero, se potrà bastare.Anche perché quello dell'Adige è per il Veneto solo uno dei bacini in sofferenza.«È questo il punto. Il Piave ormai è solo ghiaia. Della situazione del Po si sa, un dramma. Il cuneo salino (il movimento dell'acqua di mare nel risalire il corso dei fiumi dalla foce, a causa del basso livello della portata dei corsi d'acqua, ndr) ha raggiunto i venti chilometri per quel che riguarda proprio il Po. Significa che i centri abitati che sorgono lungo quei venti chilometri non possono al momento contare sull'acqua del fiume. Per uso civile o agricolo».A Rovigo e dunque per quel che riguarda l'Adige, la situazione non è così difficile al momento.«Ma non c'è da stare allegri. Per questo la disponibilità trentina a intervenire per mantenere, attraverso maggiori rilasci, quella portata di 80 metri cubi al secondo alla foce dell'Adige che impedisce la risalita dell'acqua di mare, è fondamentale».Anche in Trentino la situazione non è delle migliori. Le richieste di aiuto potrebbero non esaurirsi dopo questa prima "mano tesa"?«Ripeto, c'è un tavolo tecnico che sta curando questi aspetti, la definizione concreta dei quantitativi, la durata, le necessità a cui dobbiamo fare fronte e i modi in cui si può fronteggiare questa emergenza. Quel che è certo è che non piove, seriamente, da 150 giorni e in ballo iniziano a esserci non solo le coltivazioni - già in ginocchio - e le attività di agricoltura e allevamento, ma anche la salute stessa delle persone. La situazione è serissima. E quel che è peggio è che non possiamo essere neppure sicuri di poter attendere con ansia, ma con serenità le precipitazioni».Le piogge sono l'unica soluzione possibile, almeno nell'immediato. «Ma il recente passato ci ha ormai insegnato che dopo momenti di siccità, o comunque momenti di lunga assenza di precipitazioni, poi il maltempo torna in maniera intensa, distruttiva. Siamo di fronte a una situazione caratterizzata da manifestazioni estreme del clima e proprio per questo la mia richiesta dello stato di emergenza era arrivata per tempo».Nel frattempo, per quel che riguarda la situazione dell'Adige, non siamo ancora in piena emergenza. Chiariamoci: la situazione è gravissima e a dirlo sono le statistiche: la media storica della portata all'altezza del ponte di San Lorenzo nel periodo 20-27 giugno è pari a 330 metri cubi al secondo. Quest'anno si è attestata a 193, con la portata media mensile di tutto giugno andata a fatica oltre quota 200 metri cubi al secondo. Alla foce storicamente l'Adige ha una portata media pari a 235 metri cubi al secondo: ora si viaggia a stento attorno ai 100 metri cubi. È proprio per questo che è stato chiesto il rilascio di acqua da Santa Giustina e Stramentizzo, in modo che Noce e Avisio scarichino nell'Adige un maggior flusso: quando la portata nel Rodigino si attesta a meno di 80 metri cubi al secondo, l'acqua di mare inizia a risalire il corso del fiume. Descritta la situazione critica, per ora non è ancora scattata l'emergenza: gli esperti hanno stimato che le difficoltà alla foce scattano quando a Trento l'Adige scorre con una portata inferiore ai 150 metri cubi al secondo e i dati degli ultimi giorni si sono attestati su valori variabili tra 190 e 160. L'allerta è dietro l'angolo.
Corriere delle Alpi | 3 luglio 2022
p. 19
Il lago Fedaia sembra un cratere «Siamo al 10% della capienza»
IL CASO Il lago Fedaia, ai piedi del ghiacciaio della Marmolada, non è mai stato così vuoto. L'Enel, che lo gestisce, solitamente lo svuota dall'autunno alla primavera, per riempirlo quando si scioglie la neve sulla grande montagna. Ma, come ormai tutti sanno, di neve quest'inverno ne è venuta ben poca. Siamo a 2053 metri. Il bacino è profondo 57 metri. «In realtà - spiega Aurelio Soraruf, che gestisce il rifugio Castiglioni - sono due i laghi di Fedaia, separati fra loro da una diga artificiale. Il più noto ed esteso è quello occidentale, che si è originato dopo la costruzione di una diga nel 1956. L'altro è molto più piccolo e si è formato a seguito di uno sbarramento morenico glaciale. Il lago artificiale è lungo circa due chilometri. La diga è lunga 622 metri, è alta 57 metri e alla base è larga 42 metri». Il bacino può contenere 15 milioni di metri cubi d'acqua. La gran parte è data dal ghiacciaio, o meglio dalle nevi che lo ricoprono, dall'ablazione della superficie che come quest'estate, potrebbe ridursi di 20-30 cm, e dalle precipitazioni che sono quasi giornaliere anche in questi giorni, ma evidentemente senza effetti. Attilio Bressan è stato custode per una vita intera della centrale idroelettrica di Malga Ciapela, 25
che permette la produzione di 20 mw di potenza. L'acqua che vi si lavora è quella del lago Fedaia. Una condotta lunga quattro chilometri buca la Marmolada e poi scende a precipizio a Malga Ciapela». Ma nel Fedaia viene pompata anche l'acqua della diga della valle Ombretta, che poi scende verso Malga Ciapela. L'acqua rilasciata dalla centrale idroelettrica finisce nel torrente Pettorina, che poi confluisce nel Cordevole e infine nel Piave. «E' evidente che questa siccità mette in crisi tutto questo sistema. Ormai da settimane il Fedaia si presenta come un cratere lunare, con sponde che mostrano tutta la loro nudità per 20, 30 metri di profondità. In questa stagione il lago dovrebbe essere pieno, invece - sottolinea l'ambientalista Luigi Casanova di Mountain Wilderness - è una distesa di ghiaia e in parte una pozzanghera. «L'erba della scarpata - nota -certifica dove dovrebbe arrivare il livello dell'acqua. Ad occhio siamo a un decimo della capienza. «Bene, tutta quest'acqua che viene raccolta nella parte trentina della Marmolada, va a finire in Veneto. Come dire, che la questione dei confini proprio non si dovrebbe porre. Invece le autorità venete dovrebbero farsi una profonda riflessione su come usano ed abusano della nostra acqua». --FDM© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 8 luglio 2022
p. 13
Risorsa acqua se ne parla al Rifugio Galassi
belluno Tre giorni di confronto sulla risorsa dell'acqua, che lega, causa il cambiamento climatico, la tragedia della Marmolada alla siccità. Comune di Venezia, Club Alpino Italiano, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Ufficio Regionale Unesco, Fondazione Dolomiti Unesco e Europe Direct Venezia Veneto si confrontano da ieri e fino al 9 luglio al rifugio Galassi, alla forcella piccola dell'Antelao, su "La risorsa acqua: dalle Dolomiti al Mare". Ospiti dei gestori del Cai Mestre. Proprio i rifugi alpini stanno diventando sentinelle dell'ambiente che cambia. Il presidente Alessandro Bonaldo spiega: «Con lo sguardo ci si sta abituando a non vedere più le lingue di neve primaverile che permeavano fino a metà luglio "la tenda" di ghiaccio sotto la cima dell'Antelao». Il convegno mette a confronto istituzioni politiche, culturali, ricercatori e cittadini sulle conoscenze e gli strumenti a disposizione per preservare questa risorsa indispensabile per la vita».
Gazzettino | 8 luglio 2022
p. 11, edizione Belluno
Il Galassi sarà spia climatica delle Dolomiti per il Cnr
Per fare il punto su La risorsa acqua: dalle Dolomiti al mare, si è scelto il rifugio Galassi, ai piedi dell'Antelao, di proprietà del Cai di Mestre. In questo fine settimana, promosso dal Cai, Cnr, Ufficio Regionale Unesco per la Scienza e la Cultura in Europa, Fondazione Dolomiti Unesco, si metterà a fuoco una problematica drammaticamente d'attualità vista la siccità che interessa non solo la pianura. Lo testimoniano anche i gestori del Galassi che, come spiega Alessandro Bonaldo, presidente del Cai Mestre, «stanno toccando con mano quotidianamente e non vedono più le lingue di neve primaverile che permeavano fino a metà luglio la tenda' di ghiaccio sotto la cima dell'Antelao».
IL LAVORO
Le giornate di lavoro saranno l'occasione per la promozione del progetto Rifugi montani sentinelle del clima e dell'ambiente che entra nel vivo grazie all'accordo tra Cnr e Cai con l'obiettivo di migliorare la conoscenza degli ambienti e degli ecosistemi di alta quota. Le osservazioni sulla temperatura del Pianeta riferiscono che gli ultimi due decenni sono stati i più caldi dal 1850; il 2020 a livello mondiale è stato circa 1,25 °C. Anche per l'Europa il 2020 si è rivelato l'anno più caldo fin qui registrato, mentre in Italia, a partire dal 1800, è stato secondo solo al 2018, ma si attendono i dati di questo 2022 per aggiornare la classifica negativa.
L'OBIETTIVO
Ecco dunque l'iniziativa che ha lo scopo di elevare i rifugi montani a luoghi di monitoraggio meteo climatico ed ambientale, per mettere a sistema il controllo dell'ecosistema delle aree di alta quota, ma anche per migliorare quello meteorologico. I gestori forniranno in diretta i dati raccolti in quota e alla fine della stagione il quadro del periodo sarà completo. Verrà anche installata una webcam per tenere sotto controllo la situazione ambientale anche a rifugio chiuso.
IL PROGETTO
E ancora i rifugi alpini saranno proposti come luoghi di diffusione della cultura scientifica sul campo;saranno promossi studi a scala locale su aspetti correlati non solo alla meteorologia, ma anche al clima, alla composizione dell'atmosfera, alle analisi ambientali, geologiche e geomorfologiche e, nei siti idonei, con particolare riferimento alle aree glaciali e periglaciali. Oltre al Galassi altri due i rifugi bellunesi sono coinvolti nel progetto. Il Col Margherita a 2.514 metri in Agordino, osservatorio climatico strategico per la condizione di quel versante delle Alpi dove non sono presenti analoghe infrastrutture e il Città di Carpi a 2.110 metri a Forcella Maraia, nel Gruppo dei Cadini di Misurina.