FCRL Magazine n. 22-2023

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rivista della fondazione cassa di risparmio di lucca rivista della fondazione cassa di risparmio di lucca

SAN
22 | 2023
FRANCESCO DIECI ANNI
MONDO FONDAZIONE
CULTURA ANCORA CULTURA – DAL TERRITORIO – SOCIALE

Iscrizione al registro stampa del Tribunale di Lucca n. 1/20 del 17 gennaio 2020

Maria Teresa Perelli direttore

Andrea Salani direttore responsabile Comitato di redazione

Maria Teresa Perelli, Andrea Salani

consulenza editoriale

Publied – Editore in Lucca

progetto grafico e impaginazione

Marco Riccucci

hanno collaborato a questo numero

Elena Aiello, Paolo Bolpagni, Giulio Ciampoltrini, Mauro De Bettio, Andrea Mazzi, Valeria Nanni, Maria Panattoni, Maria Teresa Perelli, Marcello Petrozziello, Valentina Picchi, Giulia Prete, Andrea Salani, Donatella Turri

© 2023, Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca

in copertina:

Veduta aerea del complesso di San Francesco

San FranceSco speciale DIECI ANNI

4 San Francesco anno zero, dove comincia il cammino

12 Sembra ieri…

14 La parola ai protagonisti…

Ezio Bosso, Arturo Lattanzi, Nicola Luisotti, Franco Cardini, Giancarlo Giannini, Peter Greenaway, Daniel Harding, Michael Cunnigham, Patti Smith, Paolo Crepet, Noa, Carlo Lucarelli, Flavio Caroli, Piergiorgio Odifreddi, Alessandro Baricco, Marcello Veneziani, Massimo Recalcati, Umberto Galimberti, Stefano Mancuso, Stefano Massini

54 Dalla signora con l’anello ai segni francescani: passione archeologica

59 La chiesa, il campus, il quartiere: storia breve di una rinascita

Mondo FONDAZIONE

66 Un salto nel futuro: al lavoro per una casa dell’arte e della cultura

71 Dal San Francesco alla nuova sfida: un fil rouge A tu per tu con il Presidente Marcello Bertocchini cultura ancora CULTURA

74 «Galassia Melotti». La grande ceramica di un artista poliedrico in mostra alla Fondazione Ragghianti

80 Il Bangladlesh delle sopravvissute

88 Il Comune di Capannori festeggia 200 anni

94 Non solo carri: il Carnevale fa 150 e li racconta tra arte, storia e cultura un noMe un volto UNA STORIA

102 Il lucchese volante. Vincenzo Lunardi

piccolo è BELLO

106 Brancoleria bellezza diffusa

ieri oggi DOMANI

122 Agricoltura, alimentare, ambiente: dal territorio con amore. Il progetto SMAQ

128 Collaborare si può

Social NETWORK

131 Play the Games 2023: appuntamento con lo sport inclusivo

ricerca & INNOVAZIONE

134 «Open IMT»: la ricerca è aperta a tutti

SegnaLIBRO

138 Rubrica di novità editoriali

22 | 2023
FCRL Maga Zine 22 | 2023
IMT DESTINAZIONE FUTURO – MONDO FONDAZIONE – DAL TERRITORIO – CULTURA ANCORA CULTURA – SOCIALE SAN FRANCESCO DIECI ANNI – MONDO FONDAZIONE – CULTURA ANCORA – DAL TERRITORIO – SOCIALE 22 2023
rivista della fondazione cassa di risparmio di lucca

«Continuità». È una parola semplice, con la quale si indica contemporaneamente costanza, dedizione e capacità di vedere in prospettiva. «Continuità» è proprio il termine che più mi sembra adeguato a descrivere questi ultimi dieci anni di attività della Fondazione. Una caparbietà che traduce la programmazione in obiettivi da raggiungere, in maniera coerente ma anche pronta a contemplare ‘deviazioni intelligenti’ dal percorso quando gli eventi lo impongono o quando l’ascolto delle esigenze del territorio suggerisce nuove priorità. Dieci anni dalla riqualificazione strutturale e funzionale del Complesso di San Francesco nel segno della continuità, dunque, durante i quali a quel grande restauro sono seguiti la riqualificazione delle Mura di Lucca, gli interventi sulla Pineta di Ponente a Viareggio e sulla Rocca Ariostesca a Castelnuovo di Garfagnana, e ancora la grande campagna di iniziative a favore della Scuola, con ristrutturazione o nuova edificazione degli edifici, aggiornamento didattico e implementazione delle dotazioni strumentali. Per poi continuare con il recupero degli impianti sportivi, le misure a sostegno di quella parte della popolazione messa in ginocchio dalla pandemia e dalle sue conseguenze, il contrasto alla povertà educativa minorile, l’istituzione di una Fondazione per la Coesione Sociale per essere ancora più vicini ai bisogni delle comunità, geografiche, sociali e culturali.

In questo numero tutto nuovo del Magazine vogliamo ripercorrere dieci anni attraverso ricordi vissuti tra le pareti di un San Francesco che si è imposto come faro della cultura – la chiesa –e della conoscenza – il campus IMT – per tutto il territorio.

Un tuffo nel passato con vista sul futuro, perché sempre in nome della continuità il cammino non si ferma: dieci anni dopo inauguriamo una nuova residenza per la Scuola IMT in via Brunero Paoli, entriamo nel vivo del progetto Proximity care per fornire un modello socio-sanitario a favore delle aree interne della provincia, iniziamo il meraviglioso viaggio che ci condurrà a dare alla città una nuova casa della cultura e dell’arte negli ambienti dell’ex Cinema Nazionale e dell’ex dopolavoro della Manifattura Tabacchi. Il domani è già disponibile oggi, è suddiviso in tessere di un mosaico da costruire insieme a tutte le anime, istituzionali, sociali, individuali, che compongono il territorio. Cominciamo, anzi… continuiamo.

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Maria Teresa Perelli

San Francesco anno zero, dove comincia il cammino

Tutto comincia qui. Con un comunicato, uscito dalla penna di un collega che non c’è più, col quale si annuncia l’inaugurazione di un’avventura. Si sa da dove si parte ma non ancora dove si arriva, conosciamo le potenzialità ma non ancora il percorso che dovremo fare per farle diventare concreta realtà. «Il resto è storia» si suole dire, ma in realtà è assai riduttivo. Il resto è lavoro, creatività, immaginazione, ancora lavoro e soprattutto ‘visione’. Ma partiamo dai documenti…

Lucca 6 luglio 2013

Sarà il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza, a inaugurare, sabato 6 luglio, il Complesso conventuale di San Francesco, che torna finalmente alla città grazie all’imponente opera di restauro interamente finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.

Il convento, i cui lavori completano un più ampio progetto di riqualificazione e recupero di alcune tra le più importanti aree monumentali cittadine, è destinato a ospitare la sede del Campus universitario IMT Alti Studi Lucca, aggiungendosi alla biblioteca e agli uffici amministrativi, già realizzati nel vicino complesso di San Ponziano.

Alla cerimonia inaugurale, insieme al ministro Carrozza, interverranno numerose autorità, tra cui il presidente della Commissione Istruzione Pubblica e Beni Culturali del Senato, Andrea Marcucci; il professor Giovanni Puglisi, presidente della Fondazione Sicilia, membro del comitato di presidenza dell’Acri e rettore della IULM di Milano; e il Governatore della Regione Toscana, Enrico Rossi. A fare gli onori di casa, ovviamente, sarà il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, Arturo Lattanzi.

La cerimonia avrà inizio alle 10 con la proiezione di un video che documenta la complessa opera di restauro e di recupero funzionale del San Francesco. Seguiranno gli interventi del sindaco, Alessandro Tambellini, del presidente della Provincia, Stefano Baccelli, del presidente della Regione, Enrico Rossi, dell’Arcivescovo, Monsignor Italo Castellani, del direttore di Imt, Alberto Bemporad e del founding director di Imt, Fabio Pammolli. Chiuderanno la serie di interventi il professor Puglisi, il senatore Marcucci e il Ministro Carrozza.

Infine, il taglio del nastro, accompagnato dalle note dell’Inno di Mameli, che verrà eseguito dalla Filarmonica «Gaetano Luporini» di San Gennaro. Quello di sabato 6 luglio sarà solo il primo di una serie di eventi che coinvolgerà la città per tutta l’estate: dalla musica al teatro, dalla lirica alla storia dell’arte, i festeggiamenti proseguiranno fino al 5 ottobre. È una storia lunga nove secoli, quella del Complesso conventuale di San Francesco. Una storia che il restauro in corso ha riportato alla luce nelle sue varie fasi, seguendo un unico filo conduttore che prende il nome di «nuovi spazi per la città». Ecco perché la cerimonia inaugurale è stata pensata come una vera e propria giornata di festa per la cittadinanza. Oltre alla Chiesa, infatti, sarà allestita anche piazza San Francesco con sedie e megaschermo.

Sembra ieri…

eh no… non sembra ieri, perché questi dieci anni di eventi, convegni, spettacoli, incontri pubblici riusciamo a riviverli in un attimo, ma ci parlano di un cammino lungo fatto del lavoro di molte persone e dalla partecipazione attiva di una grande comunità.

Sono dieci anni della Scuola IMT nella sua ‘nuova’ casa, quella che ha rappresentato il primo passo verso una continua espansione numerica e qualitativa grazie alla quale Lucca ha il suo polo di alta formazione universitaria.

Forse si potrà pensare che tutto ciò che è nuovo normalmente attrae molto in virtù della sua freschezza, ma difetta spesso in termini di ‘identità’.

Questo assunto non può essere applicato al San Francesco che da subito si è presentato alla comunità lucchese con una precisa mission, quella di regalare «nuovi spazi per la città». E così è stato, sempre.

La Chiesa non è stata solo la quinta teatrale dei grandi eventi prodotti

e curati dalla Fondazione, ma veramente una casa della cultura, dell’arte, della scienza e della divulgazione aperta a tutti, in cui le mille anime di Lucca e del suo territorio hanno trovato uno spazio funzionale per fare informazione, diffondere conoscenza, divertire e intrattenere. Questo ha creato da subito un DNA solido e riconoscibile per quello che accadeva in San Francesco e così è stato per dieci anni. Musica e parole, teatro e contemporaneità, tutto cercando sempre di coniugare esigenze ‘pop’ con un livello qualitativo sempre alto, anche privilegiando, talvolta, la validità dei contenuti rispetto al sicuro successo di pubblico. Scommesse spesso vinte, perché è importante sfidare la curiosità e la capacità di giudizio delle persone. Inviare loro un messaggio potente ed efficace, come si è fatto da ultimo anche con Pianeta Terra Festival. Ma come rivivere dieci anni di eventi? Noi abbiamo fatto una scelta netta. La parola ai protagonisti…

30 giugno 2018

Ezio Bosso

Ti rendi conto della fortuna che ti offre la musica portandoti in posti meravigliosi come questo, possiamo condividere questa meraviglia.

Siamo nella chiesa di San Francesco da stamattina e questo spazio che diventa suono è bellissimo. La musica è sempre un percorso, un avvicinarsi verso un punto di partenza, e quindi inizieremo questo percorso che parla di trascrizione. A volte ci penso e di fatto la natura di una chiesa è quella di tradurre nello spazio la parola di Dio. Ci ho pensato oggi, questo andare verso, questo unire… qui dentro c’è un suono che unisce.

LA PAROLA AI PROTAGONISTI…
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6 luglio 2013 L’inaugurazione

Vi sono molti significati identitari che il luogo individuato racchiude. San Francesco era un luogo di studio e cultura le cui radici ancora vive trovano oggi nuova linfa. Il sociologo francese Enrique Sadin accosta la raffigurazione della società contemporanea, definita dell’informazione, ad un albero i cui lunghi e grandi rami sono cresciuti in modo molto più rapido della profondità delle radici (concettuali, etiche e culturali) e dunque con evidenti problemi di equilibrio e di sostenibilità.

Di qui il ruolo della risorsa umana nella sua dimensione cognitiva, in quanto capace di fare la differenza e di imporre bisogni autentici e originali.

È un umanesimo economico e sociale, dove centrale è la posizione della risorsa umana. L’intento è stato quello di aver costituto le premesse affinché ‘nella’ scuola IMT e ‘con’ la scuola IMT si possano formare le migliori conoscenze utili al progresso dell’uomo. L’auspicio è che la scuola IMT possa servire anche da stimolo e sollecitazione al buongoverno: un governo consapevole della città e con essa a tutto il potenziale delle relazioni che ne derivano. La vicenda del San Francesco, quella che oggi viviamo, nasce a cavallo tra la fine degli anni Novanta e il Duemila, grazie alla lungimiranza e, forse, anche grazie a una qualche ‘provocazione’ politica di chi, in quegli anni, governava la Città e la Provincia. Una lungimiranza che comunque ha riportato questo luogo ad una fruizione pubblica. Da un lato, infatti, si sono restituiti nuovi spazi alla città, nell’ottica di un più ampio progetto di riqualificazione e recupero di

alcune tra le più importanti aree monumentali cittadine. Progetto che ha reso ormai di questo quartiere una sorta di polo culturale di Lucca, che vede i suoi vertici in Villa Bottini, nella Fondazione Ragghianti, nell’Orto Botanico, in Lucca Museum.

Dall’altro lato, si è realizzata la sede del Campus universitario IMT Alti Studi Lucca, che si aggiunge alla Biblioteca e agli uffici amministrativi già realizzati nel vicino complesso di San Ponziano. Una presenza, quella di IMT, sempre più autorevole, anche per i riflessi internazionali che, al di là dell’indubbio valore accademico, conferiscono ulteriore prestigio alla nostra città.

Oggi Lucca è famosa nel mondo per la sua storia, per i suoi commerci, per aver dato i natali al più grande operista di tutti i tempi, Giacomo Puccini. Adesso anche per la scuola di IMT.

Una scuola che in questi anni ha stretto i suoi legami con la Città. Ed è un legame che affonda le sue radici nella storia della città.

E Lucca, nel corso di tutta la sua vicenda storica, pur apparendo spesso come luogo privilegiato della tradizione e della conservazione, ha sempre saputo far emergere con forza la propria visione orientata al nuovo. Una forza fondata soprattutto sull’industriosità e sulla tempra morale della comunità.

Dal discorso di inaugurazione del Complesso di San Francesco di Arturo Lattanzi allora Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca

LA PAROLA AI PROTAGONISTI… 17 FCRLmaga zine 22 | 2023

10 luglio 2013

Giuseppe Verdi, Messa da Requiem

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo di Napoli

Nicola Luisotti direttore

LA PAROLA AI PROTAGONISTI…

Siamo nella chiesa di San Francesco, che è un po’ – lo dico da Fiorentino – la Santa Croce di Lucca. Come da noi ci sono le ‘itale glorie’, come le chiamava Foscolo, qui ci sono le glorie lucchesi a partire da Giacomo Puccini. Gloria ma anche fasto. Nome. Un Papa che ci ha sorpreso. Per molte ragioni, fra le quali il fatto di aver scelto il nome di Francesco. Che messaggi vengono da queste cose, dal fatto che di quel nome sia veramente pieno il mondo: cinema, musica, ma anche poemi e adesso il Papa.

Francesco è un personaggio difficile e allora cosa significa che il capo di una grande istituzione prende il nome di un uomo del carisma. Di un uomo che ha sempre rifiutato qualsiasi tipo di potere. Non l’ha mai giudicato negativamente, ma del resto Francesco non dice mai male di nulla né di nessuno, in un certo qual modo nemmeno del diavolo. Li chiama gastaldi di Dio, servitori di Dio, i diavoli, che hanno la loro funzione nel mondo. Però certamente respinge da sé qualsiasi tipo di potenza, di volontà di potenza.

Perché questa è la povertà. Noi moderni quando pensiamo ai poveri li pensiamo come il contrario dei ricchi, quelli che non hanno soldi, che non hanno quindi il potere economico. E basta. Ma non è così. Ai tempi di Francesco chi è potente lo è a livello politico, a livello spirituale, militare, religioso, a livello della scienza della cultura.

Francesco non rifiuta il denaro. Rifiuta qualsiasi tipo di potere, incluso quello della scienza, figurarsi quello delle grandi chiese.

Noi siamo all’interno di un edificio, come Santa Croce a Firenze, o come il sacro convento di Assisi, dove lui riposa, che lui stesso non avrebbe voluto. Sappiamo che Francesco non voleva per sé e per il suo ordine grandi chiese. Non voleva che i suoi frati diventassero professori universitari, consiglieri di re o addirittura, qualche volta, ministri. Francesco rifiutava tutto questo in blocco. Ma attenzione Francesco non è Lenin. Non predica una società del futuro fondata sulla povertà. Vuole semplicemente seguire il Cristo, che non è il Cristo a cui erano abituati al suo tempo.

Ma in parte anche oggi: il Cristo è il Santo Volto, vestito della clamide imperiale, incoronato, con gli occhi sbarrati, aperti, fissi. Un trionfatore, un re, colui che ha sconfitto la morte, signore universale. Ancora oggi c’è anche questo e al tempo di Francesco c’era solo questo. Noi quando pensiamo Gesù però – e questa è la rivoluzione di Francesco – pensiamo ad un bambino avvolto che sta al freddo, che è perseguitato già dalla nascita, ad un uomo piegato, ferito, vilipeso, torturato, ucciso. Questo è il Cristo che interessa a Francesco, ma lui non pretende che la società diventi tutta a sua immagine. Si limita a dire che lui e quelli che lo seguiranno dovranno assumere questa misura. Per il resto è chiaro che Francesco è un’incognita, ed è non meno chiaro che se lo assumiamo in un certo senso come forse lo ha assunto anche Papa Bergoglio, può essere anche uno strumento di forte contraddizione e di forte, come si diceva quando ero giovane, contestazione.

Perché avete sentito quello che ha letto Giancarlo Giannini, l’anti-decalogo della modernità, il rifiuto dell’individualismo. Tutti noi però siamo impastati di tutta un’altra cosa… Francesco non aveva finito ancora di morire, lui che aveva rifiutato tutti gli onori e che non voleva le grandi chiese, che in punto di morte aveva chiesto semplicemente la terra per potersi adagiare nudo e un po’ di un dolce, che una sua amica romana gli faceva quando si recava nella città eterna, lui che si scopre appena morto che ha le stimmate del Cristo. Appena due anni dopo viene subito fatto santo, gli si fa una grande chiesa intorno e lo si presenta all’ammirazione e all’esempio di tutti.

Esattamente il contrario dell’insegnamento di Francesco. Ma ancora oggi, tutta la società che ha seguito una strada diversa, nello stesso tempo continua ad amarlo a cercarlo, in qualche modo a riconoscersi in lui.

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19 luglio 2013

Franco Cardini e Giancarlo Giannini

Francesco o del puro Amore

LA PAROLA AI PROTAGONISTI… 21 FCRLmaga zine 22 | 2023

Mi piace pensare che questa facciata possa rappresentare una rinascita di tutta questa zona. Sono affascinato dalla vostra città, della sua completezza e soprattutto dalla storia che possiamo raccontare.

Questa facciata di marmo bianco diventa uno schermo di proiezione eccezionale.

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21 settembre 2013

Peter Greenaway

The Towers / Lucca Hubris

LA PAROLA AI PROTAGONISTI… 23 FCRLmaga zine 22 | 2023
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6 luglio 2014

Daniel Harding

Filarmonica della Scala

LA PAROLA AI PROTAGONISTI… 25 FCRLmaga zine 22 | 2023
9 settembre 2014 Michael Cunnigham Noi e l’arte. L’arte e noi

Qui a Lucca c’è uno dei sarcofagi più belli al mondo, scolpito da Jacopo della Quercia nel 1405. Come molti di voi probabilmente sapranno, si tratta della tomba di Ilaria del Carretto, seconda moglie di Paolo Guinigi, figlio di un’illustre, facoltosa, nonché piuttosto tirannica famiglia del luogo. Ilaria morì all’età di ventisei anni, dopo aver dato alla luce il secondo figlio della coppia.

Scolpita sul suo volto c’è l’impressione che i suoi meriti siano stati riconosciuti troppo tardi: il sospetto di essere stata tanto sfruttata quanto amata; di essere morta dopo aver adempiuto ai propri doveri coniugali e aver messo al mondo un erede maschio; di essere stata, agli occhi del marito, una moglie consona, ma non straordinaria; di essere stata considerata adeguata, ma non adorata. […] Pertanto, l’Ilaria di marmo è molte cose.

È una donna reale che è vissuta davvero, e i cui giorni sulla Terra, con i loro periodi di felicità e di tribolazione, avevano più somiglianze che differenze con i nostri.

È uno status symbol, destinato a mettere in buona luce il vedovo, quel marito che pensava alla terza moglie ancor prima che il corpo di Ilaria si fosse completamente raffreddato. In vita, Ilaria possedeva sicuramente un’immagine di sé, e se era come la maggior parte delle persone, quell’immagine era in parte fedele, in parte idealizzata e in parte, molto probabilmente, piuttosto impietosa. Pochi di noi sanno esattamente come appaiono. La percezione che abbiamo di noi stessi è troppo condizionata dai nostri desideri e dai nostri dubbi.

Ilaria è anche la versione realizzatane da Jacopo della Quercia. Ilaria è così come lui la vide, e, dato che il tempo si rifiuta di smettere di passare, la sua versione è quella definitiva, proprio perché l’arte, a differenza della carne, può sconfiggere la caducità. Tuttavia, ciò che conta davvero è che lei sia presente, oggi, in questo preciso istante, e continuerà a esserlo, a quanto è lecito supporre, in futuro. Giace nella cattedrale non solo come magnifico oggetto, ma anche come testimonianza del fatto che la razza umana continua a esistere. Lei ci rammenta che con ogni probabilità esiste qualcosa che ci riconosce, e che anche se non c’è nessun Dio ad assolvere a questa particolare funzione, ci sono gli artisti. Quel qualcosa in grado di riconoscerci esiste nel pugno di geni capaci di vederci, di vedere dentro di noi, e oltre noi. Gli artisti non sono dei, ma fino al giorno in cui Dio (ammesso che una tale entità esista davvero) non deciderà di apparire davanti a noi, sono loro i massimi esperti della nostra umanità; dei giorni, delle ore e degli anni delle nostre vite; degli stati d’animo di cui siamo consapevoli nel nostro intimo, ma per esprimere i quali dobbiamo affidarci ad altri.

Dal testo scritto in esclusiva da Michael Cunnigham sulla bellezza eterna di Ilaria del Carretto

LA PAROLA AI PROTAGONISTI…

14 dicembre 2014

Patti Smith

La bellezza eterna

Non potrei dire esattamente qual è stato il momento preciso in cui ho capito cosa fosse la bellezza. Certamente la parola cigno (swann) non poteva narrare tutta la bellezza di quella meravigliosa creatura. Ero molto piccola ma ricordo distintamente di aver sentito qualcosa che si muoveva dentro vedendo questa bellissima creatura. Quando si è piccoli si pensa che tutto sia eterno, non si è ancora appreso il significato della parola morte. Non sapevo che i fiori sarebbero morti, che mia madre sarebbe morta, quindi non avevo ancora imparato che non tutto è eterno. Poi ho imparato altre cose. Per esempio che i fiori in realtà crescono di nuovo e fioriscono ancora, che le persone muoiono ma rimangono vive nella memoria degli altri e quindi possono essere eterne. Ma in realtà la risposta alla domanda «che cos’è la bellezza eterna?» l’ho trovata nella natura, nel cielo, nel mare, nelle nuvole, nei colori, nei lampi, nel plenilunio nell’alba. Quindi prima di scoprire l’arte, la bellezza eterna mi si è rivelata attraverso la natura.

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LA PAROLA AI PROTAGONISTI…

La felicità non è poi così tanto di materiale. Ha tanto a che vedere con una ricerca. La felicità in sé e per sé non esiste, lo sappiamo tutti. Appena senti di essere felice o raggiungi in qualche modo un momento di felicità, hai già finito di esserlo. È una sorta di meravigliosa nevrosi. Cerchi quella cosa, finalmente arrivi e una volta che ci sei entrato sai già che te ne devi cercare un’altra ancora. È una sfida contro se stessi. Un grande poeta e musicista brasiliano, Tom Jobim, scrisse in una canzone un verso bellissimo: «Tristeza não tem fim, Felicidade sim»… la tristezza non ha fine, la felicità sì. E penso che sia così nella storia delle nostre vite Pensate se fosse il contrario… sarebbe noiosa la felicità… sarebbe un qualche cosa di acquisibile, uno stato. Un po’ come quelli che quando gli chiedi «come va?» ti rispondono «benissimo!» capisci che o è scemo o lo sta facendo apposta. La felicità è intermittente per definizione, qualche cosa di impalpabile. Però è comunicabile. Io penso di averla conosciuta attraverso persone con cui sono cresciuto da bambino e da adolescente. Penso ai miei nonni, in particolare ad uno che era un grande artista e artigiano. Non a caso spesso è il lavoro delle mani che ti fa scoprire la felicità. Le parole non riescono… Ricordo quando mio nonno costruiva i suoi aquiloni, poi ogni tanto faceva il falsario ed era molto contento quando riusciva a replicare un buon Guido Reni. Felice come un bambino di settant’anni, un uomo ancora stupefatto dalle cose che possono accadere nella vita. Ecco, questa tensione, questo infinito, io credo che sia straordinariamente moderno. La felicità è modernità, anche solo perché finalmente ne possiamo parlare liberamente. I secoli scorsi ne hanno parlato i poeti, i folli. Adesso tutti possono.

Freud diceva: «l’uomo ha sempre contrabbandato la felicità con la necessità di tutelarsi». Parliamo di epoche in cui c’era una guerra ogni vent’anni, fame, epidemie che decimavano le popolazioni, si campava poco. Cosa poteva fare un uomo se non rimandare la ricerca della felicità a suoi figli e i suoi nipoti. Ma se oggi Freud venisse in questa sala, in questa città bellissima, si chiederebbe: «come mai, nonostante abbiate raggiunto risultati impensabili centovent’anni fa, come mai non cercate di essere felici?». Leo Longanesi in uno dei suoi celebri aforismi diceva «e vissero infelici perché costava di meno». Penso che sia così.

30 settembre 2015 Paolo Crepet Felicità ed egoismo

LA PAROLA AI PROTAGONISTI…
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17 ottobre 2015

Noa

Noa incontra Lucca

Sicuramente il mio paese sta vivendo l’ennesima intifada. Questo stato di cose non è più sostenibile. Lo dico con tutto il cuore, e sfortunatamente credo che la situazione peggiorerà di gran lunga prima di vedere un miglioramento. La violenza scaturisce sempre da una sensazione di non avere scelta, dalla sensazione di «non valere» e questo è vero sia da una parte che dall’altra. Come possiamo interrompere questo circolo vizioso? Dobbiamo alzarci e rimanere fermi immobili a sostegno di ciò che noi crediamo, dobbiamo agire con coraggio. Non vedo molto coraggio nel mio paese, non mi posso pronunciare per quanto riguarda la parte palestinese. Tuttavia sono ottimista, perché vedo nei giovani in Israele una nuova classe politica e intellettuale che sta crescendo con questo coraggio. Queste persone possono portarci un cambiamento, ma quando non mi è dato di saperlo. L’unica cosa che posso fare è avere il coraggio di sperare e andare avanti.

LA PAROLA AI PROTAGONISTI… 33 FCRLmaga zine 22 | 2023

15 novembre 2015

Carlo Lucarelli

La luce corsara di Pier Paolo Pasolini

Parlare di Pier Paolo Pasolini non è facile. Ce n’è tanto di Pier Paolo Pasolini e ognuno praticamente ha il suo. E molti di quelli che hanno il proprio Pier Paolo pensano che sia l’unico. Alcuni sono diventati pasoliniani nel senso che l’hanno studiato a fondo, consapevolmente coscientemente. Altri che lo sono stati fino alla prima ora. Altri, come me, che si sono accorti ad un certo punto della loro vita di quanto Pier Paolo Pasolini fosse stato importante e non lo sapevano. È un po’ quello che succede per i classici. Li studi, li incontri, li sfiori e poi te ne dimentichi proprio perché sono classici, e per un certo periodo ti sembra che ci siano altre cose più urgenti, più moderne e contemporanee. Ma un certo punto ti accorgi che, in effetti, se quelle cose ti piacciono, ti sembrano così urgenti, contemporanee e belle, è perché sotto avevi delle radici alle quali fino a un certo punto della tua vita non avevi mai pensato. Per me questo è Pier Paolo Pasolini. Dopo un po’ ho pensato «ma guarda, se in questo momento penso così, ho questa idea è perché l’ho già sentita prima… E dove l’ho sentita? … Lì».

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LA PAROLA AI PROTAGONISTI… 35 FCRLmaga zine 22 | 2023

8 ottobre 2016

Flavio Caroli

Con gli occhi dei maestri

Mi sembra di vivere in un mondo in cui i maestri ci sono, ma non vengono riconosciuti. C’è una specie di oscuro inconfessato disegno che porta ad obliterare. Invece i maestri ci servono, ci sono, bisogna riconoscerli e in qualche modo determinare circoscrivere la loro importanza. Poi, giunti a un certo punto della propria vita, è naturale chiedersi: chi è che alla fin fine mi ha insegnato qualcosa? Chi ha messo i paletti attraverso i quali, bene o male, si è svolto e snodato lo slalom di tutta la mia vita?

In realtà un libro è stato fondamentale nella mia vita, me l’hanno fatto leggere all’università: La società feudale, scritto dal più grande storico del XX secolo, il fondatore degli Annales parigini, Marc Bloch. C’è un concetto che mi colpì immediatamente: lo storico non è un signore che sta alla finestra, su un balcone, e sotto di lui corre un corteo che definiremo appunto storia. In questo caso lo storico potrebbe permettersi anzi, avrebbe forse anche il dovere, di descrivere con oggettività quello che vede. Le cose non stan-

no affatto così. Lo storico non è alla finestra, bensì dentro il corteo e condivide tutte le incertezze, tutto il calore e le difficoltà umane di chi sta dentro questo flusso. Se vicino a lui esplode una bomba, lo storico è tenuto a chiedere a chi sta vicino cosa è successo, che sua volta chiederà la medesima cosa ad altri. Piano piano arriveranno varie risposte. Queste risposte obbediscono per il 15% a spirito di verità, sono oggettive, ma per l’85% invece no. Sono menzogne, perché ognuno tenta di tirare l’acqua al mulino della propria tesi o di quella che vuole sostenere. Di fronte a tutto questo lo storico, che è dentro al corteo, non ha che due strumenti a propria disposizione. Primo il vaglio delle fonti. Capire chi è sincero e chi no. Il secondo strumento è la sua intelligenza, la possibilità di costituire un sistema di pensiero che trasferisca o dia un senso a quello che è accaduto. Che sia un sistema di visione seppur parziale o soggettivo. Una luce proiettata verso il passato che cerca un senso. Si evince che non esista una storia, la Storia, ma tante storie quanti sono coloro che la costituiscono, che volta per volta la creano. Le più autorevoli di queste storie, sono quelle scritte da maestri. Che sono pochi, proprio perché essere maestri comporta un’apertura e una larghezza di pensiero, una complessità di ricostruzione e di riflessione sul passato che è estremamente rara.

LA PAROLA AI PROTAGONISTI…

10 novembre 2017

Piergiorgio Odifreddi Un mare di Scienza. Il Mediterraneo da Pitagora ai giorni nostri

La conoscenza è qualcosa legata sempre a qualcosa di empirico o c’è qualcosa che va oltre, è in un certo senso intuizione?

Lo zero, come numero, non si trova in natura, ma è l’essere umano che ne ha l’intuizione che non parte di qualcosa di verificabile.

Una parte della matematica, quella più istintiva su cui si costruisce tutto l’edificio della matematica stessa, è rappresentata da realtà non prettamente sensibili, quelli che si possono chiamare ‘a priori’. Gli ‘a priori’ della specie li ereditiamo attraverso il nostro patrimonio genetico, li abbiamo da quando nasciamo, tipo l’istinto numerico. Ma contemporaneamente ci sono anche ‘a posteriori’ nella nostra specie, perché si sono evoluti nel corso della storia. Si tratta di una parte di noi che non si può individuare come derivante dalla sensibilità, da costatazione empirica, e su questo si costruisce certamente una buona parte della matematica.

La matematica superiore, cosiddetta, è difficile sostenere che esista in natura e che si possa intuire dalla natura. È un’estrapolazione. Lo zero per esempio, i numeri negativi. Sono buoni esempi di questo processo. Ma anche qui si può discutere. Da un punto di vista specifico pare che si possano percepire, infatti, anche le quantità negative. Se ad esempio sentiamo un suono e facciamo sentire lo stesso suono monotono, ad un certo punto per una specifica legge fisiologica per poter mantenere la stessa percezione lo stimolo deve crescere non in maniera lineare, ma esponenziale. Se noi manteniamo lo stimolo costante la nostra percezione diminuisce in maniera logaritmica e ad un certo punto svanisce. Se noi sentiamo un fischio dopo un po’ non lo percepiamo più. Non lo percepiamo più ma c’è. Il nostro inconscio lo percepisce ma non ce lo rende udibile. Quando il fischio finisce percepiamo la fine, quindi percepiamo un’assenza una negatività.

LA PAROLA AI PROTAGONISTI…

24 novembre 2017

Alessandro Baricco

Il gattopardo

Da nordico, torinese come me, aprivo questo libro e respiravo questa specie di Macondo, di Caribe italiano. Ma la Sicilia è la parte di questo paese sporta verso il Mediterraneo, indifesa di fronte alla civiltà altra dei paesi dell’altra parte del Mediterraneo, indifesa in tutti i modi. Sia aggredita sia disponibile. Disponibile ad accoppiarsi con quella cultura. Quello che ha ancora oggi la Sicilia, come buona parte del Sud Italia, qualcosa di impareggiabile, è proprio il sedimento del passaggio della way of life mediterranea.

Noi siamo un paese fantastico. Siamo piccolini ma abbiamo tutte le possibilità e se voi inchiodate lì un torinese, gli fate cinque domande e poi fate le medesime domande ad un siciliano, ma anche forse a un calabrese o a un pugliese, ascolterete modi opposti di come ci si possa salvare su questa terra. E siamo tutti nello stesso paese, scriviamo tutti la medesima letteratura, figlia della stessa lingua. Ma dentro c’è un patrimonio: i colori, gli odori e i pensieri, i principi, una certa idea di morale, quello che è un lavoro, quello che è un paesaggio, cos’è la luce…

Come sapete Torino è una città dura dal punto di vista metereologico, noi siamo cresciuti con questi inverni lunghi, ‘marroni’. Da noi esiste un’espressione, l’inverno, quelle giornate rare di sole qualcuno dice «come va oggi?» e l’altro «… ma sai… con tutto sto sole…». Le nostre nonne chiudevano addirittura le persiane…

Un’idea di luce che non c’entra niente con quella di un siciliano ad esempio. Le nostre donne sono differenti, noi uomini siamo differenti, e tutta questa distanza fiabesca per me, alla fine, nella mia memoria, è stata inchiodata ad alcune persone che ho incontrato, ad alcuni posti che ho potuto vedere e ad alcuni libri.

Se devo dire il libro che di più mi ha raccontato quella lontananza, quel Caribe, è questo qua. Il gattopardo.

Se voi veramente leggete molto, ancora di più se scrivete, dei libri alla fine non trattenete tanto la trama, la valutazione, un giudizio, trattenete una specie di odore, il colore o di quantità di luce o vibrazioni.

Il gattopardo ce ne ha una che ha lui proprio, unica. Apro libro e sento la temperatura, se adesso apro il libro mi toglierò la sciarpa. Come quando apri Cent’anni di solitudine e senti un profumo che non c’entra niente con te, con la coda dell’occhio vedi sempre delle donne passare quando lo leggi, anche se non ci sono. Fantasmi che girano intorno.

E lui, questo libro qua, ne parlo come se fosse una persona, cioè… ne parlerei per ore…

Sia Tomasi di Lampedusa che Fenoglio avevano la capacità di mettere insieme una scrittura non banale e tecnicamente molto raffinata, con una capacità di narrare molto alta. In genere in un libro l’autore o scrive bene o racconta bene, rarissimamente trovate uno che scrive bene e racconta altrettanto bene. E quelli sono i grandi.

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13 ottobre 2018 Marcello Veneziani Patria

Il nazionalismo solitamente insorge per due fattori, che non sono i fattori su cui potrebbe fondarsi l’amor patrio. Il primo fattore è una percezione di minaccia nei confronti della propria nazione; ha una connotazione difensiva, quando un’identità collettiva è in pericolo, quando una nazione si sente minacciata, allora in qualche modo attira un arsenale di idee, ma anche di pratiche e comportamenti, che vengono definiti nazionalistici. Poi c’è un secondo fattore che riguarda le epoche ‘euforiche’, espansive, dell’idea di nazione. Cioè la convinzione che la propria nazione debba avere un primato, quel primato morale e civile di cui parlava Gioberti nella fase pre-risorgimentale. Indubbiamente il patriottismo concepito oggi, in una società globale, in una società che deve vedersela con temi importanti come quello dei flussi migratori e che deve in qualche modo interagire con l’impianto della Costituzione, non può essere di questo tipo. Si tratta di ritrovare un legame positivo con l’idea di patria. E di collegarlo alla storia e alla vita del nostro paese. Rivedere quindi nella storia l’idea di patria, e come questo concetto abbia interagito con il nostro paese.  Sono vere le letture storiche che dicono che il sentimento di appartenenza, intesa come riferimento allo Stato unitario, è un sentimento che è arrivato tardi nel nostro paese. È stato subìto da una parte cospicua del nostro paese, che non ha avuto la dimensione, l’espressione e il respiro di altre nazioni e di altri Stati. Il mondo cattolico visse il processo unitario, salvo una piccola minoranza, con estraneità ed ostilità; il mondo contadino visse lontano tutto sommato dalla rivoluzione borghese del Risorgimento, e il mondo meridionale, salvo un’altra minoranza profondamente motivata, visse l’estraneità da questo processo. […] Ma dall’altra parte c’è una peculiarità del nostro paese. Una peculiarità che a mio parere andrebbe rappresentata anche nella Costituzione. L’Italia a differenza di altri grandi non è una nazione politica, però nasce come nazione culturale, prima come lingua, come civiltà, come nostalgia della romanità proiettata in dimensione italiana poi diventa vocazione politica che si perde nei secoli. Sappiamo quanta letteratura c’è stata intorno al mito dell’Italia. Un’Italia che era alle origini e che sarà nel futuro, ma che non era presente per secoli, una specie di arto fantasma, una profezia dell’avvenire. Quello che ha caratterizzato il nostro paese è il fatto di essere una ‘nazione culturale’.

LA PAROLA AI PROTAGONISTI…

15 novembre 2019

Massimo Recalcati

La tentazione del muro

La tentazione del muro ha a che fare con l’umano. Deriva dalla percezione del mondo come ostile in quanto straniero, dalla paura della vita. Che tra l’altro si tratta, per il Gesù dei Vangeli, come l’unica vera e propria forma di peccato. L’unica forma di peccato che si può sanzionare eticamente, avere paura della vita. Quando la vita ha paura di se stessa e si ritrae, non è generosa, non è generativa, non rischia nell’impresa e nel viaggio. La parabola dei talenti infatti ci racconta questo. Vivere una vita capace di abbondanza… quando c’è la moltiplicazione Gesù è contento. Seppellire il proprio talento è l’unica forma di peccato imperdonabile. Quando i grandi psicanalisti del Novecento hanno studiato i grandi regimi totalitari del secolo, il problema non è capire perché masse di esseri umani abbiano sopportato passivamente la dittatura; il problema non è la posizione gregaria e acritica che gli esseri umani hanno assunto di fronte al potere della dittatura. Il problema è: come è stato possibile che vi fosse il desiderio della dittatura. Come spiegare che masse di uomini abbiano potuto desiderare il fascismo. Lo diceva anche Spinoza, come è possibile che l’umano possa a volte desiderare maggiormente le sue catene rispetto alla sua libertà?

Anche noi a volte desideriamo di più le nostre catene della nostra libertà, basta guardare le vite degli esseri umani, le coppie, i legami che diventano prigione. Conta di più la catena della libertà? È questa la tentazione del muro, conta di più la catena. La catena diventa un rifugio, ci dà identità, ci protegge, tutela la nostra vita dall’abisso, dalla vertigine della libertà. Nietzsche diceva che gli esseri umani sono navigatori: certo l’essere umano ama la libertà, ma anche ai navigatori più talentosi ed esperti accade sempre che nel mezzo al mare, quando mancano riferimenti e confini, di avere nostalgia della terra, la casa, il suolo, la radice, il muro.

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14 ottobre 2020

Umberto Galimberti L’illusione della libertà

Le regole vengono interiorizzate dal nostro super ego, il super Io. L’Io cerca di tenere in equilibrio le pulsioni della specie da un lato e le esigenze della società dall’altro, che confliggono tra di loro. Freud dice «la felicità massima si realizzerebbe nella piena esplicazione delle passioni, delle pulsioni» ma questo non garantirebbe la sicurezza sociale. E allora gli uomini hanno sacrificato una parte della loro felicità per un po’ di sicurezza. Solo che dopo Freud, nella seconda metà del Novecento, si è introdotta oltre all’inconscio pulsionale (la specie), oltre all’inconscio sociale (la società), anche un inconscio tecnologico per cui oggi noi pensiamo nella modalità della razionalità della tecnica: efficienza e produttività. E ancora utilità, vantaggio, scopi, limitazione dei mezzi. Un pensiero calcolante insomma. Fuori dal calcolo non abbiamo più un pensiero alternativo e anche la bellezza, l’arte, diventano arte non più quando qualcuno produce un disegno, ma quando quel quadro entra dentro il mercato. Se non rientra nel mercato diventa solo un’espressione biografica. Infatti il mercato è diventato autonomo rispetto alla società e non solo… organizza la società.

CONGETTURE PER IL PROSSIMO MILLENNIO LA PAROLA AI PROTAGONISTI…

14 novembre 2021

Stefano Mancuso

Le città immaginate: riportare la natura nei quartieri urbani

Perché abbiamo bisogno di queste nuove città? Perché le città sono la fonte e il luogo della nostra aggressione all’ambiente. Ma nello stesso tempo sono anche luogo in assoluto più efficiente che l’uomo abbia mai immaginato per garantire una vita sociale, insieme a dei suoi simili. Le piante sono una soluzione. Ma c’è qualcosa che ci impedisce di individuare nelle piante la soluzione. Qualcosa che ha a che fare anche con la nostra relazione con tutti gli altri esseri viventi.

Molti dei problemi che noi abbiamo, infatti, derivano da una convinzione fortissima che ciascuno di noi possiede di essere, come specie, la migliore possibile. Nessuno ha dei dubbi su questo. Noi siamo fermamente convinti di essere la cosa più fantastica e straordinaria che esista su questo pianeta. La comparazione con qualunque altro essere vivente non è neanche da immaginare. Abbiamo questo grande cervello che è motivo di orgoglio e che ci contraddistingue da tutti gli altri esseri viventi. Ma il fatto che noi siamo in grado di scrivere la Divina Commedia o dipingere la Cappella Sistina o immaginare la teoria della relatività, ha un valore soltanto se queste attività ci pongono in una situazione di privilegio e vantaggio nei confronti dell’obiettivo finale che hanno tutte le specie: la sopravvivenza.

CONGETTURE PER IL PROSSIMO MILLENNIO LA PAROLA AI PROTAGONISTI…

18 novembre 2022

Stefano Massini

La fucina del racconto

Per quale ragione nel mondo l’essere umano racconta storie? In tutti i modi possibili immaginabili. Le racconta, le canta, le dipinge, le filma, le scolpisce.

Da quando Gutenberg ha inventato la stampa, da quando si sono diffuse le prime copie di quella famosa Bibbia, inizio di un percorso incredibile in cui qualunque storia può essere pubblicata, diffusa, riprodotta e arrivare in qualunque scaffale di qualunque abitazione, da allora, insomma, da quando Gutenberg si è inventata la stampa, da quando i Lumière si sono inventati il cinema, da quando infiniti altri tra imprenditori, tecnici, inventori hanno brevettato infinite modalità di raccontare storie, da allora noi, se ci pensate, viviamo dentro un mondo che è bombardato di storie. Tu che mi stai ascoltando questa sera Lucca vivi sprofondato come me in una specie di grande placebo continuo di storie, storie, storie… fin da quando sei nato. Anche ogni spot televisivo è una storia, con un inizio uno svolgimento, una fine, a volte anche un colpo di scena. Tutto in 30 secondi... saghe televisive per otto serie moltiplicate 10 puntate. La conseguenza è che oggi noi abbiamo perso il gusto delle storie, abbiamo perso quel gioco infantile meraviglioso di stupore, quasi religioso, che un tempo c’era quando qualcuno ti raccontava storie intorno al fuoco e quelle storie facevano parte della nostra identità. Oggi qualunque cosa hai già sentito, l’hai già vista, fa rima con qualcosa. Non sei più libero. Fatemelo dire… quanto doveva essere bello il mondo quando ti innamoravi e non avevi mai visto l’amore in un film…

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ottobre 2022

Il percorso del San Francesco come luogo di divulgazione trova nel 2022 un punto di arrivo che è, istantaneamente, un punto di partenza. La Chiesa è l’epicentro di Pianeta Terra Festival, la ‘casa’ dei grandi appuntamenti di una manifestazione che con oltre 70 eventi e 150 ospiti ha registrato il sold out in tutte le location. In nome di una ‘Rivoluzione per la sostenibilità’, ancora una volta San Francesco è faro di cultura e civiltà, ancora una volta spazi che si aprono alla città, al territorio e al mondo per portare un genere di ricchezza raro e prezioso: quella che aiuta a crescere e migliorare come individui e come comunità.

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Gustavo Zagrebelsky Stefano Mancuso
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Laboratori all’Orto Botanico Vito Mancuso Paolo Cognetti L’intervento di Luca Parmitano all’inaugurazione
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Dalla signora con l’anello ai segni francescani: passione archeologica

L’emozione di un evento appena concluso spesso ne deforma la percezione, esaltandone i risultati o – al contrario – facendone sentire i lati aspri; dieci anni di distanza parrebbero però sufficienti per una valutazione serena, se fosse possibile essere veramente sereni rivivendo pagine dense della propria storia, anche personale.

In effetti, le esigenze amministrative del funzionario di soprintendenza e il rigore che si richiede dall’archeologo non hanno inibito che maturassero nuovi anche rapporti di amicizia, oltre agli interessi di ricerca, negli anni trascorsi seguendo le opere di scavo indotte dal restauro e dal recupero funzionale del complesso di San Francesco, dai primi sondaggi nella ‘Stecca’ alle ultime nel San Franceschetto. Ogni saggio, ogni ambiente, ripercorso con lo sguardo del post, in un piano-sequenza nel tempo e nello spazio, si carica di luci e colori diversi, che si affollano nella memoria e richiedono filtri potenti, per poter essere distinti.

Il bilancio del funzionario è positivo, molto positivo: anni e anni con un livello minimo di quegli scontri con la ‘controparte’ che su un cantiere così affollato sono inevitabili. Di certo la disponibilità – anche finanziaria – della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca fu preziosa per l’archeologo, cui erano risparmiate le comprensibili, ma estenuanti trattative per ampliare un saggio o approfondirlo, allora di regola nei cantieri pubblici e privati.

Soprattutto, fin dalle prime giornate si sapeva che lo scavo non sarebbe stato fine a se stesso, o mero esercizio di tutela. Le esperienze condivise con la Fondazione – nei tecnici all’opera nel cantiere e con la sua dirigenza – nei lavori per il rinnovato allestimento del Museo nazionale di Villa Guinigi, anche nella sezione archeologica, erano rassicuranti: dallo scavo sarebbero uscite nuove pagine di storia lucchese, e un nuovo percorso museale, subito immaginato, presto assecondato. E così è stato. Il Bianco conventuale che fu presentato nel giorno della chiusura dei lavori, luglio 2013, come snello libro e come mostra, è stato il primo di una serie, conclusa nel 2017, che si è proposta di leggere la ‘storia archeologica’ di Lucca, dal XIII al XIX secolo, attraverso la lente delle indagini nel San Francesco: seguendo gli episodi della sua fondazione e della compiuta edificazione, nel Trecento (Il passo di Gentucca); riconoscendo come chiave di lettura dell’archeologia del Quattrocento il ritrovamento di certo più emozionante dell’intero ciclo di scavi, la tomba femminile con defunta – la Signora con l’Anello –sepolta nella cosiddetta Cappella Guinigi con l’enigmatica dotazione di un sigillo papale in piombo e di un anello d’oro con diamante; condividendo il non facile percorso della trasformazione cinque-seicentesca del complesso conventuale, fino a rag-

55 FCRLmaga zine 22 | 2023 Giulio Ciampoltrini

giungere l’articolazione attuale (Segni francescani); infine, affrontando l’ultimo secolo di vita del convento attraverso ceramiche e tombe (Le onde e i fiori). Un diuturno lavoro di analisi dei reperti, ricomposizione, restauro, ampiamente finanziato dalla Fondazione e corroborato dal Centro di Restauro dell’allora esistente Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, e di pubblicazione, resa agevole dalla partecipazione di eccellenti studiosi e dalla qualità della documentazione prodotta nello scavo dagli archeologi professionisti incaricati dalla Fondazione. Sono stati anni in cui per chi scrive l’impegno principale fu proprio questo, far sì che tanta fatica e tanta spe-

sa divenissero occasione di conoscenza, e di conoscenza non circoscritta agli addetti ai lavori, ma ‘comunicata’, a stampa con testi generosamente illustrati e in mostre capaci di combinare precisione scientifica e comunicazione. L’impegno è certo, il risultato è affidato alla valutazione dei lettori o dei visitatori, che potranno aggiungere osservazioni critiche o revisioni, perché di sicuro una più lunga riflessione avrebbe potuto evitare imprecisioni o favorire interpretazioni più motivate. Ed è capitato all’autore della pagina – chi scrive – accorgersi che l’anfora finita in frantumi fra i segni dell’attività di cantiere, del Duecento, presentata nel Passo di Gentucca, non era di produzione

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1. Lastra terragna di Francesco di Bartolomeo Guinigi, Cappella Guinigi 2. Lastra terragna di Fetta di Guglielmo da Modigliana, Cappella Guinigi 3. Anello della ‘Signora’ della Cappella Guinigi 4. Veduta delle casse sepolcrali, Cappella Guinigi
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5-6. Materiali ceramici provenienti dagli scavi del complesso conventuale di San Francesco

siciliana, ma ispanica, di un tipo ben datato alla metà di quel secolo dal relitto di una nave pisana naufragata nel Mar Nero, davanti alle coste della Crimea; oppure, di ringraziare un amico di Foligno per la segnalazione che il tralcio floreale, di rose, inciso e smaltato nell’anello della ‘Signora’ della Cappella Guinigi poteva non essere solo un motivo decorativo, ma anche ‘impresa’ dei Trinci, la famiglia di Jacopa, la terza moglie di Paolo Guinigi, con cui già le analisi paleoantropologiche condotte da Gino Fornaciari e dal suo gruppo di lavoro avevano indotto a identificare la defunta. Grazie a Luigi Sensi, una versione rivista della presentazione del complesso è stata edita nel Bollettino Storico della Città di Foligno

E infine gli aspetti personali, cui ora si può indulgere, dopo che gli anni e il pensionamento hanno liberato dai vincoli della gerarchia burocratica. La gioventù degli archeologi (soprattutto archeologhe) all’opera nel cantiere o nel restauro, fra fiducia nel futuro e presagi meno allegri, la matura professionalità dei responsabili della Fondazione, hanno tracciato le sponde del canale che in momenti non facili ha guidato il progetto, e anche quando sembrava di essere su una secca, ha rinnovato la corrente. Una bella lezione di umanità.

Sì, una lezione preziosa sono stati gli anni del San Francesco, da riascoltare non come celebrativo esercizio di memoria, ma per andare avanti.

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La chiesa, il campus, il quartiere: storia breve di una rinascita

Non solo una chiesa, non solo un campus universitario. Dieci anni fa il termine ‘rigenerazione urbana’ tanto in voga ultimamente era ancora confinato nei libri di urbanistica, roba da specialisti insomma.

Ma di questo si è trattato: creare un elemento catalizzatore di risorse, di energie e creatività che ha riguardato tutti i campi. Dalla cultura al commercio, dalla ristorazione ai pubblici spettacoli, dalla sicurezza al turismo, fino ad impattare direttamente sulla qualità della vita dei cittadini. La chiesa, innanzitutto, si è collocata sulla mappa dei flussi turistici in maniera stabile, tanto da registrare ancora oggi numeri notevoli di visite in tutti i week end dell’anno. Le caratteristiche, originali per Lucca, della basilica, la sua imponenza, l’aula unica che suggerisce un’idea di spazio al contempo solido e potenzialmente infinito. Il suo essere pezzo unico ‘gotico’ all’interno di una ‘collezione’ invidiabile di edifici romanici ne ha da sempre aumentato il fascino, assieme al ruolo di pantheon delle glorie Lucchesi: i sepolcri di Castruccio Castracani, Luigi Boccherini, la lapide dedicata a Puccini e la teoria epitaffi funerari che si intrecciano sulle pareti dei chiostri,

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LA CHIESA, IL CAMPUS, IL QUARTIERE: STORIA BREVE DI UNA RINASCITA
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LA CHIESA, IL CAMPUS, IL QUARTIERE: STORIA BREVE DI UNA RINASCITA

che ancora oggi conferiscono a quella passeggiata il senso – tutto ottocentesco – del labile confine tra il macabro e il fascino, tra morte e bellezza.

La Scuola IMT, a fianco, rappresenta la continuità con la storia. Dallo studium francescano alla scuola di alta formazione in cui si intrecciano gli idiomi di tutte le aree del pianeta. Da anni ormai ai vertici mondiali in termini di standard qualitativi, sia per quanto riguarda la ricerca che per la formazione degli studenti, IMT è diventata, anche grazie alla nuova collocazione, sempre più un’istituzione con ra-

dici ben piantate nel territorio e in grado di far crescere i propri rami verso il territorio stesso, mettendolo al centro di molti percorsi di ricerca e proponendo iniziative di carattere divulgativo aperte alla cittadinanza. Sostenendo quindi un’idea di scienza accessibile, in cui la complessità è riducibile ai risvolti pratici e alla concreta utilità per il benessere comune. Tutto questo è stato possibile grazie al lavoro di tante persone, sempre lì, al San Francesco.

Ma non finisce qui. Si è detto più volte, ma non è possibile non rilevare il rifiorire di un intero quartiere del Centro storico, la

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zona est, grazie a questa operazione. Ed è qui che possiamo parlare di rigenerazione urbana. Di intervento architettonico e urbanistico che innesca un processo virtuoso a catena. Chi attraversasse la piazza oggi dopo averla vista l’ultima volta undici anni fa potrebbe dubitare di essere a Lucca. Parliamo di un’area abbastanza circoscritta in cui attualmente si contano almeno sei attività di ristorazione e oltre cinque attività commerciali, segnali di una vitalità un tempo impensabile.

Ma non è in questi numeri che troviamo il vero senso della rinascita, quanto nell’atmosfera che si respira, specialmente in cer-

ti splendidi tardi pomeriggi di maggio e giugno. I tavoli di bar e ristoranti pieni di gente, bambini che corrono e giocano nella piazza, studenti che escono ed entrano nel Campus, un viavai di persone che attraverso i chiostri raggiungono il Giardino degli Osservanti e talvolta il parcheggio sottostante. Se si capita di mercoledì è possibile incontrare i commercianti del mercatino biologico che ritirano le loro cassette e, in qualche caso, potremmo imbatterci in bel concerto organizzato in piazza.

Tante cose sono tornate, altre ne torneranno. Tutto riassumibile in una parola: vita.

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LA CHIESA, IL CAMPUS, IL QUARTIERE: STORIA BREVE DI UNA RINASCITA

Un salto nel futuro: al lavoro per una casa dell’arte e della cultura

Un luogo rimasto nel cuore di molti che, dopo tanti anni, torna finalmente a splendere. Le voci giravano da tempo e, adesso, è finalmente arrivata la conferma: la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha perfezionato l’acquisto dell’immobile che un tempo ospitava il dopolavoro della Manifattura Tabacchi e poi il cinema Nazionale, per dar vita a qualcosa di totalmente nuovo.

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L’idea, infatti, è quella di trasformare il vecchio cinema in un ambiente multifunzionale di arte, cultura e divulgazione. Una vera e propria «casa della cultura e dell’arte» che ospiterà grandi artisti e mostre di richiamo internazionale.

Ma non solo: l’immobile, acquistato dalla Fondazione potrà accogliere anche iniziative e attività firmate dalle più grandi realtà del panorama culturale lucchese che, in molti casi, hanno sofferto proprio della mancanza di un ambiente come questo. Mostre, incontri, presentazioni di libri e al-

tro ancora insomma. Da rudere privato in totale disuso, questo «posto del cuore» – a dieci anni dal restauro del San Francesco – diventerà quindi un altro luogo di confronto, aggregazione, inclusione e divulgazione della nostra città, già celebre per gli eventi da «prima pagina».

I dettagli da definire sono ancora tanti, ma i sogni sono molti di più: l’intenzione è quella di creare uno spazio sempre aperto, un punto di ritrovo, un luogo in cui andare – anche la sera – e trovare sempre novità, qualcosa da fare.

E se Lucca è stata tra le ultime città della Toscana ad avere uno spazio come questo completamente dedicato all’arte, l’obiettivo sarà quello di stupire: questo nuovo spazio – con ben 2.500 metri quadrati e una piccola area verde da restaurare – dovrà ospitare infatti qualcosa di nuovo e di mai visto, un format ancora da studiare ma che lascerà tutti a bocca aperta.

Tanti, tra quelle pareti, in un passato non troppo lontano si sono emozionati a guardare il loro primo film sul maxischermo, magari seduti sulle ginocchia di mamma e

69 FCRLmaga zine 22 | 2023 UN SALTO NEL FUTURO: AL LAVORO PER UNA CASA DELL’ARTE E DELLA CULTURA

papà, hanno riso, pianto e, chissà, magari si sono anche innamorati. E adesso è arrivata l’ora di riprenderci tutte le emozioni che non abbiamo vissuto, negate da un portone rimasto chiuso troppo a lungo. Sono in corso di selezione i progetti più adeguati, c’è quindi ancora tempo per studiare, immaginare e mettere nero su bianco il ‘Nazionale’ del futuro: essendo un grande spazio, sarà piuttosto semplice da modulare: le pareti mobili, ad oggi, sembrano essere una soluzione perfetta per dividere gli spazi. I soffitti altissimi, poi, lasciano immaginare anche uno spazio organizzato in soppalchi. Un luogo, insomma, capace di ospitare mostre statiche, ma anche spettacoli, proiezioni e performances. Ma a questo, penseranno meglio gli esperti.

Tra tante idee, ce n’è una sulla quale la Fondazione non ha mai avuto dubbi: nel palazzo, troverà finalmente una degna collocazione anche una parte del suo patrimonio artistico che conta ormai oltre 150 opere tra pitture, sculture e molto altro ancora. Una collezione che sarà finalmente fruibile per divenire ancor di più patrimonio condiviso e bene comune. In questo ambiziosissimo progetto, si prevede una collaborazione anche con la Fondazione Ragghianti.

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Dal San Francesco alla nuova sfida: un fil rouge

A tu per tu con il Presidente

Marcello Bertocchini

intervista a cura di Giulia Prete

A dieci anni dal restauro, cos’è oggi il complesso di San Francesco per la città di Lucca?

Credo che sia un elemento irrinunciabile per l’attività culturale della città, un punto di riferimento ormai per tantissime persone. Negli anni, possiamo dire che si è creato un vero e proprio ‘ecosistema culturale’ in una zona della città che fino al momento del restauro era stata del tutto dimenticata. Ecco, questo è senza dubbio il primo aspetto positivo che abbiamo ottenuto grazie alla riqualificazione di questa area e ne siamo molto orgogliosi, come orgogliosi siamo dei contenuti – sempre di altissima qualità – che ha sempre offerto il complesso.

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Non solo cultura, ma anche sapere e conoscenza… Questo ‘ecosistema’ si è legato bene anche al mondo dell’università, un luogo dove si fa cultura ma dove si coltivano anche i saperi. In questi ultimi dieci anni, infatti, è cresciuta molto anche la Scuola IMT: le due realtà si sono alimentate positivamente a vicenda ottenendo un effetto moltiplicatore sotto ogni punto di vista. Possiamo dire che la parte orientale della nostra città è diventata il luogo della cultura per eccellenza, che si apre non solo sempre di più alla città e al mondo economico, ma anche a quello della ricerca. Un luogo della cultura che diventa sempre più grande: c’è, infatti, anche un tentativo di valorizzare il Museo nazionale di Villa Guinigi, poco distante dal complesso, mentre l’Oratorio dell’Angelo Custode – un vero e proprio gioiello della nostra città – è stato ristrutturato e presto sarà fruibile anche per piccoli eventi. Tutta questa area, quindi, possiamo dire che si è riqualificata grazie al San Francesco.

Come mai è stato scelto proprio l’ex cinema Nazionale e Dopolavoro della Manifattura per la nuova ‘avventura’?

Tra le location disponibili ci è sembrata semplicemente la migliore. Era già un luogo dove si faceva cultura, con una lunghissima tradizione e storia alle spalle e vederlo abbandonato era un vero peccato. L’immobile correva il rischio di diventare solo residenziale e non ci sembrava giusto. Abbiamo colto al volo questa occasione, come Fondazione sentivamo il bisogno di creare un’area espositiva importante perché Lucca è rimasta l’unica città della Toscana a non averne una adeguata.

Un progetto, questo, che parte da zero.

Sì, si tratta di un percorso tutto da costruire, intanto cerchiamo di capire dai progetti preliminari che abbiamo chiesto a diversi studi di architettura cosa può venir fuori da questo immobile, e poi vedremo. Appena avremo individuato quello che sarà il progetto definitivo potremo cominciare a ragionare sul da farsi. Prima partiamo dal contenitore, una volta pronto quello ci faremo venire sicuramente in mente idee brillanti anche per i contenuti. Un’idea chiara però ce l’abbiamo: vogliamo creare qualcosa di totalmente nuovo, sarà sicuramente una sfida, ma il nostro obiettivo principale è questo. Proveremo a trovare un’originalità. Le competenze la città le ha, quindi siamo ottimisti. Lucca attira molto, mi auguro che questo nuovo centro di arte si faccia spazio anche a livello nazionale. Anche la posizione è ottima, quindi ci aspettiamo davvero grandi cose.

Un contenitore dunque. Ma per cosa?

Senza dubbio ci sarà la possibilità di spostare una parte della nostra collezione in questi nuovi spazi: la nostra intenzione è quella

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di creare una esposizione permanente con i ‘pezzi’ migliori, che potranno essere ammirati più facilmente in maniera facile e inclusiva. Sogniamo uno spazio in grado di ospitare esposizioni e performances, sempre in stretta collaborazione con la Fondazione Ragghianti, che andrà a completare l’offerta del complesso di San Francesco.

Non ci sono ancora progetti, ma un sogno?

Io mi sto appassionando sempre di più all’arte contemporanea, in particolare sono un grande fan della video arte e delle arti performative, quindi mi piacerebbe molto organizzare e vedere qui eventi di questo genere. Mi rendo conto però che ospitare questo tipo di arte è decisamente più complicato: paradossalmente è più semplice ospitare opere, anche di un recente passato, che andare a scomodare artisti ancora in vita. A Palazzo Strozzi funziona, quindi chissà: magari ci proveremo anche noi. C’è davvero tanto da lavorare, ma ormai ci siamo. Siamo finalmente pronti a partire.

73 FCRLmaga zine 22 | 2023 DAL SAN FRANCESCO ALLA NUOVA SFIDA: UN FIL ROUGE

«GALASSIA MELOTTI»

La grande ceramica di un artista poliedrico in mostra alla Fondazione Ragghianti

Paolo Bolpagni

Il 2 dicembre 1947 fu inaugurata, nella sede della House of Italian Handicraft a New York, la mostra Handicraft as a Fine Art in Italy: una realizzazione della CADMA, la Commissione Assistenza Distribuzione Materiali Artigianato, nata nel 1945 con sede a Firenze, e presieduta da Carlo Ludovico Ragghianti. L’intento dell’iniziativa era chiaro ed esplicito: sostenere e valorizzare negli Stati Uniti, dopo gli anni bui del regime fascista e il disastro della guerra, la cultura progettuale e produttiva del nostro Paese, presentando opere e oggetti disegnati da artisti italiani contemporanei. Le ripercussioni per la nascita di un immaginario collettivo identitario del designed and made in Italy furono ampie e importanti, benché non prive di contraddizioni. L’idea di partenza era stata quella di evidenziare al contempo la forza del nostro artigianato e la possibilità di una sua stretta collaborazione con il mondo delle ricerche più avanzate nell’àmbito delle arti visive. Tra i pezzi esposti c’erano creazioni di Afro e Mirko Basaldella, Pietro Cascella, Filippo de Pisis, Piero Fornasetti, Renato Guttuso, Leoncillo, Marino Marini. E inoltre tessuti, mosaici, nonché i vasi in ceramica di Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986). Il piccolo catalogo che accompagnava la mostra presentava un testo introduttivo di Ragghianti ed era un autentico gioiello editoriale firmato da Bruno Munari.

Anche per ricordare quell’importantissimo incontro tra lo storico dell’arte lucchese e il grande scultore, pittore, disegnatore e poeta trentino (cognato dell’architetto Gino Pollini, padre del celebre pianista Maurizio), dal 25 marzo al 25 giugno la Fondazione Ragghianti organizza la mostra Fausto Melotti. La ceramica, a cura di Ilaria

Bernardi: un viaggio tra le opere di un protagonista indiscutibile del rinnovamento espressivo italiano del Novecento. La scelta è proprio d’indagare un settore solitamente meno analizzato della produzione dell’artista, che, dal secondo dopoguerra fino al-

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in apertura: Fausto Melotti nel suo studio a Milano, 1954 circa 1. Fausto Melotti, Angelo, 1954 circa, ceramica smaltata policroma, collezione privata, courtesy Hauser & Wirth 2. Fausto Melotti, Cerchi, 1960 circa, ceramica smaltata policroma, nylon, ottone, collezione privata, courtesy Hauser & Wirth

l’inizio degli anni Sessanta, trovò nella tecnica della ceramica uno strumento d’invenzione e trasformazione della sua scultura. Realizzata in collaborazione con la Fondazione Fausto Melotti di Milano e il MIC di Faenza, e con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio e il patrocinio della Provincia e del Comune di Lucca, e della Regione Toscana, la mostra si sviluppa in quattro sezioni.

La prima inserisce e storicizza la produzione ceramica dell’autore all’interno della sua vita e attività, attraverso una cronologia illustrata che dalla nascita nel 1901 giunge alla scomparsa dell’artista nel 1986. Questa ‘linea del tempo’ è accompagnata da teche per accogliere importanti documenti legati in modo specifico alle opere che sono oggetto della mostra, fra cui due quaderni mai esposti finora.

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La seconda sezione è dedicata alle più note tipologie di sculture in ceramica concepite da Melotti: da quelle di tema sacro ai bassorilievi, dagli animali alle figure femminili, dai Bambini fino ai Teatrini. Fra i pezzi presentati compare anche la preziosa Lettera a Fontana (1944), che fu esposta nel 1950 alla Biennale di Venezia.

Nella terza sezione è possibile guardare il video In prima persona. Pittori e scultori. Fausto Melotti (1984) di Antonia Mulas, che include l’unica intervista in cui l’artista, analizzando il proprio percorso e la sua concezione estetica, parli della ceramica. Nell’ultima parte dell’itinerario della mostra sono raccolte differenti tipologie di manufatti – vasi, coppe, lampade, piatti – che, anche se ispirati a oggetti d’uso quotidiano, furono realizzati da Fausto Melotti svincolandoli dalla loro funzione e rendendoli autentiche sculture, per così dire a sé stanti e libere da finalità ‘pratiche’.

Accanto alle opere del protagonista, sono esposte, nelle sale della Fondazione Ragghianti, quelle di importanti artisti e designers con cui, in maniera diretta o indiretta, egli ebbe contatti, concesse in prestito dal MIC di Faenza: da Giacomo Balla a Lucio Fontana, da Leoncillo a Enzo Mari, da

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3-6. Sale espositive

Arturo Martini a Bruno Munari, e ancora

Guido Gambone, Alfonso Leoni, Gio Ponti, Aligi Sassu, Emilio Scanavino, Ettore Sottsass, Nanni Valentini e altri.

Con Fausto Melotti. La ceramica la Fondazione Ragghianti desidera non soltanto rendere omaggio a un artista che ha saputo coniugare la tradizione classica con le avanguardie europee, l’abilita poetico-letteraria con quella di disegnatore, pittore e scultore, la conoscenza scientifico-matematica e musicale, ma vuole in special modo ricordare la sua multiforme e innovativa produzione in ceramica attraverso un allestimento che, individuandone le tipologie più ricorrenti, possa delineare una nuova di mappatura di quella che fu chiamata la «galassia Melotti».

La mostra è accompagnata da un libro-catalogo in italiano e inglese pubblicato dalle Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte, con le immagini di tutte le opere esposte, documenti e materiali d’epoca, i saggi di Ilaria Bernardi e di Claudia Casali, direttrice del MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, e i testi introduttivi del sottoscritto e di Edoardo Gnemmi, direttore della Fondazione Fausto Melotti.

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SURV

Il Bangladlesh delle soprav vissute

IVORS

Due serie di scatti fotografici per raccontare un Bangladesh sconosciuto. Difficile da digerire. Un’unica mostra, intitolata Survivors, allestita nella Chiesa di San Franceschetto nel mese di marzo, che ha toccato le coscienze di tutti i visitatori.

Mauro De Bettio

Survivors

Ho iniziato a lavorare a questo progetto un anno prima di metter piede in questa incredibile terra chiamata Bangladesh. Ho da subito sentito una grande responsabilità nel trovare l’approccio corretto raccontando la storia di queste anime a chi non è a conoscenza di questo orrore, di cui una minima idea ce la dà la storia di Rehana.

Rehana viveva con la sua famiglia ed inseguiva il sogno di studiare medicina, quando le è stata rubata l’identità. Fino ad allora non aveva conosciuto il dolore; la sua unica ‘colpa’ è stata rifiutare le effusioni di un vicino.

«Era buio ed improvvisamente ho sentito una presenza accanto al letto. Non appena ho aperto gli occhi, mi stava gettando addosso un secchio di acido. In un istante mi sono sentita morire; la mia bellezza si stava sciogliendo e con essa il mio futuro. Quel giorno ho perso la mia infanzia e tutti i miei amici». Rehana ebbe per lungo tempo una forte crisi d’identità e soffrì di esaurimento nervoso a causa del volto sfigurato e dei lineamenti deformati. Si chiuse in se stessa e non poté più proseguire gli studi. Da quel momento «Acid Survivors Foundation» (ASF) le fornì l’assistenza medica riabilitativa ed economica necessaria per aiutarla a ricostruire la propria vita. Rehana ha vinto ed è tornata a vivere risollevandosi da un incubo fatto di isolamento, in cui lo spazio per l’affetto, l’amore e la prospettiva di una vita normale erano scomparsi. Attualmente lavora per un’istituzione e due anni fa la sua famiglia ha organizzato un matrimonio per lei. Oggi è una donna felicemente sposata. Oggi gli attacchi con l’acido sono segnalati in molte parti del mondo e concentrati prevalentemente in Asia meridionale; il Bangladesh, con la percentuale più elevata, ha denunciato circa 3.500 vittime di attacchi d’acido dal 1999, con un calo di 494 vittime nell’anno 2002. Da allora queste pratiche del dolore sono in costante diminuzione, con 44 attacchi riportati nel recente 2016. Uno dei meriti maggiori è sicuramente da attribuire all’apporto fornito dalla «Fondazione Acid Survivors», una delle pochissime ONG che lavorano a stretto contatto con il governo del Bangladesh. L’intento è quello di ridurre fino ad eliminare gli attacchi con acido nel paese e garantire che i sopravvissuti abbiano la possibilità di vivere con dignità. A questo proposito, la fondazione gestisce un ospedale con venti letti, pronto a fornire servizi per una cura di primo soccorso subito dopo l’attacco, tra cui chirurgia plastica e ricostruttiva.

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Hidden Angels

Si chiama Daulatdia, la città-bordello più grande dell’Asia. Coloratissimi alberi in fiore circondano quella che appare come una piccola e rilassata cittadina, eppure dietro essa si cela una prigione senza fuga composta da oltre duemila baracche in lamiera, ciascuna ospitante una prostituta.

Il Bangladesh è uno dei pochi paesi di prevalenza islamica in cui la prostituzione è legale e Daulatdia, tra il consumo di droga e il traffico di esseri umani, è l’epicentro di questo mercato. Il bordello ha le dimensioni di una piccola cittadina, un luogo che vive di vita propria e che dispone di tutto ciò di cui i clienti e le prostitute hanno bisogno: mercati, bische, bar, saloni di bellezza e negozi di ogni genere.

Le chiamano ‘sex workers’ e ogni giorno saziano l’ardore di circa tremila uomini. All’interno delle piccole capanne in legno e lamiera alleviano la solitudine di turisti, marinai, scaricatori di porto e una miriade di nullafacenti di ogni genere. L’età media delle lavoratrici introdotte in questa micro società è di 14 anni, il che significa che alcune sono anche più giovani. Il loro guadagnano è determinato dalla soddisfazione del cliente e a volte, per alcuni di essi, è normale pensare che la donna non meriti di essere pagata. In un paese di oltre 150 milioni di persone, di cui la metà senza un impiego, molte ragazze vedono la prostituzione come unica possibilità di sopravvivenza. Molte di esse, tuttavia, vengono portate qui con la promessa ingannevole di una vita migliore ed un lavoro ben compensato. In altri casi ancora sono le famiglie stesse dei contadini in miseria a vendere le proprie figlie agli intermediari, noti come Dalal, che, a loro volta, le consegnano alla ‘madame’, una figura materna, protettrice e, soprattutto, detentrice dei loro corpi.

Rani è arrivata a Daulatdia quando aveva 15 anni e da allora non ha mai trovato una via d’uscita. «Fin da quando sono nata tutti mi hanno spiegato che il sesso sarebbe stata la cosa migliore che avrei avuto nella vita e che in questo posto molte persone mi avrebbero amata. Ero felice fino al giorno in cui mi hanno venduta a questa fabbrica. Niente di ciò che mi avevano promesso era vero. Gli uomini vengono qui, piaccio loro e sono contenti di quello che riesco a dare, ma alla fine se ne vanno sempre. Nessuno mi ha mai amato o portata via con sé».

La stanza di Rani è piccola ma accogliente. Sulle pareti sono appesi poster di attori famosi. E poi le foto di case con giardini, uno stagno, pappagalli e scintillanti automobili rosse parcheggiate nel cortile.

«È troppo tardi anche solo per sognare un posto così. La mia pelle odora già del metallo di queste pareti di lamiera. La mia vita è praticamente incasinata, ma non ho tempo da perdere a pensare alla tristezza».

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Nato e cresciuto in un piccolo villaggio sulle Alpi venete, ora residente a Barcellona, Mauro De Bettio è un fotografo documentarista che dedica la propria vita a progetti riguardanti questioni sociali e diritti umani. Viaggia esplorando tradizioni e culture che stanno scomparendo, ma anche analizzando la contemporaneità.

Questa curiosità per culture e modi di vivere così diversi lo ha portato negli angoli più remoti del pianeta per catturare le emozioni di diversi individui e le loro storie uniche. Nel 2021 ha dato vita a Malaika, una fondazione nata per aiutare e nutrire i bambini senzatetto di Nairobi, in Kenia. Ha vinto numerosi premi tra cui l’American Photography Open 2022, il FIIPA Awards 2022, il ND Photographer of the Year 2021, l’AAP Magazine 2020, ol Portrait of Humanity 2020 e il National Geographic Award 2018 per l’Italia.

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Maria Panattoni

24 settembre 2023: è la data del compleanno del Comune di Capannori, che quest’anno compie 200 anni.

Un appuntamento importante, quindi, per l’intera comunità, perché rappresenta per tutti un’occasione per approfondire e conoscere meglio il passato di questo territorio, nell’ottica di continuare a sognarne un futuro sempre più bello e di qualità.

L’amministrazione comunale è ben consapevole che la ricorrenza dei 200 anni dalla nascita del Comune rappresenta un’opportunità di ripercorrere e mostrare agli abitanti delle 40 frazioni che compongono Capannori i valori e le tradizioni che le rendono tutte parti dello stesso Comune.

L’identità Capannorese, infatti, è un’identità molto forte, che spesso però è sembrata frammentata tra i vari paesi, perdendo un po’ delle caratteristiche che li uniscono tutti, per evidenziare le particolarità di ogni frazione.

L’obiettivo dell’amministrazione comunale, anche e soprattutto cogliendo l’occasione del Bicentenario, è quello di sottolineare i punti in comune fra i 40 paesi, che sono poi i tratti più significativi dell’intera comunità di Capannori, come la solidarietà, l’inclusione, l’uguaglianza.

Un lavoro fatto per somma e non per sottrazione: le particolarità di ogni paese è ben salvaguardato dall’azione amministrativa, nel mentre che valorizza ciò che spesso viene dato per scontato ed invece sono elementi vivi e significativi dell’identità Capannorese.

Non è un caso, pertanto, che il primo evento dei festeggiamenti del Bicentenario, che dureranno quasi due anni, sia stata l’installazione del monumento dedicato a Carlo Piaggia, in via Piaggia nel centro di Capannori.

L’opera si intitola Stella polare, raffigura l’esploratore in un momento di riposo, ed è stata realizzata dall’artista Claudia Leporatti, grazie a un percorso di selezione delle

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in apertura: Capannori 2019, festa per l’inaugurazione della piazza Aldo Moro 1. «Stella Polare», monumento dedicato a Carlo Piaggia posto di fronte alla scuola elementare di Capannori, inaugurato il 30 settembre 2022, opera dell’artista Claudia Leporatti 2. Fine anni Settanta: il Palazzo Comunale da poco inaugurato nel contesto della Capannori rurale

opere curato e finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.

Cominciare dal monumento a Piaggia ha significato, per l’amministrazione comunale, dare un simbolo fisico del «modo di fare di Capannori», ovvero un modo di fare umile, che cerca di comprendere l’altro e di entrare in sintonia, un approccio rispettoso verso l’altro volto all’accordo e alla cooperazione e mai alla prevaricazione.

L’esploratore Piaggia, infatti, in Africa si contraddistinse proprio per il suo approccio rispetto alle popolazioni locali: durante gli anni del Colonialismo imperante, Piag-

gia si pose con fare umile, visse con le popolazioni del posto, le rispettò e ne scoprì abitudini e gesti standoci insieme.

L’incipit dei festeggiamenti è stato dunque il rendere omaggio a quello che può essere definito il più grande esploratore italiano in Africa, nato a Badia di Cantignano, che a suo modo ha portato i valori della comunità Capannorese nel Mondo.

Se l’installazione di un monumento ha costituito l’avvio del Bicentenario, un altro momento importante del percorso verso il 24 settembre 2023 è stato rappresentato dalla presentazione nella Sala del Consiglio

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Comunale del libro sul Bicentenario intitolato Capannori. Una comunità plurale 18232023.

Si tratta di un volume, scritto a più mani, che vuol provare a raccogliere i passaggi storici e istituzionali più importanti di questi duecento anni del Comune di Capannori; anni che hanno visto il territorio mutare profondamente sotto il profilo urbanistico e dei servizi, cogliendo le sfide della modernità e dimostrando ad ogni appuntamento di rilievo con la storia la propria personalità.

Questo volume è un punto di inizio per riu-

scire a raccontare anche da altri punti di vista la storia, le tradizioni e le innovazioni di Capannori.

Con la statua all’esploratore Piaggia prima, e con la pubblicazione del libro Capannori. Una comunità plurale 1823-2023 dopo, l’amministrazione ha reso tangibili agli occhi di tutti le fondamenta su cui poggiano i saperi e i talenti che oggi sono proprio della comunità di Capannori, e che a loro volta sono alla base dei sogni e delle visioni per il futuro di Capannori.

Recentemente, infatti, Capannori ha ottenuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella il titolo di ‘città’: un elemento

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3. Il centro di Capannori oggi 4. Capannori 2019, concerto per il Primo Maggio

centrale nella narrazione dell’identità del territorio, perché con questa attribuzione il Comune di Capannori è stato riconosciuto nella sua unicità non solo amministrativa, ma anche e soprattutto culturale, sociale, valoriale. Oggi Capannori rappresenta quindi un modello inedito di città, ovvero la città diffusa dove non c’è periferia, ma tanti centri con caratteristiche specifiche ed altre in comune.

Forte di un modello che mette al centro tutti i paesi – e quindi un’azione amministrativa che mette al centro tutte le persone –l’amministrazione comunale porta avanti il percorso del Bicentenario su più binari:

da quello dei personaggi illustri del territorio a quello legato alle opere significative per ogni paese; dal coinvolgimento di tutte le associazioni del territorio alla valorizzazione delle tante manifestazioni che queste organizzano; dalla creazione di un inno di Capannori alla tradizione del buon cibo proprio di ogni frazione. Ancora molti appuntamenti sono in programma, in particolare l’evento clou che si terrà il 24 settembre prossimo, con una grande festa per tutta la comunità nella piazza di fronte al municipio.

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Non solo carri: il Carnevale fa 150 e li racconta tra arte, storia e cultura

Raccontare il Carnevale di Viareggio attraverso percorsi e linguaggi diversi. Alternativi allo spettacolo dei Corsi Mascherati, ma ad esso complementari, in grado di mettere in luce gli aspetti più culturali, storici, artisti che sono alla base della tradizione. E così l’edizione 2023 si è caratterizzata anche nel percorso espositivo che ha permesso di illustrare la storia dei 150 anni della manifestazione, sotto molteplici aspetti, attraverso grandi mostre che hanno caratterizzato l’anniversario del Carnevale di Viareggio. Tre visitabili fino alle soglie dell’estate, visto anche il successo di pubblico registrato. Un percorso espositivo – una sorta di ‘Fuori Corso’, intitolato History 150 – che ha coinvolto tutti i palazzi storici di Viareggio, proprio per rappresentare quel senso di racconto diffuso e che coinvolge tutta la città. E tappa principale di questo cammino nell’arte e nella storia è Palazzo delle Muse, sede della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea «Lorenzo Viani» e già sede permanente della collezione Carnevalotto, di proprietà della Fondazione Carnevale, che annovera ventotto opere di grandi firme dell’arte contemporanea, ispirate al mondo carnevalesco delle maschere.

Qui è allestita la grande mostra a cura di Roberta Martinelli Che la Festa cominci… che rievoca la vicenda storica dei festeggiamenti del Carnevale, mettendone in evidenza la sua evoluzione, dal XVII al XIX secolo, attraverso più di settanta opere tra dipinti, disegni e incisioni. Da questa straordinaria raccolta, proveniente dalle più prestigiose collezioni pubbliche e private, prende corpo un convincente racconto della secolare vicenda storica impersonata dal Carnevale. Il cammino del tempo è come scandito dalle rappresentazioni che gli artisti hanno dedicato al Carnevale che si rivela una efficace testimonianza del mutare dei tempi e delle dinamiche sociali che li hanno caratterizzati. Dotato di una sua peculiare vitalità, il Carnevale è riuscito a superare tanto i radicali mutamenti politici come la diffusa ostilità dei poteri consolidati. La mostra consente di documentare l’evoluzione del Carnevale: dalle carrozze adottate dai signori per prendere parte alla festa, rimarcando il loro ruolo preminente e la loro propensione munifica che si manifestava nel ripetuto atto di gettare dolciumi e cibarie alla folla che li circondava, alle costruzioni allegoriche.

Alle maschere italiane la mostra riserva uno spazio particolare che culmina con la celebrazione della loro ultima creatura, il gioioso Burlamacco, dal 1931 simbolo del Carnevale di Viareggio, che la felice mano di Uberto Bonetti realizzò come sintesi delle più note maschere della Commedia dell’Arte.

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1-2. GAMC mostra Che la Festa cominci… sale espositive 3-4. Villa Argentina, mostra Costumi Costume. Collezione Atelier Anna e Giorgio White sale espositive

Ai mascheramenti è invece dedicata la mostra Costumi Costume. Collezione Atelier Anna e Giorgio White accolta nelle sale di Villa Argentina. Qui sono esposti una trentina di preziosi abiti che la celebre sartoria ha confezionato tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Duemila. Abiti ricercati, preziosi, ricchi di dettagli che fanno la differenza. Una creatività che coinvolge lo spettatore e lo accompagna in un immaginario veglione anni Venti in cui si muovono con eleganza e raffinatezza dame, principe, principesse, cavalieri, nobili.

CarnevalArt, a Villa Paolina, vede esposte per la prima le opere che fanno parte della collezione della Fondazione Carnevale. Tele, gessi, bronzi. Opere diverse per materia, per stile, per epoca. Tutte realizzate tra gli anni Cinquanta e la contemporaneità, ma con lo stesso comune denominatore: il Carnevale e Viareggio. Ritroviamo opere firmate da costruttori del passato, come Giovanni Lazzarini, Davino Barsella, Nilo Lenci, Arnaldo Galli, Silvano Avanzini, Beppe Domenici, accostati a firme quali Dario Fo, Ivan Theimer, Maria Gamundi, Sandro Luporini.

Infine di nuovo alla Gamc per la mostra dedicata a «Linus», il celebre periodico a fumetti e non solo, che per il Carnevale dei 150 anni ha dato alle stampe un numero speciale dedicato a Viareggio. Nella mostra a cura di Elisabetta Sgarbi è possibile vedere tutti i numeri dal 1965 al 2022.

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Il carro d’oro

Elemento centrale nel percorso espositivo della Mostra Che la Festa cominci… è il celebre dipinto Il carro d’oro di Paul Schor del 1664 conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Una tela impressionante per dimensioni e ricchezza di particolari. Una intensità che dà all’osservatore la sensazione di essere nella scena e di goderne lo svolgimento. Al centro del dipinto, che ci rimanda al Carnevale celebrato in quell’anno a Roma, si impone la massiccia figura di un grande carro d’oro. La sua mole che sovrasta tutta la scena e ancor più la sua esibita colorazione di un oro sfavillante, trasmettono la volontà di affermazione di una condizione di potenza che quel Carnevale era stato chiamato a celebrare. Sicuramente a questo pensava il principe Giovanni Battista Borghese, patrizio romano di alto rango che, di quella straordinaria mascherata fu il promotore. Ma forse il principe

Borghese non immaginava che quella scena che aveva progettato – un grande carro che tirato da animali, preceduto e seguito da gente in maschera, avanzava in mezzo alla folla – sarebbe divenuta il modello ispiratore di tante successive celebrazioni del Carnevale. Sicuramente di quel Carnevale che dal 1873 si prendeva a festeggiare a Viareggio. Questa funzione di archetipo viene esplicitata da altri elementi caratterizzanti quel carro a cominciare dalla complessa macchina meccanica che grazie ad un ingegnoso sistema di ingranaggi manovrati dall’interno faceva muovere un grande drago ed un’aquila che, dalla sua bocca, lanciava confetti. La modernità di quella costruzione allegorica è tale per cui oggi potrebbe idealmente sfilare in un Carnevale contemporaneo, peraltro tenendo testa alle costruzioni che oggi stupiscono il pubblico proveniente da tutto il mondo.

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5. Paul Schor, Il carro d’oro, 1664 6. Evoluzione della specie di Cinquini e Cirri: prima categoria, secondo qualificato 7. Viareggio, corso mascherato

Carnevale 2023

Un’edizione da ricordare per il carro vincitore in prima categoria: Una storia fantastica di Jacopo Allegrucci che fa uno strepitoso bis, avendo vinto anche l’anno scorso con Il sognatore

A seguire sul podio Evoluzione della specie di Umberto, Stefano e Michele Cinquini e Silvia Cirri e Ridi Pagliaccio o l’arte di prendersi seriamente sul serio di Lebigre e Roger.

A seguire Io sono nessuno di Roberto Vannucci, quinto posto per Pace armata di Alessandro Avanzini, sesto Carneval divino di Luca Bertozzi, Pianeta Terra 2.0 di Fabrizio e Valentina Galli, Una macumba per dire basta! di Luigi Bonetti, Meraviglioso di Luciano Tomei.

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8. Carnevale divino di Luca Bertozzi, prima categoria, sesto qualificato 9. Meraviglioso di Luciano Tomei e Antonino Croci, prima categoria, nono qualificato 10. Pianeta terra 2.0 di Fabrizio e Valentina Galli, prima categoria, settimo qualificato 11-12. Corso mascherato 13. Una storia Fantastica di Jacopo Allegrucci, prima categoria, primo qualificato
un nome un volto UNA STORIA

Il lucchese volante. Vincenzo Lunardi

Così recita un passaggio in cui lo stesso aeronauta lucchese riporta una lettera contenuta nel Primo viaggio aereo in Inghilterra edito nel 1784 a Londra.

Poche parole preludono al racconto di una vita romanzesca: dalle origini lucchesi fino a un percorso che, passando per le Indie, vide Lunardi diventare ambasciatore del Reame di Napoli in Inghilterra e poi celebrato pioniere dell’aria.

Al 1784, solo pochi mesi dalla prima memorabile impresa dei fratelli Montgolfier, risale il suo primo volo, quando alla presenza della Corte reale il suo pallone si staccò dal suolo a Chelsea per atterrare dopo circa due ore a Ware, nell’Hertfordshire.

La famiglia

La ‘casa natale’ di Vincenzo l’ha individuata pochi anni fa Angelo Frati, in via dei Borghi (o via Michele Rosi, se più vi piace) all’angolo con via dei Fossi. Di lui non è certa un’ascendenza nobiliare anche perché all’interno della Repubblica di Lucca i titoli erano banditi, mentre all’estero potevano essere liberamente esibiti e vantati. Gli studi più recenti lo collocano nell’albero genealogico della famiglia Marchi Lunardi proveniente da San Pellegrino in Alpe e ancor prima addirittura da Modena, le cui vicende e spostamenti nei secoli precedenti furono legati alla corte estense. Con la morte del padre, nel 1763, il cugino Gherardo Francesco Compagni sostiene e ‘adotta’ di fatto la famiglia e soprattutto porta con sé Vincenzo nelle Indie Orientali da dove inizia un lungo girovagare che lo vede avviarsi alla una carriera militare: già attorno ai 25 anni è ufficiale del genio dell’esercito del Regno di Napoli e dal 1779 è ammesso alla corte di Ferdinando IV. Di lì a poco diventa segretario del principe Maria Venenzio Aquino di Caramanico, che lo conduce con sé in Inghilterra dove è ambasciatore del Regno e diventa definitamente cittadino del mondo.

È qui che si materializzano i sogni da aviatore, che cullava sin dai suoi soggiorni parigini, in cui aveva assisitito alle esibizioni dei Montgolfier. Determinante il suo sodalizio con lo scienziato napoletano Tiberio Cavallo (1749-1809) che all’epoca era docente alla Royal Society di Londra e conduceva interessanti studi sull’idro-

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«Mr. Lunardi ha l’onore di informare Sir George Howard, che egli intende di costruire un globo areostatico, col quale vuole egli ascendere in aria, ad oggetto di fare alcuni interessanti esperimenti».
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Il capitano Vincenzo Lunardi con il suo assistente George Biggin e Mrs. Letitia Anne Sage su una mongolfiera (John Francis Rigaud, 1785)

geno. Fu Lunardi ad intuire l’efficienza di questo gas in funzione aerostatica, le cui proprietà garantivano maggiore autonomia e sicurezza. Altra figura che si staglia sulle quinte di questa vita avventurosa è quella dell’aeronauta bolognese Francesco Zambeccari, con cui si realizza ben presto un rapporto ancor oggi non ben definito, fatto di collaborazione e rivalità. Obiettivo comune – ma individualmente perseguito – era diventare il primo uomo a volare nei cieli inglesi. È in nome di questo sogno che Lunardi, nel 1784, decide di non seguire il Principe di Caramanico a Parigi, rinunciando di fatto ad una più che promettente carriera diplomatica. Parte dunque una ricerca di risorse che in poco tempo Lunardi riuscì a raccogliere anche grazie all’ala protettiva di Tiberio Cavallo, di fatto suo garante nell’impresa. Tutto è programmato per il 12 agosto 1784, per poi procrastinare al 15 settembre. Nel frattempo un certo De Moret (o Moret) aveva programmato un’analoga ascensione per il giorno 11, precedendo dunque Lunardi. Ma l’esperimento del francese naufraga miseramente e nella data programmata Lunardi ascende da Chelsea atterrando nell’Hertfordshire. Un successo celebrato con un trionfale rientro a Londra.

E di lì la Scozia e poi l’Italia: Roma, Palermo e altre imprese ancora tra delusioni e successi. Tutti minuziosamente ricostruiti in una preziosa pubblicazione dal titolo Vincenzo Lunardi aeronauta curata da Marco Majrani, in cui si ripercorrono le cadute e le ascese – letteralmente – di questo lucchese che riempì la propria vita di avventura e ricerca del limite.

105 FCRLmaga zine 22 | 2023 IL LUCCHESE VOLANTE. VINCENZO LUNARDI

Brancoleria bellezza diffusa

Sin da piccolo ho sentito questo nome e mi sono sempre immaginato un paesino posto su un cucuzzolo, per poi scoprire che di paesini e di cucuzzoli ce ne erano ben più di uno solo… ma nessuno di questi si chiamava Brancoli. Piazza di Brancoli, Pieve di Brancoli e ancora Gignano, Ombreglio, Deccio, Croce, San Lorenzo, San Giusto, Sant’Ilario, tutti ‘di Brancoli’. Ma di una Brancoli ‘capostipite’ nessuna traccia. Chi è o cos’è?

Si sono ipotizzati riferimenti al ‘branco’ di pecore data la natura pastorizia dei primi abitanti, o ancora un richiamo ai sacerdoti romani chiamati Branchidei, devoti ad Apollo, al nome di una famiglia romana fino a ipotizzare l’origine longobarda del toponimo, anche qui in relazione ad una precisa stirpe familiare. Niente di certo dunque, mentre sicura è la collocazione della famigerata Brancoleria. È l’area più montana del comune di Lucca. Si tratta di una sorta di grande anfiteatro naturale che, dalle alture appenniniche prossime alle Pizzorne, digrada verso il fiume Serchio con cui si incontra in località Vinchiana, convergendo nell’omonimo torrente. Da qui si sale appunto per tortuose stradine incrociando una costellazione di piccoli borghi accomunati per storia, indole degli abitanti e antichità delle testimonianze architettoniche.

La storia

Popolata in origine da etruschi e poi da liguri-apuani, quest’area divenne strategica quando, nel 1594, il Gonfaloniere della Repubblica di Lucca Ferrante Sbarra fece costruire nella parte più alta della vallata una torre comunicante con la città e con il famoso Bargiglio, vero ‘occhio di Lucca’ sopra Borgo a Mozzano. Una funzione che con alterne fortune si protrasse fino al XVIII secolo, quando venne abbandonata per far posto secoli dopo alla Croce posta nel 1900 su progetto di Gaetano Orzali, fatta saltare dai Tedeschi nel 1944 e ripristinata in seguito nel 1958. Tornando a ritroso, è significativo segnalare come durante l’XI secolo i documenti attestano ripetuti soggiorni nella zona di Matilde di Canossa e del vescovo Anselmo da Baggio, divenuto papa col nome di Alessandro II. È allora che viene concesso alla chiesa di San Giorgio di Brancoli il diritto di battesimo, riconducendo sotto la giurisdizione della nuova pieve tutta l’area della valle; viene inoltre istituita una canonica nella vicina San Michele di Tramonte. Ed ecco dunque l’elemento caratterizzante di questo territorio magico a due passi dalla civiltà urbana. La sua pieve e le chiese della zona. Un ecosistema artistico e architettonico unico nel territorio lucchese.

La Pieve di Brancoli

Si scrive Brancoli, si legge Pieve. Il territorio è fortemente identificato nella splendida Pieve di San Giorgio intorno alla quale è sorto l’omonimo paese. Tralasciando la catena di cenni storici, che –tanto per essere precisi – la vedono citata per la prima volta nel 767, della pieve è importante raccontare il suo ‘modo’ imponente e contemporaneamente discreto di interpretare il linguaggio romanico lucchese, tanto da essene considerata da molti uno dei modelli più rappresentativi.

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Nella facciata è riconoscibile la suddivisione interna in tre navate, secondo quella trasparenza e identità tra ‘fuori e dentro’ che è cifra lineare del Romanico europeo e che a Lucca trova nella chiesa di Sant’Alessandro un precoce e prestigioso prototipo. Semplice ma non banale, come originale è l’addossamento della torre campanaria al lato sinistro della facciata, prepotente e inusuale. Tralci di vite e figure varie caratterizzano la decorazione dell’arcata d’ingresso. Da notare nella decorazione la figura di un contadino che imbraccia il tipico ‘pennato’ lucchese, probabile rappresentazione di un mese o una stagione dell’anno, e il cosiddetto ‘Brancolino’: una figura umana a mani sollevate in realtà decisamente diffusa in tutta la valle del Serchio, dove è stata alternativamente interpretata come orante o come rappresentazione di Mosè che,

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col gesto, apre le acque del Mar Rosso. Bellissimi gli esemplari analoghi nella chiesa di San Cassiano di Controne in Val di Lima. in apertura: Veduta verso Ponte a Moriano, il Serchio e la Piana di Lucca 1. La pieve di San Giorgio di Brancoli 2. San Giorgio di Brancoli, interno 3. San Giorgio di Brancoli, l’ambone

All’interno sono notevoli l’altare maggiore, impreziosito da una colonnina che ritrae un personaggio in abito pontificale e il Crocifisso del XIII secolo che richiama la mano di un Berlinghieri, anche se appare in posa decisamente più drammatica rispetto al modello del Cristo triumphans, cosa che lo colloca verso la fine del XIII secolo. Ma soprattutto il bellissimo ambone sorretto da colonne caratterizzate da capitelli corinzi e lombardi, con l’effige dei quattro Evangelisti. Come spesso accade negli amboni abbiamo anche qui due leoni stilofori, ovvero che sorreggono una colonna, ma nel caso di Brancoli una belva è nell’atto di sopraffare un guerriero, mentre l’altra domina un drago. Quest’ultimo è un classico simbolo di malvagità e peccato, mentre per il guerriero in molti avanzano l’ipotesi che rappresenti il potere temporale, l’Imperatore, contrapposto al papa. Il Leone – va da sé – è Cristo stesso (contro il male) o la Chiesa (contro chi il male perpetra).

Insomma, un capolavoro di tecnica e teologia databile alla fine del XII secolo, che contende il ‘titolo’ di meraviglia della Pieve con la commovente terra invetriata con San Giorgio che uccide il drago attribuita nientemeno che ad Andrea della Robbia, in cui maestria, colore, espressività e potere plastico si fondono in un’ancona raffinata e poderosa.

Ma numerosi sono ancora i ‘pezzi’ pregiati della chiesa, dall’acquasantiera al fonte battesimale, fino all’affresco quattrocentesco attribuito a Giuliano di Simone. Ma spazio al resto della Brancoleria.

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4. San Giorgio di Brancoli, San Giorgio che uccide il drago
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5. San Giorgio di Brancoli, abside

Tesori in ordine sparso

Partendo ‘da basso’, San Giusto è il paese meno in altura con l’omonima chiesa che custodisce un tabernacolo dell’ambito di Matteo Civitali e una cantoria seicentesca. Sant’Ilario occupa invece una posizione centrale nella Brancoleria, anche qui con una chiesa eretta nell’Alto Medioevo nei pressi della suggestiva tenuta della villa Sardi. Non lontano abbiamo Piazza di Brancoli con una chiesa romanica che da subito richiama l’impostazione architettonica e la distribuzione degli elementi della pieve, con il campanile prepotentemente addossato al lato sinistro della facciata e interessanti elementi decorativi superstiti dal sapore proto-romanico. Poi abbiamo Ombreglio, nella cui chiesa di San Pietro troviamo una pala con la Madonna, il bambino e i santi opera del 1509 di Michele Angelo di Pietro Membrini, in cui si riconoscono echi pittorici delle creazioni plastiche di Matteo Civitali. Piccolo e bellissimo si erge nella parte più alta il borgo di Deccio, noto per la Vergine del Soccorso custodita nella chiesa di San Frediano, che ispira la suggestiva festa della Madonna del Diavoletto. Una Madonna dall’aspetto arcigno che brandisce un randello tipico dell’iconografia più diffusa, strumento irrinunciabile per ‘battere’ il demonio. A Gignano il patrono è invece San Ginese, altro santo martire, caro ai Longobardi, così come i santi guerrieri. Gli uni e gli altri sono i vari patroni (escluso Frediano, che è santo locale) della Brancoleria che vede appunto radicare nei secoli VIII e IX la prima fondazione delle sue chiese.

Stavamo quasi per dimenticare Tramonte, snodo strategico per l’alto Appennino, Sant’Andrea in Croce, col suo panorama mozzafiato e San Lorenzo in Corte, chiesa scrigno di un’altra bellissima terra robbiana, per avventurarci sino al fascino magnetico del Convento dell’Angelo, realizzato da Lorenzo Nottolini tra 1827 e 1830 in uno stile dai forti echi neoclassici, oggi faro della bassa valle del Serchio individuabile da tutte le posizioni.

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6. La chiesa di San Giusto di Brancoli 7. San Giusto nel panorama delle colline circostanti
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Tra leggende e castagne

La Sagra del Balloccioro è qualcosa di più che una festa paesana, incanalando in una moderna convivialità secoli di tradizione che hanno legato l’economia alimentare della zona alla raccolta e alla conservazione delle preziose castagne. Una storia fatta di stagioni, di metati e molini per ricavare la farina, che si intreccia con le immagini, nitide nelle menti dei nostri nonni, delle lunghe serate ‘a veglia’, in cui uomini e donne dalla memoria elefantiaca declamavano a memoria l’Orlando Furioso e l’Iliade, inframmezzando all’epica antica qualche storiella locale. Un sottobosco di miti e leggende che profuma di muschio e piccoli insegnamenti o avvertimenti. A Deccio si raccontava degli Streghi che ballavano tra gli alberi e in tutta la Brancoleria si diffondevano narrazioni che, tra sacro e profano, mescolavano personaggi della Bibbia con altre figure mitologiche, o ancora si fantasticava di strane leggende legate al Castello di Cotrozzo, situato su monte Pittone. Racconti di un tempo che scorreva più lentamente, ma di cui ancora si sentono rintocchi placidi e rallentati per la strada che da Vinchiana sale alla Croce.

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8. La chiesa di Santa Maria Assunta a Piazza di Brancoli 9. Santa Maria Assunta, elementi decorativi in facciata
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10. La chiesa di San Pietro di Ombreglio 11. La chiesa di San Martino a Tramonte
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12. La chiesa di San Lorenzo
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13. Il Convento dell’Angelo
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Agricoltura, alimentare, ambiente: dal territorio con amore

Il progetto SMAQ

Nasce nel 2022 il progetto SMAQ (Strategie di marketing per l’Agroalimentare di qualità) costituito da una community locale di aziende pilota, con elevata propensione all’innovazione, al fine di far crescere la padronanza degli strumenti di comunicazione digitale attraverso specifici moduli formativi, pensati in base alle caratteristiche del luogo e alle esigenze delle aziende e del mercato di riferimento.

Nel maggio 2022 è stato individuato in Fondazione Campus il partner scientifico-operativo tramite il quale realizzare SMAQ, fermi restando la supervisione e il costante monitoraggio della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.

Al fine di portare avanti il percorso sono state individuate le figure del Project Manager (attraverso selezione diretta) e di due Digital Ambassador (tramite bando pubblico).

Protagoniste di SMAQ sono le eccellenze nostrane, dal Frantoio di Massarosa, la cui particolarità è la lavorazione delle olive a ‘due fasi’, alla Tenuta Mariani, specializzata nella produzione di vino e olio EVO biologici, a Oligea che si caratterizza, tra le altre, per la trasformazione in olii essenziali dell’eucalipto bio coltivato dalla Versil Green; non mancano le eccellenze artigiane come Bambuseto per la coltivazione del bambù; Floricoltura Giannini per le piante acquatiche; le aziende agricole La lavanda di Massarosa e Za’faran per la coltivazione, rispettivamente, della lavanda e dello zafferano; Il Paese delle Meraviglie, azienda fondata e gestita da giovani, specializzata nell’allevamento di cavalli e recupero di ex cavalli da corsa altrimenti destinati al macello; infine l’Apiario di Daniele Cairone e Il Giardino di Manipura, una fattoria didattica a agri-ludoteca, facente parte delle fattorie didattiche della Toscana. L’operazione di Digital Assesment ha evidenziato una realtà molto eterogenea, composta da aziende con vari gradi di competenza digitale: da quelle già dotate di una buona strategia digitale, con discreta presenza sui social, buona conoscenza dell’e-commerce, una certa frequenza nell’aggiornamento del sito a quelle con maggiori difficoltà e ritardi sul versante della comunicazione/promozione digitale, quasi sempre per mancanza di tempo e/o di soggetti dedicati (spesso gli aspetti digitali sono direttamente gestiti dal titolare o da un familiare). Tutte le aziende aderenti hanno tuttavia condiviso l’importanza della crescita e del perfezionamento digitali, consapevoli della necessità di essere accompagnate e stimolate in questo percorso possibilmente da figure professionali di giovane età.

A gennaio 2023 è così partita la seconda fase del progetto, vale a dire il corso di formazione approntato con la consulenza di docenti dell’Università di Pisa e suddiviso in 5 moduli da 8 ore, che mira ad incrementare le conoscenze di base, sviluppare la capacità di analisi strategica e aiutare il processo di adozione degli strumenti digitali per la valorizzazione dei prodotti/servizi offerti; particolare attenzione e approfondimento vengono riservati anche allo sviluppo della tracciabilità: oggi il digitale rappresenta una risorsa ‘innovativa’ per l’automazione delle procedure, l’elaborazione dei dati e soprattutto la condivisione e comunicazione efficace verso il consumatore finale sempre più sensibile ed interessato alle informazioni sul prodotto, la sua origine, i processi e quindi la qualità.

Concluso il percorso formativo, è prevista un’attività di accompagnamento personalizzata per gruppi di imprese caratterizzate da dimensioni e modelli di business simili, ai fini del raggiungimento di una concreta competenza digitale mirata all’ottimizzazione dell’operatività quotidiana e al complessivo miglioramento di competitività sul mercato.

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125 FCRLmaga zine 22 | 2023 AGRICOLTURA, ALIMENTARE, AMBIENTE: DAL TERRITORIO CON AMORE IL PROGETTO SMAQ

Nel maggio 2020 la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca è tra i soci fondatori di Filiera Futura, un’associazione che ha lo scopo d’incentivare, raccogliere e portare a compimento progetti condivisi nel settore agroalimentare, proponendosi di interloquire con Istituzioni, Imprese e realtà della filiera agroalimentare, incrementando le opportunità di accesso ai fondi regionali, nazionali o europei.

L’associazione, che ha sede a Pollenzo presso l’Università di Scienze Gastronomiche, conta attualmente una rete di oltre venti soci costituita da Fondazioni di origine bancaria (tra cui Cuneo, Genova e Imperia, Fabriano e Cupramontana, Gorizia, Volterra, Friuli, Bielle, Jesi, Viterbo, Padova e Rovigo, Bolzano, Torino, Cariverona, Fondazione con il Sud), atenei (oltre all’Università di Pollenzo ne fanno parte anche l’Università di Udine e il Politecnico di Torino), associazioni di categoria, quali Coldiretti e Confartigianato Imprese.

Nel concorrere alla fondazione dell’associazione, la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha espresso anche la figura di uno dei due vicepresidenti, nella persona di Elena Giannini, componente altresì del Consiglio Direttivo.

Filiera Futura si propone, in particolare, di incentivare e sostenere:

• la costruzione e ricostruzione, ove necessario, delle filiere produttive integrate nei territori marginali;

• i prodotti di qualità, tradizionali e locali, nei processi di valorizzazione commerciale e di riconoscibilità, anche per il tramite di appositi percorsi di tracciabilità;

• la produzione sostenibile e la relativa attività di distribuzione;

• la formazione degli operatori e le attività finalizzate a dare concreto avvio a start-up nel settore agroalimentare;

• ogni altra attività e progetto, ritenuti meritevoli, nel campo dell’innovazione agro-alimentare

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‘La via delle erbe e dei fiori’ è un viaggio nella natura del territorio di Massarosa, un percorso per ogni stagione che mira alla valorizzazione dell’area di Massarosa-Massaciuccoli: marketing territoriale, economia sostenibile, rapporto virtuoso tra le filiere del territorio, il cibo e il turismo.

Cinque chilometri di bellezza, a piedi o in bici, dal centro del paese, attraverso strade bianche o secondarie, passando per aziende agricole e florovivaistiche, con l’occasione di visitare le loro spettacolari coltivazioni e assaporare i prodotti locali di propria produzione, con possibilità di acquistarli. Il tutto tra piantagioni di lavanda, eucalipto e piante officinali, uliveti, vigneti, pescheti e terreni coltivati con luppolo, girasoli, zafferano, orzo e grano fino a giungere alla più grande coltivazione di fiori di loto d’Europa.

Il 2022 ha visto, tra l’altro, quattro nuovi percorsi tra i paesaggi del Lago di Massaciuccoli, passando per un giardino dal sapore zen con pagoda galleggiante, un allevamento di alpaca e la storica Brilla, e ancora dalle rovine di Massaciuccoli Romana fino all’Oasi naturalistica Lipu.

C’è un mondo intero qui, reso possibile da una sinergia tra aziende agricole e attività della ristorazione. Un mondo che trova momento di grande visibilità nel mese di giugno, con quattro giorni di festa nella campagna massarosese con aperture straordinarie delle aziende agricole e visite alle spettacolari fioriture accompagnate da un ricco calendario di eventi per tutta la famiglia con passeggiate guidate, escursioni sul lago, aree relax, mostre, laboratori e attività tra natura, enogastronomia, arte e avventura.

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ancora versilia, tra petali e natura

Collaborare si può

Formarsi all’amministrazione condivisa per una nuova idea di sviluppo territoriale

Dopo il successo della prima edizione nel 2022, la Fondazione per la Coesione Sociale in collaborazione con il Centro di Ricerca Maria Eletta Martini, Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, Soecoforma Agenzia Formativa e la Provincia di Lucca – Distretto di economia civile ha proposto una nuova edizione del corso di formazione Collaborare si può. Idee e strumenti di co-programmazione e co-progettazione per lo sviluppo locale. L’iniziativa ha potuto contare anche sul patrocinio di Cesvot e di Confcooperative Toscana Nord. Si è trattato di un percorso articolato in sei incontri da marzo a maggio, costruiti con un approccio laboratoriale, grazie al quale i contenuti di aggiornamento relativi alla normativa e alla prassi sono stati poi testati in esercitazioni di gruppo con il supporto di esperti.

I temi messi a fuoco dal corso di aggiornamento hanno riguardato in maniera trasversale gli aggiornamenti normativi e applicativi dell’istituto della co-programmazione e della co-progettazione, le competenze e gli strumenti partecipativi, gli stili di leadership per la costruzione di strategie condivise per lo sviluppo locale. Ci si è poi concentrati sull’attuale quadro derivante dalle risorse del PNRR e la logica degli obiettivi che sottosta alla loro pianificazione anche per valutare il cambiamento sul territorio rispetto alle strategie trasformative in atto.

Il corso si è chiuso con una giornata di confronto e scambio con gli amministratori e il Terzo settore del territorio attorno al tema dell’attuale stato dell’arte in merito all’amministrazione condivisa, alle pratiche di coprogrammazione e coprogettazione nel panorama toscano e alle possibili ulteriori piste di lavoro.

L’iniziativa è stata accolta con entusiasmo dal territorio. Complessivamente sono state raccolte quasi 100 iscrizioni, di cui circa 45 provenienti dagli enti istituzionali del territorio e le restanti 50 dal mondo del Terzo settore (cooperative ed associazionismo).

Il grande interesse riscosso dal percorso sottolinea ancora una volta quanto sia attuale e cogente il tema dell’amministrazione condivisa e, nello specifico, degli istituti della co-programmazione e della coprogettazione così come definiti dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore e dalla specifica legge regionale 65 del 2020.

Si tratta in effetti di una possibile rivoluzione copernicana nell’intendere i rapporti tra amministrazioni locali e terzo settore, tale

da far diventare questi istituti – come sottolinea la storica sentenza n. 131 del 2020 della Corte Costituzionale – «la chiave di volta di un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici».

Ma quali sono le ragioni che rendono così interessanti queste prospettive di co-costruzione delle politiche territoriali?

Si legge ancora nella sentenza n. 131: «Gli ETS, in quanto rappresentativi della ‘società solidale’, del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che

produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della ‘società del bisogno’».

Ragionare sui servizi in termini collaborativi significa, dunque, organizzare il welfare di territorio come una comunità, fidandosi del ‘di più’ che il legame sociale rappresenta e facilitarne espressione e crescita nel mentre che si cercano soluzioni a bisogni diffusi.

È la logica inversa a quella che individua la soluzione alle fragilità nel ‘calare dall’alto’ servizi e trasferimenti monetari, proponendo la ‘fruizione’ o l’acquisto sul mercato di soluzioni al disagio, determinando inevitabilmente un depauperamento delle forme di solidarietà diffusa e di coesione.

La prospettiva dell’amministrazione condivisa, sebbene ormai consolidata nella normativa, si trova minacciata nella prassi, quando i soggetti territoriali seguono logiche che potremmo riassumere con l’adagio: «minor sforzo per massima resa» e quindi, inevitabilmente: «minor rischio, massimo utilizzo del già fatto, anche quando funziona poco».

Organizzare percorsi formativi come Collaborare si può ci sembra, quindi, una strada necessaria da percorrere, per corroborare prassi, collegarle, farle diventare massa critica in modo da far maturare la fiducia in merito a questi nuovi strumenti di amministrazione condivisa.

Il fatto che si forniscano ulteriori strumenti di riflessione agli operatori delle pubbliche amministrazioni e del Terzo Settore è cosa utile, ma ancor più lo è creare occasioni di confronto su questioni pratiche ed estremamente concrete, misurarsi su casistiche, individuare soluzioni comuni che possano indicare percorsi anche per il futuro. In questo senso, una delle questioni più attuali nella riflessione dei partecipanti riguarda proprio la costruzione e gestione dei Tavoli, quel complesso insieme di competenze trasversali dalle quali spesso dipende il buon esito dei percorsi e la loro capacità di uscire dalla retorica per scendere nel campo della prassi di innovazione reale.

La Fondazione per la Coesione Sociale, ente strumentale di Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, agisce con convinzione su questa strada, nella consapevolezza che in questo paradigma rinnovato si possa giocare con maggiore efficacia anche il ruolo delle fondazioni e di tutti quegli enti terzi che giocano ruoli di ‘fiancheggiamento’ allo sviluppo territoriale e possono accrescere le logiche di sistema e le dinamiche di coesione.

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Play the Games 2023: appuntamento con lo sport inclusivo

La città di Lucca si tinge di colori e si riempie di una ‘sana baraonda’ con la tappa toscana di Play the Games 2023, l’evento che coniuga sport e inclusione sociale, promosso da Special Olympics Italia – Team Toscana, ASD L’Allegra Brigata, in collaborazione dei Lions Club Distretto 108 LA Toscana. Un unico grande appuntamento con lo sport costituito da un calendario di eventi, regionali e interregionali, programmati in diverse regioni italiane. 17 eventi in 14 regioni, 19 discipline sportive per un totale di ben 54 giorni gara, 5879 atleti coinvolti e un unico obiettivo: quello di sensibilizzare i territori e promuovere, attraverso lo sport, una cultura dell’inclusione e della valorizzazione della diversità in ogni sua più ampia espressione.

L’evento è stato fortemente voluto e promosso nel capoluogo lucchese da L’Allegra Brigata, ASD nata nel 2009 proprio per promuovere lo sport come mezzo per favorire la crescita personale, l’autonomia e la piena inclusione tra persone con disabilità intellettiva, relazionale e non solo. Oggi, dopo quattordici anni dalla sua nascita, L’Allegra Brigata si è trasformata in un ‘grande contenitore’ che vuole, attraverso eventi sportivi e percorsi formativi, promuovere, sviluppare e consolidare processi inclusivi tra realtà scolastiche, extra-scolastiche e numerose realtà del Terzo settore. Per realizzare questi e altri importanti obiettivi, L’Allegra Brigata aderisce a Special Olympics Italia, un programma internazionale di allenamento e competizioni sportive a li-

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vello locale, nazionale e internazionale fondato negli anni Sessanta a Chicago da Eunice Kennedy e ad oggi presente in oltre 201 Paesi.

Ed è proprio all’interno di questo programma di attività che si colloca la tappa toscana della manifestazione sportiva Play the Games 2023, inserita tra gli eventi di grande interesse nel calendario dell’amministrazione comunale Vivi Lucca. L’iniziativa, che si è svolta dal 28 aprile al 1° maggio con un ricco calendario, ha visto impegnati atleti provenienti dalle regioni del centro Italia, che hanno gareggiato nella disciplina del bowling in quattro giorni di competizioni.

Le gare, che rispettano il regolamento Special Olympics, sono state precedute dai preliminari, gare per determinare le categorie di abilità dando così a tutti gli atleti la possibilità di gareggiare secondo le proprie forze, proprio come recita il giuramento dell’atleta Special Olympics: «Che io possa vincere, ma se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze».

Sono stati 9 i team che hanno partecipato, 114 gli atleti impegnati nelle competizioni, seguiti da 18 coach di disciplina e 28 accompagnatori, un evento che ha portato anche numeri importanti dal punto di vista turistico, accanto agli atleti infatti sono arrivati più di 140 familiari e almeno 100 volontari.

Numerose anche le partnership e le collaborazioni degli enti del territorio, dagli Istituti scolastici e alle associazioni sportive, segno di un territorio accogliente e attento ai diritti di tutti a prendere parte – su base di uguaglianza – alla vita culturale, ricreativa e sportiva del Paese (si veda l’art. 30 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità).

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«Open IMT»: la ricerca è aperta a tutti

La Scuola IMT ha lanciato il suo magazine di divulgazione scientifica.

Chat GTP, l’algoritmo di intelligenza artificiale di cui si parla da mesi, è davvero così abile ed efficiente da poter presto sostituire alcune professionalità?

Nelle nostre città, le piattaforme di affitto come Airbnb trasformaranno interi quartieri in villaggi turistici?

Come si fa a contrastare l’individualismo, e a promuovere l’altruismo e la cooperazione?

Questi temi, diversissimi tra loro, sono solo alcuni esempi di approfondimento – spunti di riflessione generati dai più recenti studi e ricerche – offerti dal neonato magazine di divulgazione scientifica della Scuola IMT. Si chiama «Open IMT» ed è un canale di comunicazione aggiuntivo attraverso il quale la Scuola si propone, forte della competenza dei suoi ricercatori, di fare divulgazione scientifica rivolta sia al pubblico generale sia ad alcuni settori specifici, sui grandi temi della scienza, della società, e delle loro intersezioni.

Il magazine, già dal nome dichiara le sue intenzioni e il suo programma: la voglia dell’istituzione universitaria di aprirsi al dialogo con la cittadinanza, far circolare liberamente le idee, e stimolare interesse e partecipazione.

«Open IMT» vuole offrirsi come ‘guida’ per orientare i cittadini, fornendo chiavi di lettura e di interpretazione dei fenomeni che riguardano la ricerca scientifica, l’innovazione, e la società nel suo complesso, dando risalto e visibilità a un approccio alla ricerca –quello multidisciplinare tipico proprio della Scuola – che è fondamentale nell’interpretazione della società contemporanea e della sua complessità.

Oggi è in corso un dibattito sul ruolo e l’importanza della Terza Missione delle università, quella in aggiunta alle due tradizionali di ricerca e didattica. Questa missione consiste, in breve, nel «trasferimento di conoscenza» da parte del mondo accademico verso la società: non solo nel senso in cui la si intende di solito, ovvero la produzione di tecnologie, brevetti ricavati dalla ricerca, ritorno

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economico immediato, ma anche trasferimento di cultura e di conoscenze che aumentino il generale livello di benessere dei cittadini e lo sviluppo di consapevolezza civile.

Pietro Greco, giornalista da poco scomparso, aveva molto a cuore la questione e parlava a questo proposito di «cittadinanza scientifica», il bagaglio di conoscenze – non tanto e non solo di contenuti della ‘scienza’, ma soprattutto di che cosa è ‘Scienza’ nelle sue dimensioni metodologiche, economiche, ed etiche – di cui ciascuno dovrebbe essere dotato per partecipare consapevolmente alla vita democratica. Ormai sempre più spesso capita di doversi esprimere o prendere decisioni su argomenti che hanno una forte componente scientifica: pensiamo solo ai vaccini, al cambiamento climatico, all’intelligenza artificiale … L’università e il mondo della ricerca dovrebbero vivere come un dovere la condivisione di conoscenze, e lo sforzo per aprirsi – nel linguaggio e nella comunicazione

ricerca&INNOVAZIONE 136 FCRLmaga zine 22 | 2023

– verso tutti i tipi di pubblico. Proprio per questo, partendo dai modelli più attuali e condivisi nell’ambito degli studi sulla comunicazione della scienza, «Open IMT» mira a un approccio alla narrazione della ricerca scientifica che sia coinvolgente e accattivante – per coinvolgere un pubblico non specialista non potrebbe essere diversamente – ma che aumenti la consapevolezza dei cittadini sui temi chiave del dibattito nella attuale società della conoscenza. Un piccolo progetto nel solco di un grande e importante dibattito.

«Open IMT» (www.openimt.it) è stato creato grazie a un finanziamento del Ministero della Ricerca dedicato ai progetti di diffusione della cultura scientifica. È stato lanciato il 30 settembre 2022, in occasione della Notte Europea delle Ricercatrici e dei Ricercatori, data significativa per il coinvolgimento e la partecipazione della Scuola, come di tutto il mondo della ricerca, alla vita sociale.

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Benessere e acqua. Una vecchia storia

Il ricco e documentato volume della studiosa lucchese Rita Mazzei traccia una dettagliata mappa storica e geografica della pratica dei bagni termali, abitudine terapeutica che, nel tardo Rinascimento, divenne una moda di straordinario successo, arrivando ad accompagnare il processo di aristocratizzazione della società europea di antico regime.

Promosse e incoraggiate dai medici sin dal Medioevo, nel corso del Cinquecento le cure termali divennero una sorta di panacea per ogni male e una pratica terapeutico-sociale a cui le classi dominanti dell’epoca non potevano e non volevano sottrarsi. Mazzei ci mostra in che modo località come Abano, Pozzuoli, Acqui e, soprattutto, Lucca divennero tappe irrinunciabili e obbligate per chiunque avesse le possibilità economiche per soggiornarvi e godere dei benefici effetti delle loro acque.

I ‘bagni’, dunque, come status, non diversamente dai tempi attuali, se pensiamo al successo di cui godono oggi le moderne Spa (acronimo di Salus Per Aquam, del resto), con il loro contorno di rituali benefici e wellness di lusso.

Nel Cinquecento tutto il bel mondo frequenta le terme: papi e cardinali, principi e principesse, potenti aristocratici e letterati. E a godere di particolare successo sono proprio i balnea Lucensia. Grazie alla bontà delle loro acque e alla posizione geografica estremamente favorevole, le terme lucchesi diventano la metà principale di un pellegrinaggio d’élite, e hanno tra i loro più assidui frequentatori, oltre a Montaigne, prelati romani, primo fra tutti il «gran cardinale» Alessandro Farnese, e numerosi aristocratici, tra cui vari membri della famiglia Gonzaga, che possono trovare ospitalità nelle sontuose ville di grandi mercanti e banchieri come i Buonvisi, gli Arnolfini e i Guidiccioni, e servirsi delle competenze di medici lucchesi come Agostino Ricchi, archiatra pontificio di Giulio II e Paolo IV.

La ricostruzione di Mazzei si sofferma in particolare sulla natura “sociale” delle terme che, da spazio terapeutico, si trasformano in un’occasione di incontri in cui sviluppare i riti della socialità aristocratica e tessere relazioni politiche sottraendosi ai canoni dell’ufficialità. Uno spazio abitato anche dalle donne visto che, parallelamente alle cure, al passare le acque, nelle località termali si svolge una ricca e articolata vita mondana che ha tra i suoi protagonisti illustri dame aristocratiche, coinvolte nella fitta trama delle trattative matrimoniali nobiliari o desiderose di combattere il loro «humor melanconico», come la principessa Isabella di Capua. Le terme, dunque, come osservatorio privilegiato e illuminante dei comportamenti, dei consumi, degli usi e delle pratiche sanitarie della società aristocratica nell’Europa del tardo Rinascimento.

Rita Mazzei, La cura di sé al tempo di Montaigne. I bagni termali nell’Europa del Cinquecento, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2022

139 FCRLmaga zine 22 | 2023

Attingendo a un ricchissimo epistolario conservato presso la Biblioteca Statale e l’Archivio di Stato di Lucca, il libro della lucchese Simonetta Simonetti traccia un’interessante biografia di Teresa Bandettini, la poetessa danzatrice che, nata nel 1763, divenne una celebre e acclamata poetessa estemporanea.

Un’esistenza movimentata e vivace quella di Teresa Bandettini: la madre, Alba Maria Micheli, la avvia piccolissima alla professione di ballerina, così che Teresa possa contribuire alle finanze familiari, dissestate dalla morte precoce del padre. Ma Alba le impartisce anche i primi rudimenti della lettura e della scrittura, accendendo nella bambina un fuoco appassionato che non si spegnerà mai: di nascosto, Teresa legge Petrarca, Ariosto, Goldoni e Metastasio, la star letteraria dell’epoca, e si interessa alla mitologia. Quando finalmente la madre si renderà conto dello straordinario potenziale della figlia, Teresa potrà dedicarsi liberamente alla lettura e alla scrittura. Parallelamente alla carriera di danzatrice, Teresa impara il latino, traduce Ovidio e Virgilio e comincia a esibirsi in pubblico improvvisando versi. Inizia così un lungo periodo di viaggi, esperienze ed esibizioni, che la porteranno a conoscere e a stringere relazioni con letterati e celebri eruditi dell’epoca, da Monti a Parini, da Mascheroni ad Alfieri.

Teresa si esibisce nei teatri più importanti e viene ammessa nell’Accademia dell’Arcadia con il nome arcadico di Amarilli Etrusca.

Nel 1789, dopo il matrimonio con il lucchese Pietro Landucci, abbandona definitivamente la danza per dedicarsi esclusivamente alla poesia. Sono anni di grandi successi e soddisfazioni per la Ballerina Letterata, l’Improvvisatrice Commossa, capace di rivitalizzare con grande pathos e straordinaria inventiva metrica e poetica i classici soggetti mitologici di gusto arcadico. Teresa incontra Napoleone, viene apprezzata dalla sorella di lui, Elisa, principessa di Lucca dal 1805, e, ancor più, da Maria Luisa di Borbone, che le conserverà la pensione che aveva ottenuto in epoca napoleonica e progetterà di trascrivere e conservare tutti i suoi testi. La promessa verrà mantenuta dal figlio Carlo Ludovico, che nel 1835 farà pubblicare le Poesie estemporanee di Amarilli Etrusca, due anni prima della morte della poetessa.

Simonetta Simonetti, Teresa Bandettini. Come viver poss’io senza cor, senza pace. Lucca 1763-1837, Tralerighe Libri, Lucca 2022

140 FCRLmaga zine 22 | 2023
La poetessa

200 anni di Capannori

Esce per PubliEd Capannori. Una comunità plurale 1823-2023, il volume promosso dall’amministrazione comunale per celebrare il bicentenario del Comune che ricorrerà il prossimo 24 settembre.

Il libro, curato dal professor Claudio Rovai e dall’architetto Gilberto Bedini, con i testi, tra gli altri, di Giovanni Massoni, Sebastiano Micheli e Maria Panattoni, non è un’opera strettamente cronologica, bensì una narrazione corale che intende mettere in luce il percorso culturale e originale di questo giovane comune del territorio, facendo emergere temi, memorie, percorsi di ricerca e di approfondimento, quasi l’inizio di un’ulteriore occasione di studio e di ricerca storiografica.

Il volume ha al centro una comunità nata 200 anni fa, quando, con il decreto ducale del 24 settembre 1823, Maria Luisa di Borbone ne decretò l’origine; il territorio, all’epoca, era decisamente più ampio di quello odierno, dal momento che comprendeva anche le frazioni di Badia Pozzeveri e l’intero comune di Porcari, che si separerà da Capannori nel 1913. Una storia particolare quella raccontata dagli autori dove spicca l’anomala situazione della sede comunale, ospitata per 155 anni nel centro storico di Lucca e che solo nel 1978 ha trovato la sua sede naturale nella frazione capoluogo di Capannori.

Da lì in poi, come si racconta nel libro, prende il via una nuova fase che trova il suo culmine nel decreto del presidente Mattarella del febbraio 2017 con il quale si riconosce a Capannori il titolo di città; una città diffusa e non monocentrica, certamente, ma costruita in poco più di 40 anni attraverso la progressiva realizzazione di un sistema di servizi, di istituzione di poli culturali e di spazi pubblici, di riferimenti unitari che sono la chiave di identità di una comunità distribuita in un territorio di 156 km quadrati.

Il volume è corredato da foto, alcune anche d’epoca, e documenti di archivio, e presenta numerose schede tematiche e ben 12 schede biografiche di personaggi illustri, dall’architetto Lorenzo Nottolini alla santa Gemma Galgani, dal sacerdote e martire della Resistenza don Aldo Mei all’attrice Elena Zareschi, dall’esploratore Carlo Piaggia all’inventore Felice Matteucci, padre, insieme a Eugenio Barsanti, del primo motore a scoppio. Una speciale sezione riporta infine i nomi di tutti gli amministratori del Comune di Capannori dal 1823 al 2023.

Capannori. Una comunità plurale 1823-2023, a cura di Claudio Rovai e Gilberto Bedini, PubliEd, Lucca 2022

141 FCRLmaga zine 22 | 2023

Ferrovie del Messico è un piccolo miracolo letterario: un romanzo ‘letterario’ di oltre ottocento pagine, scritto da un autore che si autodefinisce «dilettante» e pubblicato da una piccola casa editrice indipendente che in un anno scarso di presenza in libreria è arrivato alla tredicesima edizione vendendo oltre venticinquemila copie. Ultima consacrazione, l’inserimento nella dozzina del Premio Strega.

Cose imprevedibili e mirabili accadono anche nell’editoria italiana.

Il romanzo di Griffi merita senza dubbio il successo che sta avendo: Ferrovie del Messico è una festa della narrazione, un tripudio di digressioni e di «giardini dei sentieri che si biforcano», un turbinio di personaggi e storie che l’autore riesce a tenere insieme con grande maestria. È un romanzo-mondo, come molti l’hanno definito, un romanzo-matrioska che contiene tante storie, tanti generi e tante lingue. Un romanzo storico, ma anche una travolgente avventura picaresca, e una girandola di citazioni e riferimenti letterari.

Un romanzo-mondo che, però, si svolge quasi interamente ad Asti, dove prende avvio la vicenda: l’8 febbraio 1944 Francesco ‘Cesco’ Magetti, ventitreenne milite della Guardia nazionale repubblicana, tormentato da un atroce mal di denti e ossessionato dall’idrolitina, riceve dal suo superiore un ordine quanto meno bizzarro: compilare una mappa dettagliata delle ferrovie del Messico. La richiesta suona immediatamente assurda e grottesca, ma arriva dalla Germania e non può essere disattesa.

L’ordine bislacco mette in moto il meccanismo narrativo e Cesco, novello cavaliere alle prese con la sua personale quête, precipita in una spirale di avventure e incontri, alla disperata ricerca della Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en Mexico, libro leggendario che forse esiste o forse no.

Inizia quindi un tortuoso pellegrinaggio, dalla biblioteca al cimitero di San Rocco, dove i cadaveri vengono smaltiti in un bollitore industriale, da un campo di golf al dopolavoro, dai bagni pubblici a Dresda… Lo spazio si frammenta e si ricostruisce, grazie anche agli strampalati personaggi che accompagnano Cesco e che contribuiscono a ricreare un’altra mappa, forse quella del Messico o forse quella degli infiniti labirinti narrativi che il romanzo ci schiude.

I riferimenti, i rimandi e le citazioni sono innumerevoli: Fenoglio e Roberto Bolaño, David Foster Wallace e il Pinocchio di Collodi, Michele Mari e la lettura postmoderna…

Un grande affresco rocambolesco e ironico, disincantato, lirico e grottesco, che celebra la potenza e la meraviglia della narrazione.

Gian Marco Griffi, Ferrovie del Messico, Laurana Editore, Milano 2022

142 FCRLmaga zine 22 | 2023
il potere di narrare, la narrazione al potere

Periodico della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca Referenze fotografiche (con riferimento alle pagine della rivista) Irene Taddei

59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66-67, 68, 69, 70, 72, 73, 106-107, 109, 110, 111, 112, 113, 114-115, 116, 117, 118, 119, 120, 121 Alamy Ltd.: 102 - Annne, Generative AI, Adobe Stock: 124-125 - Archivio fotografico Cassa di Risparmio di Lucca: 10-11 - Archivio fotografico Filiera Futura: 126Archivio fotografico Fondazione Carnevale Viareggio: 94-95, 98, 99, 100, 101 - Mattia Balsamini: 14-15 - Michal Bednarek, Shutterstock: 45 - Laura Casotti e Ilaria Genovesi: 52-53 - Giulio Ciampoltrini: 56, 57, 58 - Marco Ciccolella: 132 - commons.wikimedia.org: 104 - Comune di Capannori: 90, 91 - Comune di Massarosa: 127Mauro De Bettio: 80-81, 82, 85, 86, 87 - Foto Alcide, Lucca: 16, 17, 18-19, 20, 21, 22, 23, 24, 26, 28, 30, 33, 36, 38, 41, 43, 71 - Georg, Generative AI, Adobe Stock: 128-129 - Lucio Ghilardi: 6-7, 8-9, 12-13, 54 - Giovanni Hänninen: 25 - Luca Lupi: 4-5, 26-27 - Paolo Mazzei: 96 (2) - Anacleto Nicoletti: 48, 51 - Caterina Salvi Westbrooke: 97 - Elena Schweitzer, Adobe Stock: 50-51 - Beatrice Speranza 78, 79 - Team Skysurveying Geometri, Rossini, Mungai e Coli: 92 - TensorSpark, Generative AI, Adobe Stock: 122-123 - Video&Video: 88-89, 92, 93 - Andrea Vierucci: 96 (1) - www.openimt.it: 136, 137

Le illustrazioni alle pagine 2, 106, 134, 138 sono state realizzate da Diletta Impresario

La Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, scusandosi anticipatamente per l’involontaria omissione di referenze fotografiche, è disponibile ad assolvere eventuali diritti.

143 FCRLmaga zine 22 | 2023

Periodico della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca Finito di stampare nel mese di giugno 2023 da Tipografia Tommasi

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