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Brancoleria bellezza diffusa
Sin da piccolo ho sentito questo nome e mi sono sempre immaginato un paesino posto su un cucuzzolo, per poi scoprire che di paesini e di cucuzzoli ce ne erano ben più di uno solo… ma nessuno di questi si chiamava Brancoli. Piazza di Brancoli, Pieve di Brancoli e ancora Gignano, Ombreglio, Deccio, Croce, San Lorenzo, San Giusto, Sant’Ilario, tutti ‘di Brancoli’. Ma di una Brancoli ‘capostipite’ nessuna traccia. Chi è o cos’è?
Si sono ipotizzati riferimenti al ‘branco’ di pecore data la natura pastorizia dei primi abitanti, o ancora un richiamo ai sacerdoti romani chiamati Branchidei, devoti ad Apollo, al nome di una famiglia romana fino a ipotizzare l’origine longobarda del toponimo, anche qui in relazione ad una precisa stirpe familiare. Niente di certo dunque, mentre sicura è la collocazione della famigerata Brancoleria. È l’area più montana del comune di Lucca. Si tratta di una sorta di grande anfiteatro naturale che, dalle alture appenniniche prossime alle Pizzorne, digrada verso il fiume Serchio con cui si incontra in località Vinchiana, convergendo nell’omonimo torrente. Da qui si sale appunto per tortuose stradine incrociando una costellazione di piccoli borghi accomunati per storia, indole degli abitanti e antichità delle testimonianze architettoniche.
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La storia
Popolata in origine da etruschi e poi da liguri-apuani, quest’area divenne strategica quando, nel 1594, il Gonfaloniere della Repubblica di Lucca Ferrante Sbarra fece costruire nella parte più alta della vallata una torre comunicante con la città e con il famoso Bargiglio, vero ‘occhio di Lucca’ sopra Borgo a Mozzano. Una funzione che con alterne fortune si protrasse fino al XVIII secolo, quando venne abbandonata per far posto secoli dopo alla Croce posta nel 1900 su progetto di Gaetano Orzali, fatta saltare dai Tedeschi nel 1944 e ripristinata in seguito nel 1958. Tornando a ritroso, è significativo segnalare come durante l’XI secolo i documenti attestano ripetuti soggiorni nella zona di Matilde di Canossa e del vescovo Anselmo da Baggio, divenuto papa col nome di Alessandro II. È allora che viene concesso alla chiesa di San Giorgio di Brancoli il diritto di battesimo, riconducendo sotto la giurisdizione della nuova pieve tutta l’area della valle; viene inoltre istituita una canonica nella vicina San Michele di Tramonte. Ed ecco dunque l’elemento caratterizzante di questo territorio magico a due passi dalla civiltà urbana. La sua pieve e le chiese della zona. Un ecosistema artistico e architettonico unico nel territorio lucchese.
La Pieve di Brancoli
Si scrive Brancoli, si legge Pieve. Il territorio è fortemente identificato nella splendida Pieve di San Giorgio intorno alla quale è sorto l’omonimo paese. Tralasciando la catena di cenni storici, che –tanto per essere precisi – la vedono citata per la prima volta nel 767, della pieve è importante raccontare il suo ‘modo’ imponente e contemporaneamente discreto di interpretare il linguaggio romanico lucchese, tanto da essene considerata da molti uno dei modelli più rappresentativi.

Nella facciata è riconoscibile la suddivisione interna in tre navate, secondo quella trasparenza e identità tra ‘fuori e dentro’ che è cifra lineare del Romanico europeo e che a Lucca trova nella chiesa di Sant’Alessandro un precoce e prestigioso prototipo. Semplice ma non banale, come originale è l’addossamento della torre campanaria al lato sinistro della facciata, prepotente e inusuale. Tralci di vite e figure varie caratterizzano la decorazione dell’arcata d’ingresso. Da notare nella decorazione la figura di un contadino che imbraccia il tipico ‘pennato’ lucchese, probabile rappresentazione di un mese o una stagione dell’anno, e il cosiddetto ‘Brancolino’: una figura umana a mani sollevate in realtà decisamente diffusa in tutta la valle del Serchio, dove è stata alternativamente interpretata come orante o come rappresentazione di Mosè che,


All’interno sono notevoli l’altare maggiore, impreziosito da una colonnina che ritrae un personaggio in abito pontificale e il Crocifisso del XIII secolo che richiama la mano di un Berlinghieri, anche se appare in posa decisamente più drammatica rispetto al modello del Cristo triumphans, cosa che lo colloca verso la fine del XIII secolo. Ma soprattutto il bellissimo ambone sorretto da colonne caratterizzate da capitelli corinzi e lombardi, con l’effige dei quattro Evangelisti. Come spesso accade negli amboni abbiamo anche qui due leoni stilofori, ovvero che sorreggono una colonna, ma nel caso di Brancoli una belva è nell’atto di sopraffare un guerriero, mentre l’altra domina un drago. Quest’ultimo è un classico simbolo di malvagità e peccato, mentre per il guerriero in molti avanzano l’ipotesi che rappresenti il potere temporale, l’Imperatore, contrapposto al papa. Il Leone – va da sé – è Cristo stesso (contro il male) o la Chiesa (contro chi il male perpetra).
Insomma, un capolavoro di tecnica e teologia databile alla fine del XII secolo, che contende il ‘titolo’ di meraviglia della Pieve con la commovente terra invetriata con San Giorgio che uccide il drago attribuita nientemeno che ad Andrea della Robbia, in cui maestria, colore, espressività e potere plastico si fondono in un’ancona raffinata e poderosa.
Ma numerosi sono ancora i ‘pezzi’ pregiati della chiesa, dall’acquasantiera al fonte battesimale, fino all’affresco quattrocentesco attribuito a Giuliano di Simone. Ma spazio al resto della Brancoleria.


Tesori in ordine sparso
Partendo ‘da basso’, San Giusto è il paese meno in altura con l’omonima chiesa che custodisce un tabernacolo dell’ambito di Matteo Civitali e una cantoria seicentesca. Sant’Ilario occupa invece una posizione centrale nella Brancoleria, anche qui con una chiesa eretta nell’Alto Medioevo nei pressi della suggestiva tenuta della villa Sardi. Non lontano abbiamo Piazza di Brancoli con una chiesa romanica che da subito richiama l’impostazione architettonica e la distribuzione degli elementi della pieve, con il campanile prepotentemente addossato al lato sinistro della facciata e interessanti elementi decorativi superstiti dal sapore proto-romanico. Poi abbiamo Ombreglio, nella cui chiesa di San Pietro troviamo una pala con la Madonna, il bambino e i santi opera del 1509 di Michele Angelo di Pietro Membrini, in cui si riconoscono echi pittorici delle creazioni plastiche di Matteo Civitali. Piccolo e bellissimo si erge nella parte più alta il borgo di Deccio, noto per la Vergine del Soccorso custodita nella chiesa di San Frediano, che ispira la suggestiva festa della Madonna del Diavoletto. Una Madonna dall’aspetto arcigno che brandisce un randello tipico dell’iconografia più diffusa, strumento irrinunciabile per ‘battere’ il demonio. A Gignano il patrono è invece San Ginese, altro santo martire, caro ai Longobardi, così come i santi guerrieri. Gli uni e gli altri sono i vari patroni (escluso Frediano, che è santo locale) della Brancoleria che vede appunto radicare nei secoli VIII e IX la prima fondazione delle sue chiese.
Stavamo quasi per dimenticare Tramonte, snodo strategico per l’alto Appennino, Sant’Andrea in Croce, col suo panorama mozzafiato e San Lorenzo in Corte, chiesa scrigno di un’altra bellissima terra robbiana, per avventurarci sino al fascino magnetico del Convento dell’Angelo, realizzato da Lorenzo Nottolini tra 1827 e 1830 in uno stile dai forti echi neoclassici, oggi faro della bassa valle del Serchio individuabile da tutte le posizioni.



Tra leggende e castagne
La Sagra del Balloccioro è qualcosa di più che una festa paesana, incanalando in una moderna convivialità secoli di tradizione che hanno legato l’economia alimentare della zona alla raccolta e alla conservazione delle preziose castagne. Una storia fatta di stagioni, di metati e molini per ricavare la farina, che si intreccia con le immagini, nitide nelle menti dei nostri nonni, delle lunghe serate ‘a veglia’, in cui uomini e donne dalla memoria elefantiaca declamavano a memoria l’Orlando Furioso e l’Iliade, inframmezzando all’epica antica qualche storiella locale. Un sottobosco di miti e leggende che profuma di muschio e piccoli insegnamenti o avvertimenti. A Deccio si raccontava degli Streghi che ballavano tra gli alberi e in tutta la Brancoleria si diffondevano narrazioni che, tra sacro e profano, mescolavano personaggi della Bibbia con altre figure mitologiche, o ancora si fantasticava di strane leggende legate al Castello di Cotrozzo, situato su monte Pittone. Racconti di un tempo che scorreva più lentamente, ma di cui ancora si sentono rintocchi placidi e rallentati per la strada che da Vinchiana sale alla Croce.






Elena Aiello
Agricoltura, alimentare, ambiente: dal territorio con amore
Il progetto SMAQ
Nasce nel 2022 il progetto SMAQ (Strategie di marketing per l’Agroalimentare di qualità) costituito da una community locale di aziende pilota, con elevata propensione all’innovazione, al fine di far crescere la padronanza degli strumenti di comunicazione digitale attraverso specifici moduli formativi, pensati in base alle caratteristiche del luogo e alle esigenze delle aziende e del mercato di riferimento.

Nel maggio 2022 è stato individuato in Fondazione Campus il partner scientifico-operativo tramite il quale realizzare SMAQ, fermi restando la supervisione e il costante monitoraggio della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.
Al fine di portare avanti il percorso sono state individuate le figure del Project Manager (attraverso selezione diretta) e di due Digital Ambassador (tramite bando pubblico).
Protagoniste di SMAQ sono le eccellenze nostrane, dal Frantoio di Massarosa, la cui particolarità è la lavorazione delle olive a ‘due fasi’, alla Tenuta Mariani, specializzata nella produzione di vino e olio EVO biologici, a Oligea che si caratterizza, tra le altre, per la trasformazione in olii essenziali dell’eucalipto bio coltivato dalla Versil Green; non mancano le eccellenze artigiane come Bambuseto per la coltivazione del bambù; Floricoltura Giannini per le piante acquatiche; le aziende agricole La lavanda di Massarosa e Za’faran per la coltivazione, rispettivamente, della lavanda e dello zafferano; Il Paese delle Meraviglie, azienda fondata e gestita da giovani, specializzata nell’allevamento di cavalli e recupero di ex cavalli da corsa altrimenti destinati al macello; infine l’Apiario di Daniele Cairone e Il Giardino di Manipura, una fattoria didattica a agri-ludoteca, facente parte delle fattorie didattiche della Toscana. L’operazione di Digital Assesment ha evidenziato una realtà molto eterogenea, composta da aziende con vari gradi di competenza digitale: da quelle già dotate di una buona strategia digitale, con discreta presenza sui social, buona conoscenza dell’e-commerce, una certa frequenza nell’aggiornamento del sito a quelle con maggiori difficoltà e ritardi sul versante della comunicazione/promozione digitale, quasi sempre per mancanza di tempo e/o di soggetti dedicati (spesso gli aspetti digitali sono direttamente gestiti dal titolare o da un familiare). Tutte le aziende aderenti hanno tuttavia condiviso l’importanza della crescita e del perfezionamento digitali, consapevoli della necessità di essere accompagnate e stimolate in questo percorso possibilmente da figure professionali di giovane età.

A gennaio 2023 è così partita la seconda fase del progetto, vale a dire il corso di formazione approntato con la consulenza di docenti dell’Università di Pisa e suddiviso in 5 moduli da 8 ore, che mira ad incrementare le conoscenze di base, sviluppare la capacità di analisi strategica e aiutare il processo di adozione degli strumenti digitali per la valorizzazione dei prodotti/servizi offerti; particolare attenzione e approfondimento vengono riservati anche allo sviluppo della tracciabilità: oggi il digitale rappresenta una risorsa ‘innovativa’ per l’automazione delle procedure, l’elaborazione dei dati e soprattutto la condivisione e comunicazione efficace verso il consumatore finale sempre più sensibile ed interessato alle informazioni sul prodotto, la sua origine, i processi e quindi la qualità.
Concluso il percorso formativo, è prevista un’attività di accompagnamento personalizzata per gruppi di imprese caratterizzate da dimensioni e modelli di business simili, ai fini del raggiungimento di una concreta competenza digitale mirata all’ottimizzazione dell’operatività quotidiana e al complessivo miglioramento di competitività sul mercato.

Nel maggio 2020 la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca è tra i soci fondatori di Filiera Futura, un’associazione che ha lo scopo d’incentivare, raccogliere e portare a compimento progetti condivisi nel settore agroalimentare, proponendosi di interloquire con Istituzioni, Imprese e realtà della filiera agroalimentare, incrementando le opportunità di accesso ai fondi regionali, nazionali o europei.
L’associazione, che ha sede a Pollenzo presso l’Università di Scienze Gastronomiche, conta attualmente una rete di oltre venti soci costituita da Fondazioni di origine bancaria (tra cui Cuneo, Genova e Imperia, Fabriano e Cupramontana, Gorizia, Volterra, Friuli, Bielle, Jesi, Viterbo, Padova e Rovigo, Bolzano, Torino, Cariverona, Fondazione con il Sud), atenei (oltre all’Università di Pollenzo ne fanno parte anche l’Università di Udine e il Politecnico di Torino), associazioni di categoria, quali Coldiretti e Confartigianato Imprese.
Nel concorrere alla fondazione dell’associazione, la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha espresso anche la figura di uno dei due vicepresidenti, nella persona di Elena Giannini, componente altresì del Consiglio Direttivo.
Filiera Futura si propone, in particolare, di incentivare e sostenere:
• la costruzione e ricostruzione, ove necessario, delle filiere produttive integrate nei territori marginali;
• i prodotti di qualità, tradizionali e locali, nei processi di valorizzazione commerciale e di riconoscibilità, anche per il tramite di appositi percorsi di tracciabilità;
• la produzione sostenibile e la relativa attività di distribuzione;
• la formazione degli operatori e le attività finalizzate a dare concreto avvio a start-up nel settore agroalimentare;
• ogni altra attività e progetto, ritenuti meritevoli, nel campo dell’innovazione agro-alimentare
‘La via delle erbe e dei fiori’ è un viaggio nella natura del territorio di Massarosa, un percorso per ogni stagione che mira alla valorizzazione dell’area di Massarosa-Massaciuccoli: marketing territoriale, economia sostenibile, rapporto virtuoso tra le filiere del territorio, il cibo e il turismo.

Cinque chilometri di bellezza, a piedi o in bici, dal centro del paese, attraverso strade bianche o secondarie, passando per aziende agricole e florovivaistiche, con l’occasione di visitare le loro spettacolari coltivazioni e assaporare i prodotti locali di propria produzione, con possibilità di acquistarli. Il tutto tra piantagioni di lavanda, eucalipto e piante officinali, uliveti, vigneti, pescheti e terreni coltivati con luppolo, girasoli, zafferano, orzo e grano fino a giungere alla più grande coltivazione di fiori di loto d’Europa.

Il 2022 ha visto, tra l’altro, quattro nuovi percorsi tra i paesaggi del Lago di Massaciuccoli, passando per un giardino dal sapore zen con pagoda galleggiante, un allevamento di alpaca e la storica Brilla, e ancora dalle rovine di Massaciuccoli Romana fino all’Oasi naturalistica Lipu.
C’è un mondo intero qui, reso possibile da una sinergia tra aziende agricole e attività della ristorazione. Un mondo che trova momento di grande visibilità nel mese di giugno, con quattro giorni di festa nella campagna massarosese con aperture straordinarie delle aziende agricole e visite alle spettacolari fioriture accompagnate da un ricco calendario di eventi per tutta la famiglia con passeggiate guidate, escursioni sul lago, aree relax, mostre, laboratori e attività tra natura, enogastronomia, arte e avventura.

Donatella Turri