rivista della fondazione cassa di risparmio di lucca
rivista della fondazione cassa di risparmio di lucca
Iscrizione al registro stampa del Tribunale di Lucca n. 1/20 del 17 gennaio 2020
Maria Teresa Perelli direttore
Andrea Salani direttore responsabile Comitato di redazione
Maria Teresa Perelli, Andrea Salani
consulenza editoriale
Publied – Editore in Lucca
progetto grafico e impaginazione
Marco Riccucci
hanno collaborato a questo numero
Giulia Alberigi, Paolo Bolpagni, Piera De Luca, Barbara Ghiselli, Brunella Menchini, Enrico Pace, Maria Teresa Perelli, Valentina Picchi, Giulia Prete, Andrea Salani, Giulio Sensi
cultura ancora CULTURA
4 Made in Italy
12 Storie di terre, storie di persone
24 Rigenerazione urbana fronte mare
33 Lectures «fuori dal coro»
36 Il racconto del San Francesco a dodici anni dal resturo
Mondo FONDAZIONE
44 Numeri che parlano al futuro
IerI oggi DOMANI
50 ‘Sostenibili’ dal mare alla montagna: la Fondazione al fianco del tessuto produttivo
socIal NETWORK
58 Giovani, tocca ‘veramente’ a voi
66 Un cavallo pieno di dignità
72 Viareggio Cup: i futuri campioni passano ancora da qui
un noMe un volto UNA STORIA
78 Pasquale Mariani, pioniere della fotografia amatoriale in Garfagnana
pIccolo è BELLO
84 Quando non serve essere grandi per essere straordinari
Se il futuro è una costruzione del presente, va da sé che la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, con il rinnovo del suo Consiglio di Amministrazione, apre un nuovo capitolo della sua storia che, nelle premesse, pare presentarsi come un equilibrato mix di continuità e innovazione.
Una Fondazione che si ritroverà, da gennaio 2026, rinnovata in tutta la sua governance, dato che anche l’Organo di indirizzo si avvicina alla propria scadenza. Comunicazioni istituzionali, queste, necessarie per interpretare questo momento di transizione che vedrà l’Ente comunque impegnato su tutti i fronti aperti in questi ultimi anni, di cui questo Magazine vuole essere una panoramica, di certo parziale, ma – riteniamo – sufficientemente esplicativa.
Anche in questo semestre infatti abbiamo raccontato la bellezza di piccoli borghi, parlato delle novità sul fronte del protagonismo giovanile, restituito il potere comunicativo di eventi che mettono sullo stesso piano intrattenimento, conoscenza e messaggi sociali profondi e importanti.
Questa rivista, come sempre, ci fa viaggiare ai quattro angoli della provincia, che è in ogni sua parte al centro di progettualità volte a migliorare la qualità della vita di comunità e singole persone. Talvolta attraverso iniziative specifiche, altre volte con programmazioni di sistema che riguardino ‘l’utenza’ più ampia possibile.
Sempre secondo priorità e indirizzi individuati tramite l’insostituibile strumento dell’ascolto.
Maria Teresa Perelli
La mostra della
Fondazione Ragghianti
indaga la nascita del mito del
Made in Italy, tra Italia e Stati Uniti, negli anni del dopoguerra
Paolo Bolpagni
Made in Italy
2.
Fino al 29 giugno è allestita, negli spazi espositivi al primo piano del Complesso monumentale di San Micheletto a Lucca, la nuova mostra della Fondazione Ragghianti, Made in Italy. Destinazione America 1945-1954: realizzata con il sostegno essenziale della Fondazione Cassa di Risparmio, il contributo di Toscana Aeroporti, il supporto di Banco BPM, la partnership di Ars Movendi e numerosi prestigiosi patrocini istituzionali, fra cui quello del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, è un viaggio nell’arte, nel design, nella moda e nell’artigianato italiani del dopoguerra.
Il punto di partenza è tutto ragghiantiano: il 2 dicembre 1947 fu inaugurata, nella sede della House of Italian Handicraft a New York, la mostra Handicraft as a fine art in Italy: una realizzazione della CADMA, la Commissione Assistenza Distribuzione Materiali Artigianato, nata nel 1945 con sede a Firenze, e presieduta proprio dal grande studioso lucchese, che scrisse il testo introduttivo per il piccolo ma prezioso catalogo che accompagnava la rassegna, impaginato niente meno che da Bruno Munari. In un’Italia sconfitta e distrutta dal conflitto bellico, egli ebbe, con lucidità impressionante, l’intuizione e la lungimiranza di promuovere eventi finalizzati a ridestare l’interesse per la nostra produzione artistica e artigianale nel mondo. Enorme, insomma, fu il suo contributo, non soltanto culturale, ma anche progettuale e politico, alla rinascita nazionale.
Da questo spunto e da più generali considerazioni deriva Made in Italy. Destinazione America 1945-1954. La mostra, curata da Paola Cordera e Davide Turrini, affiancati da un comitato scientifico internazionale (composto da Raffaele Bedarida, Marianne Lamonaca, Liz St. George, Salvador Salort-Pons e Lucia Savi), indaga un contesto storico caratterizzato dal Piano Marshall e dall’avvio della guerra fredda, e, documentando l’evoluzione della produzione artistica, artigianale e industriale del nostro Paese negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, evidenzia
1. Marcello Nizzoli, Giuseppe Beccio, Macchina per scrivere portatile «Lettera 22» per Olivetti, 1950, scocca metallica con apparati meccanici, plastica e gomma, Milano, Fondazione La Triennale di Milano
Salvatore Ferragamo, Stivaletto, 1948, merletto ad ago di Tavarnelle, Firenze, Museo Ferragamo
3. Colombo Sanguineti, Sedia Modello CH 1017, anni ’50, legno e trafilato di paglia d’India, Chiavari, Linea Gallery
l’importanza del rapporto con gli Stati Uniti nel favorire lo sviluppo e la promozione del designed and made in Italy, anzi la nascita di un autentico mito. Dai vetri Venini alle ceramiche di Gio Ponti e Lucio Fontana, passando per le calzature di Salvatore Ferragamo, i mosaici di Gino Severini e le mattonelle di Giuseppe Capogrossi, è raccontato con taglio interdisciplinare un periodo di intenso fermento e di rilancio globale dell’Italia. Una narrazione realizzata attraverso opere pittoriche, scultoree e grafiche, oggetti d’arte applicata e di design, accessori di moda, disegni di allestimenti, documentazioni di varia natura e manifesti d’epoca, prestati dal Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso.
Mediante l’impegno di enti come la CADMA, la CNA (Compagnia Nazionale Artigiana) e la Handicraft Development Inc. furono allora organizzate iniziative di grande rilevanza per la diffusione dei prodotti italiani negli Stati Uniti, che sono in parte ricostruite nelle sale della Fondazione Ragghianti: le mostre alla House of Italian Handicraft (1947-1956), l’esposizione Italy at Work. Her Renaissance in Design Today, itinerante in dodici città americane tra il
1950 e il 1953, e le rassegne commerciali ospitate in prestigiosi stores, come Macy’s e Kauffmann.
Grazie anche al contributo di Carlo Ludovico Ragghianti, nacquero le condizioni per la valorizzazione della nostra capacità progettuale, creativa e produttiva, ponendo le basi della rinascita post-bellica. È così rievocato un momento cruciale per la promozione del Made in Italy nel mondo, sottolineando l’importanza del ‘saper fare’ degli Italiani e delle relazioni fra arte e design La mostra, con allestimento di Uliva Velo, è accompagnata da un catalogo bilingue, in italiano e inglese, che si articola in un nucleo iniziale di saggi scientifici (di Paola Cordera, Sandra Costa, Davide Turrini, Alessandra Vaccari e del sottoscritto), che approfondiscono i contenuti e le dinamiche espositive adottate nel dopoguerra per promuovere la nuova cultura progettuale italiana all’estero, da un’ampia sezione iconografica e, in chiusura, dai testi di approfondimento di Antonio Aiello, Manuel Barrese, Sandra Coppola, Ali Filippini, Lisa Hockemeyer, Lucia Mannini, Simone Rossi, Oliva Rucellai, Mauro Stocco ed Elisabetta Trincherini, dedicati alle opere d’arte, ai
4. Carlo Mollino, Tavolo «Arabesco», 1950, compensato di acero, vetro e ottone, Weil am Rhein, Vitra Design Museum
5. Vaso con gocce colorate in vetro verde di Empoli, anni ’50, Prato, Collezione Benvenuti
6. Gio Ponti, Fumagalli-Prada, Mano con frutta, proveniente dalla nave Oceania (già di proprietà della Società Italia Navigazione), 1951, terracotta smaltata, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
8. Fabrizio Clerici, Bozzetto per l’atto III, scena I dell’«Armida» di Jean-Baptiste Lully, 1950, matita e tempera su cartone, Firenze, Archivio storico della Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino
9. Federico Carfagni, Ricostruzione europea ERP, 1947, riproduzione fotomeccanica su carta, Treviso, Museo Nazionale Collezione Salce, Direzione Regionale Musei del Veneto, su concessione del Ministero della Cultura
mobili, ai complementi d’arredo, alle ceramiche, ai vetri di Murano e di Empoli, agli smalti, agli abiti, agli accessori, ai gioielli, ai tessuti, ai ricami, ai giocattoli, all’industrial design e agli interni d’autore.
Anche attraverso un ricco repertorio di materiali d’archivio, la mostra offre una nuova prospettiva sugli oggetti iconici di quel periodo e sui loro esemplari conservati nei musei (si pensi all’avveniristico tavolo Arabesco di Carlo Mollino, concesso in prestito dal Vitra Design Museum di Weil am Rhein in Germania), affrontando temi come le relazioni culturali tra l’Italia e gli Stati Uniti nel dopoguerra, le reti internazionali che coinvolsero politici, critici, artisti e designers di spicco, nonché la storia di eccellenze manifatturiere, alcune delle quali tuttora in attività.
foto di Irene Taddei
STORIE DI TERRE STORIE DI PERSONE
Giulia Prete
Quaranta candeline per il Museo del Castagno di Colognora, luogo della memoria di un territorio ricco di suggestioni. Angelo, con i capelli ormai scoloriti dal tempo, sfoglia con emozione le sue pubblicazioni, perdutamente innamorato non solo del Museo che ha custodito con instancabile dedizione per oltre quarant’anni, ma anche della sua Colognora: un piccolo borgo quattrocentesco nel Comune di Pescaglia, dove il tempo pare essersi fermato.
La storia del Museo del Castagno è semplice, eppure capace di sorprendere e di commuovere: nato nel 1985 grazie all’iniziativa di un gruppo di volenterosi e a una scoperta sensazionale, rappre-
senta oggi un autentico testimone della storia socio-culturale ed economica della nostra comunità, riconosciuto anche dall’UNESCO.
Nel corso degli anni, il Museo ha avuto un ruolo chiave nella conservazione e nella trasmissione dei saperi legati agli antichi mestieri contadini.
Dedicare uno spazio così prestigioso a questo albero è stato quasi un atto dovuto per il nostro territorio: il castagno, infatti, non è soltanto una bellissima pianta dai frutti buoni e nutrienti, ma una risorsa essenziale che ha sostenuto per secoli la vita economica locale. Oggi, anche motore di turismo e oggetto di studio.
La scoperta
Un giorno, Angelo fu convocato da monsignor Ghilarducci. «Te che ami tanto Colognora, guarda un po’ cosa ti ho trovato…», gli disse. Lui non ci poté credere: nell’archivio arcivescovile di Lucca era stata ritrovata una pergamena risalente all’anno 828, oggi considerata il più antico documento relativo alla coltivazione del castagno a scopo alimentare. Fu proprio questo ritrovamento, straordinario per il suo valore storico e simbolico – e per il fatto che riguardasse direttamente il borgo di Colognora – a ispirare in Angelo l’idea di creare un vero e proprio museo interamente dedicato a questo dono delle montagne.
Se gli antichi abitanti avevano superato guerre e fame grazie alla castagna, il museo non poteva che essere dedicato proprio a questa pianta.
I locali del Museo
La comunità intera si mise al lavoro per recuperare ogni oggetto legato alla civiltà contadina e alla cultura del castagno. Ma serviva un luogo in cui conservare e valorizzare questo patrimonio. Dopo la morte del parroco don Gino Bachini, la canonica del paese era rimasta inutilizzata. Con l’arrivo in paese di don Giuseppe Ghilarducci, lo stabile fu affidato ai paesani per ospitare il nascente
museo. L’impresa fu tutt’altro che semplice: i locali, provati dal tempo e dall’umidità, necessitavano di importanti lavori di restauro, resi possibili grazie al contributo di enti e istituzioni, tra cui la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.
Il Museo
Oggi, a quarant’anni dalla sua inaugurazione, il Museo vanta una collezione di pezzi unici. Appena varcata la soglia, chi entra lascia alle spalle il tempo: vecchi tini, paioli di rame, mestoli, bigonce e attrezzi per la lavorazione del legno – pensate – già utilizzati al tempo degli Etruschi. Oggetti e tempi scanditi dalle stagioni e dalle pratiche del passato, che continuano a parlarci nel presente.
Il Museo, a ingresso gratuito e gestito dai volontari dell’Associazione paesana di Colognora, si articola in due sezioni principali. La prima, dedicata all’uso del legno, offre laboratori tematici e approfondimenti sui mestieri tradizionali: il falegname, il bigongiaio, il cestaio. Tra i pezzi più preziosi, spiccano un tornio ‘a pertica’ o ‘a frusta’ di circa 250 anni fa e una sega a telaio, usata già nell’antichità. La seconda, la più amata dai visitatori, esplora l’uso alimentare della castagna. Una narrazione unica nel suo genere in Italia, che attraverso gli attrezzi racconta ogni fase della lavorazione: dall’innesto e potatura degli alberi alla raccolta, essiccazione, battitura, molitura, fino alla trasformazione in farina.
Il percorso si completa con una visita al metato (essiccatoio per le castagne), alla carbonaia e alla capanna di paglia, disseminati tra il borgo e i suoi dintorni.
Le collaborazioni
Il Museo del Castagno è un luogo vivo, animato da visitatori di ogni età, in particolare dalle scuole del territorio. Ospita ed è ospite di convegni, mantiene rapporti con università, accademie, associazioni e istituzioni culturali.
Da numerosi anni, il Museo ha stretto gemellaggi e patti di amicizia con importanti realtà europee: il Museo del Castagno di Joyeuse (Ardèche, Francia), gli amici del castagno di Antraigues e quelli di Pfaffenheim, in Alsazia, il cui vicesindaco è ormai ospite fisso delle celebrazioni annuali a Colognora.
Tra cinema e televisione
Il borgo e il suo museo, unico e dal valore inestimabile, sono stati protagonisti di documentari locali e nazionali, apparendo anche in celebri trasmissioni televisive come Geo su Rai3. Un luogo che unisce passato e presente, radici e futuro: Colognora è stata scelta persino dal regista Spike Lee per alcune scene del film Miracolo a Sant’Anna, ambientato sulle colline lucchesi durante la Seconda guerra mondiale.
Un omaggio alla musica
Più recente, ma non meno importante, l’allestimento di una sala museo – la prima al mondo – dedicata al musicista lucchese Alfredo Catalani, la cui famiglia era proprio originaria di Colognora. Pezzi unici che sono stati donati al comitato paesano da ogni angolo del mondo.
Un pezzo di cuore
«Il castagno in passato è stato definito “l’albero del pane”, ma per me è sempre stato “l’albero della vita” – racconta Angelo Frati, oggi presidente del Museo – mi ha dato tante soddisfazioni, gli ho dedicato una vita intera. Mi auguro che i giovani si interessino di più agli antichi mestieri e a realtà come questa. A luglio, per i quarant’anni del Museo, faremo una grande festa. E spero, con tutto il cuore, di essere qui anche per il cinquantesimo».
«Il primo incontro con la città l’avemmo, quando arrivammo dalla strada di Camaiore a Marco Polo sui viali a Mare, ci colpì un singolare, surreale spettacolo.
Sull’asfalto dei viali, scarsamente calpestati nei mesi dell’evacuazione della città, erano cresciuti i girasoli.
Gli edifici erano depredati e devastati cosicché dalle grandi vetrate e finestre distrutte passava luce solare e si intravedeva, talora, il cielo e un accenno di mare. Entrambi così, viventi, in un quadro metafisico di Giorgio De Chirico.
Una strana, sospesa, silente immobilità dava la perturbante sensazione che il tempo si fosse fermato, come se tutto si fosse arrestato in quell’immagine rarefatta.
Poi di nuovo tornò la vita e la coraggiosa volontà di rinascita e la storia degli uomini e delle donne, di nuovo cominciò a ritessere l’eterna tela della vita».
Giovanni Pieraccini
Brunella Menchini
Rigenerazione urbana fronte mare
La Terrazza della Repubblica è oggi sempre più uno spettacolo a cielo aperto, in cui il dialogo tra la Città Giardino di Viareggio e il mare trovano un elemento di connessione tra arte e buon vivere.
foto di Irene Taddei
Si entra a Viareggio in molti modi: la città accoglie turisti e cittadini a seconda dei tempi e degli scopi. In treno: stormi di ragazzi che sciamano dalla stazione, pallone in mano e zaini in spalla, verso la Passeggiata lungo una via Mazzini inondata dal sole. Dalla zona industriale, velocemente scendendo dall’Aurelia: uscita Cotone e poi subito la Darsena e i suoi cantieri. In centro: gli uffici, i negozi e le vie ortogonali col mare che si intuisce in fondo ad ogni incrocio; mai visto, solo percepito. Dal porto, respiro che spazia aperto, le apuane a perpendicolo, il molo che accoglie, un paio di scossoni in entrata e dopo le acque rinchiuse, ritagliate dagli approdi. E poi c’è la Terrazza della Repubblica, tempo sospeso di vacanze e profumo di liquirizia che al mattino odora dalle piante di camuciolo lungo le aiuole che ancora portano i segni di un recentissimo rifacimento. I sassi sono bianchi, l’irrigazione perfetta, la pavimentazione è in travertino coi disegni dai colori tenui: simulazione di onde, spiaggia e vele in un percorso rettilineo e rialzato che accompagna chi, dalla Fossa dell’Abate, voglia fare una passeggiata fino al Principino, e viceversa. Al centro piazza Zara, che arriva quando non te l’aspetti: le panchine, la fontana, l’affaccio sul mare. Il riposo di un secondo prima di continuare il cammino. In totale 22mila metri quadrati di superficie, per due chilometri e 200 metri lineari. In euro, oltre sei milioni di investimento, per una delle opere pubbliche più importanti dell’Amministrazione Del Ghingaro, realizzata anche grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.
Il rifacimento della Terrazza è un lavoro lungo e articolato, che parte dal 2018, con la prima realizzazione dei sottoservizi, illuminazione, fibra ottica, elettricità. Ma anche acquedotto e fognature. Il progetto definitivo viene approvato nel giugno del 2019, successivamente viene elaborato il progetto esecutivo. Il 3 agosto 2020 viene indetta la gara pubblica propedeutica alla completa riqualificazione: i lavori prevedono la sostituzione delle pavimentazioni, l’adeguamento della pista ciclabile e la sistemazione degli spazi a verde.
Ma partiamo dall’inizio, anzi da prima. Da quando, nel 1927 la realizzazione del ponte sulla Fossa dell’Abate dà il via alla progettazione del ‘quartiere a nord’.
Il Comune di Viareggio acquista dal Demanio Marittimo i terreni tra la via Marco Polo fino alla Fossa dell’Abate, ancora coperti dalla pineta, con Delibera di Consiglio Comunale del 27 marzo 1920. Sempre nel 1920, il 27 marzo, con Delibera di Consiglio Comunale n. 29, viene approvato il nuovo piano regolatore relativo agli arenili compresi tra il Canale Burlamacca e la Fossa dell’Abate il cui obiettivo e quello di provvedere alla sostituzione di edifici fatiscenti in pessime condizioni igienico-sanitarie con altri di nuova concezione che tutelino il decoro urbano.
Siamo in piena epoca fascista (1932-1942) quando all’architetto fiorentino Raffaello Brizzi viene affidato l’incarico per la redazione di un nuovo piano urbanistico che comprende anche l’area del quartiere Littorio su cui si deve realizzare la Terrazza Ciano. Nel 1938 giunge a Viareggio una speciale Commissione ministeriale, inviata dal Ministero dell’Educazione Nazionale, composta dai commissari Gustavo Giovannini, Marcello Piacentini e Arturo Dazzi in qualità di membri della «Consulta per la Tutela delle Bellezze Naturali» del Ministero, con lo scopo di vagliare le proposte che si andavano susseguendo per l’espansione di Viareggio verso nord al fine di tutelare le pinete e affinché non venissero modificati i caratteri ambientali dell’area. I risultati della visita saranno
sottoposti all’approvazione della speciale Consulta ministeriale presieduta da S.E. Bottai che esamina «tre progetti di sistemazione: uno dell’Ufficio Tecnico Comunale; uno della Direzione del Piano Regolatore, cioè dell’architetto Brizzi, e un terzo del Consorzio Stabilimenti Balneari di Viareggio, progetto dell’ingegnere Leonzi. Il progetto scelto è quello dell’ingegnere Leonzi e consiste nella realizzazione della terrazza Ciano rialzata rispetto alla quota stradale e nell’inserimento di una doppia viabilità con al centro un’area a parcheggio.
La terrazza Ciano trova compimento nel 1939: il Regime fascista, si legge in un documento di sintesi conservato nell’archivio storico, spende 2.263.000 lire per il Lungomare Littorio, 246.000 lire per condutture di acquedotto nei nuovi quartieri a nord della citta e 317.000 lire di nuove strade nella citta giardino.
Il Consiglio Comunale di Viareggio approva in data 7 febbraio 1942 il piano regolatore relativo alla zona a nord della via Marco Polo. Tra le opere prioritarie c’è la costruzione di un nuovo quartiere che, sebbene caratterizzato da indici di fabbricabilità molto elevati e privo di giardini, viene denominato «citta giardino». Un intervento sul quale si esprimono in modo polemico molti intellettuali dell’epoca. Scrive tra gli altri Mario Tobino: «abbiamo persino visto sterminare la pineta più bella della nostra infanzia, più misteriosa di resine, quella che dal Marco Polo andava alla Fossa. E oggi, la dove vivevano umidi sentieri, vergineo muschio, chiome di pini cullate dalla brezza, la musica dei loro aghi in accordo col tremolio della marina, affannano rachitici grattacieli con terrazzi uguali a deformati portasaponi, le pareti colorate di caramella».
Negli anni Quaranta Viareggio ha ormai un’immagine consolidata come meta turistica: il culto del corpo, dello sport, la moda dei bagni di sole con le ragazze in costume sono promosse dalla propaganda fascista nelle località balneari che si estendono, quasi senza soluzione di continuità fino a Marina di Carrara. Tuttavia, la guerra impone lo smantellamento degli stabilimenti balneari, salvo in qualche raro caso nel quale alcuni vagoni di cabine sono utilizzati come dormitori.
Solo nel 1946 si da inizio alla ricostruzione degli stabilimenti balneari secondo i vecchi piani urbanistici e siamo nel 1951 quando il Comune di Viareggio si accorda, per la vendita del quadrilatero compreso tra le aree fra Villa Blanc e la Fossa dell’Abate e tra viale Carducci e viale Buonarroti, con la Società Citta Giardino spa dell’ingegnere Barbetta, che da contratto deve farsi carico, tra gli altri interventi, anche della ricostruzione della terrazza a mare distrutta dalla guerra. Barbetta restituisce l’aspetto attuale della Terrazza, nel frattempo non più Ciano ma ‘della Repubblica’, caratterizzata da ampie aiuole mistilinee e la pavimentazione in marmette spezzate di travertino.
Con un salto temporale arriviamo alla fine degli anni Novanta: l’Amministrazione comunale di Viareggio incarica l’architetto Richard Rogers, in collaborazione con l’architetto Alessandro Rizzo, della redazione di un piano particolareggiato per la Passeggiata. Nel progetto la Terrazza della Repubblica viene pensata come un grande spazio verde attrezzato per attività ludiche e sportive, con giochi d’acqua e sculture interattive. Tuttavia, il piano Rogers, precursore di tante tematiche attualmente all’ordine del giorno, non ha mai avuto attuazione: il tratto dalla piazza Mazzini alla via Marco Polo e quello dalla via Marco polo alla Fossa dell’Abate sono state oggetto negli anni di sola manutenzione ordinaria. Dobbiamo arrivare fino al 2015, con l’Amministrazione Del Ghingaro, per avere un progetto di riqualificazione integrale della Terrazza della Repubblica.
Per capire come si è arrivati alla stesura del progetto è illuminante la relazione dell’Architetto incaricato, Stefano Dini: «La prima decisione per poter ripensare la pavimentazione della terrazza e stata la rilettura del disegno esistente delle aiuole che ha una coerenza d’insieme e richiama l’impianto urbano della “Citta-giardino”, dalla trama stradale che rompe il rigido schema ortogonale, che regola tutto il tessuto urbano di Viareggio. La ricerca dei riferimenti progettuali si e poi estesa alle altre espressioni artistiche del periodo: pittura, grafica, scultura, sia in ambito locale che a li-
vello internazionale. Il progetto complessivo ha indiscutibili assonanze nei tratti irregolari con interventi coevi di scuola modernista, con le sistemazioni paesaggistiche di Roberto Burle Marx e dei suoi numerosi allievi, qui il concetto di opera d’arte totale si realizza nel disegno del costruito e del verde, si fondono realizzando un disegno del paesaggio espressione della cultura figurativa contemporanea».
Sintetizzando il progetto prevede la ‘ricucitura’ del disegno della terrazza prendendo come tracce generatrici della trama della pavimentazione i profili spezzati delle aiuole, che si proiettano verso l’arenile fino a perdersi nel profilo curvilineo della pavimentazione sul lato mare, che richiama la presenza della battigia nascosta dal succedersi degli stabilimenti balneari e delle loro pertinenze. Ne emerge lo svolgersi di un lungo spartito leggibile dall’alto degli edifici e nelle riprese satellitari ormai strumenti quotidiani di conoscenza: come del resto e la storia, che quando vi siamo immersi e difficile da comprendere, ma diventa più chiara e comprensibile prendendone le distanze. Il materiale scelto è il travertino, che, oltre ad un riferimento diretto con la struttura esistente e con la tradizione costruttiva di Viareggio, propone un disegno dai toni morbidi, dove le geometrie sono tutte giocate sul contrasto della palladiana chiara e scura, con inserti di rosso, marmo bianco e granito nero. Il profilo curvi-
lineo di una spiaggia bruna, ancora in travertino color noce, conclude la composizione sul fronte mare e interagisce con le architetture dei prospetti dei bagni, diventando supporto ordinatore di tutti gli elementi.
Piazza Zara e l’episodio architettonico centrale di tutta la composizione e il terminale visivo di viale Zara che, costeggiando il bordo nord della pineta di Ponente si apre verso il mare, ma e anche lo spazio che ha maggiormente subito le trasformazioni degli anni recenti, che ne hanno chiuso la vista sull’orizzonte, privandolo del suo significato originale di terrazza panoramica. Il disegno delle pavimentazioni riproporrà anche qui i temi compositivi e geometrici che caratterizzano tutta la passeggiata, senza soluzione di continuità con quanto realizzato e mantenendo il segno ordinatore dell’onda che percorre tutto il camminamento. Le aiuole saranno disposte simmetricamente attorno alla fontana circolare, mentre i percorsi saranno pavimentati portandoli in quota con i tappeti verdi delle aiuole, in modo da esaltare l’astrazione del quadrato centrale dal contesto. I lavori alla piazza sono ancora in corso e si prevede di ultimarli in vista dell’estate.
Andrea Salani
Lectures «fuori dal coro»
Terza edizione per gli incontri dedicati all’archeologo lucchese Silvio Ferri, tra antichità, storia e nuovi orizzonti
Un archeologo fuori dal coro
La brillante carriera di Silvio Ferri si mosse tra ricerca e insegnamento. Protagonista della grande missione archeologica italiana a Cirene tra il 1920 ed il 1925, fu ispettore alla Soprintendenza agli Scavi di Reggio Calabria dal 1927 al 1931. Dopo essere stato insegnante di lettere latine e greche nei Licei, ottenne la cattedra di Archeologia presso l’Università di Palermo a partire dal 1940 e successivamente divenne Professore di Archeologia e Storia dell’Arte Classica presso l’Università di Pisa dal 1946 fino al 1966. Diventò Accademico dei Lincei nel 1962 e ricoprì il ruolo di presidente dell’Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti dal 1958 al 1978.
Uno studioso acuto e straordinariamente innovativo che si distinse anche per etica civile e coraggio: se ne ricorda volentieri il ruolo fondamentale che svolse in piena guerra mondiale, nel 1943, a favore della popolazione della Valle del Serchio. Grazie alla conoscenza della lingua tedesca evitò rappresaglie nei confronti delle donne e dei bambini di Valdottavo e, di fatto, riuscì a mediare per salvare Partigliano dalla furia dei nazisti.
Nate con l’intento di esplorare sguardi innovativi e trasversali in territori differenti, le Silvio Ferri Lectures, realizzate in collaborazione dalla Fondazione CRL e dalla Scuola IMT Alti Studi Lucca, prendono le mosse dal ricordo di una figura di studioso che a Lucca meritava un riconoscimento particolare, l’archeologo Silvio Ferri appunto.
E proprio l’archeologia è stata protagonista nel 2023 e nel 2024 con Salvatore Settis, Ambra Carta e Christian Greco. Settis e Carta sono intervenuti proprio per delineare la figura di Ferri come «archeologo fuori dal coro», tracciando un profilo del suo notevole contributo alla nascita di nuove metodologie per il mestiere del ricercatore e dell’archeologo appunto in Italia e non solo.
Con Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino, il focus si è spostato sul ruolo delle istituzioni museali al giorno d’oggi, sulle potenzialità di sviluppo e le idee in elaborazione, con un focus sulle numerose iniziative che hanno reso il museo torinesi tra i più all’avanguardia d’Europa.
La terza edizione, in questo 2025, ha cambiato decisamente registro pur mantenendo la linea, definita da Maria Luisa Catoni della Scuola IMT, ideatrice dell’iniziativa, di affrontare ambiti differenti con uno sguardo innovativo e trasversale.
Protagonista Fabio Pammolli, che a Lucca è stato fra i fondatori e primo direttore della Scuola IMT, e che ricopre attualmente numerosi ruoli di grande prestigio, fra i quali Professor of Economics and Finance al Politecnico di Milano, Chair of the InvestEU Investment Committee presso la Commissione Europea e presidente dell’Istituto Italiano di Intelligenza Artificiale per l’Industria, AI4I. Titolo dell’incontro: Macchine, Limiti, Rappresentazioni. Appunti sulle Intelligenze Artificiali, in cui, da esperto del settore, Pammolli ha illustrato opportunità, scoperte e rischi di uno strumento (anche se in molti non definiscono in tal senso l’AI) che inevitabilmente condiziona e condizionerà la vita di tutti, dalle società, alle comunità agli individui.
Un’interessante occasione anche per superare numerosi stereotipi ormai connessi all’Intelligenza Artificiale e per dare un taglio ancora diverso ad una manifestazione che sta già diventando un ‘classico’ per la primavera lucchese.
È stato presentato il primo volume che illustra storia, arte e valore sociale del Complesso di San Francesco dopo il suo completo restauro ultimato nel 2013.
il del dal restauro RACCONTO SAN FRANCESCO a dodici anni
Ci sono voluti dodici anni, ma adesso è realtà. Tanto tempo è passato dalla riapertura del Complesso conventuale di San Francesco, anni di eventi, cambiamenti e grande evoluzione. Solo adesso vede la luce un nuovo volume dedicato alla storia sociale e artistica della struttura, nonché a metodologie e aspettative che hanno guidato quella grande impresa di riqualificazione funzionale portata a termine dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. È della casa editrice PubliEd l’idea di creare un percorso che, con la curatela editoriale di Andrea Salani, Coordinatore della Comunicazione dell’Ente, ha visto numerosi autori partecipare al costruire un ideale strumento di conoscenza su uno dei monumenti più frequentati degli ultimi anni. Specialisti selezionati ognuno per l’alta competenza in campi specifici: la parte più storica del volume è stata affidata ad Antonia D’Aniello e Gabriele Donati, mentre Ambra Manfredini si è occupata delle sepolture esterne, Giulio Ciampoltrini ha contribuito a fornire un quadro degli importanti scavi archeologici che si tennero tra 2006 e 2013 nell’area, mentre Alessandra Guidi ha illustrato le caratteristiche architettoniche degli edifici. La parte più squisitamente artistica, legata anche alle numerose opere pittoriche presenti nella chiesa, è uscita invece dalle penne di Paola Betti e Stefano Martinelli.
Il libro si conclude con interventi dedicati al significato culturale e sociale del restauro per il quartiere est della città (Andrea Salani), all’importanza della nascita del Campus IMT, spiegata da Lorenzo Casini, rettore della Scuola, e alle caratteristiche dell’intervento di riqualificazione, delineate da Stefano Dini e Franco Mungai.
La pubblicazione, affidata alla cura grafica di Marco Riccucci, è corredata da un ricchissimo apparato fotografico, che oltre a foto storiche e d’epoca annovera numerosi scatti inediti, realizzati da Irene Taddei.
I dodici anni di distanza dal restauro si sono rivelati, di fatto, un elemento positivo, poiché in un lasso temporale così ampio è stato possibile cogliere ogni stratificazione, tanto per gli studi artistici e archeologici, quanto per una coerente valutazione del grande impatto socioculturale che questo precoce esempio di rigenerazione urbana ha significato per il Centro storico di Lucca.
Proprio per questo è stato individuato un così nutrito team di scrittori: per non trascurare nessun aspetto e anzi raccontare al meglio ogni peculiarità della struttura, ormai diventata meta di grandi flussi turistici e luogo di divulgazione e cultura frequentatissimo, anche per i numerosi eventi organizzati nella Chiesa. Un principio che ha ricalcato lo spirito del restauro, ovvero assegnare ogni singolo aspetto alla competenza specifica, per ottenere il miglior risultato possibile.
NUMERI
Maria Teresa Perelli
CHE PARLANO
DI FUTURO
Con l’approvazione del Bilancio la Fondazione mette nero su bianco le cifre di un anno da record con ottimi risultati finanziari e nuove prospettive progettuali.
Non è un’esagerazione parlare di ‘anno eccezionale’ per la Fondazione, e non solo perché presentare un avanzo d’esercizio di oltre ottantacinque milioni di euro significa registrare uno dei dati più alti di sempre, ma anche perché, con la fine del mandato del precedente CdA, il 2024 ha segnato anche l’apertura di nuove e promettenti prospettive in diversi ambiti.
In questa rivista non parliamo spesso di numeri, ma di progetti, di idee e di grandi risultati, ma sono proprio i numeri il carburante senza il quale il motore non potrebbe mai partire, senza i quali non ci sarebbe nessun viaggio.
Ogni occasione è buona per ricordare, infatti, che il patrimonio della Fondazione, incrementato e protetto nel suo potere d‘acquisto proprio con le operazioni finanziarie, è di fatto un bene della comunità che consente di dar vita a centinaia di iniziative ogni anno.
Quelli della Fondazione non sono freddi numeri, bensì la quantificazione delle risorse con le quali si può partecipare attivamente al miglioramento della qualità della vita di intere comunità e singole persone. Il patrimonio netto si attesta adesso a 1.295 milioni in termini contabili, 1.500 milioni a valore di mercato, dato fondamentale per la solidità e la salute di un’istituzione che nel 2024 ha erogato complessivamente 30,8 milioni di euro sostenendo 670 interventi di cui ben 500 tramite i numerosi bandi emanati.
Nell’ottica del mandato appena concluso, l’elemento più rilevante emerge dal confronto tra il dato del patrimonio reale al 31 dicembre 2020, 1.237 milioni, con il medesimo dato al 31 dicembre 2024, 1.583 milioni. Siamo di fronte ad una vera e propria ‘creazione di valore’ con un incremento di 346 milioni, cui si sommano i circa 120 milioni di erogazioni deliberate nei quattro anni. Un totale di 466 milioni che si traduce in un incremento del 38%. Numeri che assumono un valore ancora più significativo se si considera che l’inflazione nel quadriennio è stato del 16,7%.
Il tutto mentre, nei quattro anni, la Fondazione ha deliberato 2.800 interventi sostenuti con 120 milioni di euro.
Tornando al 2024, il dato relativo all’avanzo di esercizio (oltre 85 milioni) è poi particolarmente confortante perché certifica la bontà di molte scelte in ambito finanziario fatte negli ultimi anni e concretamente consente di avere una migliore prospettiva di erogazione per il futuro. Ottime notizie, perché se il 2025 sarà un anno di consolidamento delle politiche già impostate, con il 2026 si arriverà al rinnovo dell’Organo di Indirizzo, che col Consiglio di Amministrazione recentemente nominato, potrà mettere mano ad una programmazione di lungo periodo, per la quale proprio questo anno di valutazione e ascolto sarà più che decisivo.
C’è tutto un futuro da immaginare e costruire, ma le solide basi sono già nelle nostre mani.
ieri oggi DOMANI
la FONDAZIONE al fianco del tessuto produttivo ‘SOSTENIBILI’ dal mare alla montagna:
Piera De Luca
La Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha finanziato un programma triennale (2022-2024) finalizzato a promuovere e attuare ‘progetti di sistema’, che coinvolgano gruppi di imprese appartenenti sia alle filiere più rilevanti, che a quelle più piccole dal punto di vista dimensionale, ma importanti da quello socio-economico. Obiettivo dell’intervento è quello di affiancare le imprese di minori dimensioni, con limitate risorse da investire, per rafforzare la loro organizzazione sui fronti della sostenibilità e dell’innovazione, ed accrescere così la loro competitività sui mercati. Il programma è coerente con le strategie europee sul New Green Deal e con il Piano Nazionale 4.0: transizione digitale e transizione ecologica, così come gli orientamenti strategici della Regione Toscana, tutti costruiti sulla centralità dei temi sostenibilità e digitalizzazione. Si tratta del primo intervento di questa natura realizzato in Italia da una fondazione bancaria, ed è gestito attraverso LUCENSE, a cui sono affidate le attività di promozione, di individuazione dei progetti, di attuazione e assistenza tecnica, nonché di verifica dei risultati.
Queste attività sono state sviluppate coinvolgendo in primis i soggetti intermedi che da anni si occupano di trasferimento tecnologico nei rispettivi settori: Navigo per la nautica, Cosmave per il lapideo, la rete di imprese Tuscany for Shoes per il calzaturiero e LUCENSE stessa per la filiera del cartario (LUCENSE è il soggetto gestore del Distretto Tecnologico Cartario della Regione Toscana), oltre ad altri soggetti rilevanti che operano in relazione con i sistemi di imprese.
Nel primo triennio sono stati avviati e conclusi quattro progetti, uno in ciascuno dei settori rilevanti dell’economia lucchese.
Filiera settore carta
Nella filiera cartaria il progetto si è articolato in tre ambiti, che riguardano sia l’utilizzo di materie prime alternative da filiera corta, sia il miglioramento della sostenibilità dell’imballaggio.
A. Strumento per l’eco-design di imballaggi a base carta Obiettivo del progetto è sviluppare uno strumento per l’eco-design di imballaggi e prodotti a base carta, basato sulla metodologia LCA e, quindi, su standard internazionali e valutazioni quantitative e confrontabili, che possa essere utilizzato dalle imprese e centri di ricerca in fase di progettazione e definizione delle specifiche di nuovo packaging, per poter confrontare le potenziali ricadute delle differenti scelte progettuali in termini di riduzione dell’impronta carbonica.
B. Studio sulla capacità di assorbimento urti del cartone ondulato per imballaggi sostenibili
Il progetto promuove la sostituzione di materie plastiche espanse di origine fossile, utilizzate per assorbire urti all’interno di imballaggi di prodotti durevoli, con il cartone ondulato, materiale più
sostenibile, ottenuto da fibra da riciclo e riciclabile nuovamente dalle cartiere.
Gli obiettivi del progetto, attualmente in fase di completamento, sono stati perseguiti attraverso test e analisi delle prestazioni di campioni di cartone ondulato selezionati tra le tipologie di maggior interesse, al fine di elaborare le curve caratteristiche di assorbimento degli inserti protettivi, sottoposti a varie condizioni e stimoli di caduta/movimentazione.
C. Studio di fattibilità per l’utilizzo di fibre alternative per il settore cartario
Il settore cartario è fortemente interessato all’utilizzo di fibre alternative alla cellulosa forestale, sia per valorizzare possibili sinergie con la filiera agricola locale, che per ridurre la dipendenza dell’approvvigionamento di materia prima dall’estero.
Le attività del progetto sono state finalizzate allo studio e sperimentazione di fibre alternative nella produzione di carta nel Distretto industriale lucchese. In particolare, sono state selezionate due piante annuali endogene, la canapa (cannabis sativa) e la ginestra (spartium junceum), e analizzate dopo processi di macerazione e bioraffinazione.
Filiera settore nautica
Sulle tematiche di interesse per la filiera produttiva del settore della nautica e portualità versiliese è stato realizzato il progetto Certificazione ESG per lo Sviluppo delle imprese del Porto di Viareggio. Obiettivo del progetto è sostenere l’avvio di un percorso di sostenibilità per le imprese attive nel porto di Viareggio, favorendo l’integrazione dei principi di sostenibilità ambientale, sociale e di governance nelle strategie, obiettivi e attività aziendali, in accordo con lo standard Environmental, Social, and Governance (ESG). Le attività hanno coinvolto stakeholder e imprese della filiera che operano sia nell’area portuale che a terra, per favorire lo sviluppo sostenibile dei processi aziendali, e la costruzione di un modello di porto turistico green. Il progetto ha beneficiato di una piattaforma informatica realizzata per supportare le azioni tecniche previste e quelle di promozione e comunicazione.
Filiera settore lapideo
Sulle tematiche di interesse per la filiera produttiva del settore lapideo apuo-versiliese è stato realizzato il progetto VENATURE –Marmo e oltre, per un futuro sostenibile.
Il progetto ha consentito di realizzare una analisi Life Cycle Assessment (LCA) comparativa per orientare e supportare, anche attraverso specifiche azioni pilota, per la mitigazione degli impatti dei processi produttivi in alcune delle aree più critiche identificate dallo studio.
VENATURE è pienamente in linea con la strategia del Distretto Tecnologico Lapideo della Toscana, e ha fatto da apripista per le aziende della filiera che avranno a disposizione un modello di riferimento e delle metodologie per migliorare nella gestione ambientale.
Filiera settore calzaturiero
Sulle tematiche di interesse per la filiera produttiva del settore calzaturiero è stato realizzato il progetto SHOES-ID - Digitalizzazione dei processi di produzione, logistica e vendita delle calzature
Con il progetto SHOES-ID le imprese del settore calzaturiero lucchese sono state accompagnate in un percorso di transizione ecologica e digitale basato sull’introduzione di tecnologie di identificazione e tracciamento (RFID e NFC), al fine di efficientare e rendere più eco-sostenibili i processi di approvvigionamento delle materie prime, la loro lavorazione, la produzione e vendita del prodotto finale.
Filiera dei ‘figurinai’
Oltre ai progetti descritti, realizzati nei settori rilevanti dell’economia lucchese, è stato completato uno studio sulla consistenza attuale della filiera dei ‘figurinai’ delle Valli del Serchio e della Lima.
Infatti, in quel territorio si trovano imprese che rappresentano l’eredità di artigiani e artisti che hanno fatto conoscere ed apprez-
zare la propria arte in buona parte del mondo, esportando statuine del presepe che hanno acquistato notorietà assieme al nome di ‘Figurinai lucchesi’.
Lo studio realizzato ha consentito di rappresentare l’attuale filiera, analizzandone caratteristiche, metodi produttivi e materiali utilizzati, nonché approfondire le esigenze delle imprese nel mercato globale in cui si trovano ad operare.
Gli ambiti di approfondimento sono relativi sia all’area commerciale che a quella produttiva (in particolare nuove materie prime ecosostenibili).
I progetti hanno coinvolto direttamente 83 imprese, alle quali sono stati trasferite conoscenze, metodologie e strumenti di gestione strategici per la loro crescita.
La divulgazione di queste conoscenze è stata successivamente estesa alle imprese delle filiere, stimate in oltre 550, e questo processo proseguirà anche nei prossimi anni, come azione fondamentale del Programma sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.
Oltre all’impatto diretto sulle imprese, il Programma ha raggiunto un altro obiettivo, altrettanto importante, e prioritario per le azioni intraprese dalla Fondazione: quello della ‘sussidiarietà’ rispetto alle politiche pubbliche in materia di sostenibilità e innovazione per lo sviluppo economico.
Infine, è di grande interesse la metodologia, basata sul lavoro collaborativo, con il coinvolgimento di enti, imprese, università e centri per l’innovazione.
In forza di questi risultati positivi, la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha deliberato di finanziare il Programma anche per il biennio 2025-2026.
Barbara
Ghiselli
Giovani, tocca ‘veramente’ a voi
Non solo slogan, con il bando Scelta di Campo la Fondazione CRL entra nel concreto delle relazioni tra mondo giovanile e associazionismo
Riconoscere le potenzialità delle nuove generazioni permettendo così ai giovani di concretizzare le loro idee, i loro progetti di cittadinanza attiva grazie anche all’affiancamento con realtà associative presenti sul territorio della provincia di Lucca. Queste sono le caratteristiche di «Scelta di campo», primo bando in sostegno del protagonismo giovanile, fortemente voluto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. Nel bando, pubblicato nel 2024, erano previste due fasi: ‘Call for Ideas’ e ‘Chiamata agli Enti’. Nella prima fase (Call for Ideas) i giovani hanno presentato un’idea di progetto volto a risolvere un particolare bisogno sociale, ambientale o culturale o a promuovere una specifica opportunità individuata sul territorio.
Una proposta innovativa del bando è stata anche la scelta di dare la possibilità di partecipazione in questa prima fase non solo a enti senza fini di lucro formalmente costituiti con almeno 2/3 di giovani tra i 18 e i 30 anni nell’organo di governo ma anche a gruppi informali di ragazzi e ragazze composti da almeno tre persone che vivessero nella provincia di Lucca. Dopo aver raccolto le varie proposte progettuali la Fondazione le ha esaminate attraverso una Commissione che ha selezionato le dieci idee ritenute idonee per arrivare alla seconda fase.
La seconda fase, denominata «Chiamata agli Enti», ha poi coinvolto organizzazioni del Terzo settore del territorio della provincia di Lucca che hanno potuto richiedere un contributo per iniziative che avessero come oggetto la realizzazione delle migliori idee selezionate nella prima fase. Un modo diretto e dinamico per mettere in relazione le nuove generazioni con le realtà associazionistiche delle rispettive comunità.
Vogliamo scoprire come tre dei progetti selezionati sono stati sviluppati in questo periodo in altrettanti territori della provincia ossia a Viareggio, a Lucca e a Castelnuovo di Garfagnana?
Partiamo con l’idea progettuale ‘Con.te.studio’ immaginata dall’associazione Il Contesto APS che prevedeva nel quartiere Varignano a Viareggio l’apertura di uno spazio dedicato in particolar modo a ragazzi e ragazze di età compresa tra i 12 e i 18 anni per studiare ma anche organizzare laboratori, incontri e workshop per intraprendere percorsi di protagonismo e partecipazione. Ed è proprio così che è stato, come conferma Lorenzo Pezzini, referente di questo progetto: «Grazie anche al supporto della Caritas diocesana, associazione che ci ha seguiti e sostenuti in questo percorso abbiamo potuto sviluppare questa idea. Abbiamo trovato lo spazio all’interno della
parrocchia del Varignano e sono stati proprio alcuni giovani a imbiancare le pareti e a scegliere il logo di ‘Andirivieni’, nome scelto per l’aula studio. L’aula è aperta tutte le settimane dal lunedì al venerdì sotto la guida di animatori ma vorremmo far sentire i ragazzi protagonisti della vita del centro e stiamo lavorando perché progressivamente possano gestire loro il luogo in modo autonomo».
La proposta che invece si è sviluppata in un progetto dal titolo ‘Accanto a te’ è stata pensata per dare voce – grazie alla realizzazione di un cortometraggio – all’ansia dei giovani, in particolare a quella legata allo studio e alle sfide della crescita. «Fin dall’inizio – dichiarano Sofia Benedettini e Veronica Seitlinger, referenti della proposta
– il nostro gruppo aveva già chiaro che il cortometraggio fosse solo il primo passo da fare per poter affrontare l’argomento dell’ansia giovanile. Volevamo infatti usare il cinema come strumento di comunicazione e condivisione, un modo per creare anche eventi e incontri con esperti di questa tematica per sensibilizzare e informare i ragazzi e le ragazze e far capire loro che non sono soli». Affermano inoltre: «In questo anno ci siamo dedicati con passione alla realizzazione del film le cui riprese si sono svolte a gennaio 2025: un’esperienza formativa veramente arricchente culminata nella post-produzione iniziata a febbraio e conclusa a inizio maggio. Dopodiché, il cortometraggio sarà pronto per la distribuzione nei festival cinematografici e in alcune sale della Toscana».
Mentre per la terza idea è stato pensato di dar vita a un luogo interculturale, e inclusivo di incontro nel comune di Castelnuovo di Garfagnana gestito da giovani della comunità. E quale modo migliore per far questo di creare un podcast per avere uno spazio in cui coltivare le proprie passioni culturali ma anche per riflettere e condividere idee, progetti, esperienze e storie? Ce lo spiega Rebecca Moscardini, referente del progetto: «Eravamo partiti con l’idea di creare Agoradio, una web radio poi però dopo un’analisi interna al gruppo dei partecipanti e un confronto con la Cooperativa Nanina, ente che ci ha affiancato e supportato in questo percorso, abbiamo compreso che fosse invece migliore l’idea della realizzazione di un podcast anche perché di più facile gestione dal punto di vista organizzativo e di risorse umane. Ci stiamo infatti rendendo conto, anche se siamo ancora in fase di lavorazione e progettazione, di quanto il podcast possa essere la giusta proposta per fare ‘comunità’ creando sinergie e connessioni con tutti gli ascoltatori».
Giulio Sensi Un cavallo pieno di dignità
Salute mentale, pregiudizio, stereotipi. Un mondo intero da conoscere grazie agli incontri promossi dalla Fondazione per la Coesione Sociale
Marco Cavallo è un simbolo e le sue riproduzioni segni di libertà e liberazione. Come lo è quella in cartapesta realizzata dal maestro costruttore Carlo Lombardi alla Cittadella del Carnevale di Viareggio, ispirata al cavallo, il Marco Cavallo, realizzato nel 1973 nei laboratori artistici dell’ospedale psichiatrico di Trieste, allora diretto da Franco Basaglia, grazie anche al contributo immaginifico dei pazienti che erano reclusi nel luogo al tempo chiamato comunemente ‘manicomio’. La riproduzione di quella ‘prima’ opera è diventata l’icona di Campa Cavallo, il titolo della rassegna di eventi culturali promossa, nel centenario dalla nascita di Basaglia, dalla Fondazione per la Coesione Sociale. La ‘nuova’ installazione è stata realizzata con la partecipazione della cooperativa C.RE.A. e dei Centri diurni Peter Pan, La locomotiva (cooperativa La Salute), San Marco, Arco e Freccia (complesso Centroanchio) e La Bricola (entrambi afferenti a La Mano Amica) e di Anffas.
Come nella versione originale, la pancia del Marco Cavallo creato alla Cittadella del Carnevale ha raccolto i pensieri di alcune delle tante persone, più di mille, che hanno partecipato alla rassegna di nove eventi da novembre a febbraio, in particolare, degli studenti dei licei della Provincia. La rassegna è stata ideata con lo scopo e l’auspicio di aumentare la consapevolezza, stimolare il dibattito, scardinare i pregiudizi diffusi e accendere fuochi di comprensione sui macro-temi della salute mentale, della neurodiversità e della disabilità.
Un calendario organizzato da una rete di enti e istituzioni ricamata dalla Fondazione per la Coesione Sociale e composta dall’Azienda Usl Toscana Nord Ovest, dalla Fondazione Mario Tobino, dalla cooperativa sociale C.RE.A. e dal Centro Studi e Ricerche Lippi Francesconi, tutto in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e Fondazione Carnevale di Viareggio. Le presentazioni erano aperte a tutti e in particolare a persone con disabilità o neurodivergenti, famiglie e caregiver, operatori e insegnanti. Molti i libri presentati con gli autori che hanno intessuto coi partecipanti dialoghi densi di narrazioni, idee e spunti, accompagnati da studiosi ed esperti che vivono queste vicende in prima persona. Il primo è stato quello dell’8 novembre con Alberto Vanolo, autore de La città autistica, un volume pieno di proposte provocatorie per immaginare realtà urbane più semplici e sostenibili, non solo per chi vive una condizione di neurodivergenza. Il 16 novembre è stata ospite del secondo incontro a Mandorla, la comunità alloggio pro-
tetta di via Elisa, Maria Grazia Calandrone con il suo volume Una creatura fatta per la gioia, biografia poetica di Alda Merini. Poetessa celebre e presente nel cuore di tanti a cui è stato dedicato anche il terzo incontro, quello del 21 novembre al ‘Capannone’ della cooperativa C.RE.A. di Viareggio con la figlia della Merini, Emanuela Carniti, autrice di Alda Merini. Mia madre e Silvia Rocchi con la sua graphic novel Alda Merini. Ci sono notti che non accadono mai. Nel libro Carniti ricostruisce la storia della madre e la racconta nella quotidianità e nella dimensione domestica. Campa Cavallo è proseguita poi con Paolo Milone e il suo L’arte di legare le persone presentato proprio all’ex ospedale psichiatrico di Maggiano il 30 novembre. All’incontro del 7 dicembre, Michele Cecchini, insegnante e scrittore lucchese che vive a Livorno, ha parlato del suo Un morso all’improvviso è un lungo racconto in prima persona della vita del protagonista di quarant’anni con varie psicosi. La rassegna è proseguita all’inizio del 2025, al CE.SE.R., Presidio Socio Sanitario, di Viareggio, con I cura cari di Marco Annicchiarico, il libro di un ‘curacaro’ autodidatta dal 2016 quando ha iniziato a misurarsi con l’Alzheimer della madre. Il giorno dopo sono stati gli studenti dell’ISI di Barga a partecipare e ad animare la presentazione di Come un pezzo di stoffa bagnata di Michele Simonetti, ascoltando in modo appassionato l’autore che ha riportato con autoironia e autocritica la sua vicenda: a seguito di un’acuta crisi depressiva causata dal bipolarismo ha deciso di trasformare la difficile esperienza in qualcosa di positivo. Il 18 gennaio a Castelnuovo di Garfagnana c’era Stefano Redaelli con Esercizi di squilibrio. Per imparare a prendersi cura di sé e dell’altro. Campa Cavallo si è concluso il 1° marzo con la marcia per le vie del centro di Lucca: una mattinata di festa iniziata al Cinema Moderno che ha coinvolto 400 persone tra studenti e professori del Liceo Artistico e Musicale Passaglia, dell’ISI Barga e dell’Istituto Machiavelli-Paladini-Civitali e i fruitori e gli operatori dei centri per la salute mentale e le disabilità del territorio. Le presentazioni di libri sono ascoltabili nella serie di podcast prodotta dalla Fondazione per la Coesione Sociale su Spotify e YouTube.
Enrico Pace
Viareggio Cup: i futuri campioni passano ancora da qui
La manifestazione di calcio giovanile tiene il passo con i tempi e ritrova lo scenario dello Stadio dei Pini come palcoscenico. Un volano anche per la promozione del territorio
75 anni e non sentirli. Anche perché sempre all’insegna della gioventù che si rinnova, della speranza degli atleti ancora in erba di sfondare, in un prossimo futuro, nel calcio internazionale.
E d’altronde da questo punto di vista la Coppa Carnevale, oggi Viareggio Cup, è stata da sempre trampolino di lancio di grandissimi campioni. Che dai campi di Viareggio, della Versilia e dell’intera Toscana sono arrivanti a calcare i grandi palcoscenici internazionali fino a vincere mondiali e coppe europee.
75 anni di storia sono tanti, specialmente se si tiene conto che la nascita della Coppa Carnevale, a soli due anni dalla fondazione del Centro Giovani Calciatori. arriva nel secondo dopoguerra e in piena ricostruzione, non solo di impianti (il campo dei Pini, attuale stadio, era adibito ad ospedale da campo) ma anche di spirito sportivo, di voglia di ritrovarsi a tifare per la propria squadra del cuore sugli spalti.
Il primo calcio al pallone della manifestazione, di cui nessuno all’epoca avrebbe pronosticato il successo, fu dato alle 13:30 del 24 febbraio del 1949. Ad affrontarsi nel turno preliminare di un torneo a dieci squadre, due selezioni: una della Versilia e una di Livorno. Da allora una storia che vive ancora fatta di oltre 3mila partite, di grandi personaggi, di cambi di formula e di tanti aneddoti. Il primo pallone fu calciato da un viareggino doc, classe 1928, come Limbergo Taccola e l’edizione vide in finale, giocata 4 giorni dopo la partita d’esordio, la vittoria del Milan sulla Lazio per 5-1. Già dalla nascita la manifestazione, peraltro, si può definire internazionale. Ci sono, infatti, le formazioni giovanili di Mentone e Nizza e il Bellinzona. C’è già la Fiorentina, che in difesa schiera il futuro nazionale Sergio Cervato.
Solo cenni di un primo decennio in cui domina il colore rossonero del Milan, vincitore per ben quattro volte (si ripeterà nel 1952, nel 1953, nel 1957 e nel 1959) della competizione. Al terzo torneo arriva anche il primo successo estero: nelle giovanili sono le formazioni dell’Est a farla da padrone. E dopo il Partizan Belgrado nel 1951, che detronizza la Sampdoria, ci pensa lo Sparta Praga nel 1956, ai supplementari con il Milan. Tanti e leggendari i campioni di questi anni. Molti vestiranno la maglia della nazionale, tanti diventeranno allenatori famosi: Giovanni Trapattoni, Pippo Marchioro, Gigi Radice, Osvaldo Bagnoli (questi ultimi tre tutti in campo nella finale del 1956) e ancora Bean, Vavassori, David, Robotti.
Il decennio degli anni Sessanta è quello della definitiva consacrazione del torneo. Entrano nell’albo d’oro formazioni che faranno la storia e si consolida la formula ‘olimpica’ a sedici squadre. Se il decennio lo inaugura un nuovo successo del Milan, arrivano le prime vittorie della Juventus (1961), dell’Inter di Boninsegna e Mazzola (1962, contro la Fiorentina di Ulivieri e Veneranda), ma anche di Genoa (1965, per sorteggio, dopo due finali senza vincitori), Fiorentina (1966, davanti a 20mila spettatori) e Atalanta (1969). Tre nomi su tutti, a parte quelli citati: un giovanissimo Zoff, a difendere i pali dell’Udinese, Causio e Bettega in casa Juve. Fra le straniere soffia ancora il vento dell’Est: il Dukla Praga vince due edizioni e perde una finale con la Fiorentina che schiera un giovanissimo Chiarugi, poi artefice del secondo scudetto viola.
Sono proprio i cecoslovacchi, battendo il ‘solito’ Milan, ad aprire gli anni Settanta: vinceranno nel decennio altre due edizioni, contro Inter e ancora con i rossoneri. Ma il periodo è dominato dal settore giovanile della Fiorentina, che fa sue quattro edizioni (1973 e 1974, prima doppietta del torneo e ancora nel 1978 e 1979). Agli anni Sessanta, che avevano visto come protagonisti campioni come Zoff, Facchetti, Morini, Salvatore, Causio e Corso, fanno seguito gli esordi di tanti futuri campioni del mondo: Bordon, Scirea, Collovati, Conti, Oriali, Rossi e Antognoni. Ma anche di un ‘certo Franco Baresi, protagonista della finale persa dal Milan con la Sampdoria nel 1977. Il decennio è anche quello dell’arrivo delle prime squadre extraeuropee: nel 1970 c’è il Boca Juniors, nel 1975 il Burlingarne di San Francisco, nel 1978 esordisce una formazione cinese. Il Torneo di Viareggio è diventato ancora più internazionale.
Gli anni Ottanta sono quelli dell’esordio delle prime formazioni africane. Cambiano le gerarchie e a Milan e Fiorentina si sostituiscono la Roma (vince per la prima volta nel 1981, fa il bis nel 1983) e, soprattutto, il Torino, che cala il poker (1984, 1985, 1987 e 1989). È Sergio Vatta l’ispiratore del ‘miracolo’ granata: dalle sue direttive verranno plasmati autentici protagonisti del calcio nazionale: Lentini, Vieri, Fuser, Cravero, Comi, Dino Baggio, solo per citarne alcuni. Ma gli anni sono anche quelli che vedono un giovane Roberto Baggio protagonista nella Fiorentina, Gabriel Omar Batistuta, i gemelli del gol Vialli e Mancini, Ferrara e Costacurta, future colonne della difesa in nazionale. E in panchina ecco Fabio Capello, alla guida del Milan, e Arrigo Sacchi, che dirige i giovani della Fiorentina. Dieci anni e nove vincitori diversi negli anni Novanta, quelli di Francesco Totti e Alessandro Del Piero, ma anche di un’intera generazione di nazionali: Buffon, Panucci, Perrotta, Cannavaro, Nesta, Gattuso, Toni e Di Natale. Il bis lo concede (ancora) il Torino. Prime volte per Cesena (1990), Brescia di Pirlo, Diana, Baronio e
1. Mario Balotelli
2. Gabriel Batistuta
3. Beyond Limits FC
4. Alessio Cerci e Stefano Okaka
5. Genoa CFC (2025)
6. Mauro Icardi
7. Ciro Immobile
8. Filippo Inzaghi in veste di allenatore e Davide Calabria
9. Juventus FC (1994), al centro un giovanissimo Alex Del Piero
10. Moise Kean
Bonazzoli (1996) e Bari di Ventola e Zambrotta, pur assenti in finale (1997). Resta epica la doppia gara decisiva dell’edizione 1994 fra Juventus e Fiorentina, le acerrime rivali di sempre. 2-2 nella prima gara per San Valentino, due giorni dopo a Cammarata e Manfredini risponde una doppietta di Banchelli e si va ai supplementari. Decide Alessandro Del Piero con il golden gol: il primo squillo, tanto per cambiare a Viareggio, di una carriera esaltante. L’anno dopo Fiorentina ancora ko con il Toro nella ripetizione ma ai calci di rigore dopo il 2-2 dopo 120’: ai viola non basta la doppietta di Flachi.
E se il decennio, che è quello del passaggio alla formula a 32 squadre e con l’arrivo anche di squadre oceaniche come stabili presenze al torneo, lo chiude il ritorno al successo del Milan di Tassotti il nuovo secolo trova una nuova protagonista con il primo, e finora unico, successo dell’Empoli in finale con la Fiorentina. Dopo i soli due titoli conquistati nel 1961 e nel 1994 è la Juventus l’assoluta protagonista, la prima squadra a vincere tre edizioni di fila fra il 2003 e il 2005, la prima con al timone Gian Piero Gasperini, quindi sotto le direttive di Vincenzo Chiarenza. Marchisio, Masiello, Criscito, Giovinco sono solo alcuni dei protagonisti di quella squadra, ma in quegli anni si fanno strada nel calcio che conta anche Darmian, Chiellini e Bonucci, Daniele De Rossi e Mario Balotelli. La striscia dei successi bianconeri è interrotta nel 2006 dagli uruguaiani dello Juventud. Si tocca il record di partecipanti (si arriva fino a 48 del 2006 e nel 2008, edizione dei 60 anni), arrivano dirette tv e il restyling della formula (con finale unica e nuova denominazione di Viareggio Cup) con un decennio che si chiude con il ritorno al successo del Genoa di Torrente e dell’Inter di Esposito, con Mario Balotelli autore di una doppietta e del rigore decisivo nella ripetizione della finale con l’Empoli.
È Ciro Immobile, in maglia bianconera, il protagonista del 4-1 alla Sampdoria che regala alla Juventus la finale dell’edizione del 2009 e quella del 2010 (4-2 all’Empoli con tripletta del bomber e Luciano Bruni, che aveva già vinto da calciatore, in panchina), che apre l’ultimo quindicennio di torneo di Viareggio di tanti cambiamenti, anche nel mondo del calcio. Dal calciomercato spinto, che ormai interessa anche giovani in tenera e tenerissima età al dilagare della presenza di calciatori stranieri, comunitari e no, anche nelle compagini del vivaio. Sullo scenario alle ‘solite’, Inter (successi nel 2011, 2015 e 2018) e Juventus (ancora sul tetto del torneo nel 2012 e 2016), si aggiungono nuove protagoniste e nuovi campioni dal sicuro avvenire. C’è anche il Milan nel palmares, nel 2014, guidato da Pippo Inzaghi ai primi anni in panchina. Passano da Viareggio Donnarumma, Di Marco, Buongiorno, Bastoni, Chiesa Jr, Cristante, Bernardeschi e Scamacca. Quest’ultimo è il simbolo di un Sassuolo che, da new entry nel calcio che conta, conquista le
edizioni del 2018, 2022 e 2023, a conferma di una programmazione che viene da lontano.
C’è il Covid, nel frattempo, che impedisce la disputa delle edizioni 2020 e 2021, come spartiacque del torneo che, salvo la parentesi del 2023, è ora dedicato alle formazioni under 18 e nelle ultime due edizioni è tornato all’originaria formula a 24 squadre. Con la 75esima edizione che è andata al Genoa di Gennaro Ruotolo, al terzo titolo con la vittoria in finale con la Fiorentina. Un mondo cambiato, come detto, quello del calcio giovanile, ma che potrebbe trovare nuova linfa da rinnovato stadio dei Pini,
che torna dal 2025 ad ospitare la finale del torneo dopo la completa riqualificazione, e che continua a rimanere, grazie all’instancabile lavoro del Cgc Viareggio e di Alessandro Palagi, non solo un volano di conoscenza del territorio e delle sue bellezze, attraverso lo sport, ma anche un momento di valorizzazione importante per i giovani calciatori, stritolati fra voglia di successo facile, social network e procuratori spregiudicati.
I segnali, le possibilità, anche grazie a sostegni importanti come quello della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, che guarda anche all’importante ricaduta eco-
11. Al centro i fuoriclasse tedeschi
Bastian Schweinsteiger e Philip Lahm
12. Claudio Marchisio
13. Patrick Viera e Gennaro Ruotolo in veste di allenatori
14. Andrea Petagna
15. Andrea Pirlo
16. Daniele Rugani, Elvis Kabashi
17. Leonardo Spinazzola
18. Simone Zaza
nomica sul territorio nell’organizzazione di un evento come questo, ci sono tutti. È già tempo, insomma, di scovare sui campi versiliesi le nuove stelle del calcio, sperando che possano essere oggetto di un necessario rinnovamento anche di una nazionale in crisi ed assente da troppo tempo dai mondiali di calcio.
PASQUALE MARIANI,
pioniere della fotografia amatoriale in Garfagnana
Andrea Salani
1. Pasquale Mariani, Alieno, 30 agosto 2013
2. Pasquale Mariani, Decomposizione, 16 luglio 2014
3. Pasquale Mariani, Riflesso, Viareggio, 23 marzo 2016
4. Pasquale Mariani, Zona derattizzata, 15 agosto 2017
5. Pasquale Mariani, Sbirciata, 12 febbraio 2013
6. Pasquale Mariani, No Shampo - Dal mitico Pitì, 3 settembre 2012
Negli anni del boom economico e dell’esplosione della fotografia amatoriale si concentra la prima parte dell’opera fotografica di Pasquale Mariani, testimone ‘artistico’ dell’evoluzione del mondo della Valle del Serchio, visto attraverso l’obiettivo della macchina fotografica.
Il suo percorso fu fortemente influenzato dal successo, proprio in quel decennio, della fotografia concettuale di Luigi Ghirri, che, forte anche delle proprie esperienze a fianco di artisti dell’Arte povera, proponeva uno sguardo acuto e fortemente pensato sul proprio lavoro fotografico, interrogandosi attentamente anche sul ruolo delle immagini e della fotografia stessa in una società che stava vivendo fasi evolutive repentine e difficili da ‘inseguire’. Mariani, lo sottolinea Cristoforo Feliciano Ravera, non fu fotografo concettuale in senso stretto, ma assimilò la lezione di Ghirri, traducendo l’approccio concettuale sui temi del dettaglio, del panorama, della quotidianità. Un modo di intendere l’arte stessa, sebbene da fotoamatore, confermato dalla necessità sempre sentita di accompagnare con la scrittura il proprio percorso di fotografo. Un mondo raccontate nelle sue girate che, in onore al maestro, diventavano di volta in volta G(h)irate di Garfagana, G(h)irate urbane e periferiche o G(h)irate di mare
Nato nel 1937 e scomparso nel 2022, a lui si deve una sorta di alfabetizzazione di una Garfagnana ancora ‘provinciale’ di fronte all’urgenza di praticare percorsi nuovi e sperimentare in campo artistico. Il sodalizio con Gino Bertoncini e altri pittori, come Roberto Fiori e Angelo Scaparini, dimostra di certo la volontà di appartenenza ad una cerchia ‘progressista’ che ebbe il merito di portare venti nuovi nella Valle.
Quella Valle cui rimase sempre legato e a cui tornò nella fase finale della sua esistenza, nei nativi territori di Villa Collemandina, anch’essa narrata e ‘pensata’ negli ultimi scatti proposti sino agli ultimi tempi.
Scatti anch’essi contenuti nel prezioso volume che Maria Pacini Fazzi editore ha confezionato per accompagnare una mostra retrospettiva, intitolata Pasquale Mariani. Fotografia come pensiero, realizzata nel 2024.
foto di Irene Taddei
Giulia Alberigi
Quando non essereservegrandi per essere straordinari
Passeggiando per le vie di Montecarlo, ancora meglio se fatto in un sabato mattina di inizio primavera, si respira l’autenticità del luogo, l’identità di un territorio che, pur essendo conosciuto in tutto il mondo per i suoi sapori e le sue bellezze, ha mantenuto la sua essenza e la sua particolarità. Guardandosi intorno, ci si imbatte in antichi alimentari, piccoli negozi di abbigliamento che sfidano l’epoca del consumismo e del fast fashion, ristoranti dalle tavole imbandite, case fatte di mattoni e pietra che raccontano storie di famiglie, visitatori e curiosi accolti da queste Mura. Qui si percepisce veramente la bellezza delle piccole cose: il cappuccino sorseggiato lentamente a colazione, il giro in bicicletta lungo una faticosa salita ma ripagata da una sosta al gusto di pane e olio.
Montecarlo, il piccolo borgo che sorge tra la campagna lucchese, circondato da vigneti e paesaggi di straordinaria bellezza, permette ancora di respirare la famosa ‘vita lenta’, fatta di attimi semplici e autentici. Qui ci si può fermare a chiacchierare con chi questo posto lo vive da decenni, e al tavolino di un bar si possono ascoltare racconti su tradizioni locali, come quella del famoso negozio di scarpe, ‘lo scarpaio’, conosciuto da tutti. Il negozio, temporaneamente chiuso, si trova proprio sulla via principale del borgo. Da fuori potrebbe sembrare un’attività come tante, ma chiunque sia entrato almeno una volta sa che al suo interno si cela un piccolo universo caotico e affascinante, un luogo dove il disordine apparente è in realtà un perfetto equilibrio. Le scarpe sono ovunque: scaffali stracolmi, scatole accatastate fino al soffitto, modelli di ogni genere e colore sparsi qua e là. Spesso si trova solo la scarpa destra, mentre la sinistra sembra scomparsa in quel labirinto di calzature, o viceversa. Ma basta un attimo: una richiesta precisa – «Mi serve il 37 di questa!» – ed ecco che, con una rapidità quasi magica, il titolare pesca il paio esatto, come se avesse una
mappa segreta del negozio impressa nella mente. È uno di quei posti che resistono al tempo, un’istituzione locale di cui tutti parlano con affetto, un simbolo di quella Montecarlo autentica, fatta di tradizione, ingegno e spirito di comunità.
E poi, sempre seduto al tavolino del bar, tra un caffè e una chiacchiera con gli abitanti del borgo, puoi scoprire le mille storie che fanno di Montecarlo un luogo unico, un paese che sembra sospeso tra passato e presente. Montecarlo affonda le sue radici nella storia medievale. Prima della sua fondazione, esisteva il borgo di Vivinaia, un insediamento fiorente che fu però raso al suolo dai Fiorentini nel 1331, nel corso delle guerre tra Lucca e Firenze. I suoi abitanti, sfollati e senza un rifugio, trovarono protezione sulla collina del Cerruglio, dove sorgeva un’antica fortezza circondata da boschi. Fu qui che il principe Carlo di Lussemburgo, inviato a Lucca dal padre re Giovanni, li trovò e decise di ricostruire il borgo, battezzandolo «Mons Charoli» in suo onore. Quel nome, nel tempo, si è trasformato nell’attuale Montecarlo. La Rocca del Cerruglio, punto nevralgico del borgo, fu teatro di eventi epocali, tra cui la battaglia di Altopascio del 1325, di cui quest’anno si celebrano i 700 anni, in cui il condottiero Castruccio Castracani inflisse una storica sconfitta ai Fiorentini. Ancora oggi, le mura della fortezza raccontano di un passato fatto di guerre e resistenze, testimoni silenziosi della forza e della determinazione degli abitanti.
Se Montecarlo è conosciuto a livello internazionale, il merito va in gran parte alla sua produzione vinicola. Il Bianco di Montecarlo, apprezzato sin dall’epoca romana, è il fiore all’occhiello della viticoltura locale. La qualità del vino non è solo frutto di un terroir privilegiato, ma anche del sapere tramandato di generazione in generazione, un’arte che continua a distinguere Montecarlo nel panorama enologico mondiale.
Ogni anno, tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, la Festa del Vino celebra questa tradizione con degustazioni e incontri tra produttori e appassionati. Un evento che, pur attirando visitatori da ogni parte d’Italia e non solo, conserva l’anima autentica del borgo: un’ospitalità genuina e un’attenzione alla qualità piuttosto che alla quantità.
Montecarlo non è solo vino e natura, ma anche cultura. Il borgo ospita uno dei più piccoli teatri all’italiana del mondo: il Teatro dei Rassicurati. Fondato nel XVIII secolo dall’Accademia degli Assicurati, questo gioiello architettonico ha attraversato periodi di chiusura e rinascita, sempre sostenuto dalla volontà degli abitanti di mantenerlo vivo. Oggi, accoglie spettacoli teatrali e concerti, continuando a essere un punto di riferimento per la vita culturale locale. Nonostante il suo vino sia ricercato a livello internazionale, Montecarlo non ha mai perso la sua essenza. Qui, il tempo scorre con un ritmo diverso, scandito dai cicli della natura e dalle tradizioni che si tramandano con orgoglio. Le strette strade medievali, i panorami mozzafiato e la cordialità della gente del posto creano un’atmosfera unica, dove l’autenticità vince sulla globalizzazione. Montecarlo è la dimostrazione che non serve essere grandi per essere straordinari.
Carlo Ludivico Ragghianti: non solo arte
È uscito per le Edizioni Fondazione Ragghianti un corposo lavoro a cura dello studioso Andrea Becherucci che raccoglie, in due tomi, gli scritti politici di Carlo Ludovico Ragghianti. Si arricchisce così di un’ulteriore tessera la bibliografia di uno degli intellettuali più significativi del Novecento italiano, grandissimo storico e teorico dell’arte, docente universitario, infaticabile organizzatore di mostre e promotore di iniziative culturali, fondatore di riviste e istituzioni, inventore del ‘critofilm’ e cineasta.
Per quanto il magistero e la notorietà dell’intellettuale lucchese siano legati indissolubilmente alla sua attività di storico e critico d’arte, risulta impossibile scindere il suo «primo mestiere», per così dire, dall’impegno politico che ha attraversato l’intera vita di Ragghianti.
Antifascista sin dall’adolescenza, Ragghianti fu uno dei fondatori del Partito d’Azione; arrestato e incarcerato dal regime, partecipò attivamente alla Resistenza, anche come comandante delle Brigate Rosselli, e nel 1945 partecipò al Governo Parri come sottosegretario alla Pubblica Istruzione con delega alle Belle Arti e allo Spettacolo.
Ragghianti abbandonò l’attività politica diretta dopo le elezioni del 1948, ma la passione civile lo spinse a proseguire nel suo impegno, profondendo energie intellettuali e umane in numerose battaglie, nel campo dell’università, della scuola, dell’urbanistica, della tutela dei beni storico-artistici. Un percorso umano e culturale che Becherucci, con la collaborazione di Maria Francesca Pozzi, ripercorre in questi due tomi di Scritti politici; la vasta raccolta riunisce testi che coprono un arco temporale che va dal 1942 al 1986, a cui si aggiunge un’importante appendice di testi inediti. Una mole di oltre duecento contributi che aiutano a tracciare un ritratto umano e intellettuale che si snoda per oltre quattro decenni: dal periodo della Resistenza e della ricostruzione agli anni del consolidamento della democrazia sotto l’egida democristiana, dal decennio 1957-1968, che vide Ragghianti nel pieno della sua attività per il rinnovamento del Paese, agli anni Settanta e Ottanta, il periodo del disincanto, quando l’intellettuale lucchese si misura con la realtà di un’Italia sempre più disgregata e tormentata. Gli Scritti politici si configurano quindi come una vera e propria impresa editoriale attraverso la quale la Fondazione Ragghianti contribuisce a valorizzare un lato tutt’altro che secondario dell’attività e della personalità del grande studioso.
Carlo Ludovico Ragghianti, Scritti politici 1942-1986, a cura di Andrea Becherucci, con la collaborazione di Maria Francesca Pozzi, Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte, Lucca 2024
a cura di Andrea Becherucci con la collaborazione di Maria Francesca Pozzi
La Divina
In occasione del centenario della morte, Maria Pacini Fazzi editore arricchisce la collana ‘Italiane’ diretta da Nadia Verdile di una biografia di Eleonora Duse. Il profilo biografico è stato tracciato da Angela Guidotti, già professoressa ordinaria di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Pisa, che proprio per l’editore lucchese dirige ‘Voci di repertorio’, piccola collana di testi teatrali italiani. Il volumetto, che si inserisce nell’ambito delle tante uscite che celebrano la grande attrice italiana, ripercorre la vicenda umana e artistica di Eleonora Duse: un’artista innovatrice e dallo straordinario carisma, tanto da conquistarsi l’appellativo di ‘divina’, ma anche una donna colta e curiosa, che sceglie, legge e studia con acribia gli autori che andrà a interpretare, una madre che si occupa in prima persona della figlia Enrichetta, una brillante imprenditrice e la prima donna (e italiana) ad apparire nel luglio 1923 sulla copertina della neonata rivista «Time», in occasione dell’ultima trionfale tournée americana, nel corso della quale l’attrice, ormai sessantaseienne e minata dalla tubercolosi, troverà la morte il 21 aprile 1924 a Pittsburgh.
Il lavoro di Guidotti ricostruisce le esperienze che hanno segnato la biografia di Eleonora Duse, indagando come la vita privata abbia incontrato il suo mestiere di attrice, segnandolo in maniera significativa, soprattutto attraverso le due importanti relazioni sentimentali con Arrigo Boito e Gabriele d’Annunzio.
Un ritratto a tutto tondo dell’attrice emerge anche dal suo ricchissimo epistolario: Eleonora, infatti, si dedica alla scrittura epistolare in ogni momento libero, inviando lettere alla figlia – quelle a Enrichetta sono oltre 400 –, alle amiche e agli amici più o meno illustri, ai medici che la curano, agli uomini che ama o che ha amato, agli avvocati a cui si rivolge per questioni relative alla propria compagnia teatrale o alle proprie sostanze. Una vera e propria mole di carta che tratteggia, spesso con ironia, una personalità profonda e sfaccettata, permettendoci di cogliere l’essenza della sua originalità di donna e il suo indiscutibile talento d’attrice.
Prosegue il viaggio del giornalista e cultore di storia locale Paolo Bottari alla scoperta dei lucchesi, ‘doc’ o d’adozione, che nel corso dei secoli hanno contribuito a modellare l’immagine e l’identità della città. La casa editrice Francesconi ha infatti pubblicato Lucchesi illustri, ideale prosieguo di Lucchesi nel mondo. I cento personaggi che hanno fatto la storia della città, uscito per gli stessi tipi nel 2011.
Ispirato dal Famedio di Lucca, la Cappella dei Benemeriti che si trova nel cimitero urbano di Sant’Anna, Bottari seleziona altri cento personaggi, più e meno noti, e ne traccia un profilo biografico, raccontando aneddoti e curiosità, quasi a delineare una sorta di piccolo Pantheon lucchese.
Nella sua opera di scavo Bottari recupera moltissimi personaggi, assai diversi tra loro, che, forse, per numerosi lucchesi rappresentano solo i nomi di vie e piazze o coloro a cui sono stati intitolati enti e istituti, e li restituisce alla memoria collettiva.
Una vasta galleria di artisti, scrittori, scienziati, imprenditori, ma anche partigiani e patrioti, figure religiose, inventori e politici.
Si va dalla leggendaria Berta di Lotaringia, marchesa di Toscana vissuta tra IX e X secolo e sepolta all’interno della cattedrale di San Martino a Erno Egri Erbstein, il leggendario allenatore di origine ungherese che, arrivato a Lucca nel 1933, fu autore dell’ascesa della Lucchese, portando la società rossonera dalla C alla massima serie in soli tre anni. A causa delle origini ebraiche abbandonò la città dopo la promulgazione delle Leggi razziali, fu internato in un campo di lavoro da cui riuscì a fuggire nel dicembre del 1944 e, alla fine della guerra, tornò ad allenare il ‘Grande Torino’, fino allo schianto sul colle di Superga il 4 maggio 1949, in cui perse la vita insieme ai suoi campioni.
E poi Italo Meschi, il ‘Cristo’ lucchese, uno dei più grandi chitarristi della sua epoca, interprete di canti e balli popolari ma anche arrangiatore di brani dei maggiori compositori colti, che con la sua ‘chitarpa’ tenne concerti anche a Londra, San Francisco e New York, per poi ritirarsi nel suo piccolo appartamento al piano nobile della Torre di San Gervasio, dove morirà nel 1957. E ancora Idelfonso Nieri, maestro del vernacolo lucchese; fratel Arturo Paoli, per una vita al servizio degli ultimi; Carlo Del Bianco, professore di storia e filosofia al Liceo Classico Machiavelli e partigiano; Giovan Battista Nardini, detto ‘Tista’, inventore della celebre ‘biadina’ lucchese ed Elena Zareschi, grandissima interprete teatrale.
Un viaggio piacevole e interessante che, anche grazie a un ricco apparato di foto d’epoca, ci aiuta a comprendere il senso più vero del termine ‘lucchesità’.
Paolo Bottari, Lucchesi illustri. Puccini e i personaggi famosi di ogni epoca e virtù della nostra terra, Francesconi, Lucca 2024
Puccini e gli altri
Un teatro speciale
Quale teatro avrebbe voluto Giacomo Puccini? Ce lo racconta il musicologo Michele Bianchi nello studio Il teatro di Puccini. Da Viareggio a Torre del Lago, pubblicato recentemente da ETS.
Nel volume si cerca di fare chiarezza sul tipo di teatro che aveva in mente il Maestro, una questione decisamente interessante, sebbene mai indagata prima del lavoro di Bianchi.
Pochi anni prima della sua morte, Giacomo Puccini rilasciò un’intervista all’amico giornalista Carlo Paladini da cui si evince chiaramente non solo dove il compositore avrebbe voluto un suo teatro, ma anche la tipologia e il materiale che si sarebbe dovuto impiegare per costruirlo: il nuovo teatro, su modello dei teatri berlinesi di Charlottenburg, sarebbe dovuto essere un Teatro Nazionale e sorgere a Viareggio, località, come sottolinea il Maestro, dal grande avvenire, la cui spiaggia «è la più bella del mondo» e il cui paesaggio «non ha eguali sulla Terra».
La volontà di Puccini di edificare un teatro presso il «buen retiro» di Torre del Lago è quindi, secondo Bianchi, frutto di un equivoco legato alle parole del librettista e regista Giovacchino Forzano, il quale affermò che Puccini gli avrebbe confidato di gradire la rappresentazione di una sua opera all’aperto, di fronte alla villa di Torre del Lago. Un desiderio piuttosto bizzarro, dal momento che per il Maestro la residenza di Torre del Lago rappresentava un’oasi di pace e di riposo immersa nella natura, un «gaudio supremo, paradiso, eden, empireo», come ebbe a scrivere.
Ma, nonostante il fraintendimento, l’idea di Forzano affascina: dopo l’esperienza con le strutture smontabili dei Carri di Tespi, si afferma l’idea di una struttura stabile, che si concretizzerà solo nel 2008 con la realizzazione del Gran Teatro Puccini, problematico sotto molti punti di vista: il teatro all’aperto, infatti, è inevitabilmente esposto alle bizzarrie atmosferiche e all’elevatissima umidità proveniente dal lago, che in certe serate si trasforma addirittura in nebbia, senza contare l’acustica non pienamente efficiente.
Si ha l’impressione, questa l’opinione espressa da Bianchi nel suo volume, che, come al solito, Puccini sia stato, se non oltraggiato, travisato. Un artista, anche da questo particolare punto di vista, sostanzialmente incompreso, che Bianchi si augura possa finalmente «essere preso sul serio», così da restituirne in maniera efficace la peculiarità umana e l’immensa caratura artistica.
Michele Bianchi, Il teatro di Puccini. Da Viareggio a Torre del Lago, Edizioni ETS, Pisa 2024
Demon Copperhead, o del godimento del racconto. Potrebbe essere questo il sottotitolo giusto per il romanzo che è valso a Barbara Kingsolver il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2023. Ma l’appassionante storia del giovane Demon è molto più di una straordinaria festa della narrazione: riscrittura contemporanea di David Copperfield, trascinante romanzo di formazione, ritratto meraviglioso e dolente della Lee County, estremo lembo della Virginia sudoccidentale devastato dalla povertà e dall’epidemia di oppioidi.
L’incipit è fulminante, e avvicina immediatamente Demon a David Copperfield, di cui condivide l’ambizioso arco narrativo: «Prima di tutto, sono nato». E infatti Demon nasce, sul pavimento di una casa mobile sperduta negli Appalachi meridionali da una madre diciottenne alcolizzata e dipendente da sostanze. Il padre, ovviamente, è morto prima della sua nascita, e a sostenere Demon e sua madre, entrambi ‘ragazzini’ senza mezzi, senza radici, senza progetti a lungo termine, ci sono solo i Peggot, hillbilly anche loro, certamente, e poveri, ma con il cuore grande e un profondissimo senso di comunità.
Ben presto anche la mamma se ne va, stroncata da un’overdose di Oxycontin, e così Demon inizia la sua corsa a perdifiato attraverso la vita, sfrecciando tra tessere del sussidio e buoni pasto, assistenti sociali sopraffatte dalle catastrofi che devono gestire, famiglie affidatarie sempre e comunque inadeguate, ma anche amicizia e tenerezza, fumetti e supereroi che aggiustano le storture del mondo, lo spettacolo selvaggio e struggente della natura. E Demon, caparbio e resiliente, sopravvive e va avanti cercando di combattere la sua invisibilità di bambino perduto con creatività e caustico umorismo. Che da questa serie di sventure non scaturisca una narrazione dolente e lacrimevole è, a mio giudizio, un vero miracolo narrativo, che risiede tutto nel punto di vista e nella voce del protagonista: ferocemente autentici, vividi, ironici e toccanti. Demon Copperhead è un romanzo potentissimo attraverso il quale Kingsolver ci racconta in modo crudo ed emozionante gli emarginati di oggi, prostrati dalla crisi economica e dalla droga, così come Dickens aveva raccontato i derelitti della Londra industriale, regalandoci un protagonista sfolgorante, un po’ Huck Finn un po’ Holden Caulfield, che non perde mai la fiducia in quella corsa selvaggia e impetuosa che è la vita.
Barbara Kingsolver, Demon Copperhead, traduzione di Laura Prandino, Neri Pozza, Vicenza 2023
Un nuovo Copperfield
Periodico della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca
Referenze fotografiche (con riferimento alle pagine della rivista)
Adobe Stock: 44-45, 46-47, 48-49, 50-51, 56 (alto), 5859 – Archivio fotografico Associazione ‘Il Contesto’ APS: 60, 61, 62 – Archivio fotografico Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca: 38-39 – Archivio fotografico Fondazione Coesione Sociale: 67,68-69, 70-71 – Archivio fotografico Fondazione Ragghianti (dal catalogo della mostra): 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 – Archivio fotografico Lucense: 53, 54, 55, 56 (basso) – Archivio fotografico Maria Pacini Fazzi editore (dal catalogo della mostra): 78-79, 80, 81, 82, 83 – Archivio fotografico Museo del Castagno: 22, 23 – Archivio fotografico Scuola Alti Studi IMT, Lucca: 34-35 – Archivio fotografico Viareggio Cup (dal sito): 73, 74, 75, 76, 77 – Foto di scena dal film Accanto a te: 63, 64, 65 – Christian Greco: 33 – Museo Civico della Figurina di Gesso e dell’Emigrazione Guglielmo Lera, Coreglia Antelminelli (dal sito): 57 – Tommaso Stancanelli: 36-37 –Irene Taddei: 40-41
Le illustrazioni alle pagine 2, 58, 84, 99 sono state realizzate da Diletta Impresario
La Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, scusandosi anticipatamente per l’involontaria omissione di referenze fotografiche, è disponibile ad assolvere eventuali diritti.
Finito di stampare nel mese di giugno 2025 da Tipografia Tommasi