IX - Maggio 2022

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ETCETERA Il g io r n a lin o d e g li s t u d e n t i

M a jo ra n i a C e se n a tico

L a d o n n a n e l l ’a r t e : T iz ia n o V e ce llio

G ra z ie R ich a r d

M a g g i o 2 0 2 2 - N °9


IN D IC E L’E D I T O R I A L E 4

S e t t e m a jo r a n i a C e s e n a t ic o : in t e r v is t a a lla s q u a d r a d i m a t e m a t ic a d i L u c a S a ra c h o , 4 F

SCUO LA

1 2 L a S c u o la è fa t t a d a n o i S t u d e n t i d i A lt e r.m a jo

1 4 L a C o n s u lt a , q u e s t a s c o n o s c iu t a d i S t e fa n o R o v e re , 4 D

1 7 In t e r v is t a a l p ro f. T a g lia b u e s u S c a c c o m a jo d i J a c o p o P a la z z o lo , 3 C

P O S TA D E L C U O R E 2 0 M a g g io s o g n a t o re d i A n o n im i

C U LT U R A

2 4 In c a n t a (u )t o r i: V e r it à e Te a t ro , V e r it à o Te a t ro d i P ie t ro C a t t a n e o , 3 b b

2 9 L e b e lle v e n e z ia n e

d i G io rg ia T ir a lo n g o , 3 b b

3 3 It ’s b e t t e r t o b u r n o u t t h a n t o fa d e a w a y d i S a m u e le N a v a , 3 C

3 7 P ro c r a s t in a t io n

d i V e ro n ic a G u a r is c o , 2 D

O G G I, N E L L A S T O R IA 4 0 Il 1 3 m a g g io d i T u c id id e , 4 B

A N IM A L E D E L M E S E 4 1 Il v e r m e d i v e llu t o

d i A n g e lic a P e lle g r in o , 1 A

E t C e t e r a M a jo r a n a

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IN D IC E N A R R A T IV A

4 3 A rc a d e - D u n c a n L a u re n c e d i M e lis s a C o lo m b o , 3 I

5 0 L’u lt im a a lb a s u lla c o llin a d i A le s s a n d ro B a lo s s i, 4 A

P O E S IA

5 2 R im p ia n t i

d i E lis a Z a c c a g n i, 2 c c

5 3 A l c u o re

d i D a n ie le R is o

5 4 Il b a lz o n e

d i c o lu i c h e b a lz a

E P ITA F F I

5 6 G r a z ie R ic h a rd : In m o r t e d i R ic h a rd B e n s o n

d i M a t t e o G a lb ia t i, 4 H ; G io v a n n i C h in n ic i, 4 H ; L o re n z o O b e r t i, 4 H

E t C e t e r a M a jo r a n a

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L ’E D I T O R I A L E

SET T E M A JO R A N I A C E S E N A T IC O IN T E R V IS T A A L L A S Q U A D R A D I M A T E M A T IC A LU C A SA R A C H O , 4F

Era un lontano giovedì 5 maggio dell’anno 2022 d.C. quando sette ragazzi si ritrovarono su un treno diretto verso il loro destino: le finali nazionali delle gare a squadre di Matematica di Cesenatico. Eppure il tempo scorreva così lentamente, senza che succedesse nulla di veramente indimenticabile. Ecco allora che gli occhi di uno di questi sette ragazzi iniziarono a brillare. Questo giovine abbastanza burrascoso propose agli altri di divertirsi assieme conducendo un’intervista a tutti i membri del team che sarebbe stata successivamente pubblicata sul giornalino del loro liceo, l’Immortale EtCetE t C e t e r a M a jo r a n a

era. Questo giovine ero io, e di seguito, miei cari venticinque lettori, potete trovare le parole, i sogni e i desideri dei miei valorosi compagni di squadra! Benissimo, allora iniziamo l’intervista col nostro caro Luca Borgonovo di 5F! Guarda sono già rosso (ride imbarazzato). Dunque, tu nella squadra sei in coppia col nostro capitano, Alessandro Alberti. Potremmo dire che il vostro è un duo filosofico come quello di Plotino e Porfirio, oppure quello di Marx ed Engels… 4

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L ’E D I T O R I A L E No no, tutto ma non Marx ed Engels. Se proprio dovessi esprimermi, io direi più come quello di Don Chisciotte e Sancho Panza. Va bene, Cervantes apprezza sicuramente. Comunque, sei nella squadra di matematica del nostro liceo. Cosa ti ha spinto ad unirti a questa avventura? Credo che il merito vada tutto alla prof. Proserpio che illo tempore mi costrinse a prendervi parte in – fammi pensare un attimo – addirittura in prima. Già alle medie avevo partecipato a giochi della matematica simili, vedi per esempio il Kangaroo, e mi sono sempre divertito; quando ho scoperto che anche il Majorana offriva delle simili opportunità allora ho deciso di parteciparvi. Poi la gente che ho incontrato è tutta simpatica, a parte qualche elemento con cui purtroppo mi tocca lavorare (guarda ridendo Alessandro Galbiati). Colgo subito l’occasione per porti questa domanda: com’è che si lavora in squadra? In generale lavoriamo divisi in gruppi di due o tre persone in modo che ci si possa dividere equamente il lavoro (uno E t C e t e r a M a jo r a n a

fa i calcoli e l’altro li controlla) oppure si possono tentare strade risolutive diverse per uno stesso problema. Capitano in gara momenti in cui è necessario fare punti velocemente, dunque in quei casi si tenta anche di risolverli individualmente; tuttavia, tendenzialmente ci sono problemi che necessitano del lavoro sinergico di più menti. Qual è il campo in cui sei più ferrato? Combinatoria credo. Mentre la tipologia di problemi che eviti come la peste? Geometrici, assolutamente, la bestia nera per tutti i matematici che conosco e che partecipano a queste competizioni. Fantastico, adesso passiamo ad Alessandro Galbiati sempre di 5aF! Alessandro, ormai ci avviciniamo al termine del tuo ultimo anno qui al nostro liceo. Dimmi, come vedi la prospettiva Maturità? Bisogna ammettere che è un miracolo riuscire ad arrivarci (ride). L’introduzione della seconda prova secondo me era un po’ tirata ma per il resto ci sta, penso che questa nuova formula che ha deciso 5

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L ’E D I T O R I A L E il Ministero non sia neanche così tanto svantaggiosa tutto sommato. Cosa ti ha lasciato il Majorana in questi 5 anni in cui sei stato tra i banchi di scuola? Può suonare banale e scontato, ma sicuramente tante esperienze. Ho conosciuto tante persone con cui reputo è stato bello dialogare e passare momenti assieme: compagni di classe, compagni di squadra e compagni di avventura, soprattutto, qui a Cesenatico. Sono una persona che reputa questa scuola veramente di alto livello e, non lo nascondo, me ne vanto un po’ in giro; le possibilità che mi sono state offerte sono state davvero tante e dubito che le avrei potute trovare da qualche altra parte, sia a livello di competenze che a livello di esperienze. Qual è la traccia più importante che l’esperienza delle gare di matematica ti ha lasciato? La traccia più importante che mi ha lasciato è sicuramente il modo con cui rapportarsi fra più persone. Succede spesso che ognuno, per risolvere un quesito, parta per la propria strada e debba poi esporre quanto scoperto ai suoi comE t C e t e r a M a jo r a n a

pagni: ecco, esporre tutte queste informazioni in un tempo così limitato, in modo comprensibile, in un’atmosfera frenetica e caotica è una bella sfida. Questo confronto di idee mi rimarrà di certo dentro. Cosa pensi che troverai a Cesenatico? Temporali, nuvole… No vabbè, tanti ragazzi desiderosi di vincere ma anche di divertirsi, parlare, ridere, scherzare, passare il tempo facendo qualcosa che da molti è giudicato negativamente. C’è un mito nero per la matematica… Matematica tutti la odiano, tutti la temono. Devo dire però che proprio facendo le gare sono riuscito a rivalutarla. Sembra strano a dirsi ma io prima non l’avevo mai apprezzata, ma andando più in profondità ho scoperto questo lato assolutamente interessante e divertente che a scuola non puoi avere: non basta la formuletta per risolvere l’esercizio della verifica che poi ti dimenticherai il giorno dopo, ma è costante ricerca e scoperta e il bello sta proprio in questo. Passiamo alle ragazze della nostra simpatica comitiva, Iris Arienti di 4D e Laura Cattazzo di 4F! 6

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L ’E D I T O R I A L E ecco. Che strategia adotterai nel tuo gruppo a Cesenatico? Allora, io dovrei lavorare insieme ad Iris e Luca. “Dovrei” perché Luca di solito parte per la tangente e sceglie il suo problema, quindi io e Iris ci troviamo un problema che ci piace e che sia fattibile e iniziamo a ragionare e a fare i calcoli (che sistematicamente sbagliamo perché un 5 magicamente, per la fretta di scrivere, diventa un 8, ma questi sono dettagli). Poi Luca o finisce il suo problema o lo molla (ehm ehm, FINISCE il suo problema) e io e Iris gli esponiamo i risultati a cui siamo pervenute nel mentre. Quindi o lui ha un lampo di genio e si emoziona tutto (quando fa così inizia a parlare così velocemente che solo lui sa cosa sta dicendo) oppure ci dice che quello che abbiamo fatto noi ha un minimo di senso. Se ci siamo arenate lui si ferma lì a meditare e quando ha terminato si ricongiunge con noi per fare il terzo problema. Da lì in poi partiamo abbastanza spediti devo dire. Definiresti il tuo approccio alla matematica più rigoroso e teoretico oppure più, passami il termine, “a

Laura dimmi, cosa stai leggendo al momento? Niente purtroppo… (e inizia a piangere a dirotto); sono in un periodo tristissimo, non so più cosa leggere. Stavo guardando The Resident come Serie TV ultimamente (tra l’altro, breve inciso, The Resident è bellissimo, gli darei un bel 9), ma oltre a quello la mia esistenza è stata abbastanza vuota, che depressione. Giunti ormai agli sgoccioli di quest’anno scolastico, cosa mi puoi dire rispetto all’ambiente del nostro liceo? Innanzitutto delusione totale per gite e macchinette, inesistenti. Noi di quarta, poi, abbiamo sofferto particolarmente per questo, non avendo potuto andare in vela in Sardegna neanche quest’anno. Tuttavia non ero partita con grandi aspettative. Sin dall’inizio sapevo che comunque eravamo ancora reduci di due anni terribili passati tra didattica a distanza e in presenza e che quest’anno non sarebbe tornata la tanto agognata Normalità pre-pandemica. Certo, avevo la speranza che tutto sarebbe migliorato, ma non mi sono per questo illusa, E t C e t e r a M a jo r a n a

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L ’E D I T O R I A L E alla prova e un mettersi in discussione. Mi diverto davvero tanto ad arrivare finalmente alla soluzione di un problema con i miei cari compagni di mille avventure, ma devo dire che i miei sogni sono altrove. E allora qual è il tuo più grande sogno fuori dai cancelli di questo liceo? Il mio più grande sogno sarebbe quello di riuscire ad essere ammessa a Medicina, poi chissà cosa il futuro ha in serbo per me. Per che cosa sei veramente grata a quest’esperienza? Aver conosciuto tante persone e aver legato con un gruppo che mai avrei pensato mi avrebbe portata tanto lontano. Nella mia valigia metterò tutte le risate e i sorrisi che tutti i miei compagni sono riusciti a farmi provare in tutto questo tempo che abbiamo passato assieme.

braccio”? A braccio sicuramente (e ride). No seriamente, ho un approccio abbastanza intuitivo ai problemi che si fonda sì su una buona base di logica e teoria, ma a volte mi lascio guidare dal mio istinto. Cosa possiamo trovare sulla maglietta che portate tutti voi membri della squadra? Questo è un nastro di Mobius. Mi raccomando, non confondetelo con un Colosseo! Iris, invece, come ti trovi tu a lavorare con Laura e Luca? Sicuramente bene. È quello che facciamo da quattro anni e ci siamo sempre trovati comodi a lavorare assieme in questo modo. Luca di solito ha le idee ma siamo io e Laura che le concretizziamo calcolando di qua e di là, ipotenusa, radice o potenza quinta di questo o quell’altro. Ci capiamo molto bene, questo è poco ma sicuro. Definiresti la matematica come il fine della tua vita? Calma calma, non esageriamo (e sorride). La matematica ha un suo fascino innegabile ed è un costante mettersi E t C e t e r a M a jo r a n a

E adesso parliamo con il giovincello della combriccola, Filippo Proserpio di 3aF! Filippo, cosa provi ad essere il membro più giovane della squadra della nostra scuola? Ogni tanto mette un po’ di pressione, 8

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L ’E D I T O R I A L E non lo nascondo. Magari ti senti come se gli altri fossero più avanti di te, avessero più basi di te e temi di essere di peso a loro. Tuttavia il gruppo della nostra squadra è sempre riuscito a farmi superare questo timore di fondo che avevo e mi ha sempre permesso di esprimere il mio potenziale senza paura di sbagliare o di essere di troppo. Detto questo è un’esperienza fantastica che consiglio vivamente a tutti, anche perché ti dà la possibilità di conoscere persone capaci di darti quello stimolo in più e di farti crescere. Com’è stata la tua esperienza al liceo fino a questo momento? Tutto bene devo dire. Unica cosa che rimpiango è che io, essendo di terza, ho seguito i primi due anni praticamente da casa in DaD, e mi sono perso tutte quelle iniziative per cui la nostra scuola è famosa (comprese le gite sinceramente). Ma proprio grazie ai corsi di matematica ho potuto vedere un altro lato del Majorana, diverso dall’ambiente che si respira in mattinata tra una campanella e l’altra. Tante persone interessanti, tante opportunità di coltivare le proprie passioni: ecco cos’è il MaE t C e t e r a M a jo r a n a

jorana per me. Quando gli altri dicono che la matematica non serve a nulla, cosa pensi? Quando sento commenti del genere a volte sono un po’ triste e lo spirito da matematico che è dentro di me ne risente comunque; tuttavia in alcune circostanze lo posso anche capire. In rarissimi casi la matematica potrebbe anche apparire inutile, lo ammetto, però non per questo essa smette di esercitare il suo fascino e la sua bellezza e non per questo dovrebbe cessare di essere studiata ed approfondita. Ci tengo poi a ricordare che non è detto che qualcosa che oggi noi reputiamo inutile non possa essere rivalutato positivamente in futuro: si pensi alla storia travagliata degli stessi numeri complessi. Credo che si debba uscire da questa visione totalmente proiettata verso la praticità, verso l’utile, verso il pragmatico, così da riuscire a rimanere estasiati dalla matematica anche nella sua forma più pura ed astratta, nella sua dimensione più universale, che supera i limiti, i confini posti dalla natura umana. Quale sarà la tua strategia in gara? Beh, cercare di risolvere i problemi 9

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L ’E D I T O R I A L E (ride). Cercherò di lavorare bene con Galbiati anche se lui, essendo il consegnatore ufficiale della gara, dovrà correre ogni volta a dare le risposte. Prevedo che la musica durante la gara sarà alta a livelli discoteca, dunque la strategia sarà gridare a più non posso le idee che mi vengono in mente per cercare di svilupparle in due. Sei pronto a mettercela tutta in gara? Assolutamente sì, sono pronto a dare tutto me stesso. Nonostante tutto, confido che sarà una grande esperienza e sono comunque felice di esser arrivato fin qui, a Cesenatico. E adesso, dulcis in fundo, passiamo al nostro Capitano, Alessandro Alberti di 5aF! Alessandro, com’è nato questo tuo amore per la matematica? Credo di poter ricondurre tutto a una lettura precisa che feci quando ancora frequentavo le elementari: “Il mago dei numeri” di Hans Magnus Enzensberg. È la storia di ragazzo che ha in odio la matematica, anche a causa di un professore che, diciamo così, non è dei migliori; questo ragazzino tuttavia vede in sogno questo mago dei numeri che E t C e t e r a M a jo r a n a

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gli fa scoprire un lato totalmente inedito della matematica. E questo è ciò che, credo, è successo a chiunque sia appassionato di matematica, almeno una volta nella vita: riuscire a vedere oltre ai numeri qualcosa di superiore e bellissimo. Pensando invece alle gare, cosa ne pensi del tuo fedele compagno, Luca Borgonovo? Non saprei cosa fare senza di lui, senza il mio braccio destro. Ci conosciamo dalla prima, abbiamo imparato a lavorare benissimo assieme: insomma, non avrei mai potuto sperare in un compagno d’armi migliore e non riuscirei a lavorare nello stesso modo senza di lui. Parlando invece di Maturità, come hai trovato le tracce della simulazione della prima prova? Si poteva fare di meglio sinceramente. Ho scelto la traccia C che trattava della resilienza, anche se quella era una traccia che si prestava quasi interamente ad un testo espositivo più che ad un argomentativo: non vedo tuttora quali tesi originali ne potessero venire fuori. Cosa vedi dopo l’esperienza del liceo? Vedo un’esperienza di Università, M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


L ’E D I T O R I A L E un’esperienza di lavoro e un’esperienza di morte: credo che sia il ciclo vitale di tutti gli studenti riassunto in una frase essenzialmente (ride). Facendo un po’ più i seri, intendo proseguire ad approfondire quella che è la mia passione, la mia vocazione, che è ovviamente Matematica. Poi, come diceva Iris, chissà dove il vento mi porterà. Hai un consiglio per tutti gli studenti della nostra scuola che vorrebbero sperimentare un nuovo modo di vedere la matematica? Sicuramente iscrivetevi ai corsi organizzati dal mitico Marco Cattazzo, seguite le sue lezioni che sono sempre divertenti

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e non scoraggiatevi mai davanti ad una difficoltà: continuate a crederci e perseverate, e vedrete che anche la montagna più alta non sarà che una lieve increspatura della terra in confronto alla sconfinata ed universale bellezza che solo la matematica possiede. Con quale grido di battaglia guiderai il Majorana a Cesenatico? Può anche essere in latino? Certamente. Per aspera ad Astra, Majorani! Semper! (Speciali ringraziamenti a Luca Borgonovo per averci offerto la strumentazione tecnica in treno)

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SC U O LA

L A S C U O L A È FAT TA D A NO I STUD ENTI A L T E R .M A J O

Sono successe molte cose in questi ultimi mesi. In generale dal rientro a scuola dello scorso anno tutti, eccetto forse quelli del biennio, abbiamo notato che qualcosa è cambiato. All’inizio abbiamo pensato fosse dovuto al Covid - e in parte è così - ma ora la situazione è diversa: nelle altre scuole le iniziative sono tornate vive come un tempo, con le relative precauzioni sanitarie. La settimana di sospensione al Parini di Seregno, per esempio, è stata fatta, a distanza ma c’è stata. Parlando con studenti di altre scuole, abbiamo scoperto che per il mese di maggio sono state organizzate gite anche di più giorni, a Firenze, Roma, Palermo, Trieste. Chiedete agli studenti del Russell di Milano o del Casiraghi di Cinisello, per citarne alcuni. Il MajoE t C e t e r a M a jo r a n a

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rana ha invece puntato sulla linea del “se non me ne occupo non ci saranno problemi”, così per le gite, le macchinette, la settimana di sospensione, la cogestione e così via. I modi c’erano, i modi ci sono per fare qualcosa e le altre scuole lo dimostrano: a distanza o in presenza, basta adeguarsi, giustamente, alle norme anti-Covid, non serve reprimere totalmente ogni proposta. Da questo, da tutto questo è nato un grande e generale malcontento. Lo si percepisce semplicemente chiedendo in giro: la gran parte degli studenti sta male perché studiamo fino allo sfinimento e ora ci sono stati tolti anche quei pochi svaghi e momenti di socialità che prima erano organizzati e garantiti dall’istituto. Ma adesso noi non siamo qui per parlare dell’imporM a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


SC U O LA tanza della settimana di sospensione o delle altre iniziative rivolte agli studenti, dato che speriamo che la loro importanza sia condivisa da tutti. Ora siamo qui per rivendicare il ruolo di noi studenti all’interno della scuola: noi siamo il centro di questa scuola, senza di noi il Majorana semplicemente non c’è e l’unica cosa che vogliamo è essere ascoltati. Già, perché da mesi cerchiamo di parlare di questi e altri problemi, problemi che interessano la salute di tutti noi, eppure non veniamo ascoltati. Né dai professori, né dalla dirigenza.

mentale affinché il progetto funzioni. Noi siamo convinti che la scuola si trasformi per e grazie agli studenti ed è pertanto un nostro diritto fare tutto il possibile per essere ascoltati. Il dialogo tra la dirigenza e gli studenti stessi è la chiave per il corretto funzionamento dell’enorme meccanismo di ingranaggi che è la scuola. E quando questo meccanismo non funziona in modo corretto, si creano disagi per tutti coloro che vi sono coinvolti.

Per questo motivo è nata la pagina Instagram di Alter Majo, uno spazio alternativo di ascolto e dialogo. Questo progetto studentesco ha come scopo non solo di riportarci a un presente in cui le iniziative che hanno reso grande e rilevante il nostro istituto possano rinascere, ma anche di portarci in un futuro in cui si possa cambiare o migliorare ciò che gli studenti ritengono che sia inadeguato. Alter Majo è la voce incensurata degli studenti, il luogo dove questi possono manifestare i loro problemi e denunciare ciò che non funziona nella scuola. Perciò la partecipazione studentesca è fondaE t C e t e r a M a jo r a n a

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SC U O LA

L A C O N S U LT A ,

Q U E S T A S C O N O S C IU T A S T E FA N O R O V E R E , 4 D

Salve lettori! Oggi mi autorizzo a prendere qualche minuto del vostro tempo per parlare di un misterioso organo studentesco, di cui in pochi conoscono l’esistenza. Quanti tra voi sanno cosa sia, o hanno anche solo sentito nominare, quell’oligarchica assemblea che porta il nome di Consulta Studentesca? A dire il vero, dalla prima stesura di questo articolo la consulta è stata nominata e brevemente descritta nell’assemblea degli studenti, ma approfondirò ulteriormente la mia vicenda alla scoperta di questa misteriosa istituzione. Innanzitutto, detto in modo semplice, la consulta è quell’assemblea dove tutte le scuole possono segnalare i loro problemi e aderire a progetti interscolastici. Nella pratica, dove gli studenE t C e t e r a M a jo r a n a

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ti di una determinata scuola possono fare presente un problema sistematico e si collabora per risolverlo. Ogni scuola ha due rappresentanti eletti che partecipano ai meeting della consulta della propria provincia. O almeno in teoria. Diamo un veloce sguardo alla situazione del nostro Eminentissimum ac Magnificentissimus liceo: i nostri rappresentati in consulta sono zero. Nulla, non pervenuti, insieme vuoto. E le elezioni dei rappresentanti in consulta avvengono ogni due anni: non ne avremo fino al 2024. E a questo, a mio parere, possiamo dare due interpretazioni, che vanno di pari passo l’una con l’altra. La prima è che ciò sia frutto di un errore gestionale o di un disinteresse M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


SC U O LA da parte della scuola. La circolare per le candidature alla rappresentanza in consulta è arrivata il 16 ottobre dello scorso anno, meno di 4 giorni prima della scadenza per presentare i nomi. La comunicazione ci è giunta ma è passata con facilità in sordina, essendo stata immediatamente preceduta da una destinata ai pochi ragazzi del corso ICDL [ndr; già, non si chiama più ECDL] e immediatamente seguita da un’anonima “FS1_com1”. Per darvi una rapida impressione riguardo la cura nelle comunicazioni, tenete conto del fatto che nella descrizione di entrambe queste circolari ci sono errori di battitura. Per il resto, niente. Nessuno ha parlato della consulta e della possibilità di farne parte, men che meno dei possibili benefici. La seconda mia interpretazione non tratta del microcosmo della nostra scuola, ma della situazione che sta vivendo l’intera consulta provinciale di Monza e Brianza. Dovete sapere che, nella stesura di questo breve articolo, ho contattato i rappresentanti di un’altra scuola, del liceo Parini di Seregno. Liceo che, organizzativamente, non ha nulla da invidiare al nostro, e che per numero di iniziative, progetti, gite e possibilità E t C e t e r a M a jo r a n a

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ci (ahimé) supera senza sforzo. Ebbene, nemmeno il liceo Parini ha un singolo rappresentante in consulta, e sono anzi stato il primo ad illuminarli riguardo la sua esistenza. Chiedendomi come sia possibile che un’iniziativa così importante non sia conosciuta né nel nostro liceo, né al Parini, due scuole così rilevanti sul nostro territorio, ho pensato che contattare direttamente i responsabili della consulta avrebbe avuto senso. E qui si è risolto il mistero. Controllando la pagina instagram si può notare come l’ultima iniziativa, un progetto di segnalazioni per problemi relativi a trasporti con autobus all’interno della provincia, sia stata proposta quasi un anno e mezzo fa. E la pagina facebook non migliora molto la situazione, essendo stata aggiornata l’ultima volta a settembre 2019, sei mesi prima del covid. Ho deciso quindi di dare un’occhiata ai resoconti dell’Ufficio Scolastico Territoriale della provincia, e ho notato che l’ultima riunione è stata fatta più di 5 mesi fa, dopo una pausa di quasi un anno. La verità pare che sia quella della morte di un altro organo di noi studenti, per noi studenti. Nella nostra scuola il Collettivo, nella provincia la M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


SC U O LA Consulta. Sta a noi studenti far valere le nostre opinioni, e chiedere uniti quello che desideriamo. A partire dalla nostra scuola, fino ad arrivare in provincia e in regione. O, ancora meglio, per aspera, ad astra.

E t C e t e r a M a jo r a n a

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SC U O LA

IN T E R V IS T A A L P R O F. T A G L IA B U E SU SC A C C O M A JO JA C O P O PA L A Z Z O LO , 3 C

Carissimi lettori di Etcetera oggi non vi parlerò di qualche guerra o crisi politica in giro per il mondo, ma vi porto la tanto attesa intervista al professor Samuele Tagliabue sul torneo di scacchi da lui organizzato che ha riscosso tanto successo all’interno della nostra scuola, come d’altronde il corso dedicato a questo sport che il prof. organizza già da 2 anni; quindi vi auguro una buona lettura ed eccovi l’intervista. 1) Prof. Tagliabue da dove nasce questa sua passione per gli scacchi? Nasce quando ero bambino. Mi ha insegnato mio padre a giocare perché E t C e t e r a M a jo r a n a

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quando ero alle elementari c’era un torneo scolastico comunale a Seregno e desideravo partecipare. Vinsi per due anni consecutivi e questo mi motivò molto fino anche a studiare seriamente il gioco per un breve periodo. Abbandonai presto però perché diedi priorità alla scuola e all’atletica leggera che praticavo. Però la passione mi è sempre rimasta. 2) Come mai ha pensato di proporre nella nostra scuola prima dei corsi e poi anche un torneo dedicato a questo sport? In generale credo molto all’aspetto educativo e addirittura didattico del gioM a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


SC U O LA co. Ma quando da febbraio 2020 abbiamo vissuto l’esperienza del lockdown mi è nata questa idea degli scacchi a scuola. Nella fatica delle relazioni che abbiamo vissuto tutti a causa della distanza che ci limitava la socialità mi è sembrato necessario aiutare gli studenti, ma anche me stesso, proponendo un’occasione per stare insieme, per fare qualcosa di nuovo, divertente e stimolante. Immaginavo che per molto tempo le attività extrascolastiche sarebbero state molto limitate. Così a settembre dell’anno successivo ho proposto alla preside di tenere un corso settimanale pomeridiano, ovviamente da remoto visto che a scuola eravamo in presenza al 50%. È stato un successo perché ho dovuto chiudere le iscrizioni dopo circa 24 ore essendosi esauriti tutti i posti disponibili. Gli studenti sono anche stati fedeli all’impegno che è proseguito fino a maggio. Inoltre, ad aprile organizzai su una piattaforma online un torneo di istituto aperto a tutti, anche a chi non era riuscito a iscriversi al corso. Parteciparono 45 studenti, che per me era un numero sorprendente. Quest’anno invece è andata ancora meglio! Ho organizzato ben due corsi: uno “avanzato” per chi lo aveva già frequentato l’anno prima E t C e t e r a M a jo r a n a

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e uno base per chi desiderava imparare a giocare. La grande differenza è stata tenere i corsi in presenza, finalmente. Grazie all’intervento della preside, che crede molto nell’iniziativa, la scuola ha acquistato 15 scacchiere e una decina di orologi da gioco. 3) Per ora come procede il torneo di quest’anno e quali sono i primi risultati? (risultati anche in termini di partecipazione e di accoglienza della proposta da parte degli studenti) Nel torneo d’istituto di quest’anno, svolto in presenza ad aprile, ci sono stati 57 iscritti. Un numero impensato, che mi ha costretto a chiedere in prestito una dozzina di scacchiere a un’amica. Abbiamo passato un bel pomeriggio di divertimento a scuola, predisponendo due aule come sale da gioco. I migliori otto classificati tra pochi giorni giorni si giocheranno il titolo nel torneo dei finalisti. Coloro che andranno a podio vinceranno tre coppe gentilmente offerte dal Comitato genitori, che approfitto qui per ringraziare. 4) Ha intenzione di riproporre queste varie iniziative incentrate sugli scacchi vista la sempre crescente popolarità di questo sport? M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


SC U O LA Certamente! Anche per l’anno prossimo proporrò un corso base. Il corso avanzato vorrei che pian piano si trasformi in un piccolo circolo scolastico, anche perchè ad alcuni dei miei corsisti ormai ho ben poco da insegnare. Comunque è proprio vero che gli scacchi sono sempre più popolari. Penso alla serie prodotta da Netflix, The Queen’s gambit, ma penso anche a Twitch e YouTube, piattaforme sulle quali tanti streamer contribuiscono ad avvicinare agli scacchi un grande numero di persone. Tra l’altro, durante il corso di quest’anno, ho invitato come ospite il giovane Grandemaestro Luca Moroni, ex studente del Majo, classe 2000, che oltre ad essere uno scacchista professionista è uno streamer capace di raggiungere migliaia di persone al gioco.

scuola si possa giocare a questo gioco. Ci sono persone che non riescono ad esprimersi con efficacia attraverso i linguaggi canonici e mi piace molto l’idea che gli scacchi possano valorizzare chi ha questa fatica. E poi nei corsi a scuola c’è la possibilità di conoscere gente nuova, condividere esperienze, imparare qualcosa di diverso e tenere attiva la mente.

5) Qualche parola per convincere i lettori interessati ad avvicinarsi agli scacchi anche tramite i suoi corsi? Una delle cose che mi piace di più degli scacchi è che parlano un linguaggio diverso. Né letterario, né numerico, né scientifico. È un linguaggio logico fondato sul calcolo ma anche sulla creatività e l’inventiva. Anche per questo credo che sia bello che in una E t C e t e r a M a jo r a n a

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P O S TA D E L C U O R E

M A G G IO S O G N A T O R E A N O N IM I

INTRODUZIONE Salve Majorani, spero vi stiate godendo questo splendido mese di summer vibes e verifiche di latino (a meno che abbiate fatto la saggia scelta di essere ignoranti). Siamo tornati per rispondere ad alcune vostre domande, anche se abbiamo dovuto attingere da nostre conoscenze per averne a disposizione un maggior numero. Sperando che la lettura possa risultarvi piacevole, auguriamo a tutti un buon ultimo mese di scuola. [INSIEME] “Mi sono lasciata da poco ed io e il mio ex siamo nella stessa classe, lui mi ignora e non vuole parlare dei suoi sentimenti, mentre io vorrei solamente riuscire a chiudere pacificamente la nostra relazione. Come faccio?” E t C e t e r a M a jo r a n a

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Innanzitutto è necessario che tu comprenda che tutte le persone hanno diversi modi di affrontare la medesima situazione e di comunicare ciò che provano. Il fatto che non ti rivolga parola non implica necessariamente che non gli importi nulla di te; potrebbe semplicemente non sentirsi pronto ad esprimere le proprie emozioni e probabilmente ha ancora bisogno di tempo per metabolizzare quanto accaduto tra di voi, per riuscire a capire cosa vuole realmente e cosa prova. È inoltre un contesto in cui è difficile trovare una soluzione immediata: siete entrambi costretti a vedervi tutti i giorni dopo aver concluso la vostra relazione, dopo esser passati dal tutto al niente. Essendo, appunto, nella stessa classe è possibile che si crei un’atmosfera di imbarazzo e malessere generale cercando di evitare la minima interazione con quella M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


P O S TA D E L C U O R E persona. La condizione (come direbbe Pascal) obbliga ad una scelta: o restare nella totale indifferenza o instaurare un rapporto civile, magari un’amicizia. Questa scelta però deve essere accettata da ambedue le parti, e per capire cosa è meglio per entrambi bisogna comunicare. Lo so, ammettiamo che in risposta alle vostre domande ripetiamo sempre la parola “comunicazione”, ma purtroppo non esiste modo migliore per affrontare un problema. Quindi, signorina, si faccia coraggio e faccia una bella chiacchierata con il suo ex indifferente, provando a capire quale possa essere la soluzione più adatta al vostro contesto. Se non è ancora pronto a parlarne, aspetti che il tempo faccia il suo corso: prima o poi probabilmente dovrà farlo, trovandosi nella stessa classe. [RAGAZZA] “Sono in crisi con il mio ragazzo e non capisco quale sia il motivo, non provo più le stesse cose di prima e mi sento estremamente in colpa. Lui non ha mai fatto niente di male nei miei confronti, e ho paura di non essere in grado di amare. Voglio solo che lui sia felice.” E t C e t e r a M a jo r a n a

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Ci sono molti modi in cui può finire una relazione e non sempre deve accadere qualcosa di catastrofico, o qualcosa che faccia perdere la stima nei confronti dell’altra persona. Secondo me, soprattutto alla nostra età i sentimenti sono molto instabili, soprattutto perché in questi anni cambiamo e cresciamo tantissimo. Sia nelle relazioni amorose che in quelle di amicizia non ci dovremmo mai aspettare che i rapporti rimangano uguali nel tempo: potrebbe non esserci più la chimica iniziale, magari non si hanno più argomenti interessanti di cui parlare, non ci si trova a proprio agio come un tempo, oppure semplicemente l* guardi negli occhi e non senti più quel qualcosa che ti faceva pensare “è la persona giusta con cui condividere tutto questo”. Queste sensazioni sono normali, non sei sbagliata. Anche perché se prenderai la decisione di chiudere questa relazione non sarà ferito soltanto lui, ma entrambi. Presupponendo che entrambi abbiate tenuto molto l’uno all’altro, spero che riusciate a trovare un accordo per chiudere pacificamente, senza rancori o rimpianti. Ci hai scritto che “hai paura di non esM a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


P O S TA D E L C U O R E sere in grado di amare”, ma ci terrei a dirti con tutta sincerità che il fatto che tu ti chieda cosa dovresti fare e che ti preoccupi per come si potrebbe sentire lui, dimostra che sei in grado di amare, non avere questo dubbio. Una persona che non è in grado di amare non lo penserebbe neanche: probabilmente non si accorgerebbe di non essere abbastanza innamorata per continuare una relazione seria, oppure finirebbe per commettere un torto nei confronti dell’altra persona, come mentirle. Non sentirti in colpa perché non provi più le stesse cose di prima, ti ripeto: i nostri sentimenti sono sempre in continua evoluzione. E poi chissà, magari dopo essere stati un periodo di tempo separati potrebbe tornare la voglia di riscoprirsi. Sii sincera con lui: cercate di comprendervi a vicenda, per quanto possa essere difficile soprattutto in una situazione del genere <3. [RAGAZZO] “Perché pensi che le persone trovino difficile parlare di sesso?” Ottima domanda. Ci ho sempre riflettuto e non sono mai riuscito effettivamente a giungere ad una risE t C e t e r a M a jo r a n a

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posta concreta, molto probabilmente perché non trovo difficile parlare di tale argomento. Innanzitutto, fino a pochi anni fa era considerato un vero e proprio tabù e le persone trovavano (e molti trovano ancora) difficoltà ad esprimere con gli altri la propria idea di sessualità, spesso per timore di essere giudicati. Credo però che essere a conoscenza di diversi aspetti legati al sesso possa aiutare a rapportarsi con gli altri, non solo in una relazione. Parlare apertamente di sesso con il proprio partner è fondamentale per capire cosa può piacere a quest’ultimo, e imparare a non essere “egoisti”: non bisogna pensare solo a se stessi, bisogna capire insieme all’altra persona cosa possa condurre al piacere la coppia. Il sesso quindi non si limita solamente all’atto, ed è giusto che se ne parli, visto che riguarda una serie di fattori di tale importanza. Nell’assemblea dei rappresentanti questo tema è stato affrontato, e degli alunni avevano proposto alla preside di integrare nel “programma” delle ore di educazione sessuale. Personalmente non ritengo che la scuola sia un luogo in cui il tema debba essere necessariamente trattato; dovrebbe essere un argomento che viene sì afM a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


P O S TA D E L C U O R E frontato magari alle scuole elementari e medie, ma che deve portare l’individuo ad intraprendere un percorso personale. Mi rendo conto che non tutti la pensino in questo modo, ma se la scuola è vista come il luogo ideale per sensibilizzare questo argomento, bisogna comunque tentare nuove proposte.

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C U LT U R A I N C A N T A (U )T O R I

V E R IT À E T E A T R O V E R IT À O T E A T R O P IE T R O C A T T A N E O , 3 b b

Θεάομαι, osservare. Questo il verbo alla radice di “teatro”, così come, del resto, di “teoria”. Perché questo preambolo da classicista compiaciuto, quale spesso commetto l’errore di essere? Perché spesso si sceglie di contrapporre la verità alla finzione, la sincerità alla recitazione. Il teatro è fatto però anche di gestualità, di una componente in cui la parola non sempre è protagonista. Il teatro è occhio, ed è l’occhio a mediarne il significato: la sensazione è alla base dell’esperienza narrativa. Il teatro è fatto di interpretazione: generalmente si parla di patto narrativo, ossia dell’atteggiamento che ci E t C e t e r a M a jo r a n a

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permette di vedere personaggi che vivono, ridono e soffrono anziché attori che recitano un copione. Si tratta di compiere una scelta, di rivestirsi di un atteggiamento propositivo che ci lasci guardare con occhi giusti e dalla giusta prospettiva. Lo stesso non vale per il modo in cui ci rapportiamo con la nostra realtà? Possiamo davvero parlare di realtà, senza prima puntualizzarla come nostra? Possono sembrare problemi inesistenti, inutili, o quantomeno irrisolvibili - qualcuno direbbe che fa lo stesso. Ci hanno riflettuto fior fior di filosofi e artisti, cosa può dirne uno studente al terzo anno di liceo? Niente, in effetti. M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


C U LT U R A Non penso mi si chieda di avere soluzioni, non credete? D’altra parte, nella mia infinita umiltà, posso permettermi di riferire parole altrui, portandovi le diverse posizioni di persone che ne san ben più di me. E, nella mia infinita ignoranza, posso provare a farlo attenendomi alla rubrica che in questo pentamestre ho portato sul nostro EtCetera, partendo cioè dai versi di cantautori italiani, più o meno recenti, più o meno valenti, più o meno coinvolgenti. Sta a voi prestarmi ascolto - si fa per dire, anche qui dovrete usare gli occhi per sentirmi. La prima posizione, la più drastica, è quella del cantautore pugliese Caparezza, alias Michele Salvemini. L’artista, esponente cardinale di una scena rap italiana da cui spesso si discosta, ha voluto regalarci “L’Infinto (capitolo: la finestra)” nel suo concept album sulla prigionia “Prisoner 709”, datato 2017. All’apparenza, questo pezzo sembra scritto quasi per gioco: una dimostrazione di abilità tecnica, fatta “per il meme”. Infatti, per tutta la canzone sembra volerci proporre un disegno complottista in stile Matrix, secondo cui la realtà in cui viviamo altro non sarebbe E t C e t e r a M a jo r a n a

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che una simulazione di un supercomputer, un videogioco su cui non abbiamo nessun controllo. Un po’ più in là vediamo però una teoria un po’ più profonda, che, a dirla tutta, viene esplicitata nei primi due versi: Solo accettando la finzione noi ritroveremo l’umanità. Ok, ma che vuol dire? Vuol dire che, siccome ciascuno si approccia al reale secondo il proprio punto di vista, che naturalmente è alterato dalla propria esperienza, arrivare alla piena conoscenza della verità dei fatti è in definitiva impossibile. Di conseguenza, anche se ciò che ci circonda fosse del tutto diverso da come noi lo crediamo - come nel caso proposto dalla canzone - potremmo non accorgercene, persino avendone le prove sotto il naso. E di conseguenza, l’unica cosa che rimane da fare è accettare la finzione, abbracciarla e sguazzarvici. Per il cantautore, l’apogeo di tale approccio si trova nell’arte, che permette di “scegliersi” una realtà accettabile e bella contro una verità potenzialmente terrorizzante: ciò che Caparezza ci dice nella canzone “Eyes Wide Shut” - liberamente ispirata all’omonimo film di M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


C U LT U R A Kubrick -, è che la finzione, inevitabile, può essere (resa?) necessaria: Come puoi dirmi di non fingere se la scelta di fingere è un bisogno reale, se anche l’età cambia il mio volto con un colpo teatrale? Se togli l’arte dal mio mondo è solo un posto banale, ricorda: Art is better than life. Art is better than lies. Così si conclude questo secondo brano. C’è chi però non la pensa allo stesso modo: il cantautore padovano Dutch Nazari, nel brano “Long Island”, quarta traccia del neonato album “Cori da Sdraio”, esordisce così: Unica regola sempre: io non ci credo alla verità, perché ho notato che chi mente spesso lo fa con sincerità. Emerge qui attraverso un paradosso un pensiero del tutto diverso dal primo: la verità esiste ed è raggiungibile, ma rimane incomunicabile ed irrimediabilmente ancorata a un punto di vista. Nell’Italia del secolo scorso, strenuo sostenitore di questo relativismo sociologico fu Luigi Pirandello, scrittore, poeta e drammaturgo di fama internazionale, nonché Premio Nobel per la letteratura. E t C e t e r a M a jo r a n a

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La maggior parte di noi ha letto, sta leggendo o leggerà il celeberrimo “Uno, Nessuno e Centomila”, romanzo pubblicato nel 1926 che tratta la relatività della percezione di sé e degli altri, e il percorso assurdo attraverso il quale il protagonista Vitangelo Moscarda ne raggiunge la consapevolezza. Si esplora l’incomunicabilità che vige tra ciascun essere umano e l’impossibilità, per una coscienza, di comprendere appieno un’identità - inclusa, per l’appunto, la propria stessa. Meno famosa è invece la novella precedente “Così è (se vi pare)” (1917), riadattata ben due volte - guarda caso - per il teatro: nel 1917 e nel 1925. Rispetto a Uno, Nessuno e Centomila, qui è ben più chiaro come l’esistenza di un’effettiva realtà non venga messa in dubbio; tuttavia, questa rimane inafferrabile: ora non più per via dell’irraggiungibilità della prospettiva altrui, bensì per la diversità del criterio di giudizio umano. Difatti, ciascuna notizia potrà essere utilizzata o scartata tra i tasselli che ci aiutano a comporre il nostro quadro di realtà; la maggior parte delle volte, però, i motivi per selezionarne l’uno o l’altro si equivarranno e allora sceglieremo secondo istinto, o per comodità. ConsegM a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


C U LT U R A uenza naturale è l’uguale validità di molte “opinioni”, tutte indiscutibili e pertanto, paradossalmente, tutte allo stesso modo errate. Infine, la prospettiva più serena: nonostante noi tutti ci cimentiamo ostinatamente nella finzione, sia questa per mantenere un’apparenza circa la nostra identità, oppure per convincercene, per ingannare, o per ingannarsi, la verità emerge sempre con autenticità e candore di bambino. Chi ci presenta questa visione è Roberto Vecchioni, cantautore bresciano ed ex-insegnante, che sotto tali vesti passò anche per la vicina Cesano Maderno. Nel brano Teatro, Roberto Vecchioni dipinge infatti l’ironico - ed iconico - decesso del commediografo e attore teatrale Molière, che morì nel recitare “Il malato immaginario”. Vecchioni immagina un dialogo tra il morituro e un altro personaggio, probabilmente un assistente alla scena a lui caro: l’attore lo esorta a continuare a recitare al posto suo, per non fermare lo spettacolo; l’altro, da parte propria, rimane ammaliato dalla naturalezza di un personaggio che ha speso la propria vita a fingersi altri: E quella sera l’ho adorato, che pianse, rise, improvvisando. E t C e t e r a M a jo r a n a

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Ma Molière prova a ribattere. Lui né ha riso né tantomeno ha pianto: recitava come al solito, anche nelle braccia della morte. Queste parole, però, non riescono credibili in nessuna misura all’amico, che gli risponde: No, non è vero, ci credevi, è stata la tua vita ed è la mia, e se non è così il teatro è una follia. Perché è in questi momenti che emerge la verità: nell’errore, in quell’inatteso in cui l’uomo si orienta più di quanto non voglia credere. E sta alla nostra umanità riuscire a cogliere l’imprevisto: la sfumatura, altrimenti impossibile da cogliere, del vero che si fa naturalmente strada nella finzione. Dunque, sempre nella mia infinita umiltà, posso permettermi di proporvi quest’ultimo approccio, che si schiera contro un relativismo ormai abusato senza freno: esiste una realtà effettiva, che se ne infischia di tutte le nostre “opinioni valide tutte allo stesso modo”. Al contrario di quello che molti deducono da questa prospettiva, però, non dev’essere ciò a frenare la nostra ricerca continua: lo strenuo sforzo in direzione di una visione più aderente M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


C U LT U R A al vero si vede anche e soprattutto nel saper dosare da una parte l’accettazione delle verità che ci vengono regalate, dall’altra nell’insaziabile curiosità verso l’esterno, in barba a chi ci circonda. E come tendere al vero quando circondati dal teatro? A mio parere, attraverso quell’umanità che ci permette di trovare scorci di realtà nell’errore, e che perciò confuta le prime due posizioni, che di questa non tengono affatto conto nella propria logica macchinale. A volte, si tratta solo di osservare.

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C U LT U R A

L E B E L L E V E N E Z IA N E G IO R G IA T IR A L O N G O , 3 b b

ca del bello e nella nudità dei soggetti. Mostra d’arte: Tiziano e l’immagine della donna Questa volta sono le donne le protagoniste, ritratte seguendo quei canoni di nel Cinquecento veneziano bellezza e quella componente erotica Forse per la prima volta nella storia esemplificate dalla poesia preumanisdell’arte, Tiziano e la pittura venezi- tica (basti pensare alla Laura di Giorana del ‘500 conferiscono piena dig- gione, ispirata dall’amata del Petrarnità e luminosità alla figura della don- ca) ed umanistica (si dice infatti che lo na, da qualsiasi ceto questa provenga: stesso Tiziano si sia ispirato al ritratto spose, vedove, nobili signore e fanci- letterario di Isabella d’Este di Trissino ulle di alto rango, fino alle cortigiane, per il suo celebre dipinto della nobildonna). alle sante, alle eroine, alle dee. Tiziano non fa discriminazione nello Nemmeno nei ritratti religiosi, di siscegliere i soggetti da rappresentare, curo, mancano questi elementi, basti ma anzi le ritrae con la stessa forza, pensare alla commovente Maria Maddautorevolezza e intensità: senza preoc- alena, che ispira devozione e sensualità cuparsi del loro ceto sociale o del loro allo stesso tempo, al pari delle profane ruolo, facendo incontrare il sacro e il e bellissime Veneri. profano, il puro e l’erotico. Chiara in Questa grande apertura nei confronti Tiziano è la tendenza umanistica, vol- del mondo femminile è accompagnata a recuperare il mondo dei classici, ta dalla crescente importanza del ruoi cui valori si esprimono prepotente- lo della donna nella Venezia del ‘500 mente, in ambito artistico, nella ricer- che, seppur vincolata ai contratti di E t C e t e r a M a jo r a n a

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C U LT U R A matrimonio e alla fedeltà alla casata di appartenenza, aveva pur sempre una certa autonomia in svariati ambiti, arrivando a diventare una figura rilevante anche nel buon funzionamento delle istituzioni politiche della città. D’altra parte, nonostante Tiziano e gli altri pittori della Venezia del sedicesimo secolo non badassero all’origine e all’estrazione sociale delle loro “Belle”, (si può riconoscere facilmente una larga uniformità di valori e stili), rimane comunque evidente che la differenziazione sociale era ben presente all’epoca: esposte alla mostra sono anche delle raffigurazioni su carta tratte dal “De gli habiti antichi, et moderni di diverse parti del mondo libri due” di Cesare Vecellio, ritraenti dei “prototipi” di donne diversificate per ruolo all’interno della società. A Venezia vigeva un sistema oligarchico, per cui si aveva interesse a mantenere l’élite destinata ad accedere al Gran Consiglio esclusiva e ridotta: pertanto, soltanto le figlie o i figli primogeniti venivano promessi in matrimonio (ovviamente alle donne si affidava la dote, elemento fondamentale per mantenere il patrimonio della famiglia stabile e non disperderlo tra tutti i figli. Questo permetteva quindi E t C e t e r a M a jo r a n a

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una certa importanza alla donna e alla sua genealogia in ambito strettamente politico). Pur essendo il matrimonio a tutti gli effetti un semplice contratto per garantire una linea di successione al sistema oligarchico, le donne date in sposa non erano completamente sottomesse o recluse: come tutte, si occupavano della gestione della casa e dell’educazione dei figli, mantenendo però una certa libertà nel disporre della propria dote e conservando uno stretto rapporto con la famiglia di origine. Inoltre, cosa ancor più sorprendente, venivano instaurati dei veri e propri rapporti di amicizia tra donne appartenenti anche a classi sociali diverse, sulla base di una cooperazione all’interno delle parrocchie, in cui sia patrizie sia mogli di operai univano le proprie forze per dare assistenza ai malati e alle donne povere e in difficoltà. Per molto tempo, le donne appartenenti ai ceti più alti hanno avuto poca possibilità di essere ritratte, visto che i veneziani volevano evitare “il culto della persona” tipico delle monarchie. Va notato quindi come Tiziano abbia saputo superare abilmente anche questa barriera: celebri sono i ritratti di nobildonne da tutto il mondo, M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


C U LT U R A come Isabella del Portogallo, Isabella d’Este ed Eleonora Gonzaga, carichi di potere e fierezza. Purtroppo, per tantissime altre donne, non si sa il vero nome e probabilmente non lo scopriremo mai. Queste donne sono le così dette “Belle veneziane”. Ma chi ritraggono realmente? Per molti anni i critici hanno ritenuto che si trattasse per la maggior parte di cortigiane, il cui seno scoperto e il cui sguardo indagatore avrebbero fatto trasparire desiderio e brama di passione; solo recentemente questa ipotesi è stata eclissata da una ritenuta più attendibile: si tratterebbe, infatti, di semplici promesse spose, giovani donne che con la loro semi nudità vogliono trasmettere un messaggio di consenso al matrimonio e di speranza di garantire una buona discendenza al marito, ma soprattutto alla città. “Un’apertura del cuore”, ecco tutto. Un altro dettaglio a sostegno di questa tesi è l’anello gemello, un doppio anello spesso visibile sul dito della Bella, simboleggiante l’adempimento ai voti nuziali e l’unione matrimoniale. Nonostante ciò, le cortigiane rimangono importanti elementi sia della pittura ma anche della società veneE t C e t e r a M a jo r a n a

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ziana dell’epoca: carismatiche, intellettuali, sensuali e intelligenti, spesso possedevano più libri degli umanisti uomini e la loro produzione letteraria è notevole, sebbene praticamente sconosciuta. Erano probabilmente le donne che più facilmente avevano accesso ad un’istruzione, e che avevano il privilegio di partecipare ai salotti letterari e di fare “carriera” in questo ambito, forse anche più delle “monache forzate”, costrette a vivere una clausura opprimente per le loro capacità. Piccole incisioni ci fanno conoscere le storie di queste donne letterate: a partire da Isotta Nogarola, costretta a fare voto di castità, che per la prima volta mette in discussione la colpevolezza di Eva, rivoluzionando il dibattito teologico (“Chi abbia maggiormente peccato, Adamo od Eva”); a Cassandra Fedele, nobildonna autrice di una celebre orazione esposta all’Università di Padova, in cui richiede di aprire l’accesso all’istruzione a tutti (richiesta che fece particolare scalpore); alle grandi petrarchiste, come Veronica Gambara, corrispondente di Pietro Bembo, e Gaspara Stampa, che rivoluzionarono la poesia erotica, facendo dell’uomo l’oggetto dell’amore al posto della donna. M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


C U LT U R A Nella stessa sala spiccano i ritratti di Tullia d’Aragona (di Alessandro Bonvicino), cortigiana molto influente nei salotti letterari, e di Veronica Franco (di Tintoretto), forse la cortigiana-poetessa più conosciuta dell’epoca, con la sua lirica vivace e sensuale, carica di amore e gelosia. Donne reali, sì, ma anche eroine storiche e mitologiche: impossibile descrivere la forza di Lucrezia, in ben tre dipinti che ne ritraggono prima l’eroico suicidio (Veronese), poi il dolce abbraccio del marito e la violenza di Tarquinio (Tiziano). Donne bibliche, che difendono il proprio onore, come la Susanna di Tintoretto, o che non esitano ad uccidere per salvare il proprio popolo, come la Salomè di Palma il Giovane o la Giuditta di Veronese.

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Per concludere, come potrei non citare le numerose Veneri (con cui Venezia sembra avere un rapporto speciale), ritratte da sole o in compagnia degli amanti Marte o Adone? Ciò che sicuramente colpisce e accomuna tutti questi dipinti è la forza delle protagoniste, confermata nelle loro storie di donne che mostrano dei lati della femminilità fino a quel momento tenuti nascosti. La grandiosità dei pittori veneziani sta proprio in questo: attraverso i colori sgargianti e i dettagli più minuti riescono a trasmettere la meraviglia e la complessità dei propri soggetti. Sarà possibile visitare la mostra ancora fino al 22 agosto, a Palazzo Reale di Milano.

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I T ’S B E T T E R T O BURN O UT THAN T O FA D E AW AY SA M U ELE N AVA , 3C

Il 3 marzo di quest’anno è uscito nelle sale The Batman, con Robert Pattinson come protagonista e Zoe Kravitz nel ruolo di Catwoman. Chiunque l’abbia visto al cinema o per vie traverse ha sicuramente in mente Something In the Way, dodicesima traccia di Nevermind, iconico album dei Nirvana, una delle più grandi band mai esistite. La storia dei Nirvana è indissolubilmente legata a quella di Kurt Cobain, frontman del gruppo, chitarrista e cantautore. Nacque ad Aberdeen e fin da piccolo dimostrò un grandissimo talento come artista: imparava facilmente ogni canzone gli si ponesse davanti e disegnava moltissimo. A otto anni i genE t C e t e r a M a jo r a n a

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itori divorziarono, portando un significativo disagio al piccolo Kurt, che divenne introverso ed infelice. A quattordici cominciò a suonare la chitarra elettrica e a comporre le primissime canzoni, mentre trascorreva l’adolescenza tra la casa della madre e quella del padre, problemi psicologici ed episodi di bullismo. Nel 1985 si allontanò dalla famiglia, lasciò la scuola e cominciò ad abitare da amici o in giro per la città (da queste esperienze nacque Something In The Way). Nello stesso anno fondò la sua prima band, i Fecal Matter con la quale registrò una delle sue prime canzoni, Downer. Nel 1986 fu arrestato per aver scritto sui M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


C U LT U R A muri “God is gay” o “Homosex rules” e per tutta la sua vita si dimostrò sensibile a tematiche come l’omofobia ed il razzismo. Nel 1987 fondò con Krist Novoselic i Nirvana, e con lui nel 1988 scrisse Love Buzz, che non entrò in nessuna classifica ma permise loro di farsi conoscere ad Olympia, Aberdeen e Seattle; nel primo periodo si susseguirono diversi batteristi, fino a raggiungere l’equilibrio nel 1988 con Chad Channing, che però fu sostituito da Dave Grohl nel 1990. Cominciarono ad essere notati nel 1989, grazie al rilascio di Bleach con l’etichetta della SubPop; l’album, che costò appena 606$, tocca diversi argomenti come il

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senso di inadeguatezza e l’amore, ma parla anche di piccole esperienze vissute da Kurt. Le canzoni più famose sono Love Buzz e About a Girl, canzone pop decisamente atipica per una band grunge/rock. Nel 1990 firmarono un contratto con la DGC Records e nel ‘91, seguiti dal produttore Butch Vig, composero Nevermind, album che ebbe un successo tanto inaspettato quanto straordinario, soprattutto (grazie al primo singolo) la celebre “Smells like teen spirits”; alla fine del 1991 il disco vendeva circa 400000 copie a settimana e a gennaio del ‘92 spodestó Dangerous di Michael Jackson dalla Billboard 200. Nevermind è

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C U LT U R A uno di quegli album che vale la pena ascoltare dall’inizio alla fine, stando attenti a non tralasciare nulla. È proprio grazie a questo successo che le canzoni dei Nirvana iniziarono ad essere sempre presenti in radio, ogni concerto divenne sold out e i tre ragazzi cominciarono a venir inseguiti dai giornalisti. La popolarità ebbe un forte impatto sui giovani, che passarono dall’essere una band semisconosciuta della periferia di Seattle ad uno dei gruppi più famosi al mondo. Nel febbraio del 1992 Kurt si sposó con Courtney Love, cantante delle Hole, e pochi mesi dopo nacque Frances Bean, uno dei principali motivi per cui la band decise di rimandare i concerti alla fine dell’anno. Tra questi concerti il più importante fu quello al Festival di Reading, dove Kurt si presentò sul palco in sedia a rotelle per poi unirsi al gruppo e suonare sia brani di Bleach che di Nevermind. Dopo poco cominciarono ad apparire su MTV, nonostante le divergenze coi dirigenti, riferite soprattutto all’ultimo singolo “Rape Me”. Sempre nel ‘92 pubblicarono Incesticide, una raccolta di vecchie tracce ed EP che già circolavano tra i fan, ma con una qualità molto bassa. Nel 1993, seguiti dal produttore Steve Albini, regE t C e t e r a M a jo r a n a

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istrarono in appena due settimane il terzo album, In Utero che debuttò alla prima posizione della Billboard 200, nonostante non ebbe lo stesso impatto di Nevermind e cercasse di fuggire la notorietà. Dell’album si ricordano soprattutto Heart Shaped Box, Rape Me e All Apologies, ma ovviamente, come per Nevermind, andrebbe ascoltato tutto quanto. Dopo due mesi da questo successo, il gruppo si esibì agli MTV unplugged, fornendo versioni acustiche delle loro canzoni più famose e di cover, come quella di “The man who sold the world” o “Where did you sleep last night”. Purtroppo, a Kurt, mentre raggiungeva il successo, aumentarono anche i problemi psicologici: odiava le pressioni dei media ed essere visto come il rappresentante della generazione X (smisero pure di cantare SLTS ai concerti). Temendo che i suoi testi venissero commercializzati, e per sfuggire a ulteriori preoccupazioni, cominciò ad abusare di alcol ed eroina, che lo portarono ad isolarsi dalla moglie e dal resto del gruppo. Nel ‘94, durante un periodo di riposo a Roma, andò in overdose dopo aver assunto circa 50 pasticche con dello champagne, finendo in coma farmacologico. Tornato negli USA continuò M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


C U LT U R A però a drogarsi e aumentò l’isolamento, tanto che dopo un tentativo fallito di disintossicarsi di tre giorni scappò dall’ospedale e andò a Seattle, dove si suicidò nella sua casa sul lago Washington. Lasciò una lettera di addio al suo amico immaginario d’infanzia, Boddah, in cui spiega di non trarre più piacere né dalla musica né dalla folla, di sentirsi colpevole perché troppo empatico, di temere per il futuro della figlia con un padre come lui e di non riuscire più ad andare avanti. Conclude tutto con queste parole “I don’t have the passion anymore, and so remember, it’s better to burn out than to fade away.” Così morì il quattro aprile 1992 Kurt Cobain, dopo aver trovato

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nella musica un modo per allontanarsi da una vita fatta di traumi e dolore, musica che il successo aveva reso un lavoro, un carcere nel quale bisognava solo pensare agli incassi. Entrò a far parte del tristemente noto Club 27, assieme ad altre leggende della musica come Jim Morrison o Jimi Hendrix. Per quanto riguarda Krist Novoselic e Dave Grohl entrambi rimasero attivi nel campo musicale, soprattutto il secondo, che fondò i Foo Fighters, una delle principali rock band dei nostri giorni. Insomma: con i Nirvana si scoprì un rock più intimo, molto più interessato alla propria musica piuttosto che al denaro.

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P R O C R A S T IN A T IO N V E R O N IC A G U A R IS C O , 2 D

Good morning, everyone! This is a strange way to start an article, isn’t it? Well, try reading the title again: ‘procrastination’. As you all may have guessed, the topic is related with my current situation - I’m late. Why? Because procrastination is the action of not doing one’s work or tasks. Delaying or putting off your tasks until the last moment (or maybe even after the deadline) is procrastination. It can perfectly be considered as a kind of self-sabotage or self-failure. You know you have a deadline for the task; you know that the deadline is getting closer and closer; and you understand that you have free time to do the work… But you don’t do it. Instead, you procrastinate! How many times have you thought about sitting down and spending an hour studying, only to start doing other tasks and eventually run out time? E t C e t e r a M a jo r a n a

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Regardless of how organized, committed, and well-prepared you are, everyone has found themselves spending hours wasting their time procrastinating instead of using that time effectively. How many of you spent time today looking at your smartphone when you should have been working? To cheer you up, about 95% of people admit to putting off work, according to Piers Steel, author of the Procrastination Equation. And I’d argue the remaining 5% are lying. Surely, the more averse you are to a task, the more likely you are to procrastinate. In his research, Pychyl identifies a set of seven triggers that can make a task more off-putting. Think of something you’re putting off right now — you’ll probably find that task has many, if not all, of the characteristics that Pychyl discovered makes a task procrasM a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


C U LT U R A tination-worthy: boring, frustrating, difficult, ambiguous, unstructured, not intrinsically rewarding, lacking in personal meaning. On a neurological level, procrastination is not the slightest bit logical — it’s the result of the emotional part of your brain — your limbic system — strong-arming the reasonable, rational part of your brain, your prefrontal cortex. The logical part of your brain surrenders the moment you choose Facebook over work, or decide to binge another episode of House of Cards when you get home. But there’s a way you can give the logical side of your brain the upper hand. When you notice an approaching showdown between logic and emotion, resist the impulse to procrastinate. Here are the best ways I’ve discovered in my research to do that. 1. Reverse the procrastination triggers. Consider which of Pychyl’s seven procrastination triggers are set off by an activity you’re dreading. Then try to think differently about the task, making the idea of completing it more attractive. 2. Take to writing a report regularly. If you find this boring, you can turn it into a game: see how many words you can crank out in a 20-minute time E t C e t e r a M a jo r a n a

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period. Or if you find a work task ambiguous and unstructured, create a workflow that lays out the exact steps you and your team should follow each month to get it done. 3. Work within your resistance level. When a task sets off procrastination triggers, we resist doing it. But just how resistant are we? Let’s say you have to wade through a dense piece of research for an upcoming project. To find your resistance level, consider the effort you commit to that task along a sliding scale. For example, could you focus on reading for an hour? No, that period of time still seems unpleasant. What about 30 minutes? Shorten the amount of time until you find a length that no longer makes you resist doing the task — and then do it. 4. Do something — anything — to get started. It’s easier to keep going with a task after you’ve overcome the initial hurdle of starting it in the first place. That’s because the tasks that induce procrastination are rarely as bad as we think. Getting started on something forces a subconscious reappraisal of that activity, in which we might find that the actual task sets off fewer triggers than we originally anticipated. Research suggest that we remember uncompleted or interrupted tasks M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


C U LT U R A better than projects we’ve finished. It’s like listening to a catchy song, only to have it unexpectedly cut off in the middle and then have it stuck in your head the rest of the day. Starting a task means you’ll continue to process it — and this makes you more likely to resume the work later on. 5. List the costs of procrastination. This tactic works best when you’re putting off larger tasks. While it’s not worth spending 20 minutes listing the costs of not going for your evening run, listing the costs will significantly help for a task such as saving for retirement. Add to your list all the ways procrastinating on retirement saving could affect your social life, finances, stress, happiness, health, and so on. It’s also worth making a list of the things you put off personally and professionally, large and small, while calculating the

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costs of procrastination for each. 6. Disconnect. Our devices offer a cornucopia of distractions, whether it’s email, social media, or texting with friends and family. This is especially difficult as our work becomes more ambiguous and unstructured (two triggers of procrastination). There are proven ways to combat procrastination so that it doesn’t get in the way of accomplishing your most important tasks. The next time you resist a task, consider whether it sets off any of the procrastination triggers, work within your resistance level, force yourself to get started on it, list the costs of putting the task off, or disconnect from the internet. You see? Incredibly, I’ve accomplished my mission!

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O G G I, N E L L A S T O R IA

IL 1 3 M A G G IO T U C ID ID E , 4 B

1717

Nasce Maria Teresa d’Asburgo

1830

L’Equador ottiene l’indipendenza

1909

Il Primo Giro d’Italia parte a Milano

1917

Tre contadini affermano di aver visto la Madonna a Fatima

1940

La Germania nazista inizia l’invasione della Francia

1950

Nasce Cesare Pompilio

1950

Nasce Stevie Wonder

1968

La sinistra manifesta a Parigi dando inizio al Maggio Fracese

1976

Pol Pot viene nominato primo ministro della Cambogia

1978

Aboliti i manicomi in Italia

1999

Carlo Azeglio Ciampi diventa presidente della Repubblica Italiana

2004

Nasce Luca Parravicini

2055

Muore Cesare Pompilio

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A N IM A L E D E L M E S E

IL V E R M E D I V E L L U T O A N G E L IC A P E L L E G R IN O , 1 A

La creatura che per questo mese tormenterà le pagine del nostro giornalino scolastico è il verme di velluto. Capisco che un insetto non tanto differente al rametto che da piccoli utilizzavamo come arma impropria durante ricreazione possa apparire poco interessante, ma - come ormai spero abbiate intuito dagli esE t C e t e r a M a jo r a n a

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seri di cui vi ho narrato-, il nostro piccolo amico è pieno di sorprese. Una delle sue caratteristiche tipiche è il corpicino tubiforme che, oltre ai colori brillanti, presenta numerose zampe tozze che rendono il passo del verme di velluto delicato ed estremamente lento, come quello di una vecchietta in procinto di recarsi M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


A N IM A L E D E L M E S E in chiesa con la sua gang di amiche armate di ventaglio. Sul capo presenta anche due antenne che, a differenza di quelle delle lumache che noi bambini amavamo toccare solo per vederle contorcersi, definiscono la seconda caratteristica principale di questo animale. Infatti, quando il verme di velluto caccia, secerne dalle due piccole antenne un liquido estremamente appiccicoso. L’atto dell’emissione di questa sostanza è magistrale: proprio come un piccolo Peter Parker in costume, il nostro animale del mese immobilizza la propria preda con le proprie tele. A seguito di questa azione, la creatura si avvicina al suo pasto e gli inietta una proteina che scioglierà le sue viscere e permetterà al cacciatore di poter ingurgitare il proprio pranzo, proprio come uno studente medio assume caffeina. Nonostante le sue caratteristiche estremamente speciali, il verme di velluto vive negli ambienti umidi dell’Australia, habitat che lo rende innocuo in confronto alle numerose specie di animali la cui unica differenza con Godzilla è l’amore per il nucleare. Ma questa creatura è unica e speciale nelle sue abitudini da Spiderman di quartiere e va apprezzata per questo. E t C e t e r a M a jo r a n a

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LO SAPEVI CHE: Il verme di velluto è solo una delle 70 specie di esseri vermiformi che abitano le foreste pluviali LO SAPEVI CHE: Questo animale è molto difficile da trovare: è solito nascondersi, evitando completamente la luce LO SAPEVI CHE: Il verme di velluto prende nome dalla sua pelle delicata e impermeabile.

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N A R R A T IV A

ARCAD E

D U N C AN LAU REN CE M E L IS S A C O L O M B O , 3 I

«Signor Romano, complimenti. Ha preso l’ennesimo tre nel compito. Quando si metterà a studiare seriamente? Le ricordo che quest’anno ha l’esame di maturità.» Guardando il professore negli occhi, senza rispondere, andai a ritirare la mia verifica di storia. Oramai, mi ero rassegnato. Da quando la mia Rosa Blu era morta, era andato tutto a puttane. La famiglia, la scuola, gli amici, il lavoro, i soldi. Tutto. I miei genitori hanno divorziato. Papà voleva scappare in Germania con una tipa conosciuta online. La mamma voleva diventare una stripper e vivere la vita facendo la troia. Insomma si erano messi d’accordo, no? Ho iniziato a smettere di studiare, di ascoltare in classe, di prendere appunti E t C e t e r a M a jo r a n a

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e di fare i compiti. Di conseguenza, la mia media già poco brillante, era diventata un vero e proprio disastro. Consegnavo temi in bianco, al posto di fare disequazioni facevo equazioni, alle interrogazioni mi limitavo a fare scena muta. Saltavo giorni di scuola, che puntualmente non giustificavo mai. Tanto mia madre non mi avrebbe firmato i fogli necessari. Avevo chiuso i rapporti con chiunque. Ero uscito da tutti i gruppi di amici, bloccato compagni di lavoro. Non ero mai a casa, uscivo sempre, evitando però i luoghi frequentati dai miei coetanei. In classe nessuno parlava più al ragazzo rintanato nell’angolo in fondo, vicino alla finestra. Lavoravo come fattorino in una pizzeria vicino alla scuola. Avevo 18 anni M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


N A R R A T IV A e il motorino, ero autonomo. Volevo iniziare a guadagnare soldi. Volevo risparmiare per il mio futuro. Appunto, volevo. I miei soldi li avevo buttati al vento: ero diventato dipendente dalle slot-machine. Ero diventato dipendente da una partita persa. Non avevo mai vinto nulla in quei tre mesi, ma avevo passato intere giornate al bar. Avevo iniziato a saltare alcuni giorni di lavoro. Poi i giorni erano diventati settimane, mesi. Morale della favola? Fui licenziato. Dopo esser arrivato agli spiccioli, iniziai a rubare dalla borsa di mia madre. Con il suo nuovo “lavoro” guadagnava centinaia e centinaia di euro a sera. Lei non se ne sarebbe mai accorta, d’altro canto era sommersa di banconote. Prendevo una mazzetta da duecento ogni settimana. Tanto per ogni mazzetta che avrei preso, ne sarebbero arrivate altre dieci. E andava avanti così, tutti i giorni. Alla fine delle lezioni, uscì dalla classe e mi avviai verso la fermata del pullman. Abitavo in una piccola città vicino al liceo che frequentavo, ma non conoscevo letteralmente nessun ragazzo della mia città che andasse nella mia stessa scuola. In autobus mi sedetti e non parlai con nessuno, E t C e t e r a M a jo r a n a

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scazzato più che mai. Non solo per il voto, ma anche perché un gruppo di primini aveva osato sedersi nei posti davanti. Quelli erano i miei posti da sempre, dove mi sedevo per uscire da quel catorcio di veicolo per primo. Dovetti andare in uno dei posti dietro. Misi subito le cuffie, la musica sparata a palla nelle mie orecchie, per evitare che qualcuno si prendesse la briga di parlarmi. Ma tanto non lo avrebbe fatto nessuno. La fermata nella mia città era l’ultima, avrei dovuto aspettare un’ora per poter scendere. Così feci quello che facevo sempre: pensai a Lei, la mia Rosa Blu. Si chiamava Kelly, Kelly Adams. Si era trasferita in Italia dall’America quando aveva sette anni. Me lo aveva raccontato nei primi mesi in cui ci eravamo frequentati. L’avevo conosciuta a scuola, era in classe mia. In prima superiore non avevo avuto il coraggio di parlarle. In seconda avevamo iniziato a frequentarci, in terza le avevo chiesto di essere la mia ragazza. Io avevo molti amici, ma nessuno sapeva, o si era mai interessato, alla mia relazione lei. Kelly a scuola era come invisibile. Non aveva amiche, era discretamente brava e non faceva nessun corso exM a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


N A R R A T IV A tra-scolastico. Quando morì, nessuno, oltre a me, ne fu dispiaciuto. Al contrario di loro, io ne ero invece completamente distrutto. Lei era un angelo. I lunghi capelli biondi le incorniciavano il suo viso ovale. I suoi occhi blu mi ricordavano il cielo di notte. Era molto brava con i bambini, avendo due fratellini di cinque anni. Era morta per salvare Adam, uno dei gemelli. Stava per finire sotto una macchina, quando lei lo aveva spinto per prendere il suo posto. Dopo un coma di tre settimane, ci aveva lasciati. Sarà per sempre il mio angelo custode, e guarderà me, Adam e Liam dal Paradiso. Finalmente, ecco la fermata. Dovetti uscire dalla porta più vicina all’autista, perché l’altra era bloccata. Pensavo di essere l’unico, ma davanti a me vidi un’altra ragazza con la mia stessa divisa. Non poteva essere. Decisi di seguirla, volevo vedere se fosse effettivamente una mia concittadina, o solo un’amica di qualche vicino di casa. Le stetti dietro fino a quando si fermò davanti una piccola villa. Suonò al citofono. «Mamma sono io, sono Chiara.» Abitava qui, ne avevo appena avuto la prova. Con mio stupore E t C e t e r a M a jo r a n a

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mi resi conto di dove mi trovassi: qualche casa più avanti c’era la villa dove abitavo con mia madre, e con una coppia di anziani. Scossi la testa e tirai dritto, dovevo farmi gli affari miei. «Ehy, guarda dove cammini!» Senza accorgermene, ero andato a sbattere contro quella ragazzina dai capelli tinti di viola. Non erano completamente tinti, solo dalla bocca in giù. Per il resto erano color cioccolato, il suo colore naturale presumo. E i suoi occhi. Erano marroni, ma di un marrone diverso. Con la luce del sole sembrava quasi dorato. «Che c’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua o sei solo troppo stronzo e orgoglioso per chiedere scusa?» Mi risvegliai dal mio stato di trance. C’erano dei libri per terra, così mi chinai a raccoglierli. «Scusa, mi sono distratto.» Dissi mentre le ridavo i volumi. Lei ridacchiò, con una risata così cristallina che il canto degli uccelli era nulla paragonato a quel dolce suono. «Lo avevo notato. Vai anche tu al Liceo Scacchi, che classe frequenti?» La mia coscienza mi stava urlando di allontanarmi velocemente, ma il mio corpo non si voleva muovere. «Faccio il quinto anno. A quanto vedo M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


N A R R A T IV A tu sei al quarto, quel libro di matematica lo avevo anche io l’anno scorso.» La madre della ragazza si affacciò dalla finestra, invogliandola a entrare in casa per il pranzo. «Devo andare, se non mangio velocemente farò tardi alle lezioni di pianoforte. Per fortuna domani ho ginnastica e non ci sono compiti. Allora ci vediamo in giro.» Mi salutò ed entrò velocemente in casa. «Ci vediamo in giro, Chiara.» Sapevo che non poteva sentirmi. *** Non trovavo il libro di letteratura da nessuna parte. In cartella non c’era, sullo scaffale nemmeno, sulla scrivania neanche l’ombra. Controllai un’altra volta lo zaino, perché il libro lo avevo quel giorno a scuola. Qualcuno suonò il citofono. Scocciato, andai verso la cucina per rispondere. «Sì?» «Sono Chiara, la ragazza di quarta che abita qui vicino. Per sbaglio ho preso il tuo libro di italiano.» Un sorriso mi spuntò sulle labbra, ma quando me ne accorsi, abbassai subito gli angoli delle labbra cercando di assumere un’espressione neutra. «Entra pure, lo stavo giusto cercando.» Le aprì il cancello, per poi dirigermi verso la porta di casa. Avrei impiegato pochi E t C e t e r a M a jo r a n a

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minuti: avrei preso il libro e l’avrei salutata. Ma quando aprii la porta, le mie intenzioni fallirono miseramente. Chiara non aveva più la divisa. Ora indossava dei jeans chiari e una maglietta a maniche corte bianca. Reggeva il mio libro in una mano e nell’altra teneva degli spartiti. E guardava dritto nei miei occhi verdi, con un sorriso. Ricambiai il sorriso mentre prendevo il libro. «Grazie, deve essere caduto quando ci siamo scontrati e per sbaglio l’ho dato a te.» Lei rise, concordando con me. Quella risata mi frullò il cervello. «Non ti ho ancora chiesto come ti chiami. Sul libro non c’è nessuna etichetta.» «Luca. Mi chiamo Luca. E tu sei Chiara.» Lei sussultò, forse si era spaventata. Magari pensava fossi uno stalker. «Ho letto il nome sull’etichetta del tuo libro di matematica, prima.» Dissi cercando di rimediare. «Lo immaginavo.» Rispose con un sospiro di sollievo. «Devo salutarti, sono in ritardo per le lezioni di pianoforte. La scuola è a qualche chilometro da qui. Devo andarci a piedi.» Guardò l’orologio e iniziò a spostarsi verso il cancello. «Anzi, credo proprio dovrò correre.» «Posso accompagnarti io. Ho il moM a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


N A R R A T IV A torino, ci impiego poco ad accenderlo. Arriverai in tempo e senza fiatone.» Le proposi. Ora o mai più. «È il minimo che possa fare, visto che hai perso tempo per me. Per riportarmi il libro.» Lei sgranò gli occhi. «Lo faresti davvero?» Risi annuendo, mentre la invitavo a seguirmi in garage. Accesi il mezzo e le passai un casco bianco, mentre io infilavo la testa in un casco nero togliendomi i capelli scuri dal volto. «Se è la tua prima volta su un motorino, ti consiglio ti tenerti stretta. Gli spartiti li puoi mettere in borsa, se non ti dispiace. Così non volano via.» Chiara salì sul motorino. «Tenermi a cosa?» Io mi girai. «A me.» Risposi e subito dopo schiacciai il piede sul pedale. Lei lanciò un gridolino terrorizzato e in men che non si dica sentì le sue braccia avvolgermi e le sua mani sopra la mia maglietta. Dopo cinque minuti, eravamo arrivati. La lasciai, prendendo il casco e chiedendole se avrebbe voluto un passaggio anche a fine lezione. «Tranquillo, dopo posso tornare a piedi. Grazie del passaggio!»

cavano solo le due ore di educazione fisica. Il giorno prima non avevo detto a Chiara che le nostre classi avrebbero fatto ginnastica insieme. Volevo che fosse una sorpresa. Volevo vedere se mi avrebbe notato, come io avrei cercato lei. Ma non andò come immaginavo. Io la vidi e lei mi vide, ma non ci scambiammo alcuna parola. Tranne quando arrivò il peggiore dei momenti. Ero fermo. La classe si era divisa in tre squadre per fare dei tornei di pallavolo, e in quel momento la mia squadra non stava giocando. Ero fermo. Ma il mio respiro si spezzò. Non riuscivo a respirare. Tesi le mani e le strinsi a pugno, più di una volta. Mi venne l’impulso di mangiarmi le unghie. Iniziai a muovere una gamba e poi mi grattai il braccio fino a farlo sanguinare. Come un fulmine andai dalla prof, per chiederle se potessi andare in bagno. Lei me lo permise, con uno svogliato gesto della mano. E mentre uscivo dalla palestra per dirigermi negli spogliatoi, mi voltai a fissarla. Chiara si accorse del mio sguardo, così girò la testa e incatenò *** i suoi occhi ai miei. Evidentemente La giornata stava per finire, e man- capii subito che c’era qualcosa che E t C e t e r a M a jo r a n a

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N A R R A T IV A non andava, che stavo male. Continuai a camminare, e sentì la sua voce chiedere al suo insegnante la stessa cosa che io avevo chiesto alla mia. In palestra c’erano gli spogliatoi maschili e femminili, ma il bagno era in comune. Andai lì, sprofondando per terra perché le gambe non mi reggevano più. Cercai sostegno appoggiandomi al muro. E lei entrò, la mia salvatrice. Dovevo avere avuto qualche allucinazione, perché quando la vidi, era ricoperta da un’aura bianca e sembrava un angelo. Pensai che fosse stata Kelly stessa a farmela incontrare. Lei, il mio Angelo Custode, non voleva lasciarmi solo. «Luca. Guardami.» Chiara mi prese il volto tra le mani, costringendomi a guardarla. «Come ho fatto a non notarti. Abbiamo passato tutto l’anno a fare lezione insieme e non ti ho mai vista.» Quando capì che non riuscivo a respirare, si allontanò per aprire la finestra e tornò subito da me. Molta gente piange durante gli attacchi di panico e questo non aiuta, perché fai ancora più fatica a respirare. Io non ho mai pianto. Non perché sono un ragazzo, ma perché non voglio peggiorare la situazione. «Respira. C’è aria fresca ora, tutE t C e t e r a M a jo r a n a

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ta quella che vuoi. Con calma, dimmi perché stai avendo un attacco di panico.» Io risi, di una risata amara e isterica. «Dire cosa l’ha causato non aiuta, anzi. Pensi solo di più a quanto sei sbagliato.» Improvvisamente smisi di ridere. Perché stavo capendo, che non avevo alcun motivi che mi potesse scatenare un attacco simile. «Io non ho motivi... Non ho motivi, è tutto successo all’improvviso.» «Tu non sei sbagliato. Non lo sei, sei l’unico ragazzo della scuola che mi parla. E che mi tratti bene, che mi hai offerto un passaggio. Non puoi essere sbagliato.» La vidi con le guance rosse, come se stesse per piangere. «Lo sono invece. Io odio me stesso, mi faccio paura. La mia ragazza è morta in un incidente tre mesi fa e non ho potuto fare nulla. Mi rimane solo un cuore spezzato che cade a pezzi mentre cerco di aggiustarlo. Non studio più, ho perso il lavoro e sono diventato dipendente dal gioco d’azzardo. Sono solo un fallito.» Alzai il mio sguardo verso di lei e vidi che stava piangendo. Le misi una mano sulla guancia, asciugando via una lacrima. «Sono io quello che dovrebbe piangere, eppure lo stai facendo tu.» Mi abbracciò e io mi agM a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


N A R R A T IV A grappai a lei come se fosse la mia ultima sponda. E mentre la mia dolce Chiara piangeva sulla mia spalla, io riuscì a calmarmi. Mi staccai dall’abbraccio e la guardai negli occhi. «Scappiamo. Andiamo a casa nostra. C’è un autobus che passa tra poco. Alla mia classe non importa nulla di me, o sarebbero già venuti a cercarmi. La prof pure. Saltiamo l’ultima ora e andiamo a schiarirci le idee. Portami a casa.» Lei, Chiara, che sarebbe presto diventata la mia Rosa Nera, mi fissò negli occhi. Potevo leggerle ogni sfumatura della sua anima. Poi annuì. «Ok, facciamolo. Neanche al mio prof interessa più di tanto, oramai sono segnata presente. Però, d’ora in poi ti aiuterò a studiare o almeno ci proverò. Hai l’esame quest’anno. Ora usciamo e prendiamo quell’autobus.»

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N A R R A T IV A

L’U LT IM A A L B A S U L L A C O L L IN A A L E S S A N D R O B A L O S S I, 4 A

È pesante. La pistola nella mano destra di Francesco. Il macigno che sente sulle sue spalle, immenso come gli scogli di Beaulieu-sur-Mer che riesce a scorgere da lì in alto, seduto al bordo di una vecchia e rovinata strada di collina. I pensieri che ciclicamente frullano nella sua testa sono assordanti. Non si ricorda nemmeno il motivo per cui sia salito fino a lassù, né che scusa abbia inventato per uscire a quest’ora del mattino. Sa solo di sentirsi vuoto, come se stesse lentamente annegando nell’inerzia della vita. Non trova nemmeno il coraggio di puntarsi addosso la rivoltella, terrorizzato al pensiero di prendersi una tale responsabilità. Ironico, definisce lui, il modo in cui ne sia venuto in possesso. Ma quella è l’ultima cosa che E t C e t e r a M a jo r a n a

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gli passa tra la testa in quel momento, fermo a fissare il mare ondeggiare e il sole rosseggiante sorgere. La vacanza familiare in Francia… la sua stessa famiglia… le sue insoddisfazioni. Il lettore potrebbe insinuare che questa struggente infelicità di Francesco sia riconducibile ad una causa precisa: genitori fallimentari, sociopatia o abusi di qualsiasi natura. Niente di tutto ciò. È un ragazzo normale, con dei genitori normali, una vita normale. Eppure, il diciassettenne era seduto da solo, con un’arma in mano, frenato solo dalle proprie paure. Non erano stati dei problemi d’amore, anzi, è stato lui stesso a spezzare il cuore ad un paio di ragazze. Non è mai stato interessato troppo alla vita sentimentale, pensando (erroneamente?) che M a g g io 2 0 2 2 - N ° 9


N A R R A T IV A avrebbe avuto tutto il tempo da dedicarci successivamente all’adolescenza. La questione è più complessa per gli amici, in quanto sì, aveva un discreto numero di amicizie, ma che tuttavia non considerava autentici ma perlopiù superficiali. In verità il problema è interiore: non sapeva perché (e forse questa era la cosa peggiore) ma si sente avvilito, incapace di fare ciò che vuole, fallimentare. In quel momento rimbombarono nella sua testa le parole del padre: “Cosa vuoi lasciare al mondo?”. L’unica cosa che ora poteva lasciare, rifletteva con un accenno di sorriso beffardo sul volto, era un triste bigliettino “Ero uomo, e infelice”, nella flebile speranza che chiunque trovasse il suo corpo capisse il vero significato di quelle quattro parole. Stranamente, non rabbrividì un secondo al pensiero del suo corpo inanime posato su quella collina. D’altronde, se si fosse davvero ucciso, forse per una volta sarebbe stato davvero libero e avrebbe esaudito con successo i suoi ultimi desideri. Intanto i suoi pensieri continuano a frullare alla velocità della luce, pieni di domande senza risposte. Si chiede dunque cos’è davvero la libertà? Non fare tutto ciò che si vuole, dice, quello è sempliceE t C e t e r a M a jo r a n a

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mente voler essere come Dio. L’uomo è limitato per natura, tanto che lo stesso desiderio insopprimibile di voler sentirsi libero è esso stesso un limite. E una volta che avrà premuto il grilletto, cosa ci sarà dopo? Non credeva in Dio, quindi non temeva qualche forma di aldilà punitivo… certo gravava comunque sulla coscienza la sorte dei suoi cari, che lo piangeranno, ma si sentiva insensibile pure a ciò. D’un tratto, al limite del delirio, aprì la bocca per gridare “Basta!”, ma non uscì nessun suono. Silenzio assoluto, anche i suoi stessi pensieri si erano fermati di netto. Durò diversi minuti, fino a quando un forte colpo di pistola lo infranse.

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P O E S IA

R IM P IA N T I E L IS A Z A C C A G N I, 2 c c

Piú si va avanti e piú si ha il rimorso di ciò che è accaduto. Ripensiamo ai nostri errori per paura di poterli ricommettere ancora. Per paura di non essere abbastanza. Ci focalizziamo sul passato, non pensando al futuro e di cosa proviamo nel presente. Noi piangiamo, mentre la vita prosegue. Facendo finta di nulla, che niente è mai accaduto. Noi ridiamo, credendo che sia tutto finito, ma questo sorriso se non vero non è degno di essere mostrato. Il tempo mi dimentica. Si nasce. Si sogna. Ci si perde. In sole Risplende L’ipocrisia della realtà. Un pianto privo di passione e un sorriso senza amore. Mi illudono a una vita senza rimpianti.

La vita prosegue Lentamente. Il mare in tempesta scruta il rumore delle parole. Le onde dimenticano il mio profumo dipinto di un colore Assai debole. Dove la memoria mi inganna e la paura mi assale. Ogni granello di una clessidra rallenta a ogni abbraccio. E t C e t e r a M a jo r a n a

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P O E S IA

AL CUO RE D A N IE L E R IS O , 5 c c

Quando ti accorgi che il tuo cuore è un fiume in piena che non vuole essere fermato E la tua vita una foresta che teme il fuoco ma che ha bisogno di acqua, Capisci che tenere uniti i due è costruire il mondo

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P O E S IA

IL B A L Z O N E C O LU I C H E B A LZ A

Scegliete lo studio; scegliete la costanza; scegliete di seguire lezione; scegliete di fare i compiti; scegliete un quaderno del cazzo; scegliete penne, matite, evidenziatori e calcolatrici. Scegliete la buona salute, il sonno regolare e una colazione nutriente; scegliete un metodo di studio; scegliete un ambiente tranquillo; scegliete gli orari; scegliete una moda casual e lo zaino in tinta; scegliete una scrivania di tre pezzi a ruote e ricopritela con libri del cazzo; scegliete il ripasso e chiedetevi chi cacchio siete il lunedì mattina; scegliete di sedervi al banco a spappolarvi il cervello e lo spirito con le spiegazioni di fisica mentre vi ingozzate di esercizi da fare.

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P O E S IA

Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in una squallida cucina del mc ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che vengono ad ordinare happymeal prima di rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete lo studio. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere lo studio: ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando puoi balzare?

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E P IT A F F I

G R A Z IE R IC H A R D M A T T E O G A L B IA T I, 4 H ; G IO V A N N I C H IN N IC I, 4 H ; L O R E N Z O O B E R T I, 4 H

Il 10 maggio 2022 ci ha lasciato Richard Philip Henry John Benson, l’unica rockstar italiana.

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E P IT A F F I IN MORTE DI RICHARD BENSON Cantami Ester del Benzone Riccardo Figliol della musica, bastardo. Dalla morte 11 volte sfidato e 11 volte vincitore, Infine si concesse al fato attentatore. Fu vero medal? Fu vero rock? O’ mandragola o’ fico sacro, O’ coboldi o’ gobelini, Narratemi ordunque d’egli creatura E del suo divin fasto chiusura. E loro: Tra le romane mura del senil duomo Fievole ombra d’ollivudiano omo, Orba di gaio grido più non s’aggira, Ora alle porte dell’infernal pira. Forte Varca in musical trionfo l’Acheronte rievocando simil rive d’altra fonte; Lì vide minute criatur gioconde: I nani, i nani sulle sponde. E tu Se del suo ritorno sei pieno di speranza, Fai scendere almeno una lagrima sulla guansa.

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E N T R A N E L L A R E D A Z IO N E ! M a n d a il t u o a r t ic o lo a e t c e t e r a m a j o r a n a @ g m a i l .c o m L e g g i la v e r s io n e d ig it a le s u i s s u u .c o m /e t c e t e r a m a j o r a n a

L A R E D A Z IO N E C A PO RED AT TO RE Luca Saracho

RED AT TO RI E C O LLA BO R ATO RI

Alter.majo, Stefano Rovere, Jacopo Palazzolo, Pietro Cattaneo, Giorgia Tiralongo, Samuele Nava, Veronica Guarisco, Tucidide, Angelica Pellegrino, Melissa Colombo, Alessandro Balossi, Elisa Zaccagni, Daniele Riso, colui che balza, Matteo Galbiati, Lorenzo Oberti, Viola Oliverio, Oliver Zocco, Rebecca Marasco, Estelle Veltri, Giovanni Chinnici


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