COSMO 30

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30 LUGLIO 2022 Italia 9,90 euro Anno 4 - N° 30 - luglio 2022 - Periodicità: mensile - Prima immissione: 28/06/2022 Mensile - Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI IL PRIMO ASTRONAUTA ITALIANO FRANCO MALERBA QUANTO SONO GRANDI LE STELLE? IL CIELO DEL MESE L’OMBRA DEL BUCO NERO DELLA VIA LATTEA

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Questo mese mi piace parlare di una persona che ha fondato recentemente due startup spaziali, DBSpace e SpaceV, la seconda delle quali è uno spin-off dell’Università di Genova e ha vinto la competizione per essere incubata nell’Esa Bic di Torino. Quest’anno il nostro fellow ha tenuto il corso Introduction to Space Exploration per dottorandi, sempre all’Università di Genova, con più di cento iscritti, un numero importante per un corso di dottorato. Collabora da tempo con l’Academie de l’Air et de l’Espace e fa il giornalista free-lance. Un suo libro, Professione astronauta, è esaurito e se ne caldeggia da tempo una ristampa. Last but not least, ha fondato l’Associazione Festival dello Spazio che da sei anni organizza l’annuale kermesse fra spazio e dintorni nel suo paese natio, Busalla, nell’Appennino ligure, ed è stata accolta dall’Asi tra le iniziative di promozione della cultura spaziale. Il nostro Mister X è Franco Malerba, il primo astronauta italiano di cui ricorre il trentennale del suo volo sullo Shuttle Atlantis, al quale è dedicata la nostra cover story. Ma il fatto notevole è che le iniziative narrate sopra Malerba le ha realizzate oggi, non trent’anni fa. Come dice lui stesso, forse il suo vero miracolo è non essersi cullato sugli allori e di essere ancora un attore attivo del mondo spaziale. Così come non si sono fermati al primo grande successo gli scienziati della collaborazione Eht che dopo la prima foto del buco nero nel nucleo della galassia M87 – era l’aprile del 2019 – hanno ripetuto l’impresa, regalandoci l’immagine del mostro supermassiccio che si trova al centro della Via Lattea. Notizia che ha avuto una diffusione planetaria e che viene approfondita in questo numero da Patrizia Caraveo.

A proposito di chi non si ferma, anche Cosmo guarda avanti e dà il benvenuto a una nuova rubrica che ci parlerà periodicamente di Planetari, quei luoghi dell’apprendimento informale dove i fenomeni astronomici possono essere raccontati e “vissuti” con l’ausilio delle nuove tecnologie e la maestria dei planetaristi che governano le scene. I Planetari praticano un’attività didattica e divulgativa importante che - dopo i duri mesi della pandemiasperiamo non debba fermarsi mai più.

Mai
30 DI WALTER RIVA
EDITORIAL 1

ANNO 4 - NUMERO 30 mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 137 del 6 giugno 2019

CASA EDITRICE

BFC SPACE

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DIRETTORE RESPONSABILE

Walter Riva riva@bfcmedia.com

DIRETTORE EDITORIALE

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HANNO COLLABORATO

Gabriele Beccaria. Gianfranco Benegiamo, Patrizia Caraveo, Giordano Cevolani, Giuseppe Donatiello, Walter Ferreri, Azzurra Giordani, Davide Lizzani, Antonio Lo Campo, Tiziano Magni, Piero Mazza, Marco Montagna, Gianluca Ranzini, Massimiliano Razzano, Dario Tiveron.

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PUBBLICITÀ

Davide Rasconi Rasconi@bfcmedia.com

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Servizio Arretrati a cura di Press-Di Distribuzione Stampa e Multimedia Srl 20090 Segrate (MI).

Le edicole e i privati potranno richiedere le copie degli arretrati tramite email agli indirizzi collez@mondadori.it e arretrati@mondadori.it e accedendo al sito https://arretrati.mondadori.it/privati/.

A partire dal 15 marzo 2022, il suddetto sito verrà sostituito dal nuovo sito https://arretrati.pressdi.it

Il costo di ciascun arretrato è di 15,00 euro

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DISTRIBUTORE ESCLUSIVO PER L’ITALIA

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CONTENTS

SPAZIO

4 SPACE NEWS

12 COVER STORY FRANCO MALERBA, IL PRIMO ITALIANO IN ORBITA

20 IL SATELLITE AL GUINZAGLIO

24 LA LUNA E OLTRE UN PO’ DI ITALIA INTORNO ALLA LUNA

26 SPACE ECONOMY TURISMO SPAZIALE DI LUSSO IN MONGOLFIERA

30 SPAZIO MADE IN ITALY

CIELO

52 FENOMENO DEL MESE LUNA E MARTE IN CONGIUNZIONE

56 CIELO DEL MESE

64 OSSERVAZIONI IL CAVALLO NERO DELLA VIA LATTEA

68 L’ORA DI ASTRONOMIA QUANTO SONO GRANDI LE STELLE?

UNIVERSO

32 TEMA DEL MESE L’OMBRA DEL BUCO NERO DELLA VIA LATTEA

38 ASTROFISICA ESPLOSIONI STELLARI IN MINIATURA

42 CIELO E TERRA UNA CAPSULA DEL TEMPO NEL TAGISH LAKE

46 PERSONAGGI EWEN WHITAKER: IL MAGO DELLE MAPPE LUNARI

EXPERIENCES

72 CITIZEN SCIENCE ROSETTA ZOO

74 LE VOSTRE STELLE

86 DOMANDE E RISPOSTE

88 PLANETARI I PLANETARI ITALIANI RIUNITI A FIRENZE

90 UAI INFORMA ASSOCIAZIONE PONTINA DI ASTRONOMIA

94 EVENTI SOTTO IL CIELO 96 RECENSIONI

Inquadra con la fotocamera o con la App Scan del tuo smartphone o tablet i simboli QR che trovi in allegato agli articoli di questo numero per accedere a numerosi contenuti multimediali (video, simulazioni, animazioni, podcast, gallery).

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SPACE 4 NEWS SUMMARY SOLAR ORBITER: INCONTRO RAVVICINATO CON IL SOLE 1 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE FOTOGRAFATA LA CODA DI SODIO DI MERCURIO 2 VERSO LE ORIGINI DEL SISTEMA SOLARE 3 URANO E NETTUNO: FRATELLI DIVERSI PRIMA VENNERO LE ESOCOMETE DI BETA PICTORIS 5 UNA PULSAR AL RALLENTATORE 6 4 QUBIC, UN NUOVO STRUMENTO PER L’UNIVERSO PRIMORDIALE 7 L’HUBBLE CINESE IN ORBITA NEL 2023 8 IN ADDESTRAMENTO L’EQUIPAGGIO DI POLARIS DAWN 9

LA LUNGA ESTATE IN ORBITA

DI ASTROSAMANTHA

L’estate per Samantha Cristoforetti non è un periodo di vacanze. “Ci attende un duro lavoro” – aveva anticipato in maggio l’astronauta italiana dell’Esa durante una conferenza stampa dallo spazio. In effetti, il lavoro era iniziato prima dell’estate: l’arrivo del veicolo spaziale Starliner della Boeing, senza equipaggio, con qualche problema tecnico all’attracco, ha impegnato gli astronauti a bordo della Iss. Poi è arrivato il veicolo-cargo Dragon di SpaceX con una enorme quantità di rifornimenti, materiali e attrezzature scientifiche.

E naturalmente le molte operazioni in programma, fino alla conclusione della missione della Cristoforetti, in programma per metà settembre, tra esperimenti scientifici, attività extraveicolari e manutenzione alla Iss. Una missione che dalla Iss si proietta al futuro: molti esperimenti sono rivolti alle future missioni su altri corpi celesti. “Per le missioni verso la Luna o Marte è probabile che adotteremo veicoli più piccoli rispetto alla Iss, e dovremo adattarci a vivere in spazi più ristretti, con meno comfort –dice Cristoforetti – Abbiamo anche iniziato un esperimento che riguarda la decalcificazione ossea. La nostra vita in orbita ci conferma quanto l’attività fisica sia importante per mantenere le ossa in buono stato fino in età avanzata. E questo è un problema che si verifica con percentuale più alta per noi donne”. Donne sempre più protagoniste anche nello spazio. Le candidature femminili per la nuova selezione dell’Esa sono molto aumentate: “Alla fine di quest’anno avremo tanti nuovi astronauti e tra loro diverse colleghe. Saranno proprio queste giovani ad aprire la strada per missioni verso la Luna e, si spera, un giorno verso Marte”. È stato nominato dalla Cristoforetti, dallo spazio, il risultato del concorso Spazio alle idee, lanciato dal Miur, per dare un nome alla futura rete satellitare per Osservazione della Terra dell’Asi, che sarà la più avanzata in Europa. La giuria, tutta di astronauti, ha deciso che si chiamerà Iride, “poiché nella mitologia greca era un veloce messaggero degli dei”.

5 START
A.L.
NEWS

SOLAR ORBITER: INCONTRO RAVVICINATO CON IL SOLE

Spettacolari immagini del Sole sono state ottenute dalla sonda Solar Orbiter durante il suo passaggio ravvicinato dello scorso 26 marzo, quando si trovava a solo un terzo della distanza Terra-Sole, riuscendo così a catturare immagini dell’atmosfera solare con dettagli senza precedenti. Tra gli strumenti di bordo c’è il coronografo italiano Metis, finanziato e gestito dall’Agenzia spaziale italiana. Metis è il primo strumento del suo genere in grado di osservare la corona solare simultaneamente nella banda visibile e UV, fornendo così un quadro dettagliato sui processi che governano l’espansione del plasma solare nello spazio interplanetario.

Grazie alla sua alta risoluzione, Metis ha potuto rivelare la struttura filamentare ed estremamente dinamica del plasma e dei campi magnetici associati. Osservazioni che aprono la strada a nuove indagini sui processi che determinano l’accelerazione del vento solare e i fenomeni che determinano la “meteorologia spaziale”. Quella di marzo è la prima di una serie di visite ravvicinate alla nostra stella: la prossima è prevista a ottobre. Grazie ad alcuni fly-by con Venere, Solar Orbiter inclinerà poi progressivamente la sua orbita, fino a poter osservare per la prima volta i poli del Sole, il cui studio consentirà di far luce sui meccanismi che governano i cicli di attività magnetica solare. Inquadra il QR per un reportage dal perielio di Solar Orbiter curato da Media-Inaf.

1FOTOGRAFATA LA CODA DI SODIO DI MERCURIO

Questo strano oggetto giallastro che si vede sotto le Pleiadi non è una cometa e nemmeno una meteora, ma il pianeta Mercurio, che mostra una coda evidente, proprio come quella di una cometa. L’immagine eccezionale è stata ripresa il 27 aprile 2022 da Sebastian Voltmer sotto il limpido cielo dell’isola di La Palma, alle Canarie.

La gigantesca coda giallo-arancio di Mercurio, di cui è stata stimata una lunghezza di circa 2,5 milioni di chilometri, è composta di atomi di sodio ed è generata dal vento solare e dalle micrometeoriti che investono la superficie del pianeta ed espellono da essa atomi di sodio.

La ripresa è stata possibile grazie a particolari condizioni del cielo, in combinazione con l’applicazione di uno speciale filtro da 589 nm, sintonizzato sul bagliore giallo del sodio, che ha evidenziato la coda altrimenti invisibile. Che peraltro si è manifestata in singole esposizioni da 30 secondi. In riprese successive dello stesso autore, la coda ha manifestato piccolissimi cambiamenti nella sua forma, proprio come avviene nelle comete.

6 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE
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VERSO LE ORIGINI DEL SISTEMA SOLARE

Il Sole si è formato all’interno di una grande nube molecolare, al centro di una piccola regione in contrazione. Le giovani stelle producono un bozzolo residuo di gas e polveri così come un disco entro il quale prende il via la formazione planetaria. Anche il giovane Sole aveva il suo bozzolo, la cosiddetta nebulosa solare (figura).

La serie di passaggi che ha portato alla formazione planetaria è abbastanza chiara, anche grazie all’osservazione di molti dischi circumstellari di giovani stelle. Ma non sappiamo la tempistica: quanto ha impiegato il Sole per dissipare il suo bozzolo? Uno studio condotto da gruppo internazionale di ricercatori ha considerato il tempo di raffreddamento dei nuclei metallici nei planetesimi. Sono stati usati per questo i meteoriti, i più antichi testimoni del Sistema solare. Alcuni non hanno subito trasformazioni sin dalla loro formazione: addirittura, sono state trovate tracce dell’ambiente precedente la formazione del Sole. Altri manifestano delle trasformazioni e sono perciò rappresentativi delle fasi successive e raccontano storie di violente collisioni. Queste fasi violente e caotiche sono state relativamente rapide, nell’ordine dei 10 milioni di anni dopo l’inizio della formazione del Sistema solare. All’epoca i pianeti erano ancora degli embrioni, e conoscere tale fase cruciale può aiutare a capire come si siano accresciuti. Vedi la news completa su bit.ly/3MXlf1T G.D.

URANO E NETTUNO: FRATELLI DIVERSI

Urano e Nettuno sono “pianeti ghiacciati” con masse, dimensioni e composizioni atmosferiche simili. Ma Nettuno ha stranamente un colore nettamente più blu del pallido Urano. Uno studio recente spiega questa differenza basandosi su osservazioni a diverse lunghezze d’onda, dall’ultravioletto al vicino infrarosso, effettuate con il telescopio Gemini North alle Hawaii e utilizzando dati d’archivio dell’Infrared Telescope Facility della Nasa, anch’esso alle Hawaii, e del telescopio spaziale Hubble Le osservazioni sono state integrate su un modello sviluppato per descrivere l’atmosfera dei due pianeti. Il modello consiste in tre strati di aerosol a diverse altezze, dove lo strato chiave è quello centrale, che si presenta come una sorta di foschia, più spessa su Urano che su Nettuno. Su entrambi i pianeti, il ghiaccio di metano si condensa sulle particelle di questo strato e le trascina più in profondità, producendo delle nevicate di metano

Poiché Nettuno ha un’atmosfera più turbolenta di quella di Urano, è più efficiente nel sollevare le particelle di metano nello strato di foschia e nel produrre questa neve. Questo meccanismo rimuove una maggiore quantità di foschia e mantiene lo strato più sottile di quello di Urano, rendendo più intensa la sua colorazione blu. Inquadra il QR per un video di Media-Inaf sui “fratelli diversi” del Sistema solare.

NEWS 7
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PRIMA VENNERO LE ESOCOMETE DI BETA PICTORIS

Negli anni 80, gli astronomi scoprirono che la giovane stella Beta Pictoris ospitava un disco circumstellare formato da polveri e gas. Trovandosi a soli 63,4 anni luce di distanza, il suo disco è diventato un laboratorio ideale per studiare i processi che portano alla formazione dei sistemi planetari. Sin dal 1987 fu dimostrata la presenza attività di tipo cometario nella regione interna del disco: le comete di Beta Pictoris furono così i primi oggetti non stellari individuati fuori dal Sistema solare, prima della scoperta degli esopianeti. Decenni di osservazioni delle esocomete (anche su poche altre stelle) hanno fornito informazioni importanti sull’attività dei corpi minori nei primi milioni di anni di vita di una stella, processi analoghi a quelli che avvennero nella nebulosa che circondava il nostro giovane Sole circa 4,5 miliardi di anni fa. Finora, le osservazioni delle esocomete erano limitate alla parte gassosa delle loro code, sondate dalla spettroscopia di transito. Recentemente, utilizzando dati ottenuti dal satellite Tess, sono stati individuati anche una trentina di eventi fotometrici dovuti alle code polverose in transito sul disco stellare, e si è riusciti a prendere le misure dei nuclei cometari. La distribuzione osservata nelle dimensioni di queste esocomete è simile a quella presente nel Sistema solare e probabilmente è comune a tutti i sistemi planetari in formazione, essendo prodotta da un processo a cascata di collisioni reciproche. Leggi la news completa su bit.ly/3au9Vfg

UNA PULSAR AL RALLENTATORE

Conosciamo circa 3000 stelle di neutroni, resti densissimi dell’esplosione di stelle massicce. La popolazione di stelle di neutroni che emettono impulsi radio, le pulsar, comprende oggetti con periodi di rotazione dai millisecondi fino alle decine di secondi. Man mano che invecchiano, le pulsar rallentano, sino a quando l’emissione cessa, dopo alcuni milioni di anni. Una nuova pulsar batte tutte quelle conosciute sinora per lentezza di rotazione. Si tratta di PSR J0901-4046, scoperta al radiotelescopio MeerKAT in Sud Africa da un gruppo internazionale guidato da Manisha Caleb dell’Università di Sydney, che ha rilevato un insolito segnale radio ricorrente ogni 76 secondi.

In realtà, la pulsar esibisce almeno sette altri diversi tipi d’impulsi, tipici delle classiche pulsar, delle magnetar a periodo ultra lungo e persino dei lampi radio veloci. Ha un’età di 5,3 milioni di anni e non è chiaro come produca la sua emissione: in teoria dovrebbe già risiedere nel “cimitero delle stelle di neutroni”, cioè non emettere più onde radio.

Il gruppo pensa che potrebbe appartenere alla classe teorizzata delle magnetar a periodo ultra-lungo, oggetti compatti con campi magnetici estremamente forti. “Probabilmente ce ne sono molte altre là fuori. Dobbiamo solo guardare”, afferma Caleb. Inquadra il QR per una animazione di questa nuova pulsar.

G.D.
8 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE
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QUBIC, UN NUOVO STRUMENTO PER L’UNIVERSO PRIMORDIALE

La collaborazione Qubic (Q&U Bolometric Interferometer for Cosmology), che coinvolge 130 ricercatori di Francia, Italia, Argentina, Irlanda e Regno Unito, sta realizzando un telescopio per lo studio dell’Universo appena nato che si avvarrà di una tecnica innovativa.

Qubic osserverà e mapperà le proprietà del fondo cosmico a microonde, l’eco residua del Big Bang, concentrandosi sulla misura della polarizzazione di questa radiazione. Un fenomeno che potrebbe rivelare le perturbazioni indotte dalle onde gravitazionali generate nei primi istanti di vita dell’Universo. Il progetto vede l’Italia protagonista, grazie all’Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e alle Università di Milano e di Roma. Qubic osserverà il cielo a partire dalla fine del 2022, dal sito desertico di Alto Chorrillo alla quota di 5000 metri in Argentina.

Dopo il suo sviluppo e l’integrazione avvenuta presso i laboratori delle Università e degli enti di ricerca coinvolti nella collaborazione, Qubic è attualmente sottoposto alle calibrazioni e test di laboratorio in Argentina. Si tratta di un “interferometro bolometrico”, in grado di misurare l’energia della radiazione del fondo cosmico trasformandola in calore, con la precisione tipica degli strumenti interferometrici. Dall’interpretazione dei segnali prodotti da Qubic (foto), si spera di fornire una prova diretta della teoria dell’inflazione

L’HUBBLE CINESE IN ORBITA NEL 2023

La Cina ha in programma di lanciare il suo più grande telescopio spaziale a fine 2023. Si chiama Xuntian, “Sentinella celeste”, e ha l’obiettivo di mappare nel visibile e nell’ultravioletto il 40% del cielo profondo nei dieci anni di vita operativa prevista dall’orbita bassa. Ha uno specchio primario da 2 metri di diametro, simile a quello di Hubble, ma per portare a termine il suo compito ha un campo visivo 350 volte più ampio di quello del venerando telescopio spaziale di Nasa ed Esa.

La sua caratteristica più peculiare è però la capacità di attraccare alla stazione spaziale cinese Tiangong, i cui taikonauti si occuperanno della sua manutenzione e del suo rifornimento. Xuntian disporrà di una camera da 2,5 miliardi di pixel con cui osserverà lo spazio extragalattico e raccoglierà dati su materia ed energia oscura. Inoltre, ospiterà quattro strumenti scientifici per il rilevamento di comete e asteroidi, lo studio dei buchi neri supermassicci, l’imaging diretto degli esopianeti e la mappatura delle regioni di formazione stellare della Via Lattea.

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IN ADDESTRAMENTO L’EQUIPAGGIO DI POLARIS DAWN

SpaceX e l’imprenditore Jared Isaacman portano avanti l’esplorazione spaziale umana commerciale con il programma Polaris. Questo consiste in tre missioni: due a bordo della capsula Crew Dragon e l’ultima a bordo della nave spaziale Starship, che non ha però ancora eseguito nemmeno un viaggio orbitale.

La prima di queste, Polaris Dawn, dovrebbe partire a novembre e avrà come capitano lo stesso Isaacman, già comandante della missione Inspiration 4. A bordo, assieme a lui, il suo collega e amico Scott Poteet e due dipendenti SpaceX: Sarah Gillis e Anna Menon Queste ultime erano impegnate nel supporto della missione Crew-3, ma, dopo il rientro avvenuto a maggio, i quattro di Polaris Dawn hanno potuto cominciare l’allenamento e le immersioni per eseguire la prima “passeggiata spaziale” civile. La capsula verrà depressurizzata e due dei quattro passeggeri usciranno nello spazio aperto.

Un altro record della missione sarà quello di raggiungere l’orbita terrestre più ellittica mai sperimentata: Isaacman vuole sfidare le radiazioni cosmiche e portare la Crew Dragon a ben 1400 km dal pianeta, battendo il primato delle missioni Gemini di 1368 km. Nella foto, l’equipaggio di Polaris Dawn al quartier generale di SpaceX ad Hawthorne, in California.

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D.L.

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TRENT’ANNI DI ASTRONAUTICA TRICOLORE, CON UNO SGUARDO AL FUTURO

FRANCO MALERBA

IL PRIMO ITALIANO IN

ORBITA

CELEBRIAMO UNA GRANDE AVVENTURA SPAZIALE CHE TENTÒ

UN ESPERIMENTO RIVOLUZIONARIO. E UN UOMO CHE CONTINUA A MANTENERSI ATTIVO IN MOLTEPLICI CAMPI, DAL GIORNALISMO ALLA SPACE ECONOMY

Liftoff of the Space Shuttle Atlantis! On a mission for new utility in space! Lo speaker del Kennedy Space Center, alle 15.56 (ora italiana, le 9,56 locali) del 31 luglio 1992 annunciava la partenza e il distacco dalla piattaforma 39B di una missione che avrebbe tentato un esperimento rivoluzionario: “Un nuovo uso dello spazio”, diceva. A bordo della navetta spaziale, infatti, c’era un satellite di nuova concezione, il Tethered, che era stato ideato, progettato e costruito in Italia, per generare energia elettrica nello spazio grazie al moto orbitale. E ad accompagnarlo, c’era il primo astronauta italiano

Franco Malerba, classe 1946, già selezionato nel 1977 come uno dei primi quattro astronauti dell’Agenzia saziale europea (Esa) per il Programma Spacelab, era stato assegnato nel 1990 alla missione del Programma Shuttle Sts-46. E in quella mattinata di trent’anni fa coronava un sogno inseguito da molti anni, nonostante mille difficoltà. Negli otto giorni di missione, l’equipaggio di sette astronauti rilasciò la piattaforma scientifica Eureca dell’Esa e il satellite Tethered (“a filo”), legato allo Shuttle da un lungo cavo conduttore. Il cavo non raggiunse la distanza prevista, ma l’esperimento ebbe successo e il satellite fu recuperato dagli astronauti, con la guida di Jeffrey Hoffman e con la supervisione di Franco Malerba, e riportato sulla Terra (vedi l’articolo a pag. 20). Esattamente a trent’anni dalla missione, e dal grande evento del primo italiano in orbita che, nonostante il periodo vacanziero, mobilitò tutte le TV e i media italiani (il web ancora non era di dominio pubblico), Cosmo ha incontrato Franco Malerba.

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COVER

» Sopra: Franco Malerba impegnato come payload specialist nella missione che si concluderà l’8 agosto 1992. A sinistra: la partenza della missione Sts-46 il 31 luglio 1992. Inquadra il QR per un video dedicato alla missione.
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COVER STORY DI ANTONIO LO CAMPO » L’equipaggio della missione Shuttle Sts-46 nella foto ufficiale prima della partenza.
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TRENT’ANNI DOPO LA MISSIONE STS-46, DI CHE COSA SI OCCUPA IL PRIMO ASTRONAUTA ITALIANO?

Sono socio fondatore di due startup spaziali, per le quali sono anche finanziatore, la DBSpace e SpaceV È un lavoro che mi impegna molto ma che svolgo con grande passione. E Space V, che è uno spinoff dell’Università di Genova, ha vinto proprio di recente la competizione per essere incubata nell’Esa Bic Torino. Collaboro con l’Académie de l’Air et de l’Espace, e sono anche giornalista free lance, scrivendo per varie testate. Quest’anno, inoltre, ho tenuto il corso Introduction to Space Exploration per dottorandi all’Università di Genova.

È ANCHE AUTORE DI DUE LIBRI DI SUCCESSO…

Il primo, dal titolo La Vetta, scritto in italiano e in inglese, e ricco di immagini fotografiche, è un po’ la storia della mia missione, la Sts46 che per l’appunto celebriamo quest’anno, che è stato ristampato da qualche anno dall’editore Sagep di Genova. Lo stesso che ha poi pubblicato nel 2018 Professione astronauta, la mia autobiografia raccontata come se fosse una lunga intervista, che è ormai esaurito, ma si dovrebbe farne presto una ristampa.

HA GIRATO IL MONDO, GIÀ DA GIOVANE PER LE SUE ATTIVITÀ DI RICERCA

IN VARI SETTORI, E POI LO HA FATTO IN UN’ORA E MEZZA…

Nella nostra missione in effetti ho girato per 127 volte attorno alla Terra. Circa 5 milioni e mezzo di

chilometri percorsi e… tanto lavoro e adrenalina, per una missione molto impegnativa, con momenti anche critici, quando per esempio abbiamo rischiato di perdere il satellite. Lo Shuttle era una macchina straordinaria, ma le sue missioni forzatamente non potevano durare più di due settimane. Questo limite è stato risolto con la Stazione spaziale internazionale (Iss), la più grande opera di ingegneria mai realizzata e soprattutto un meraviglioso esempio di cooperazione internazionale.

Ma mi piace ricordare che senza lo Shuttle non sarebbe stato possibile costruire pezzo per pezzo la Iss.

IMMAGINO VOLESSE FARE

L’ASTRONAUTA SIN DA RAGAZZINO A BUSALLA…

In realtà, volevo fare lo scienziato, ed è il motivo per cui scelsi di iscrivermi alla Facoltà di Fisica, a Genova. E a soli 22 anni andai negli Stati Uniti per fare attività di ricerca. Poi però fui subito attratto anche dalla tecnologia e mi laureai anche in ingegneria elettronica, che mi fu preziosa anche per il mio percorso professionale nell’ambito dell’informatica. L’astronautica? Sì, erano gli anni straordinari della gara spaziale e delle missioni verso la Luna, e rimasi colpito soprattutto dall’Apollo 8. Il fatto che per la prima volta l’uomo si sganciava dall’attrazione gravitazionale terrestre per puntare verso altri mondi mi colpì davvero. Da lì iniziai a coltivare il sogno.

E COME DECISE DI FARE

L’ASTRONAUTA?

Leggendo un annuncio sul Financial Times. Cercavano astronauti-

scienziati europei per le missioni Spacelab. Era il 1977, e me lo fece leggere un collega alla Digital, in cui lavoravo come ingegnere. Senza molte speranze, mandai comunque il mio curriculum. All’epoca pareva che lo spazio fosse ancora una proprietà privata tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Da Roma mi inviarono qualche settimana più tardi la convocazione per i primi test medici, e poi tutta la trafila successiva. Molto lunga e complessa.

PERÒ FU SELEZIONATO?

Sì, ero tra i quattro primi europei dell’Esa, presentati a Parigi il 22 dicembre 1977 con il ruolo che la Nasa avrebbe assegnato ai payolad specialist. Lo Spacelab era il modulo pressurizzato che poi volerà nella stiva dello Shuttle.

MA POI NON ANDÒ COME SI SPERAVA… No, purtroppo, come racconto in dettaglio proprio in Professione Astronauta, tra i quattro, io rimasi fuori. Ero già stato a Houston per un primo approccio con gli astronauti Nasa, ma a marzo 1978 l’ente spaziale americano chiese solo due astronauti, e l’Esa poi ne salvò tre. Uno doveva stare fuori e toccò a me, poiché quello era un periodo molto difficile per il nostro Paese, in pieno clima di anni di piombo, ed erano anche i giorni del sequestro Moro. In quel momento, di conseguenza, l’Italia preferì rinunciare allo spazio e agli astronauti. Ma io non ho mai perso la speranza, e quando si ripresentò nel 1989 l’occasione, dopo una chiamata indetta questa volta dall’Agenzia spaziale italiana (Asi), ho riproposto

15 COVER STORY
COVER STORY DI ANTONIO LO CAMPO » Il 4 agosto il satellite Tethered (Tss-1) dell’Agenzia spaziale italiana, costruito da Alenia Spazio, si sgancia dal boom estensibile dello Shuttle per un esperimento di produzione di energia elettrica nello spazio.
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la mia candidatura, assieme agli altri quattro colleghi italiani che avevano superato le selezioni come me più altri nuovi candidati, e ci riprovai. Il mio “miracolo” di allora, fu proprio quello, a 43 anni, di riuscire a restare ancora competitivo: eravamo nel 1989. Non avevo mai smesso di tenermi in forma e di essere pronto per una nuova, possibile “chiamata”.

QUAL È STATO UNO DEI MOLTI, GRANDI SIGNIFICATI

DI QUELLA MISSIONE?

Di avere dato finalmente anche all’Italia un nome nella cronologia dei voli spaziali con astronauti.

In fondo l’Italia è sempre stata una grande protagonista in questo settore, abbiamo lanciato il nostro primo

satellite già nel 1964. Sento ancora un grande orgoglio per aver compiuto questa missione che tra l’altro portava in orbita la tecnologia e le grandi intuizioni dei nostri scienziati, come i professori Colombo e Grossi Eravamo ancora davvero all’inizio e l’Agenzia spaziale italiana era nata solo quattro anni prima. Fu l’inizio di una serie di grandi successi per il nostro Paese, che è poi diventato uno dei maggiori protagonisti dello scenario spaziale internazionale. Dopo di me sono arrivati altri sei astronauti, e la grande avventura continua ed è sempre presente, come dimostra l’attuale missione di Samantha Cristoforetti. Ora attendiamo in autunno la nuova selezione Esa e speriamo di avere

nuovi astronauti italiani. Erano anni difficili anche quelli attorno al 1992 per l’Italia, gli anni di Tangentopoli e di altri problemi che in qualche modo riguardavano anche l’Asi. Ma ce l’abbiamo fatta e al di là della soddisfazione personale ero orgoglioso per aver contribuito a una grande impresa che portava in alto la bandiera italiana.

IN QUEI GIORNI INDIMENTICABILI IN ORBITA SULL’ATLANTIS, HA VISTO QUALCOSA DI MISTERIOSO DAI FINESTRINI DELLA NAVETTA?

Tutto era magico e strano, ma anche spiegabile in termini razionali; si galleggiava nell’assenza di peso

» I membri della missione Sts-46 a bordo dello Space Shuttle Atlantis in orbita. Dietro, da sinistra, il comandante Loren J. Shriver, il pilota Andrew M. Allen e lo specialista di missione Franklin R. Chang-Diaz. Davanti, da sinistra, lo specialista di missione Esa Claude Nicollier; il payload commander Jeffrey A. Hoffman, lo specialista di missione Marsha S. Ivins, e il payload specialist Asi Franco Malerba.
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accanto ai finestrini e ricordo la luce fioca e fissa delle stelle, senza l’atmosfera di mezzo; ricordo qualche flash improvviso nel buio, ma era il prodotto delle radiazioni cosmiche sulle mie retine; ricordo fortissime luminescenze sulla Terra, di notte, ma erano tempeste elettriche di alta quota; ricordo striature luminose accendersi nell’atmosfera della Terra e svanire, ma erano le meteore Perseidi di agosto. Ricordo anche una fontana di oggetti scintillanti come diamanti nelle vicinanze dell’Atlantis, ed era il nostro scarico dell’acqua, che vaporizzava nel freddo e nel vuoto in mille ghiaccioli!

LE AGENZIE SPAZIALI GUARDANO CON INTERESSE AL FUTURO: UN RITORNO SULLA LUNA, MA ANCHE LA CONQUISTA DI MARTE?

Direi di sì, e non solo le agenzie ma anche i privati. Elon Musk, al di là dei suoi piani per le basi su Marte, è già coinvolto con la sua SpaceX nel Programma Artemis, con lo sviluppo del veicolo che dovrà atterrare sulla Luna.

Sono tre i tipi di missione per la prossima esplorazione già avviata, e i relativi obiettivi di conoscenza, che potranno permettere agli umani di proiettarsi nel Sistema solare. E si potrebbe definirli altrettanti “campibase” di una lunga scalata, che preparano la sfida delle conoscenze, dei mezzi e della sicurezza,

indispensabili per il grande balzo fuori dalla nostra culla terrestre.

E LA TERZA BASE?

*ANTONIO LO CAMPO

GIORNALISTA SCIENTIFICO SPECIALIZZATO PER IL SETTORE AEROSPAZIALE, COLLABORA CON DIVERSE TESTATE NAZIONALI.

La prima base è proprio la Luna, che ci permette di studiare l’origine del sistema Terra-Luna e ci allena alle sopravvivenze prolungate fuori della Terra, soprattutto dopo la conferma dell’esistenza di ghiaccio d’acqua in alcune zone polari del nostro satellite. Il nuovo programma Artemis della Nasa punta al ritorno alla Luna con undici missioni già pianificate. E l’Italia, nell’ambito della cooperazione internazionale, sarà protagonista della nuova avventura lunare che eredita le conoscenze del Programma Apollo Con l’Asi, con le nostre industrie e le nostre competenze tecnologiche e scientifiche. E la stazione cislunare Gateway Lunar Platform, che vede un importante contributo europeo e italiano, sarà la base di ripartenza verso l’esplorazione.

L’ultimo campo-base sarà finalmente Marte, la meta possibile, l’unico pianeta oltre la Terra, che possiamo legittimamente immaginare come ambiente possibile per costruirvi una futura base umana. Raccontato d’un solo fiato, questo scenario sembra un viaggio fantastico, frutto solo dell’immaginazione; forse è solo il condensato di un puzzle di infinite scoperte, conoscenze e tecnologie già a portata di mano su un arco di alcuni decenni.

CHE COSA PENSA DEL NUOVO TURISMO SPAZIALE?

Inizialmente ero contrario. Ai tempi dell’imprenditore Dennis Tito e dei successivi, ero discorde sul fatto che dei privati potessero raggiungere la Stazione spaziale e partecipare a missioni pagate da istituzioni

» Il dispiegamento in orbita del satellite Eureca (European Retrievable Carrier) realizzato dall’Esa (European Space Agency) per eseguire in automatico 15 esperimenti scientifici, che comprendevano un piccolo telescopio per osser vazioni solari.
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governative, anche se poi loro stessi pagavano un biglietto salato per parteciparvi. Però oggi lo scenario è cambiato, perché sono gli stessi privati che realizzano progetti e mezzi per portare nello spazio i propri astronauti privati, o astro-turisti. Al di là di SpaceX, che ormai è parte

integrante dei programmi della Nasa e sviluppa anche parallelamente programmi in proprio, vi sono i voli di Jeff Bezos con Blue Origin che raggiungono appena la quota spaziale e rientrano subito lanciati con un razzo tradizionale. Ma io trovo tecnologicamente innovativi gli

» Sopra: la copertina di Professione Astronauta di F. Malerba e A. Lo Campo riporta la suggestiva immagine delle repliche delle caravelle di Colombo al largo di Cape Canaveral alla partenza della missione Sts-46, per celebrare il 500° anniversario della scoperta dell’America.

A sinistra: Franco Malerba, il primo astronauta italiano. Inquadra il QR per una sua intervista trasmessa a Forbes Space Economy

spazioplani di Virgin Galactic, gli SpaceShip2, che raggiungono quote spaziali e poi rientrano prima con un sistema ad ala che ricorda il volano di Badminton, e poi l’ala si riallinea nella fase finale. Dietro a questi progetti c’è davvero un lungo e complesso lavoro che presto darà i suoi frutti.

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UN SATELLITE

AL GUINZAGLIO

acchiuso nella stiva dello Shuttle Atlantis, partito a fine luglio 1992 per la missione Sts-46, c’era il primo “satellite a filo”, il Tethered Satellite System (Tss-1), nato da un’idea italiana e realizzato nell’ambito di un programma congiunto Asi-Nasa.

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Nella stiva c’erano anche la piattaforma Eureca dell’Agenzia spaziale europea, che sarebbe stata rilasciata nello spazio per essere recuperata nove mesi più tardi da un’altra navetta, e altri esperimenti della Nasa per studiare gli effetti dell’ossigeno atomico sui materiali, ai fini della costruzione della

Stazione spaziale che era allora in fase di progetto. Atlantis, con a bordo l’astronauta italiano Franco Malerba, salì su un’orbita circolare alta 425 chilometri per rilasciare il 2 agosto la piattaforma Eureca e poi discese a 288 chilometri, per iniziare il 3 agosto le operazioni di uscita del Tss-1. Il satellite costruito da Alenia Spazio (oggi Thales Alenia Space), capo-commessa per le industrie italiane, era “nato” a Torino. Costituito da una sfera di 1,6 metri di diametro, pesava 520 chilogrammi, 70 dei quali rappresentati dagli strumenti di bordo. Il Tss-1 era composto da tre moduli: quello di servizio, sistemato nella parte inferiore della sfera, ospitava i vari sottosistemi (alimentazione, controllo di assetto, elaborazione e trasmissione dei dati); il secondo modulo era il sistema di propulsione, che forniva la spinta per il rilascio, il ritiro e la stabilizzazione del satellite; il terzo modulo, alloggiato nella semisfera superiore, raccoglieva gli esperimenti italiani e statunitensi. La sua struttura interna era in nido d’ape d’alluminio, mentre gli otto pannelli di copertura a forma

DURANTE LA MISSIONE STS-46 FU ESEGUITA UNA DELLE PIÙ COMPLESSE OPERAZIONI DEL PROGRAMMA SHUTTLE » Il satellite Tss-1 rilasciato nel corso della missione Sts-46 (disegno di Mauro Gariglio).
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» Il Tss-1 nella stiva dello Shuttle prima del rilascio

di petali erano in lega d’alluminio e spessi un millimetro.

Oltre ai due bracci telescopici, ciascuno lungo due metri, che uscivano in direzione opposta all’emisfero superiore del satellite, il Tss-1 disponeva di un braccio fisso lungo un metro, alla cui estremità alloggiavano 4,5 chilogrammi di sensori.

L’USCITA DEL SATELLITE

Il 4 agosto si alzava il traliccio alto quasi 12 metri, che sollevava il satellite al di sopra della stiva dello Shuttle. Il passo successivo era il distacco dei due cavi ombelicali che portavano uno l’energia e l’altro i comandi agli apparati del satellite. Quest’ultimo si rifiutò di staccarsi: la bassa temperatura dello spazio aveva bloccato la connessione.

Ma dopo dieci tentativi diversi, compreso anche l’orientamento del sistema al Sole, con un’accensione combinata dei motori dello Shuttle e del satellite, il cavo riuscì a staccarsi. Finalmente il satellite, sotto la spinta dei due micromotori a gas freddo, cominciò a sollevarsi dal suo alloggiamento, dando inizio al suo viaggio appeso al filo. Dopo appena 10 centimetri, però, il Tethered era già fermo. La difficoltà, questa

» Il Tethered alla massima estensione raggiunta durante l’esperimento, legato al filo lungo il quale scorreva la corrente generata dal sistema.
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volta, sembrava essere nel sistema di avvolgimento del filo. I controllori di Houston decisero di riavvolgere il cavo per poi riprenderne lo svolgimento. L’operazione sembrava funzionare e il satellite si allontanò sino a 256 metri dallo Shuttle, quando per la terza volta arrestò la sua corsa. Il 5 agosto, azionando il meccanismo di rilancio, la tensione del filo salì oltre i livelli consentiti e tutto fu interrotto. Il tempo trascorso era ormai troppo e le riserve di combustibile del satellite erano in gran parte consumate dalle operazioni. Ora bisognava tentare il recupero del satellite. Due astronauti erano pronti per un’uscita nella stiva a riavvolgere manualmente il filo nel caso che il sistema automatico di recupero fallisse. Ma l’operazione automatica funzionò e il Tethered tornò nella stiva, con un coro di Alleluia da parte degli astronauti. Durante questo tempo, anche se il satellite non aveva raggiunto la

distanza stabilita di 20 chilometri, tutti gli strumenti erano stati accesi e avevano lavorato, dimostrando di funzionare egregiamente assieme a tutti i sistemi del veicolo.

GENERARE ENERGIA CON IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE

Il cavo che univa la navetta al satellite aveva un diametro di 2,54 millimetri. Lungo 22 chilometri, pesava complessivamente 8,2 chilogrammi. Aveva una struttura a più strati costruita dalla Courtland Cable di New York con un’anima centrale attorno alla quale erano avvolti a spirale 10 fili di rame accostati, ciascuno di 0,16 millimetri di spessore. Il bilancio della missione, riguardante i due obiettivi principali, vale a dire la generazione di energia e la verifica del comportamento del filo, soprattutto nelle ultime fasi del recupero, doveva considerarsi positivo, nonostante il limitato

L’INDUSTRIA ITALIANA MOBILITATA PER IL TSS

Responsabili della conduzione del programma Tss erano gli ingegneri Gianfranco Manarini per Asi e Bruno Strim per Alenia Spazio. Il lavoro era stato realizzato al 95 per cento in Italia: Alenia Spazio aveva coordinato le undici industrie coinvolte, aveva realizzato il progetto e provveduto all’integrazione e alle prove, aveva costruito la struttura, il sistema di controllo termico, il cablaggio, gli apparati di telemetria e comando e il controllo d’assetto, con elementi forniti da Matra (giroscopi) e dalle Officine Galileo (sensori elettro-ottici).

La Laben di Milano (poi confluita in Thales Alenia Space) aveva realizzato il sistema computerizzato di acquisizione e trattamento dati a bordo del satellite e le attrezzature elettroniche per provare il satellite a terra. Fiar aveva preparato gli apparati per la distribuzione della potenza a

rilascio del satellite. Il sistema riuscì infatti a generare una corrente elettrica di 2,3 milliampere con una tensione 40 volt, grazie al “taglio” delle linee di forza del campo magnetico terrestre da parte del filo, che procedeva alla velocità orbitale dello Shuttle. Una applicazione diretta dell’induzione elettromagnetica, a spese di un rallentamento (trascurabile) della navetta spaziale. Nel successivo esperimento Tss-2, eseguito dalla missione Sts-75 nel 1996, il filo porterà il satellite fino a 20 chilometri di distanza, anche se per un periodo breve, generando fino a un ampere di corrente. Questi esperimenti dimostrarono che l’idea dei sistemi a filo, suggerita tanti anni prima dal fisico Giuseppe Colombo, funzionava, anche se le difficoltà tecnologiche sconsigliarono di ripetere l’impresa su larga scala. E fu quindi un grande successo dello spazio made in Italy

bordo fornita da quattro batterie argento-zinco, con una carica che poteva durare 35 giorni.

Un altro sistema era quello di propulsione: costruito da Bpd-Difesa e Spazio, impiegava azoto freddo, per non inquinare l’ambiente intorno al satellite. Il gas era contenuto in un serbatoio sferico di titanio della capacità di 60 chilogrammi che alimentava l’intero impianto, formato da otto propulsori distribuiti in diversi punti della sfera. Alla sua base, attorno all’aggancio del filo, se ne trovavano due set, ognuno dei quali sfociava in due ugelli di scarico sistemati a croce.

Dalla cupola superiore del satellite spuntavano due bracci telescopici che recavano alle estremità dei sensori realizzati da Rinaldo Piaggio, che però non sono stati collaudati nel corso della missione.

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UN PO’ DI ITALIA

INTORNO ALLA LUNA

La missione Artemis-1 è sulla rampa di lancio. E dalla piattaforma 39-B del Kennedy Space Center tutto è pronto per dare il via, entro la fine dell’estate, alla prima missione del programma che reca il nome della sorella di Apollo. E che cinquant’anni dopo l’ultima missione del celebre programma che porta il nome della divinità greca, riporterà degli astronauti sulla Luna. Però, a differenza del programma tutto made in Usa degli anni 60 e 70 del secolo scorso, questa volta è protagonista la cooperazione internazionale, dove Europa e Italia giocano un ruolo di primo piano. Da quando è partita la nuova corsa alla Luna, che comprende la realizzazione della stazione spaziale Gateway Lunar Platform in orbita lunare, si sono mobilitati per l’impresa un grande numero di ingegneri, scienziati e tecnici italiani. Alcuni dei quali sono negli States, dove lavorano per

aziende selezionate dalla Nasa per il grande ritorno alla Luna.

UN’ITALIANA PER IL MODULO PROPULSIVO DELLA STAZIONE LUNARE Veronica Pellegrini, 38 anni, di Roma, è un ingegnere aerospaziale.

Una carriera che l’ha già portata a lavorare sui moduli che formeranno la prima stazione spaziale che orbiterà attorno a un corpo celeste diverso dalla Terra: “Non vediamo l’ora che Artemis parta con la prima missione” – ci dice Veronica, che abbiamo contattato dal suo ufficio in California

– “Finalmente l’umanità potrà tornare a esplorare lo spazio al di là dell’orbita terrestre. È il primo passo per tornare sulla Luna e porvi una base in orbita, e poi successivamente sulla superficie. E poi puntare verso Marte”. Pellegrini è esperta di dinamica spaziale per la Maxar Technologies, la società scelta dalla Nasa per costruire il modulo propulsivo che verrà inviato

in orbita lunare nel 2024 o 2025: “Mi occupo del design della missione del primo modulo che costituirà il Gateway” – ci dice Pellegrini - “È il Ppe (Power and Propulsion Element), il modulo più importante perché è quello propulsivo, che permetterà alla stazione lunare di correggere il suo assetto e cambiare orbita, dando anche potenza energetica alla stazione. Insieme al mio team di Maxar e in collaborazione con la Nasa” – aggiunge – lavoro per lo sviluppo di tutto il design della missione. Che comprende il progetto delle capacità propulsive per il transfer e dei vari sub-sistemi del modulo e di tutti i suoi componenti. In attesa dei nostri astronauti, porto subito un po’ di Italia intorno alla Luna”.

IL SOGNO DELLO SPAZIO, SIN DA BAMBINA

Veronica Pellegrini vive da due anni a Orange County con il marito conosciuto all’Università La Sapienza

A COLLOQIO CON VERONICA PELLEGRINI, PROGETTISTA DELLA STAZIONE SPAZIALE LUNARE
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» Dall’alto in senso orario: una visione separata del Power and Propulsion Element, il modulo propulsivo del Gateway al cui progetto lavora Veronica Pellegrini. Veronica Pellegrini al lavoro insieme ai suoi bimbi. Un rendering del Gateway Lunar Platform, la stazione spaziale che orbiterà intorno alla Luna.

di Roma e oggi collega nella stessa azienda e con due figli: Aurora, di 8 anni, ed Elon di 4.

Sin da bambina era rimasta affascinata dallo spazio e dall’astronautica: “è sempre stata la mia grande passione” – ci conferma – “Quando ero piccola, per il mio primo tema su Cosa vuoi fare da grande avevo già le idee chiare: volevo fare l’astronauta. Ho acquisito questa passione da mio padre che ancora oggi conserva i ritagli di giornale riguardanti la missione Apollo 11, del 1969. Mi comprava tutti i libri e le enciclopedie che trattavano di astronomia: cercavo di sapere tutto sull’Universo. Poi ho imparato a

definire meglio la mia passione; ho abbandonato il sogno di fare l’astronauta, oppure l’astronoma, ma volevo realizzare il design e le strutture delle missioni spaziali. Per questo mi sono iscritta a ingegneria aerospaziale e ho coltivato questa passione fino a farla diventare il mio magnifico lavoro”. Un lavoro che impegna l’ingegnere romana a tempo pieno. Artemis-1 sta per partire per la missione senza equipaggio di 24 giorni fino alla Luna; alla fine del 2023 il primo equipaggio di quattro astronauti orbiterà attorno al nostro satellite naturale, celebrando i 55 anni dell’Apollo 8, e nel 2025 avverrà il primo sbarco della serie, con la prima

donna sulla Luna: “Sì, ed è motivo di grande soddisfazione. Le donne sono ormai da tempo protagoniste in missioni spaziali, realizzando ogni compito di un astronauta. Pregiudizi?

Non più, ma ai tempi dell’Università ebbi a che fare con un professore anziano che si rifiutò di prendersi cura di un mio lavoro necessario per ottenere la laurea triennale”. Proiettati dunque verso la Luna.

E Marte? Ci arriveremo?: “Certamente” – dice – “La missione Artemis vuole essere anche una missione di prova e un trampolino di lancio per portare finalmente l’uomo sul Pianeta rosso”.

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26 SPACE ECONOMY DI DAVIDE LIZZANI* TURISMO SPAZIALE DI LUSSO IN MONGOLFIERA SPACE PERSPECTIVE PROPONE UN METODO NUOVO E ORIGINALE PER RAGGIUNGERE QUOTE SPAZIALI

Una nuova e inedita frontiera del turismo spaziale arriva dalla società americana Space Perspective, che propone un volo a 30 chilometri di quota a bordo di una lussuosa cabina agganciata a un pallone aerostatico pieno di idrogeno. Il viaggio, della durata di circa sei ore, non è propriamente “spaziale”, ma offre ai passeggeri la possibilità unica di lasciarsi sotto i piedi il 99% dell’atmosfera e poter così osservare il nero dello spazio. L’altra grande attrazione del viaggio è la possibilità di ammirare la curvatura terrestre attraverso vetrate alte 1,54 metri, larghe 56 centimetri, e disposte a 360 gradi attorno alla capsula.

SI PAGA IN CRIPTOMONETA

Gli otto passeggeri, guidati a bordo dal capitano del velivolo, potranno godere del paesaggio comodamente seduti su poltrone reclinabili, con WiFi e bar a disposizione. Le due ore di ascesa permettono di gustare il graduale allontanamento dalla superficie terrestre in un’esperienza completamente diversa da quella vissuta dagli astronauti, che per raggiungere l’orbita viaggiano a velocità centinaia di volte più alte, con accelerazioni proibitive, limitazioni nei movimenti e pochissimi comfort. Un’esperienza quindi più accessibile del vero e proprio viaggio nello spazio. Anche il costo, seppure notevole, è più contenuto: i biglietti sono in vendita a 125mila dollari e per prenotarne uno è necessario versare una caparra da 1000 dollari che può essere pagata anche in criptomoneta Secondo le dichiarazioni dell’azienda, sono già state effettuate più di 600 prenotazioni, che bloccano tutto

il primo anno di attività. La lista d’attesa è quindi molto lunga, anche considerando che il primo volo con equipaggio è previsto per fine 2024, con partenza dallo spazioporto Space Coast, nei pressi del Kennedy Space Center della Nasa in Florida.

NEPTUNE ONE

Un volo di prova è già stato effettuato: il velivolo Neptune One, impropriamente chiamato “navicella spaziale” dalla Space Perspective, ha volato nel giugno 2021. La capsula è stata agganciata a un pallone aerostatico pieno di idrogeno che l’ha sollevata in volo alla velocità di circa 19 km/h

La Neptune One ha raggiunto gli obiettivi prefissati, superando la quota di 33 km e ammarando con un paracadute a 80 km dalle coste del Golfo del Messico.

Il volo di prova, durato 6 ore e 39 minuti, è stato senza equipaggio, ma a bordo ha trovato posto un carico scientifico: un rilevatore di ozono creato da Nirmal Patel e dai suoi studenti di fisica della University of Northern Florida. Inoltre, diversi studenti fra i 12 e i 19 anni sono stati coinvolti nella realizzazione di esperimenti da portare in quota con Neptune One e da sottoporre al “quasi vuoto del quasi spazio”. Purtroppo, a bordo non è possibile esperire la microgravità orbitale, che ha un fascino sia turistico che scientifico, ma Space Perspective ritiene che il suo velivolo possa essere utilizzato per lo studio della stratosfera e dell’attività solare.

SPACE PERSPECTIVE

L’azienda è stata fondata solo tre anni fa, ma i suoi Ceo hanno già molta

SPACE ECONOMY » La Neptune One alla quota massima di 30 km appesa al grande pallone.
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esperienza sia in campo spaziale che stratosferico. Si tratta di Jane Poynter e Taber MacCallum, due coniugi precedentemente impegnati nella gestione di StratEx, la compagnia creatrice della tuta che ha permesso a Alan Eustace, nel 2014, di lasciarsi da un pallone aerostatico alla quota di 41,4 km, superando il record di Felix Baumgartner. Per loro, Space Perspective è un modo di rendere il turismo spaziale più sostenibile e più accessibile. Vanno molto fieri di non usare nemmeno una goccia di combustibile fossile per il lancio (ma come producono l’idrogeno? Ndr). Il turismo spaziale aveva dei vincoli più marcati quando, nel primo decennio degli anni 2000, le capsule Soyuz portavano a bordo della Iss un miliardario all’anno. Oggi, dopo il debutto di tre aziende spaziali private americane (Virgin Galactic, Blue Origin e SpaceX), il termine è stato allargato a chi non raggiunge la Iss, a chi non raggiunge nemmeno l’orbita, e addirittura a chi non raggiunge la Linea di Kármán, ovvero la separazione convenzionale a 100 km di quota che è stata creata per distinguere, convenzionalmente, lo spazio dall’atmosfera. Si tratta dell’altezza a cui le ali diventano inutili: l’atmosfera è qui così rarefatta che la forza centrifuga del viaggio attorno alla Terra è più importante della portanza.

I COLLEGAMENTI

CON IL TURISMO SPAZIALE

DI VIRGIN GALACTIC

Proprio su questo si basa il metodo di turismo spaziale creato da Richard Branson. La sua Virgin Galactic utilizza l’aereo a doppia carlinga WhiteKnightTwo per

LIZZANI » Rendering della capsula Neptune One nello spazioporto Space Coast in Florida. Inquadra il QR per un video di Space Perspective dedicato al turismo spaziale in mongolfiera. » La partenza verticale della capsula alla velocità di 19 km/h , sollevata da un grande pallone ripieno di idrogeno.
SPACE ECONOMY DI DAVIDE
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portare a circa 15 km di quota lo spazioplano SpaceShipTwo, che, una volta sganciato della nave madre, utilizza il proprio motore a razzo per raggiungere lo spazio. O meglio, per superare gli 80 km in un volo suborbitale, ma tanto basta a diversi enti americani che si occupano di aeronautica (Faa, Noaa e US Air force) per parlare di spazio. Nomenclatura a parte, questo tipo di viaggio fa gola per la possibilità di sperimentare la microgravità. Il primo volo turistico dell’11 luglio 2021 ha visto a bordo lo stesso Richard Branson, ma quello immediatamente successivo si sarebbe dovuto occupare di ricerca scientifica. Il biglietto era già stato acquistato dall’Aeronautica Italiana per fare volare due ufficiali e un ricercatore del Cnr per eseguire a bordo 13 esperimenti scientifici nel campo della medicina, dei materiali avanzati, della fluidodinamica e della fisiologia del volo spaziale. Il tutto, nel quadro dell’ambizioso progetto di realizzare uno spazioporto italiano a TarantoGrottaglie. Il progetto, di Thales Alenia Space Italia e dell’Agenzia spaziale italiana in collaborazione con Virgin Galactic, auspicava l’inizio dei test italiani nel 2023, ma questa data è stata posticipata a causa dei problemi incontrati proprio nel volo suborbitale dell’11 luglio: lo spazioplano è uscito dalla rotta prestabilita e la Faa lo terrà a terra fino a che le cause del problema non saranno accertate e risolte.

È TEMPO DI TURISMO TRA LE STELLE

Le tempistiche del lancio possono far sospettare che i tempi di preparazione siano stati ridotti per battere il

concorrente Blue Origin, il cui volo di battesimo con equipaggio era già da tempo programmato per il 20 luglio. Anche questa volta a bordo c’era il fondatore della compagnia, Jeff Bezos, ma questo lancio non ha avuto intoppi, e la navicella riutilizzabile First Step ha raggiunto quota 107 km in un volo suborbitale della durata di 10 minuti. Sia il razzo New Shepard 4 che la navicella sono stati recuperati e riutilizzati in altre tre missioni e hanno almeno altri due voli ciascuno già programmati, con a bordo imprenditori e celebrità. Questi potranno dire sia di essere stati nello spazio, sia di aver provato la microgravità, anche se per solo un paio di minuti. Il passo successivo è l’orbita. Una volta raggiunto questo obiettivo, il tempo del viaggio è dettato solo dalle risorse (acqua, aria e cibo) che si sono portate dalla partenza.

SpaceX ha deciso nella sua prima missione turistica Inspiration 4 di fare passare al suo equipaggio di quattro persone quasi tre giorni in orbita a bordo della navicella Crew Dragon Resilience. Il discorso cambia quando si raggiunge la Iss, che ha ripreso a ospitare turisti nella prima missione di Axiom Space, proprio in collaborazione con SpaceX. Ma nei piani dell’azienda di turismo spaziale texana c’è anche la creazione di una propria stazione spaziale privata e Axiom Space ha affidato a Thales Alenia Space la costruzione dei moduli privati da attraccare in un primo momento alla Iss. Uno di questi rimarrà proprietà dell’Italia, che lo utilizzerà come proprio avamposto nello spazio. Nel frattempo, si stanno sviluppando tramite un bando della Nasa altre tre stazioni spaziali private che, assieme alle realtà spaziali già esistenti fra turismo e ricerca, avranno un ruolo fondamentale per permetterci di osservare la Terra per quello che è: una grande stazione spaziale immersa nel nero dello spazio.

*DAVIDE LIZZANI È UN GIORNALISTA SCIENTIFICO, ASTROFILO E PLANETARISTA, ATTUALMENTE DI STANZA A TOKYO. » Dalle grandi vetrate si potrà ammirare la Terra e lo spazio. Il primo volo con equipaggio è previsto entro la fine del 2024.
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SPAZIO

MADE IN ITALY

L’Italia è protagonista della frontiera spaziale dal 15 dicembre 1964, quando diventò la terza nazione al mondo, dopo Urss e Usa, a lanciare un satellite in orbita. Costruito in Italia e gestito da squadre di nostri tecnici e ricercatori, il San Marco 1 fu lanciato in quell’occasione dalla base di Wallops, in Virgina. Ma i successivi lanci avverranno tutti da una base interamente italiana, ancorata nell’Oceano Indiano, al largo di Malindi in Kenia. Da allora, da quel progetto fortemente voluto dal professor Luigi Broglio, la partnership tra pubblico e privato si è allargata e ha prodotto notevoli successi. Negli anni 60, l’industria italiana contribuì a realizzare uno degli stadi del razzo Europa nel deserto australiano di Woomera, grazie al contributo di Fiat Aviazione (oggi Avio Spa), un

» La copertina di Spazio made in Italy, curata da Mauro Gariglio, illustratore torinese appassionato e disegnatore di spazio e fantascienza, mette insieme astronauti, lanciatori e missioni per Marte, in cui l’Italia è protagonista di primo piano

player di primo piano nel settore dei lanciatori: in scena, oggi, ci sono i razzi Vega, Vega-C ormai al debutto (vedi Cosmo n. 29), e Ariane 6, pronto anch’esso a spiccare il primo balzo nello spazio. Dagli anni 70, è poi decollata un’altra grande avventura della nostra industria, costituita dalle missioni per astronauti, e la fase tutt’ora in corso dello sviluppo di moduli abitativi. Dapprima per l’orbita terrestre e ora proiettati verso l’orbita lunare. Dallo storico Spacelab, il cui “papà” europeo è Ernesto Vallerani, fino all’attuale Stazione spaziale internazionale e verso il Gateway Lunar Platform, la base cislunare del Programma Artemis

UNO SPAZIO IN CONTINUA EVOLUZIONE È uno Spazio made in Italy in continua evoluzione. E questo è anche il titolo del libro di Antonio

IL LIBRO DI ANTONIO LO CAMPO INDAGA IL PASSATO E IL FUTURO DELL’ITALIA NELLO SPAZIO
30 SPACE ECONOMY DI GABRIELE BECCARIA*

Lo Campo, pubblicato di recente, che fa il punto su presente e futuro della conquista spaziale italiana, rievocando anche un passato che a partire da quel satellite San Marco ha portato a molti successi. Oggi la new space economy colloca il nostro Paese tra i maggiori player internazionali, anche con molte start-up e una serie di prodotti estremamente variegati, com’è spontaneo pensare quando si cita la nostra creatività: dai satelliti piccoli e mini allo space food, oppure componenti intelligenti per gli utilizzi più svariati. Questo libro di Lo Campo arriva in un momento chiave, anche se pubblicato appena un po’ prima della guerra causata dall’invasione russa in Ucraina, che ha fatto sospendere e rimandare la nostra ambiziosa e tanto attesa missione robotica su Marte, ExoMars 2022, alla quale sono dedicati un lungo capitolo e una scheda tecnica. Ma tutti gli

altri grandi programmi, sia in orbita terrestre che di esplorazione oltre il nostro pianeta, sono confermati, e in ambito space economy va ricordato che lo spazio sta diventando sempre più, anche se non ce ne rendiamo conto, una componente strategica nella nostra vita, individuale e collettiva. Spazio made in Italy è un libro di 258 pagine, edito nella Collana scientifica Express del Capricorno Edizioni, con suggestive illustrazioni prese da immagini reali. Si tratta di uno sguardo su una realtà che ancora pochi conoscono e tanti solo intuiscono. Con la prefazione di Massimo Comparini, amministratore delegato di Thales Alenia Space Italia,

È VICE CAPOREDATTORE AL QUOTIDIANO “LA STAMPA”, DI CUI È RESPONSABILE DEL SETTIMANALE “TUTTO SCIENZE E TECNOLOGIA”.

e l’introduzione di Luigi Pasquali, Coordinatore Attività Spaziali di Leonardo e amministratore delegato di Telespazio, è un’opera realizzata in modo originale, con il contributo di molti tra i principali attori dello scenario spaziale italiano di ieri e di oggi: astronauti, astrofisici, ingegneri, dirigenti di importanti compagnie e aziende di settore responsabili delle molte missioni di satelliti applicativi, sonde interplanetarie, lanciatori, navette e moduli spaziali. È anche il racconto di chi, queste straordinarie missioni le ha vissute in prima persona. Che si tratti di un rover marziano o di una sonda diretta a Mercurio, di una missione europea oppure statunitense, c’è sempre in gioco, o quasi, un pezzetto di made in Italy. Non è retorica: è un impasto di scienza e tecnologia che fa dell’Italia un protagonista dello spazio. E non da oggi.

» A destra: L’autore del libro, Antonio Lo Campo, giornalista aerospaziale e responsabile della sezione spazio di Cosmo. Sopra: Il razzo Ariane 6 in una illustrazione di Mauro Gariglio. *GABRIELE BECCARIA SPACE ECONOMY
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Anche chi non si è mai occupato dello studio del buco nero al centro della nostra Galassia sa di dover ringraziare questo mostro del cielo, perché è grazie a lui che, nel 2020, il comitato Nobel si è accorto dell’esistenza delle astronome. In quell’occasione, il Nobel per la Fisica è stato dedicato ai buchi neri: metà è andato a Roger Penrose per il fondamentale contributo teorico, dato oltre mezzo secolo fa, “per la scoperta che la formazione dei buchi neri è prevista dalla relatività generale”, mentre l’altra metà è stata divisa tra due astronomi osservativi, Reinhard Genzel e Andrea Ghez “per la scoperta di un oggetto supermassivo nel centro della nostra Galassia”. Facciamo attenzione a questa seconda metà della intitolazione del Nobel. Dopo avere notato che Andrea Ghez, oltre a essere la quarta donna a ricevere il Nobel per la Fisica, e la prima nel campo dell’astronomia, leggiamo attentamente: il comitato parla della scoperta di un oggetto supermassivo, ma senza specificare di che cosa si tratti.

RIVELATA
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L’IMMAGINE DI SGR A* REALIZZATA DA EHT: TANTE CONFERME E QUALCHE PERPLESSITÀ
DELLA VIA LATTEA TEMA DEL MESE DI PATRIZIA CARAVEO* L’OMBRA DEL

LA STORIA DELLA SCOPERTA

L’accurata mappatura del movimento delle stelle in prossimità del centro della nostra Galassia porta due gruppi concorrenti, tra il 2008 e il 2009, a “pesare” l’oggetto compatto che domina il centro. I gruppi fanno capo al tedesco Reinhard Genzel e alla statunitense Andrea Ghez che hanno dedicato oltre un decennio allo studio delle orbite delle stelle annidate nel cuore galattico. Un successo basato su lunghissime sequenze di osservazioni fatte da Ghez con il telescopio Keck alle Hawaii, spesso in competizione con Genzel che, invece, sfrutta i telescopi dello European Southern Observatory in Cile.

Pur con strumenti diversi, i due gruppi hanno usato tecnologie simili, concentrandosi anche sulle stesse stelle. Per calcolare la massa dell’oggetto centrale, occorre avere una buona descrizione dell’orbita percorsa dalle stelle, cosa che richiede la mappatura accurata del loro moto. Negli anni 90, per migliorare la risoluzione spaziale delle loro immagini, entrambi ricorrevano alla speckle imagining, una tecnica basata sull’utilizzo di immagini con tempi di posa molto brevi, ottimizzati per “battere” le turbolenze dell’atmosfera. Le immagini dovevano poi essere sommate per ottenere le lunghe pose necessarie per rivelare e posizionare le stelle interessanti.

L’idea era di fare osservazioni a distanza di circa un anno per seguire il movimento delle stelle e tracciare le loro orbite. Nel 1996-1997 i due gruppi hanno dimostrato che le stelle seguivano orbite kepleriane, poi nel 2002-2003 hanno calcolato che la stella S2 ha un periodo orbitale di

TEMA DEL MESE » L’ombra del buco nero centrale della Via Lattea, Sgr A*, ripresa nelle onde radio dalla collaborazione Eht. Inquadra il QR per un suggestivo zoom verso il buco nero.
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16 anni. Con l’avvento dell’ottica adattiva, grazie alla quale il fronte d’onda viene corretto in tempo reale per compensare le turbolenze atmosferiche, negli ultimi venti anni è stato possibile fare le osservazioni direttamente per i tempi richiesti. La nuova tecnica ha migliorato l’efficienza di tutto il processo, cosa che ha permesso di seguire un numero maggiore di stelle che danzano intorno al centro galattico. Il monitoraggio ha svelato la presenza di altre stelle con orbite ancora più vicine al buco nero che si muovono velocissime e che hanno conquistato una serie di primati di velocità.

Tra il 2008 e il 2009, i due gruppi arrivano alla stessa conclusione:

S2 orbita intorno a una massa di 4 milioni di masse solari che si trova nella posizione indicata dalla sigla Sgr A*. I dati non dicono che si tratti con certezza di un buco nero, ma cos’altro potrebbe essere “l’oggetto supermassivo e compatto nel centro della nostra Galassia”?

SIMILI MA DIVERSI

Quest’ultimo interrogativo ha avuto una risposta il 12 maggio scorso, durante una conferenza stampa organizzata dalla collaborazione Event Horizon Telescope (Eht), che grazie a una serie di osservazioni fatte nell’aprile del 2017 è riuscita a ottenere l’immagine del centro della Galassia.

Abbiamo visto una ciambella un po’ sfuocata con un buco centrale le cui dimensioni sono in perfetto accordo con quanto previsto dalla relatività generale per un oggetto di quattro milioni di masse solari.

L’ombra del buco nero è resa visibile dall’emissione della materia che vortica intorno ad esso e che ha rappresentato il più grande problema affrontato da Eht.

Questa ciambella non risultava del tutto nuova; infatti, il look del buco nero di Sgr A* è sorprendentemente simile a quello già ripreso nel centro della galassia M87 e pubblicato dalla collaborazione Eht nell’aprile 2019. In realtà, i due buchi neri non potrebbero essere più diversi: il

» Visione a sempre maggior risoluzione della zona centrale della nostra Galassia. Sullo sfondo il radiotelescopio al Polo sud che fa parte della rete di strumenti utilizzata per ottenere l’immagine dell’ombra del buco nero (Sara Issaoun, Sao).
34 TEMA DEL MESE DI PATRIZIA CARAVEO

mostro di M87 (in sigla M87*) ha una massa stimata di oltre 6 miliardi di masse solari ed è attivissimo, ha un tasso di accrescimento sostenuto e produce un potente e lunghissimo getto di materia; il nostro al confronto è un mostriciattolo, con una massa 1500 volte inferiore, che si accresce a un tasso bassissimo, è molto poco luminoso e non sembra produrre getti.

Però hanno dimensioni apparenti simili, perché Sgr A* è 2000 volte più vicino di M87* e questa vicinanza compensa la minore estensione, producendo dimensioni angolari quasi uguali, entrambe nell’ordine delle decine di microsecondi d’arco.

Considerando la relazione tra massa del buco nero e dimensione dell’orizzonte degli eventi, nel caso di M87* ricaviamo un diametro di 38 miliardi di km, meno del Sistema solare, che a 55 milioni di anni luce di distanza corrisponde a un angolo di 15 microsecondi d’arco, circa una moneta da 2 euro sulla Luna.

In effetti, non c’è niente da vedere all’orizzonte degli eventi: quello che interessa è il photon ring, il cerchio descritto dai fotoni che vengono deviati dal campo gravitazionale del buco nero che agisce da potentissima lente gravitazionale e ha dimensioni circa doppie di quelle dell’orizzonte degli eventi. In più, visto che il disco di accrescimento ruota, è ragionevole aspettarsi che la parte che viene verso di noi sia intensificata dall’effetto Doppler e appaia più brillante. Per il nostro buco nero il ragionamento è simile, ma il diametro dell’orizzonte degli eventi si aggira intorno ai 24 milioni di km (inferiore all’orbita di Mercurio), alla distanza di circa 25mila anni luce.

RIPRENDERE

L’OMBRA DI SGR A*

Per produrre un’immagine di questi fenomeni celesti, bisogna disporre di uno strumento capace di risolvere le decine di microsecondi. La risoluzione angolare di un telescopio è tanto migliore quanto più grande è il suo diametro e quanto più piccola è la lunghezza d’onda alla quale lavoriamo. Iniziamo dalla lunghezza d’onda: lavorare in ottico o addirittura in ultravioletto sembrerebbe più vantaggioso. Perché hanno scelto di lavorare nel campo radio? La ragione va cercata nel comportamento dei gas e delle polveri che popolano il piano della Galassia. Entrambi sono dei killer dei fotoni ottici, mentre lasciano passare l’emissione radio. Per riuscire a vedere il centro della Galassia, bisogna scegliere le onde radio, selezionando però quelle di lunghezza d’onda più corte, intorno al millimetro. A questo punto, occorre trovare lo strumento utile per arrivare alla risoluzione necessaria. Sembrava una mission impossible, ma grazie a uno sforzo planetario, gli astronomi sono riusciti nell’impresa. I radioastronomi hanno utilizzato una tecnica potentissima chiamata Vlbi (Very Long Baseline Interferometry), grazie alla quale si possono combinare i dati acquisiti simultaneamente da due o più

radiotelescopi, per costruire immagini con risoluzione pari a quella raggiunta da un radiotelescopio con diametro pari alla distanza tra gli strumenti. Per sfruttare al meglio la dimensione della Terra, è stata creata la collaborazione Eht, consorziando otto osservatori radio sparsi tra Polo sud e Groenlandia, passando per Cile, Messico, Arizona, Hawaii, Spagna. La rotazione della Terra è un elemento aggiuntivo, perché cambia la geometria relativa delle varie stazioni osservative e aggiunge informazioni nella ricostruzione dell’immagine. Si sperava così di arrivare a una risoluzione di 20 microsecondi d’arco, poco sopra le dimensioni attese per il photon ring di Sgr A* e di M87*, selezionati come i due buchi neri più promettenti la cui combinazione massa distanza portava a dimensioni angolari maggiori di quelle degli altri buchi neri disponibili nel nostro vicinato cosmico. Nell’aprile del 2017 gli otto telescopi hanno osservato in perfetta sincronia Sgr A*, mentre per M87* ne sono stati utilizzati solo sette, perché la sorgente non era visibile dal Polo sud. Dopo avere portato gli hard disk con una immane quantità di dati nei centri di calcolo, i membri della collaborazione Eht hanno deciso di iniziare da M87*, perché sapevano che le maggiori

» Le immagini di M87* e di Sgr A* a confronto: dimensioni apparenti simili corrispondono a dimensioni reali molto diverse (Eht collaboration).
TEMA DEL MESE 35

dimensioni erano garanzia di stabilità del flusso della sorgente. Infatti, supponendo che la materia nel disco di accrescimento si muova a velocità vicina a quella della luce, per fare un giro intorno a M87* ci vogliono giorni o settimane, mentre per Sgr A* bastano pochi minuti. Questo significa che M87* non cambia molto durante una sessione osservativa di qualche ora, mentre Sgr A* è soggetto a rapide variazioni che rendono tutto più complicato. Oltre alla variabilità, che faceva cambiare intensità e aspetto della ciambella, è stato necessario fare i conti con altri fattori di disturbo che si concentrano nel piano della Via Lattea dove ci troviamo sia noi che Sgr A*. Gli elettroni galattici, per esempio, deviano le onde radio, sfuocando così le immagini.

In definitiva, l’immagine pubblicata a maggio è stata ottenuta utilizzando solo i dati del 7 aprile 2017, quando le condizioni meteo erano eccezionalmente buone e tutti i

*PATRIZIA CARAVEO

radiotelescopi avevano funzionato al meglio. In verità, l’immagine è una media di decine di immagini ottenute con brevi tempi di integrazione scelti per descrivere la variabilità della sorgente.

Le immagini brevi non sono tutte uguali e sono state divise a seconda delle loro caratteristiche tra le ciambelle e le non ciambelle.

Le ciambelle sono poi state ulteriormente divise a seconda di dove si vedessero le macchie di maggiore emissione. Per ricavare informazioni utili sulla sorgente, ogni immagine deve essere confrontata con una banca dati di simulazioni costruite per una vasta scelta di parametri, per decidere quale caso descriva meglio ogni singola immagine.

Visto che le ciambelle, pur con i massimi di emissione in regioni diverse, erano preponderanti, si è proceduto a fare una media tra quelle, ottenendo la ciambella “leopardata” finale, così simile a quella di M87*.

Trovare due oggetti celesti con masse così diverse che si comportano in modo simile è stupefacente.

Nel campo dell’evoluzione stellare, la massa di una stella è molto importante: già un valore doppio

cambia molte cose, mentre un aumento di un fattore cinque cambia tutto. Qui abbiamo due oggetti con masse che differiscono di un fattore 1500, eppure mostrano struttura e comportamento simili.

UN PARTICOLARE CHE LASCIA PERPLESSI

Allora, visto un buco nero, visti tutti? Forse, ma c’è un particolare che lascia perplessi. Perché entrambi hanno questa forma a ciambella? Li stiamo vedendo dalla stessa prospettiva?

Per il buco nero di M87, che produce dei potenti getti di materia (uno dei quali rivolto parzialmente verso di noi), era ragionevole vedere il disco di accrescimento quasi face-on, ma per Sgr A* c’era da aspettarsi che il disco di accrescimento fosse allineato con il piano della Galassia e che quindi ci mostrasse una mezzaluna (tipo quello di Interstellar), oppure una forma ovale, piuttosto che una ciambella così tondeggiante, come se il suo asse di rotazione fosse rivolto verso di noi. Certo siamo solo all’inizio della nostra conoscenza ravvicinata del buco nero centrale della Via Lattea. Vista la sua variabilità così marcata, il prossimo passo sarà la realizzazione di un video che potrebbe farci capire quanto sia dinamica la regione intorno al buco nero dove la materia si organizza in un disco in vorticoso movimento. Ci sono altre sessioni osservative nella campagna del 2017, ma sono stati presi dati anche negli anni successivi, con un numero di telescopi che è salito a dieci. Sono in arrivo anche riprese a frequenze più alte (quindi con maggiore risoluzione) e di buchi neri centrali di altre galassie, come Centaurus A. Sicuramente le novità non mancheranno.

DIRIGENTE DI RICERCA ALL’ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA (INAF), LAVORA ALL’ISTITUTO DI ASTROFISICA SPAZIALE E FISICA COSMICA DI MILANO. » La rete dei radiotelescopi che compongono la collaborazione Event Horizons Telescope (Eht collaboration).
36 TEMA DEL MESE DI PATRIZIA CARAVEO

il quotidiano più letto nel mondo

ESPLOSIONI STELLARI

IN MINIATURA

LE MICRONOVAE DURANO POCHE ORE E COINVOLGONO SOLO UNA PARTE DELLA SUPERFICIE STELLARE

Sono esplosioni stellari in scala ridotta. Potremmo quasi dire in miniatura, soprattutto se le confrontiamo con eventi catastrofici come le supernovae, gli atti finali dell’esistenza delle stelle più massicce.

Per identificare queste “piccole” esplosioni gli astronomi hanno inventato un nome particolarmente azzeccato: micronovae.

Un nome che rende bene l’idea quando le confrontiamo con le novae

classiche, frutto di violente esplosioni sulla superficie delle nane bianche.

A scoprire questi nuovi fenomeni è stato un team internazionale durante l’analisi dei dati raccolti da Tess (Transiting Exoplanet Suvery Satellite), il telescopio spaziale della Nasa dedicato alla ricerca dei pianeti extrasolari.

La scoperta, coordinata da Simone Scaringi dell’Università di Durham nel Regno Unito, è stata pubblicata su Nature e sulle Monthly Notices

of the Royal Astronomical Society.

Oltre ad arricchire la famiglia dei fenomeni esplosivi osservati nel cosmo, le micronovae sono un nuovo importante strumento per comprendere il comportamento delle stelle durante la loro evoluzione.

ESPLOSIONI

PER TUTTI I GUSTI

Nell’Universo è possibile osservare diversi tipi di esplosioni stellari. Fra le più note, troviamo le supernovae,

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ASTROFISICA DI MASSIMILIANO RAZZANO*

che segnano la fine delle stelle di grande massa. In queste spettacolari esplosioni la stella può diventare centinaia di miliardi di volte più luminosa, tanto da arrivare a risplendere come una galassia intera. Vi sono fenomeni ancora più catastrofici come i lampi gamma, le più potenti esplosioni cosmiche dopo il Big Bang. Si tratta di lampi di radiazione di alta energia - principalmente raggi X e gamma - che possono durare da meno di

un secondo fino ad alcune ore. Non sappiamo ancora con certezza da cosa siano prodotti, ma per i lampi di durata maggiore i modelli suggeriscono che l’origine sia legata al collasso di stelle particolarmente massicce. Per quelli più brevi si ipotizza invece che il “motore centrale” sia lo scontro e la fusione fra due stelle di neutroni. Questa ipotesi è stata confermata il 17 agosto 2017, quando i rivelatori di onde gravitazionali Ligo e Virgo hanno

rivelato un primo segnale associato alla fusione di due stelle di neutroni e dopo meno di due secondi i telescopi spaziali Fermi e Integral hanno osservato un lampo gamma di breve durata. In quell’occasione, oltre al lampo gamma, è stata anche osservata l’emissione luminosa associata a una kilonova, un tipo di esplosione circa un centesimo meno brillante di una tipica supernova, ma un migliaio di volte più brillante di una classica nova. Sono le novae la categoria più nota

» Rappresentazione artistica di una micronova: si nota il filamento di materia che dalla stella più grande fluisce verso la nana bianca, accumulandosi su un disco di accrescimento (cortesia Eso/M. Kornmesser, L. Calçada).
39 ASTROFISICA

di esplosioni stellari: il loro nome latino significa “nuove”, poiché nell’antichità questi fenomeni facevano pensare a una nuova stella che si era “accesa” in cielo. Oggi sappiamo che quell’aumento di luminosità non è causato dalla nascita di nuove stelle, ma da esplosioni come le supernovae oppure dalle novae. L’esplosione di una nova solitamente avviene in un sistema binario formato da una nana bianca e da una stella normale, come una stella di sequenza principale o una gigante rossa. Se la distanza fra i due oggetti è sufficientemente piccola, il campo gravitazionale della nana bianca inizia a catturare materiale dagli strati più esterni della stella compagna. Il gas “rubato” alla stella, soprattutto idrogeno, finisce sulla superficie ad altissima temperatura della nana bianca, iniziando a scaldarsi ulteriormente fino a raggiungere temperature sufficienti a innescare la fusione in atomi di elio. Come spiega Nathalie Degenaar dell’Università di Amsterdam, coautrice della scoperta, “queste detonazioni nucleari coinvolgono l’intera superficie della nana bianca, rendendola molto brillante per diverse settimane”.

NOVAE IN MINIATURA

Le micronovae sono esplosioni molto simili alle novae, ma con energie decisamente minori. Il suffisso “micro” suggerisce infatti un’energia

pari a circa un milionesimo rispetto a quello di una nova classica. Queste esplosioni sono state osservate nelle nane bianche dotate di un campo magnetico molto intenso, capace di contenere il gas in caduta sulla stella in modo che l’esplosione si produca solo in una regione della superficie stellare.

Questa limitazione produce un rilascio minore di energia rispetto a una nova. Ricordiamo che stiamo comunque parlando di eventi di scala stellare, che coinvolgono milioni di miliardi di tonnellate di materia.

Osservare queste esplosioni non è però semplice, perché - a differenza delle novae classiche - le esplosioni di micronovae hanno durate molto brevi, nell’ordine di alcune ore. “Guardando nei dati astronomici raccolti dal satellite Tess, abbiamo scoperto qualcosa di insolito, un brillante lampo di luce ottica della durata di alcune ore. Cercando con più attenzione, abbiamo trovato diversi segnali simili”, continua Degenaar. I ricercatori hanno scoperto tre micronovae, di cui le prime due direttamente associate a

nane bianche. Identificare la stella in cui è avvenuta la terza ha richiesto un’indagine più approfondita con il Very Large Telescope, che ha permesso di confermare la presenza di una nana bianca. Con le micronovae l’Universo ci ha mostrato un nuovo, interessante tipo di esplosioni stellari.

“Questo fenomeno sfida la nostra comprensione di come avvengono le esplosioni termonucleari nelle stelle” conclude Simone Scaringi, coordinatore dello studio: “pensavamo di saperlo, ma questa scoperta suggerisce un nuovo modo per realizzarle”. Come spesso succede in astronomia, questa scoperta nasce per caso in seno a un’altra ricerca (quella dei pianeti extrasolari) e a sua volta apre la via a una nuova serie di ricerche. Ora che conosciamo l’esistenza delle micronovae, non resta che setacciare l’enorme mole di dati raccolti da Tess e da altre strumentazioni analoghe, alla ricerca di queste elusive e affascinanti microesplosioni stellari. Inquadra il QR per un video di Media-Inaf sulle micronovae.

» Il dettaglio della regione di caduta della materia sulla nana bianca che genera l’esplosione della micronova (cortesia Mark Garlick).
ASTROFISICA DI MASSIMILIANO RAZZANO 40 *MASSIMILIANO RAZZANO ASTROFISICO E GIORNALISTA SCIENTIFICO È PROFESSORE ASSOCIATO PRESSO IL DIPARTIMENTO DI FISICA “E. FERMI” DELL’UNIVERSITÀ DI PISA.

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42 CIELO E TERRA DI GIORDANO CEVOLANI* UNA CAPSULA DEL TEMPO NEL TAGISH LAKE IL MINIASTEROIDE CADUTO IN CANADA NEL 2000 PROVENIVA DALLA LONTANA FASCIA DI KUIPER

Sono molte le meteoriti disponibili per studiare l’aspetto del Sistema solare primitivo, ma la stragrande maggioranza proviene dalla Fascia Principale degli asteroidi tra Marte e Giove. Diventa così difficile ricostruire gli eventi che sono accaduti nelle regioni più esterne del nostro sistema planetario. Ecco perché l’esplosione di un mini-asteroide carbonaceo di 150 tonnellate, avvenuta il 18 gennaio del 2000 sopra il lago Tagish nella British Columbia (Canada), rappresenta un evento eccezionale. Non solo per la pioggia di circa 500 frammenti raccolti, ma per la provenienza di questo corpo cosmico dal Sistema solare esterno. Per la precisione, dalla Fascia di Kuiper, la regione situata al di là dell’orbita di Nettuno che contiene una grande quantità di corpi rocciosi e ghiacciati. Finora, vi sono stati trovati più di mille oggetti, la maggior parte dei quali di dimensioni relativamente piccole, con diametri compresi fra i 10 e i 50 km. Ma alcuni di essi hanno dimensioni quasi planetarie. Se volessimo scoprire tutti i segreti del Sistema solare, dovremmo andare cercare proprio da quelle parti. Ed è quello che sta facendo la sonda New Horizons della Nasa, che ha visitato Plutone e Caronte nel 2015 e il piccolo Arrokoth nel 2019, ma resterà ancora operativa fino al 2030, con la possibilità di avvicinarsi ad altri corpi di questa regione, facendo a ritroso la strada compiuta dal miniasteroide che 22 anni fa è piombato da lassù fino al lago Tagish, da cui ha preso il nome Tagish Lake.

UN FOSSILE DEL SISTEMA SOLARE PRIMITIVO Dal giorno della caduta di Tagish Lake, procedono senza sosta le

» Il lago Tagish in Canada, dove il 18 gennaio 2000 è caduta una meteorite in centinaia di frammenti.
43 CIELO E TERRA

CIELO E TERRA

ricerche su questa rarissima condrite carbonacea, un vero fossile del Sistema solare primitivo che sta fornendo straordinarie informazioni, paragonabili a quelle acquisite dalla celebre meteorite Murchison, caduta in Australia nel 1969, altra “capsula del tempo” risalente a quattro miliardi e mezzo di anni fa. È stato eccezionale anche il ritrovamento dei frammenti di questo corpo cosmico, in quanto sono tra i più incontaminati mai giunti in laboratorio: caduti sulla superficie ghiacciata di un lago, sono stati raccolti senza contatto manuale e da allora sono sempre rimasti ghiacciati. Queste loro caratteristiche li hanno resi un banco di prova straordinario per indagare l’origine della grande

» Uno dei frammenti della meteorite Tagish Lake incastrata nel ghiaccio del lago. Sotto: la Fascia di Kuiper, la regione al di là dell’orbita di Nettuno che contiene una quantità sterminata di oggetti rocciosi e ghiacciati.

vari gruppi delle carbonacee si spiegano infatti immaginando la loro origine in regioni diverse del Sistema solare, con storie “termiche” differenti.

Come si è arrivati a stabilire la provenienza dalla Fascia di Kuiper?

Un lavoro recentemente pubblicato da un team giapponese, guidato da Yuki Kimura dell’Università di Hokkaido, descrive in dettaglio una nuova tecnica per studiare la magnetizzazione presente in Tagish Lake. La tecnica fa ricorso alla natura ondulatoria degli elettroni, per esaminare le loro figure di interferenza, da cui si ottengono informazioni sulle magnetizzazioni dei domini magnetici microscopici. Queste micro-magnetizzazioni possono agire come una registrazione storica: dalla loro analisi, gli scienziati deducono gli eventi che hanno interessato il corpo e ne ricostruiscono una mappa temporale.

variabilità del materiale organico trovato nei frammenti meteoritici di tutto il mondo.

Tagish Lake è classificata come “carbonacea C2 ungrouped”, cioè “senza collocazione”, perché non è assimilabile a nessuno dei gruppi petrografici in cui sono suddivise le altre condriti conosciute. Sembra che le condriti carbonacee si siano formate in regioni piuttosto ricche di ossigeno, da cui si è formata l’acqua e si è prodotta la conseguente alterazione dei minerali contenuti (il numero 2 indica che questo grado di alterazione è moderato). L’appartenenza di Tagish Lake a un gruppo non classificato aveva fatto sorgere dubbi sulla provenienza del corpo genitore. Le differenze tra i

Grazie ai dati ottenuti, elaborati da sistemi di simulazione, il team ha dimostrato che il corpo genitore di Tagish Lake si è formato nella Fascia di Kuiper, circa 3 milioni di anni dopo la formazione dei primi minerali del Sistema solare. Si è poi spostato nella Fascia Principale in seguito alla formazione di Giove.

La magnetite contenuta nei frammenti di Tagish Lake dovrebbe essersi formata quando il corpo genitore è stato riscaldato a circa 250 °C da un impatto energetico avvenuto durante questo transito. Il team applicherà la nuova tecnica a più campioni, compresi quelli dell’asteroide Ryugu prelevati in situ

*GIORDANO CEVOLANI

GEOFISICO E PLANETOLOGO, SI OCCUPA DI FISICA DELL’ATMOSFERA E DI ASTRONOMIA DEI CORPI MINORI DEL SISTEMA SOLARE.

DI GIORDANO CEVOLANI
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dalla sonda giapponese Hayabusa 2 e portati a terra: “Il nostro metodo paleomagnetico su scala nanometrica svelerà una storia dettagliata del Sistema solare primitivo“, ha annunciato Kimura.

FABBRICHE DI MOLECOLE ORGANICHE

Già dieci anni fa, in base ad analisi chimiche dei frammenti di Tagish Lake, il team dell’astrobiologa Sandra Pizzarello del Goddard Space Flight Center della Nasa e dell’Università di Alberta a Edmonton (Canada) sosteneva che gli elementi fondamentali per la nascita della vita sulla Terra sarebbero stati portati da meteoriti come questa.

Risulterebbe decisivo il ruolo svolto dall’acqua nelle trasformazioni molecolari dei composti prebiotici sugli asteroidi, dove l’acqua presente nel corpo originario ha portato alla distruzione di alcune molecole e alla formazione di altre.

I ricercatori avevano analizzato i frammenti di Tagish Lake, isolando i minerali presenti, e avevano stabilito che molti di questi avevano subìto modificazioni a contatto con l’acqua

del lago, dopo la caduta. Inoltre, in alcuni frammenti erano presenti numerosi amminoacidi, ma in concentrazioni differenti in base alla porzione analizzata.

A permettere la nascita di molecole di interesse prebiotico, in grado cioè di stimolare la crescita di altre molecole, come amminoacidi, nucleobasi, acidi monocarbossilici, zuccheri e idrocarburi policiclici aromatici, sarebbero state le alterazioni prodotte dalle variazioni della temperatura avvenute nell’acqua presente nel corpo genitore. L’acqua, a sua volta, sarebbe derivata dalla fusione del ghiaccio, per effetto del calore prodotto dal decadimento di elementi radioattivi. Secondo una ricerca pubblicata nel maggio 2020 da ricercatori del Royal Ontario Museum, della Mc Master University e della York University, le molecole più antiche presenti nel Sistema solare avrebbero potuto sostenere la formazione di amminoacidi. Gli scienziati hanno utilizzato la tomografia a sonda atomica, una tecnica di imaging degli atomi in 3D, per studiare le molecole dei minerali presenti in Tagish Lake tra i granuli di magnetite

che si sono formati sulla vecchia roccia cosmica. E tra questi granuli gli scienziati hanno rilevato la presenza di precipitati d’acqua. Nella nuova ricerca effettuata su scala atomica abbiamo la prima prova di fluidi ricchi di sodio (e alcalini) in cui si forma la magnetite. Queste condizioni fluide sono preferenziali per la sintesi di amminoacidi e hanno potuto favorire la formazione della vita microbica già 4,5 miliardi di anni fa.

Da tecniche di indagine come la tomografia con sonda atomica, gli scienziati sperano di sviluppare metodi analitici per i campioni asteroidali che saranno riportati sulla Terra nel 2023 dalla missione Osiris-Rex della Nasa e per i campioni di suolo marziano raccolti dai rover su Marte e che una missione apposita preleverà per portarli sulla Terra all’inizio degli anni 30. Per gli autori, alcuni asteroidi avrebbero funzionato da “fabbriche di molecole”, in grado di portare sulla Terra gli ingredienti per la vita nel corso di impatti meteorici, come conferma l’analisi dei frammenti di Tagish Lake: calore e acqua avrebbero fatto aggregare gli elementi organici, fino a farne dei precursori della vita.

CIELO E TERRA » Da sinistra: rappresentazione artistica della sonda New Horizons della Nasa, attualmente in viaggio nella Fascia di Kuiper. Immagini al microscopio elettronico a scansione dei cristalli colloidali (a) e di alcuni particolari (b, c) della magnetite di Tagish Lake
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46 PERSONAGGI DI GIANFRANCO BENEGIAMO*

EWEN WHITAKER

IL MAGO DELLE MAPPE LUNARI

CONTRIBUÌ A INDIVIDUARE I SITI PIÙ IDONEI ALL’ALLUNAGGIO DEI PRIMI ASTRONAUTI

Sino all’avvento dell’era spaziale, lo studio della topografia lunare era rimasto in larga misura nelle mani degli astronomi dilettanti. La possibilità di inviare sonde spaziali verso il satellite terrestre stimolò finalmente lo sviluppo della selenografia professionale per stabilire quali fossero i siti più interessanti da esplorare. Uno dei protagonisti di questa transizione fu Ewen Adair Whitaker, nato a Londra un secolo fa, il 22 giugno 1922. La sua carriera come cartografo iniziò da dilettante nel 1950, quando entrò a far parte della Sezione Luna della British Astronomical Association (Baa). L’anno prima aveva anche iniziato a lavorare presso l’Osservatorio di Greenwich, dove eseguiva misurazioni su posizione e spettri delle stelle.

L’INCONTRO CON KUIPER

Durante la nona assemblea generale dell’Unione astronomica internazionale (Iau) svoltasi in Irlanda nell’agosto 1955, Gerard Kuiper distribuì ai presenti un promemoria piuttosto insolito. L’astronomo naturalizzato statunitense, nato mezzo secolo prima nell’Olanda Settentrionale, chiedeva una collaborazione per realizzare un nuovo e più accurato atlante lunare. Il satellite terrestre aveva perso da tempo la sua attrattiva come oggetto di studio e, proprio per tale ragione, dei circa cinquecento partecipanti all’assemblea rispose all’appello solo Whitaker, che però in tale materia era poco più di un dilettante. A questo primo contatto seguì uno scambio di lettere e dopo due anni il giovane inglese attraversò l’Atlantico per raggiungere l’Osservatorio Yerkes nel Wisconsin, dove lo attendeva un mese da trascorrere in camera oscura a stampare fotografie della Luna.

» Ewen Whitaker impegnato con la stampa delle fotografie della Luna riprese dalla sonda Ranger 9 della Nasa.
47 PERSONAGGI

La prima pagina del giornale acquistato in aeroporto alla partenza da Londra, la sera del 5 ottobre 1957, riportava la notizia dell’impresa compiuta dallo Sputnik: il primo manufatto messo in orbita attorno alla Terra aveva avviato quella corsa allo spazio che avrebbe profondamente condizionato anche il suo futuro professionale. L’importanza della notizia per il rilancio della cartografia lunare, però, in quel momento nessuno poteva immaginarla. In occasione di questa prima visita, Kuiper descrisse diffusamente il suo progetto e si convinse delle potenzialità intuite nel

giovane: anche se privo di un titolo accademico, la sua collaborazione avrebbe potuto portare importanti risultati. Andò maturando la proposta di un lavoro a tempo pieno e così, nell’ottobre 1958, Whitaker attraversò nuovamente l’Atlantico per sistemarsi con la famiglia nelle vicinanze dell’Osservatorio.

Lo stesso mese vide nascere la Nasa (National Aeronautics and Space Administration), l’agenzia istituita dal presidente Dwight Eisenhower per recuperare lo svantaggio accumulato, rispetto alla tecnologia sovietica, nella sempre più strategica corsa allo spazio.

PRODURRE MAPPE DALLE IMMAGINI DEI TELESCOPI A TERRA

In quel periodo Kuiper offrì un lavoro al cartografo gallese David Arthur, molto attivo anche lui a livello amatoriale nella sezione lunare della Baa, per collaborare con Whitaker alla realizzazione di quello che diventerà il monumentale Photographic Lunar Atlas, pubblicato nel 1960: si presentava con una grande scatola, pesante una decina di chilogrammi, con all’interno centinaia di fogli raffiguranti i principali aspetti della superficie lunare.

Desideroso di proseguire in condizioni migliori l’ambizioso progetto, Kuiper si trasferì quello stesso anno in Arizona insieme a molti collaboratori, compreso Whitaker, per avere a disposizione cieli limpidi quasi tutte le notti. Giunto a Tucson, l’astronomo promosse la nascita del Lunar and Planetary Laboratory, presso l’Università dell’Arizona, e qui Whitaker contribuì a completare nel 1961 l’Orthographic Atlas of the Moon.

Kuiper non era ancora soddisfatto, perché i crateri in prossimità dei bordi risultavano sfocati e allungati nelle fotografie. Per rimediare, si proiettarono le immagini della Luna su un globo bianco largo circa un metro: fotografando quest’ultimo da diverse angolazioni, si riuscì a migliorare la definizione delle aree periferiche, portando così alla realizzazione del Rectified Lunar Atlas nel 1963 e del Consolidated Lunar Atlas nel 1967.

Whitaker partecipò anche alla realizzazione delle mappe relative

» Da sinistra: Ewen Whitaker, Gerard Kuiper e l’ingegnere del JPL Raymond Heacock ripresi con un modellino della sonda Ranger.
48 PERSONAGGI DI GIANFRANCO BENEGIAMO

alla composizione dei flussi lavici, ottenute confrontando immagini infrarosse e ultraviolette, che insieme ai precedenti lavori consentirono di pianificare le imminenti missioni lunari. Il segno di quanto l’era spaziale stesse cambiando anche la selenografia, si ha dal fatto che la Iau accolse i suggerimenti di Kuiper per modificare l’orientamento delle mappe lunari.

In una prospettiva geocentrica, nelle prime cartografie del Seicento il lembo della Luna rivolto verso l’orizzonte orientale dell’osservatore era etichettato come “est” e il lato opposto come “ovest”. Questa convenzione rimase valida sino all’avvento dell’era spaziale, quando diventò un problema il fatto che sulle mappe lunari il Sole sorgesse a ovest. Pertanto, la Iau approvò nel 1961 la seguente raccomandazione: “le mappe astronautiche, per finalità prettamente esplorative, sono stampate in accordo con le ordinarie mappe terrestri: nord in alto, est a destra, ovest a sinistra”.

LE IMMAGINI DELLE SONDE RIVOLUZIONANO

LA SELENOGRAFIA

Il fallimento delle prime sonde Ranger dirette verso la Luna costrinse la Nasa a una riorganizzazione

del progetto che portò anche al coinvolgimento di Kuiper: la sua squadra comprendeva l’astronomo Eugene Shoemaker, l’ingegnere del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) Raymond Heacock e il premio Nobel per la chimica Harold Urey, ma pretese che entrasse a farne parte anche Whitaker.

La Nasa affidò a quest’ultimo il compito di selezionare i siti di impatto delle sonde Ranger 6 e Ranger 7, ma soprattutto quelli su cui avrebbero passeggiato i primi astronauti entro la fine del decennio. Le fotocamere delle sonde avrebbero fornito immagini lunari senza paragoni, rispetto a quelle dei telescopi terrestri: la scelta del sito cadde su un’area relativamente priva di rocce, situata all’interno del Mare della Tranquillità, che il Ranger 6 avrebbe dovuto fotografare da distanza ravvicinata prima dell’impatto. La sonda fu lanciata il 30 gennaio 1964 con sei fotocamere a bordo, ma a causa di problemi tecnici le tanto desiderate immagini rimasero un sogno sino a quando, circa sei mesi dopo, il Ranger 7 riuscì nell’impresa. Durante la conferenza stampa Kuiper, trascinato dall’entusiasmo, commentò le fotografie dicendo: “queste immagini non sono dieci volte migliori delle

immagini astronomiche, il che sarebbe di per sé fenomenale. Non sono cento volte migliori delle immagini astronomiche, come ci hanno promesso gli ingegneri. Sono mille volte migliori”. Whitaker trascorse settimane a stampare fotografie, poi il gruppo di Kuiper intraprese il monumentale compito di trasformarle in un dettagliato atlante. Innumerevoli immagini si aggiunsero con le successive missioni Ranger 8 e 9, tutte riprese prima degli impatti al suolo, fornendo il materiale per altri cinque atlanti.

LA SCELTA DEI SITI PER LE MISSIONI APOLLO

Il satellite Lunar Orbiter 1, seguito poi da altre quattro sonde omonime, iniziò nell’agosto del 1966 a fotografare sistematicamente la superficie lunare per individuare i siti migliori per gli allunaggi delle missioni Apollo. Esaminando le fotografie, fu possibile rintracciare dove il 2 giugno precedente si era posata la sonda Surveyor 1, la prima di un programma finalizzato a dimostrare la possibilità di atterrare in modo morbido sul satellite. Il punto di discesa previsto da Whitaker, entrato a far parte del gruppo di Shoemaker per l’analisi delle immagini, risultò distare poche centinaia di metri da quello effettivo; invece, le conclusioni del Jpl al riguardo si dimostrarono completamente fuori strada.

Un altro e ancora più importante lavoro svolto da Whitaker fu stabilire l’esatta posizione del Surveyor 3, confrontando i dettagli superficiali fotografati dalla medesima sonda in fase di discesa con le immagini dell’area riprese dai Lunar Orbiter

» Il sito di allunaggio scelto da Whitaker per l’Apollo 12 (novembre 1969), consentì a Pete Conrad di recuperare una telecamera della sonda Surveyor 3.
49 PERSONAGGI

Whitaker individuò all’interno di un cratere ampio circa 200 metri l’obiettivo da raggiungere, riducendo l’incertezza a poche decine di metri: nel novembre 1969 la sua previsione consentì ad Alan Bean e Pete Conrad, gli astronauti dell’Apollo 12, di scendere in prossimità della sonda per recuperare una telecamera e alcuni componenti da sottoporre a indagini ingegneristiche. Il successo dell’impresa gli procurò una lettera di encomio, firmata dal presidente

*GIANFRANCO BENEGIAMO

LAUREATO IN CHIMICA, NUTRE DA SEMPRE UN PROFONDO INTERESSE PER I MOLTEPLICI ASPETTI TECNICI E STORICI DELL’ASTRONOMIA.

Richard Nixon, che Whitaker pieno di orgoglio appese nel suo ufficio.

IL CONTRIBUTO ALLA NOMENCLATURA LUNARE Whitaker si ritirò nel 1978, ma rimase a disposizione degli studenti interessati alla Luna e utilizzò la sua straordinaria collezione personale di mappe antiche per condurre indagini storiche. Particolarmente interessante è quella riguardante le prime osservazioni condotte da Galileo Galilei, tra il 1609 e il 1610, che analizzò mettendo a confronto i disegni del Sidereus Nuncius con le moderne fotografie. La grande conoscenza acquisita nel corso della carriera gli consentì di

contribuire alla nomenclatura lunare, proponendo i nomi di numerose formazioni superficiali poi approvati dalla Iau. Il suo libro Mapping and Naming the Moon: a History of Lunar Cartography and Nomenclature del 2003, incentrato sull’evoluzione della cartografia e della nomenclatura, offre un contributo molto importante alla storia della selenografia. La carriera di Whitaker dimostra come volontà e dedizione al lavoro possono dare, anche a un dilettante come era lui da principio, l’opportunità di ottenere importanti successi professionali. Dopo una lunga vita dedicata alla Luna, l’11 ottobre 2016 raggiunse la moglie Beryl scomparsa pochi anni prima.

» A sinistra: proiettando immagini della Luna riprese da Terra su un globo bianco e fotografandolo da diverse angolazioni, si riuscì a migliorare la definizione delle aree periferiche. A destra: Ewen Adair Whitaker (1922-2016).
50 PERSONAGGI DI GIANFRANCO BENEGIAMO

La ricerca amatoriale

Giancarlo Cortini, Stefano Moretti

Super-occhi per

Walter Ferreri, Piero Stroppa

I pianeti e la vita Cesare Guaita

Oltre Messier Enrico Moltisanti

I grandi astrofili Gabriele Vanin

La Luna Walter Ferreri

Come funziona l'Universo Heather Couper, Nigel Henbest

Come fotografare il cielo Walter Ferreri

L'osservazione dei pianeti Walter Ferreri

I giganti con

anelli Cesare Guaita

Alla ricerca della

Cesare Guaita

In viaggio nel Sistema Solare Francesco Biafore

Cento meraviglie celesti Gabriele Vanin

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delle supernovae
scrutare il cielo
gli
vita nel Sistema Solare

LUNA E MARTE IN CONGIUNZIONE

trovasse alla stessa distanza

» Questa è una congiunzione virtuale: così apparirebbe Marte se

Luna.

ra i fenomeni celesti del mese di luglio, uno dei più notevoli è la congiunzione che si verifica la sera di giovedì 21 luglio tra la Luna e Marte nella costellazione dell’Ariete. L’avvicinamento maggiore fra la Luna e il pianeta si ha alle ore 19 del nostro Orario Legale Estivo, con la Luna che transita meno di mezzo grado a nord di Marte.

DA OSSERVARE APPENA SORGONO Quando si verifica la minima distanza, i due corpi celesti sono sotto l’orizzonte per l’Italia, però il fenomeno è ancora notevole quando finalmente sorgono, circa un’ora dopo la mezzanotte, quando sarà già il 22 luglio. Marte è ancora lontano dall’opposizione (che avremo nel prossimo dicembre), ma brilla già come una delle

WALTER
UN ABBRACCIO CELESTE IL 21 LUGLIO NEI NOSTRI CIELI, CON URANO E GIOVE SPETTATORI 52 T
FENOMENO DEL MESE DI
FERRERI*
si
della

stelle più luminose del cielo, ed è questa sua luce intensa a rendere spettacolare la congiunzione. Il suo diametro è invece ancora piuttosto ridotto (7,9”), tale da non renderlo un soggetto telescopico interessante, anche se su questo aspetto ci sono pareri contrastanti; un argomento che riprenderemo in una prossima occasione. Per un osservatore situato idealmente al centro della Terra, la minima distanza tra la Luna e Marte è di soli 0,3°; un valore così ridotto che per alcune regioni della Terra (più a est rispetto all’Italia) si ha anche l’occultazione del pianeta. Purtroppo, bisogna anche considerare che se il cielo non è più che limpido, è difficile vedere Marte proprio quando sorge, anche se la sua magnitudine è intorno allo zero. È facile che brume e foschie che stazionano abitualmente nei pressi dell’orizzonte lo “cancellino”. Inoltre, per le regioni più occidentali,

la levata avviene circa mezz’ora dopo l’orario che abbiamo indicato come medio per l’Italia. La distanza angolare che i due astri presentano al loro sorgere è eccessiva per averli contemporaneamente nel campo di un comune telescopio, ma non lo è in quello di un binocolo, anche se è dotato di un ingrandimento piuttosto elevato, come può essere un 15x70. Sempre un binocolo, ma anche meno potente di questo, ci mostrerà, pochi gradi a est della Luna, la debole luce di Urano, che è di sesta magnitudine e si trova anch’esso nella costellazione dell’Ariete.

FOTOGRAFARE

LA CONGIUNZIONE

L’osservazione classica attraverso il telescopio è interessante, ma fa perdere il concetto di congiunzione, ovvero si otterrebbe lo stesso risultato se gli astri fossero a maggiore distanza l’uno dall’altro.

Un avvicinamento così notevole tra la Luna e Marte è un invito per gli astrofotografi. Molto però dipende dalle condizioni atmosferiche: l’ideale è un cielo sereno e trasparente. Le focali migliori per evidenziare il quadretto celeste sono quelle che fanno distinguere bene i soggetti, ma non al punto da distanziarli fino ai bordi del campo inquadrato. Una focale ottimale si situa intorno ai 200 mm nel formato pieno (24x36 mm) o in quella del teleobiettivo classico da 135 mm per il più diffuso formato APS-C. Un aspetto positivo di questa congiunzione è la luminosità unitaria o brillantezza comparabile tra la Luna e Marte. Il nostro satellite è più vicino al Sole e quindi riceve da questo una luce più intensa, ma il pianeta riflette una percentuale di luce maggiore e i due effetti tendono così a equilibrarsi. Al contrario, un aspetto negativo (ma non più di tanto) è il forte divario di luminosità tra la Luna e le stelle circostanti. Infatti, la Luna è passata per la fase di Ultimo quarto solo il giorno precedente, con una magnitudine nell’ordine di –8, che corrisponde a una luminosità oltre mille volte maggiore di quella di Marte.

Questo ci fa capire perché nelle immagini esposte correttamente per la Luna le stelle circostanti risultino sottoesposte, mentre se esponiamo correttamente per stelle, otteniamo un’immagine sovraesposta del settore illuminato della Luna.

Fortunatamente, le fotocamere digitali più recenti sono dotate di sensori dalla grande “dinamica”, ovvero con una grande latitudine di posa, in grado quindi di registrare correttamente nella stessa immagine

» La Luna e Marte in congiunzione alle 3 del 22 luglio sopra l’orizzonte est. A sinistra le Pleiadi, in alto a destra, Giove (Stellarium).
53

livelli di luminosità molto differenti. I programmi di fotoritocco, inoltre, aiutano moltissimo nel bilanciare i forti divari in luminosità. Se per la ripresa si utilizza una focale normale o (meglio) un po’ grandangolare, si riesce ad avere nel campo anche Giove, che brilla circa 30° a ovest della coppia Luna-Marte. Inoltre, le focali brevi fanno apparire la congiunzione più stretta. Per questi motivi, vale la pena riprendere l’evento con focali diverse.

IMMAGINI STEREOSCOPICHE

Una serie di fotografie ottenute a distanza di tempo l’una dall’altra possono mettere in evidenza il movimento della Luna e dare un senso di profondità. In particolare, con due di queste immagini si può ricavare una foto stereoscopica. Non è necessario attendere molto tra una foto e la successiva: un’ora è già sufficiente. Questo intervallo è condizionato dalla focale utilizzata: con le focali minori è bene attendere almeno un paio d’ore, che si riducono a mezz’ora o meno con le focali maggiori, quelle che a malapena comprendono sia la Luna che Marte.

Siccome si deve riprodurre la visione binoculare dei nostri occhi, che si ha dalla distanza della visione distinta (25 cm) fino a circa 200 metri, le tolleranze sono piuttosto ampie. Ma a noi interessa una visione tridimensionale piacevole e naturale, che in genere si ottiene per oggetti posti tra 1 e 5 metri. Dal momento che la distanza media tra le pupille umane vale 65 mm, a una distanza di 3 metri (= 3000 mm) abbiamo un angolo pari a 65/3000 = 0,022

FENOMENO DI WALTER FERRERI » Una congiunzione velata Luna-Marte ripresa da Andrea Rapposelli (Carnago, VA) il 29/10/2020, Pentax K5 con Pentax 50 mm f/1,7; posa di 0,25 s a 1600 ISO.
54
DEL MESE

radianti, cioè poco più di un grado. Considerando le distanze da 1 a 5 metri, si ottengono rispettivamente circa 4 e 0,8 gradi. Anche con spostamenti minori o maggiori si ha la sensazione della profondità, ma meno percettibile nel primo caso, troppo forzata e artificiosa nel secondo.

Questi valori angolari hanno un senso solo se sono riferiti a obiettivi di focale “normale”, come quelli da 50 mm nel 24x36, cioè in quello che nel digitale viene definito full frame. Se si utilizzano obiettivi di focale diversa, occorre variare l’angolo secondo la relazione: focale obiettivo normale/focale obiettivo impiegato.

Per esempio, se si usa un 200 mm sul 24x36, si ha 50:200 = 0,25, cioè occorre uno spostamento quattro volte minore di quello calcolato, quindi circa 0,30°.

A rigore, l’obiettivo normale dovrebbe avere una focale identica alla lunghezza della diagonale del sensore, ma ciò non accade quasi mai, anche se le differenze sono piccole e del tutto tollerabili per i nostri scopi. Ricordiamo che si possono ottenere ottime foto stereoscopiche anche della sola Luna, sfruttando il fenomeno delle librazioni (vedi la rubrica Cielo del mese per le date in cui si verificano le librazioni massime), che a parità di fase mostrano i dettagli in posizioni un po’ diverse rispetto ai bordi.

TORINO. NEL 1977 HA FONDATO LA RIVISTA ORIONE

Ma in questo caso l’immagine della Luna deve essere grande e non può comprendere quella del pianeta.

Un discorso analogo vale per i pianeti, e Marte si presta molto bene allo scopo, sfruttando il suo movimento tra le stelle. Si riprende il pianeta a distanza di un numero di giorni tale da ottenere un buon effetto stereo in base alla focale utilizzata. Questa possibilità si estende a tutti gli altri corpi celesti che mostrano uno spostamento sensibile tra le stelle che fanno da sfondo. È importante che questi corpi non siano né troppo deboli né troppo luminosi, così da accordarsi armonicamente con lo sfondo stellato. Ottenute le foto stereoscopiche, si presenta il problema di come osservarle.

L’ideale sarebbe servirsi degli appositi stereovisori, ma è possibile sostituirli con un paio di lenti da ingrandimento con potenza nell’ordine delle 10 diottrie, ovvero con potere di ingrandimento da 2x a 3x. Si fa in modo che le due foto nello schermo del nostro computer (o in qualsiasi altro visore) abbiano gli stessi dettagli distanti tra loro fra i 60 e i 70 mm. Le due immagini si possono anche stampare, in modo che le stampe presentino la stessa dimensione. Al primo sguardo è difficile notare la profondità, ma grazie al potere di accomodamento dell’occhio, quando si riesce a sovrapporre esattamente le due immagini, la profondità si rende improvvisamente visibile, con un effetto estremamente avvincente.

DI ASTROFOTOGRAFIA PRESSO
ASTROFISICO
» La Luna 3D da guardare con gli occhi incrociati (il destro guarda l’immagine di sinistra e viceversa). Riprese effettuate dalla sonda Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa). » La Luna e Marte in congiunzione in campo più ristretto. A sinistra della Luna (fuori campo) si può individuare anche Urano (Stellarium).
E
L’OSSERVATORIO
DI
55
FENOMENO INIZIO MESE METÀ MESE FINE MESE Inizio crepuscolo 03h 26m 03h 43m 04h 07m Sorge 05h 38m 05h 48m 06h 02m Culmina 13h 13m 13h 16m 13h 16m Tramonta 20h 49m 20h 43m 20h 29m Fine crepuscolo 23h 00m 22h 47m 22h 24m Durata della notte astronomica 04h 26m 04h 57m 05h 42m 56 IL PLANISFERO CELESTE / LUGLIO » Il cielo visibile da Roma alle ore 01.00 TC a metà mese. La mappa è valida in tutta Italia il SOLE CIELO DEL MESE DI TIZIANO MAGNI*

la LUNA

Il pallino rosso sulla circonferenza lunare mostra il punto di massima librazione alle 0h di Tempo Civile del giorno considerato: le sue dimensioni sono proporzionali all’entità della librazione il cui valore massimo è di circa 10°

fenomeni LUNARI

il 7 alle 4h 14m

il 13 alle 20h 37m

il 20 alle 16h 18m

il 28 alle 19h 55m

il 5 agosto alle 13h 06m

Massime librazioni in latitudine

il 2 alle 20h - visibile

il Polo sud

il 15 alle 18h - visibile

il Polo nord

il 29 alle 22h - visibile

il Polo sud

Massime librazioni in longitudine

il 7 alle 8h - visibile

il lembo orientale

il 19 alle 9h - visibile il lembo occidentale

il 4 agosto alle 10h - visibile

il lembo orientale

Perigeo 357.264 km il 13 alle 11h 05m

Apogeo 406.275 km il 26 alle 12h 21m

Perigeo 359.828 km il 10 agosto alle 19h 08m

CIELO DEL MESE
57

CIELO DEL MESE

SOLE e PIANETI

SOLE

Nonostante abbia già intrapreso la lenta discesa in declinazione verso l'equatore, la diminuzione nelle ore di luce nel corso del mese è ancora poco avvertibile essendo compresa tra 35 minuti (Meridione) e 55 minuti (Settentrione). Il giorno 4 alle 9:10 la distanza tra la Terra ed il Sole raggiunge il massimo valore annuale di 1,01672 UA.

MERCURIO

Risulta visibile all’alba fino al giorno 11, quindi scompare tra le luci del crepuscolo e il 16 è in congiunzione superiore con il Sole; riappare sull’orizzonte occidentale, subito dopo il tramonto, a partire dal 23. Entrambe le apparizioni risultano però poco favorevoli per le nostre latitudini. Il giorno 10 il pianeta è al perielio.

VENERE È visibile all'alba, ma sempre relativamente basso sull’orizzonte nord-orientale. All’inizio è nel Toro dove il 2 è in congiunzione con Aldebaran (4°,2 a nord), mentre l’11 transita 6°,3 a sud di El Nath (Beta Tauri). Il 16 entra in Orione ma dopo solo due giorni si sposta nei Gemelli, dove il 22 raggiunge la massima declinazione boreale di 22°51'29" ed è protagonista di un incontro ravvicinato con Mu Geminorum, 21' a nord della stella; il 25 è invece in congiunzione con Alhena (Gamma Geminorum), 6°,4 a nord.

Posizioni eclittiche geocentriche del Sole e dei pianeti tra le costellazioni zodiacali: i dischetti si riferiscono alle posizioni a metà mese, le frecce colorate illustrano il movimento nell’arco del mese. La mappa, in proiezione cilindrica, è centrata sul Sole: i pianeti alla destra dell’astro del giorno sono visibili nelle ore che precedono l’alba, quelli a sinistra nelle ore che seguono il tramonto; la zona celeste che si trova in opposizione al Sole non è rappresentata. Le posizioni della Luna sono riferite alle ore serali delle date indicate per la Luna crescente e alle prime ore del mattino per quella calante.

DI TIZIANO MAGNI
58

MARTE

Visibile nella seconda parte della notte: solo nella terza decade del mese sorge prima della mezzanotte locale. Lo si può ammirare nei Pesci, dove il 2 è protagonista di una stretta congiunzione con Omicron Piscium, 13' a sud della stella di mag. +4,3, e il giorno 8 varca i confini dell’Ariete dirigendosi verso Urano, che raggiungerà il prossimo mese. Il giorno 21 sul Pianeta rosso si verifica il solstizio invernale.

Effemeridi geocentriche di Sole e pianeti alle 00h 00m di Tempo Civile delle date indicate. Per i pianeti sono riportati fase e asse di rotazione (nord in alto, est a sinistra).

Levate e tramonti sono riferiti a 12°,5 E e 42° N: un asterisco dopo l’orario indica l’Ora Estiva. Nella riga "Visibilità" sono indicati gli strumenti di osservazione consigliati: l’icona di “divieto” indica che il pianeta non è osservabile. Le stelline (da 1 a 5) misurano l’interesse dell'osservazione.

GIOVE

Visibile per buona parte della notte entro i confini della Balena, 5° a sud della linea che congiunge Delta e Omega Piscium (mag. 4). Il movimento diretto del pianeta va rallentando e il giorno 29 si arresta in Ascensione Retta, quindi assume moto retrogrado. A fine mese sorge circa mezz’ora dopo la fine termine del crepuscolo serale.

SATURNO

Visibile per gran parte della notte nelle vicinanze della stella di Deneb Algedi (Delta Capricorni, mag. 3), con la quale è in congiunzione, 1°,5 a nord, il giorno 9. All’inizio del mese la sua levata anticipa di alcuni minuti il termine del crepuscolo serale, mentre alla fine sorge mezz’ora dopo la calata del Sole.

URANO

Visibile nella seconda parte della notte 3°,6 a sud-ovest di Delta Arietis (mag. +4,3); nell’ultima decade del mese il pianeta, la cui levata inizia a precedere la mezzanotte locale, viene velocemente avvicinato da Marte che lo supererà ai primi di agosto.

NETTUNO

Osservabile per quasi tutta la notte nei Pesci, poco meno di 5° a sud di Lambda Piscium (mag. 4), circa 12° a occidente di Giove; alla fine del mese la sua levata precede di poco il termine del crepuscolo astronomico.

Visibilità dei pianeti. Ogni striscia rappresenta, per ognuno dei cinque pianeti più luminosi, le ore notturne dal tramonto alla levata del Sole, crepuscoli compresi; quando il pianeta è visibile la banda è più chiara. Le iniziali dei punti cardinali indicano la posizione sull'orizzonte nel corso della notte.

CIELO DEL MESE
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FENOMENI del mese

2VENERE, ALDEBARAN E MERCURIO ALL’ALBA L’oggetto più brillante visibile negli istanti che precedono l’alba è Venere, la cui visibilità rimane approssimativamente costante per tutto il mese. Grazie al moto diretto da cui è animato, il pianeta va velocemente attraversando la costellazione del Toro e il giorno 2 è in congiunzione con Aldebaran (Alfa Tauri), 4°,2 a nord. Una dozzina di gradi più a est, in prossimità dell’orizzonte nord-orientale, è visibile anche Mercurio nell’ultima frazione di un’apparizione mattutina non particolarmente favorevole. Nel disegno è raffigurata la configurazione celeste osservabile alle 4:40 del giorno 2, con il Sole 10° sotto l’orizzonte e le luci dell’alba che vanno intensificandosi.

10-11

OCCULTAZIONE DI OMICRON SCORPII E CONGIUNZIONE LUNA-ANTARES

Per gran parte della notte il cielo è dominato dalla presenza della Luna gibbosa crescente, quasi completamente illuminata, in transito nella costellazione zodiacale dello Scorpione. Un’ora circa prima che inizi l’alba, è possibile seguire il progressivo avvicinamento della Luna ad Antares: poco prima di tramontare, la distanza che li separa è appena superiore a 2°; la congiunzione in Ascensione Retta si verifica solo un’ora più tardi.

Nella lenta marcia di avvicinamento, il nostro satellite è protagonista anche della occultazione di Omicron Scorpii (mag. +4,6), la cui scomparsa dietro il lembo lunare oscuro è osservabile da tutto il Paese tra le 23:01 (Aosta) e le 23:29 (Catania) di Tempo Civile, quando per gli osservatori delle regioni settentrionali non si sono ancora spente le luci del tramonto. La riapparizione da dietro il bordo illuminato si verifica tra le 23:35 (Cagliari) e le 23:58 (Lecce), ma è ben più difficile da seguire.

TIZIANO MAGNI
60
OCCHIO NUDO CON BINOCOLO CON TELESCOPIO PERICOLO SOLE NON VISIBILE CIELO DEL MESE DI

13

SUPERLUNA DEL “CERVO MASCHIO”

Le “Superlune”, ovvero le Lune Piene che si verificano in prossimità temporale del perigeo, quando il nostro satellite naturale si trova alla minima distanza dalla Terra, si presentano frequentemente in gruppi e così, dopo la “Superluna delle fragole” dello scorso mese, anche il plenilunio di luglio, che cade solo 9 ore e 32 minuti dopo un perigeo

15-16

LUNA, SATURNO E DENEB ALGEDI

La notte tra il 15 e il 16 luglio, a partire dal termine del crepuscolo serale, con la Luna quasi completamente illuminata dal Sole ancora in prossimità dell’orizzonte sud-orientale, è possibile ammirare il progressivo allontanamento del disco lunare in fase gibbosa calante da Saturno e da Deneb Algedi (Delta Capricorni), dopo la congiunzione in Ascensione Retta verificatasi nelle prime ore serali.

Inizialmente il nostro satellite naturale è osservabile 4°,8 a sud del pianeta inanellato, distanza che varia solo marginalmente nelle ore seguenti per poi aumentare fino a raggiungere i 5° tra le luci dell’alba.

Nel disegno la configurazione che è possibile ammirare alle 1:40 del 16 luglio, un paio d’ore prima che inizi l’alba.

a 357.264 km, produce una “Superluna” con un diametro apparente di 33’ 25”, soprannominata dagli anglosassoni “del cervo maschio”, poiché è in questo periodo dell’anno che i cervi maschi perdono le loro corna per consentire la crescita di un nuovo palco. Nella tradizione celtica, il plenilunio di luglio viene invece chiamato “Luna delle erbe”.

19

LUNA E GIOVE IN CONGIUNZIONE

Dopo essere transitata, la mattina del 18 luglio, 4°,3 a sud di Nettuno, di magnitudine +7,8 e quindi osservabile solo con l’ausilio di uno strumento, il giorno 19 la Luna gibbosa calante, portatasi appena al di là del confine che separa la Balena dai Pesci, è protagonista di una bella congiunzione con Giove: i due astri condividono lo stesso valore di Ascensione Retta alle 1:41, con il nostro satellite naturale 3°,2 a sud del pianeta. La distanza che li separa diminuisce ulteriormente per alcune ore e alle prime luci dell’alba la Luna si trova 2°,7 a sud-est di Giove. Il disegno mostra la configurazione visibile sopra l’orizzonte orientale alle 1:41, istante della congiunzione in Ascensione Retta.

CIELO DEL MESE
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CIELO DEL MESE

TRE PIANETINI IN OPPOSIZIONE TRA SAGITTARIO E CAPRICORNO

In prossimità del confine tra Sagittario e Capricorno, nella zona immediatamente a est del gruppo di stelle di 4a magnitudine 59, 60, 62 e Omega Sagittarii, è possibile osservare ben tre asteroidi relativamente luminosi: (9) Metis (mag. +9,7), (192) Nausikaa (mag. +9,6) e (346) Hermentaria (mag. +11,0) in opposizione al Sole rispettivamente i giorni 20, 22 e 24 luglio.

Per rintracciare gli asteroidi, che si muovono animati da moto retrogrado sullo sfondo della Via Lattea in una zona celeste particolarmente ricca di stelle, risultano di particolare rilievo alcuni “incontri ravvicinati”, quali il transito di (192) Nausikaa 11’ a sud di SAO 184264 (mag. +5,9) la notte tra il 12 e 13 luglio, quello di (9) Metis 10’ a nord di 62 Sagittarii la mattina del 22 luglio e il passaggio di (346) Hermentaria 11’ a sud della stella SAO 189065 (mag. +5,7) il 1° agosto.

La mappa è completa fino alla magnitudine +11,0.

21-23

LUNA, MARTE, URANO E PLEIADI PRIMA DELL’ALBA

Una bella configurazione celeste è quella che si produce nella terza decade di luglio, quando la Luna calante, nel suo progressivo avvicinamento alle luci dell’alba, nell’arco di alcuni giorni oltrepassa Marte e il più debole Urano, prima di portarsi 4°,1 a sud dell’ammasso delle Pleiadi.

La mattina del 21 il nostro satellite naturale è osservabile 6°,6 a sud-ovest del Pianeta rosso, con il quale è in congiunzione molto stretta, con tanto di occultazione, nelle ore serali quando per il nostro Paese entrambi sono ben al di sotto dell’orizzonte.

La mattina seguente la Luna, spostatasi oltre 5° a nord-est di Marte, si trova nelle vicinanze di Urano, che essendo di magnitudine +5,8 risulta rintracciabile solo con l’ausilio di un binocolo: anche in questo caso la stretta congiunzione è abbinata all’occultazione del pianeta; l’evento, teoricamente visibile dall’Italia, si svolge però in pieno giorno ed è inosservabile. È invece possibile ammirare, la mattina del 23 luglio, tra le luci dell’alba che si fanno via via più forti, la congiunzione della Luna con le Pleiadi.

Nel disegno le configurazioni osservabili alle 4:00 dei giorni indicati, pochi minuti dopo l’inizio dell’alba.

20-24
62

DEL MESE

VENERE, ETA E MU GEMINORUM ALL’ALBA

Prosegue il veloce movimento di Venere che, attraversata l’intera costellazione del Toro ed effettuata una rapida incursione a nord della “clava” di Orione, nell’ultima parte del mese entra nei Gemelli e tra il 21 e il 23 luglio è protagonista di ben due congiunzioni ravvicinate con le stelle di 3a magnitudine Eta e Mu Geminorum

La prima, con il pianeta 21’ a nord di Eta Geminorum, è direttamente visibile, eventualmente con l’aiuto di un binocolo, il

26-27

LUNA E VENERE ALL’ALBA

La mattina del 26 luglio all’inizio del crepuscolo nautico, quando le luci dell’alba si fanno sempre più evidenti e consentono di distinguere senza ambiguità la linea dell’orizzonte, è possibile notare a nord-est una sottile falce di Luna calante e, poco meno di 6° sotto questa, la splendente “scintilla” di Venere.

La congiunzione in Ascensione Retta tra il nostro satellite naturale e il pianeta, 3°,6 più a sud, si verifica nelle ore pomeridiane e non è direttamente osservabile. La mattina seguente la configurazione celeste si è modificata con la falce lunare, sempre più sottile, 7° a “sinistra” di Venere e leggermente più bassa sull’orizzonte. Nel disegno la Luna e il pianeta alle 4:45 delle date indicate, un’ora e 15 minuti prima della levata del Sole.

giorno 21 tra le luci dell’alba. È invece inosservabile quella con Mu Geminorum, poiché il transito di Venere 21’ a nord della stella si verifica nelle ore diurne del 22 luglio, per di più con i protagonisti in prossimità dell’orizzonte nord-occidentale; è comunque degna di nota la configurazione celeste che è possibile ammirare la mattina del 22 tra le luci del crepuscolo, con Venere che va avvicinandosi alla stella dalla quale dista 47’, mentre la mattina successiva il pianeta si è spostato 37’ a est di Mu Geminorum

MASSIMO DELLE ALFA CAPRICORNIDI E DELLE DELTA AQUARIDI SUD

Nelle ultime notti del mese risultano contemporaneamente attive le Alfa Capricornidi e le Delta Aquaridi sud, due sciami meteorici con valori dello Zhr (tasso orario zenitale) intorno a 5 e 25 meteore orarie. Solo un occhio allenato è in grado di assegnare le meteore allo sciame corretto, aiutato in questo compito dalla minore velocità apparente delle Alfa Capricornidi.

Per entrambi gli sciami il picco di attività è previsto nelle ore

ATTENDONO

diurne del 30 luglio, ma il numero di meteore osservabili dovrebbe mantenersi significativo per alcuni giorni prima e dopo il massimo; le Delta Aquaridi sud, in particolare, dovrebbero far rilevare valori dello Zhr superiori a 20 dal 28 luglio fino al 1° agosto compresi. Quest’anno le condizioni di osservabilità sono particolarmente favorevoli grazie alla totale assenza della Luna, che è in fase Nuova il giorno 28; l’osservazione visuale dei due sciami favorisce gli osservatori delle regioni meridionali, grazie alla maggiore altezza dei radianti sull’orizzonte.

63 CIELO
*TIZIANO MAGNI ESPERTO DI MECCANICA CELESTE, ELABORA LE PREVISIONI DI FENOMENI ASTRONOMICI CON SOFTWARE APPOSITAMENTE REALIZZATI (WWW.TIZIANOMAGNI.IT). • 1° AGOSTO: CONGIUNZIONE MARTE–URANO AL MATTINO • 2-3 AGOSTO: VENERE E DELTA GEMINORUM ALL’ALBA NELLA PRIMA DECADE DI AGOSTO CI
• 6 AGOSTO: SATURNO IN CONGIUNZIONE CON GAMMA CAPRICORNI • 6/7 AGOSTO: LA LUNA OCCULTA DELTA SCORPII I testi completi dei fenomeni sul prossimo numero di Cosmo e sul sito bfcspace.com 21-23
30-31

IL CAVALLO NERO

DELLA VIA LATTEA

Questo titolo fa pensare alla “Testa di Cavallo”, la celebre formazione scura situata a sud della stella Zeta Orionis, ma questo mese la costellazione di Orione è invisibile e stiamo parlando di un altro cavallo celeste, di cui si vede tutto il corpo e non solo la testa: il “Cavallo nero” (Dark Horse). Anche questo rappresentato da una nebulosa oscura, situata nella parte più meridionale di Ofiuco, dove questa costellazione si incunea tra lo Scorpione (a sud) e il Sagittario (a est).

Il Cavallo nero non possiede un numero di catalogo, in quanto è costituito in realtà da un complesso

eterogeneo di nebulose che nell’insieme, osservate in un buon binocolo a grande campo, danno l’impressione di un destriero che trotterella verso nord. Si estende da nord a sud per circa 9 gradi e a causa di tale estensione occupa due lastre nell’Atlante fotografico di regioni selezionate della Via Lattea, pubblicato da Edward Barnard nel 1927, dove viene indicato con oltre 15 numeri di catalogo. Sotto cieli veramente cristallini, come quelli di alcuni valichi alpini superiori ai 2000 metri e raggiungibili anche in auto durante il periodo estivo, si può scorgere a occhio nudo. Tuttavia, la parte più cospicua, la Pipe Nebula, che

costituisce sia i lombi, sia una delle zampe posteriori del cavallo, si può vedere anche da località solo moderatamente buie come quelle situate sugli Appennini. La forma caratteristica dell’insieme può essere individuata anche con un software di simulazione astronomica, come l’ottimo e gratuito Stellarium.

GLOBULARI NEI DINTORNI DELLA PIPE NEBULA Quando si parla dell’Ofiuco, più che alle nebulose scure si fa di solito riferimento ai numerosi ammassi globulari, tipicamente concentrati verso il centro della Galassia, di cui ben sette appartengono al catalogo di Messier.

AL TROTTO NEL PROFONDO CIELO DELL’OFIUCO
64 OSSERVAZIONI DI PIERO MAZZA*

» In alto, il “Cavallo nero” ripreso con un obiettivo Sigma 50 mm f/2 su iOptron Sky Guider Pro, 15 pose da 90 s a 400 ISO (la figura è ruotata con il nord a destra). (Reddit).

Nella mappa sono indicati gli oggetti di cui si parla nel testo. In colore verde gli ammassi globulari, in fucsia la nebulosa planetaria (Perseus).

Il più brillante è M62 situato al confine con lo Scorpione, già facilmente visibile nei cercatori, nonché uno dei tanti oggetti tipici per piccoli telescopi. In un rifrattore da 10 cm a un centinaio di ingrandimenti mostra un alone di circa 5’ di diametro, con alcune stelline molto deboli che si stagliano qua e là nella parte più esterna. Il nucleo appare leggermente decentrato verso sud e screziato. Tuttavia, per risolverlo sia pur parzialmente, sia nell’alone che nella parte più esterna del nucleo, occorre uno strumento da 25-30 cm e non meno di 200x-250x. Curioso è poi il fatto che con queste aperture l’oggetto è stato descritto da molti osservatori come ellittico. Se utilizzando un 30 cm si abbassano molto gli ingrandimenti per avere un campo maggiore di un grado (con un oculare grandangolare si può ottenerlo senza aumentare troppo la pupilla d’uscita, che farebbe perdere contrasto visivo), possiamo notare, subito a ovest di M62, una debole chiazza scura: è la nebulosa Barnard 241, orientata circa da est a ovest, estesa circa 15’ e spessa circa la metà. Con la stessa fantasia potremmo immaginare una piccola zolla erbosa sollevata dallo scalpitare del cavallo... Dedichiamo ora l’attenzione su alcuni ammassi globulari del catalogo del Dreyer alla portata di piccoli strumenti. NGC 6293 è di 8a grandezza e lambisce il bordo nord-occidentale della Pipe Nebula. È visibile in un 15 cm, dove appare relativamente compatto e condensato, con il diametro di un paio di primi. Se da questo ci spostiamo di circa 1 grado verso est, incontriamo un’interessante stella doppia, la 36 Ophiuchi, situata

65 OSSERVAZIONI

al margine nord della parte più occidentale della Pipe Nebula.

Si tratta di due stelle identiche di 5a grandezza, di colore ambra, distanti 5 secondi in direzione NW-SE che rappresentano un facile bersaglio anche da cieli suburbani.

Di magnitudine integrata e

dimensioni simili al globulare precedente è NGC 6356, situato poco più di un grado a NE di M9 e poco più piccolo di quest’ultimo; è un oggetto molto brillante, con diametro attorno a 5’ e gradatamente più brillante verso l’interno. Un telescopio da 15 cm a circa 60x

permette di tenere i due oggetti nello stesso campo con una pupilla d’uscita pari a 2,5 mm, sufficientemente bassa da scurire il fondo cielo, aumentandone così il contrasto. NGC 6284 si trova un paio di primi a NW di NGC 6293, di dimensioni inferiori e poco più debole; in uno strumento da 15 cm a bassi ingrandimenti presenta un diametro poco superiore a 1’, mentre forzando a 150x nelle serate prive di turbolenza, mostra una leggera granulazione nella parte più esterna. Ancora più debole è NGC 6369, situato 1 grado a SSE di M9.

Pur essendo piccolo e quindi più concentrato come luce, non è facile da osservare in uno strumento da 15 cm (e si mantiene piuttosto debole anche in telescopi da 20 cm).

In questi casi conviene osservare ad almeno 100x, con la tecnica della “visione laterale”; appare allora come una debole macchia appena più brillante all’interno e con diametro inferiore a 1’.

Una stellina di 12a magnitudine si trova a 1’ verso SSW.

Oggetto AR (2000) Dec. (2000) Dim.

Mag. Tipologia

M62 (NGC 6266) 17h01,2m 30°07’ 15’ 6,5 Amm. globulare

Barnard 241 16h59,5m 30°12’ 18’×6’ Neb. oscura

NGC 6293 17h10,2m 26°35’ 8’ 8,2 Amm. globulare

36 Ophiuchi 17h15,4m 26°36’ 5,2” 5,1+5,2 Stella doppia

NGC 6356 17h23,6m 17°49’ 10’ 8,3 Amm. globulare

M9 (NGC 6333) 17h19,5ì2m 18°31’ 12’ 7,8 Amm. globulare

NGC 6284 17h04,5m 24°46’ 6’ 8,8 Amm. globulare

NGC 6342 17h21,2m 19°35’ 4’ 9,7 Amm. globulare

NGC 6369 17h29,3m 23°46’ 35” 11,4 Neb. planetaria

HP 1 17h31,1m 30°00’ 80” 12,5 Amm. globulare

PIERO MAZZA STELLE E PROFONDO CIELO NELL’OFIUCO » L’ammasso globulare M62. All’estremità destra si intravvede una parte di B 241 (Wikimedia Commons).
66 OSSERVAZIONI DI

SENZA DIMENTICARE AMMASSI APERTI E NEBULOSE PLANETARIE

In zona galattica sono particolarmente concentrati anche gli ammassi aperti e le nebulose planetarie. Una di queste è NGC 6369, situata presso il confine settentrionale della Pipe Nebula. Si può osservare in piccoli strumenti, ma non mancano osservatori esperti che affermano di averla individuata in un binocolo 10×50, magari avvantaggiati da cieli molto scuri e dalla visione binoculare che aumenta il contrasto visivo di circa il 40 per cento; è sicuramente un esperimento da effettuare. Le planetarie sono tuttavia oggetti che fanno una figura migliore in aperture maggiori e a ingrandimenti elevati per i dettagli

che spesso presentano. In uno strumento da 25 cm a 200x appare di forma anulare con diametro di una trentina di secondi d’arco, con un leggero rinforzo di luce verso nord.

UN GLOBULARE POCO NOTO

Al confine con lo Scorpione, alla stessa declinazione di M62, si trova un ammasso globulare poco conosciuto: HP 1 (Haute-Provence), situato circa 1° a est della stella di 4a grandezza 45 Ophiuchi.. Chi scrive l’ha osservato per la prima volta in uno strumento da 60 cm in una notte di ottimo seeing: a 450x mostrava una tenue screziatura all’interno, ma non era risolvibile. Era comunque visibile anche in un 40 cm e a poco più di 200x appariva

soltanto in “scala ridotta”, ma non appariva più debole.

È una piccola chiazza circolare di luminanza superficiale molto bassa e di diametro poco superiore a 1’; tre stelline di 12 mag. poste ad arco ne lambiscono il margine settentrionale e costituiscono un valido riferimento per individuarlo. Un solo consiglio: se si incappa in una notte fosca o molto umida, è meglio lasciar perdere. Ma se la notte è cristallina, conviene tentarne l’osservazione anche in un 25 cm: si potrebbe avere una bella sorpresa.

*PIERO MAZZA MUSICISTA DI PROFESSIONE, È UN APPASSIONATO VISUALISTA, CON MIGLIAIA DI OSSERVAZIONI DEEP SKY CONSULTABILI DAL SITO WWW.GALASSIERE.IT.

OSSERVAZIONI » La nebulosa planetaria NGC 6369, detta anche “Nebulosa Fantasmino” ripresa dal Very Large Telescope. La nana bianca è visibile nel centro del gas nebulare che si sta espandendo in anelli.
67

QUANTO SONO GRANDI

LE STELLE?

GRAZIE ALLA MISURA DELLA LUMINOSITÀ, POSSIAMO DETERMINARE LE LORO DIMENSIONI

Le stelle hanno affascinato generazioni di pensatori, uomini, scienziati, lungo l’intero arco della storia umana. Ma fino al XIX secolo eravamo solo in grado di osservarle, ammirarle e catalogarle, senza conoscere le loro caratteristiche fisiche, a causa della loro irraggiungibilità. Anche la stella più vicina richiederebbe un viaggio di centinaia di migliaia di anni per essere raggiunta da una sonda. Eppure, sappiamo moltissimo sulle stelle, grazie agli studi astrofisici che ci consentono di indagare anche le stelle più remote, grazie alla semplice analisi della luce che emettono. Risultati che si possono ottenere con calcoli matematici molto semplici. Nella terza puntata di questa rubrica (vedi l’elenco completo in tabella) avevamo già imparato a misurare la temperatura superficiale di una stella a partire dal picco della sua emissione di energia luminosa, mentre ora ci dedichiamo alla luminosità delle

stelle e di come questa ci consenta di stimare il raggio stellare.

CORPI NERI STELLARI

Ricordiamo il concetto di corpo nero: un oggetto ideale che assorbe tutta l’energia ricevuta senza rifletterla. Dal momento però che nell’Universo nulla si crea e nulla si distrugge, il corpo nero riemette tutta l’energia ricevuta, mediante l’irraggiamento.

In laboratorio si può creare un corpo nero quasi perfetto prendendo una sfera cava e praticando un piccolo foro, attraverso il quale entra la radiazione, che rimane intrappolata al suo interno. A questo punto, il corpo nero comincia a irraggiare energia verso l’esterno, con uno spettro (cioè la distribuzione delle intensità in funzione della frequenza) che presenta un caratteristico andamento a campana asimmetrica, dotata di un picco e di una lunga coda asintotica.

La cosa interessante è che le proprietà di questa curva dipendono unicamente dalla temperatura

raggiunta dal corpo e non dalla sua forma o dal materiale da cui è composto o dalla radiazione che ha assorbito. I corpi neri perfetti in natura non esistono; tuttavia, le stelle ne sono delle ottime approssimazioni, pur non essendo affatto nere, ma luminosissime. In effetti l’aggettivo “nero” non si riferisce al colore del corpo, quanto alla sua capacità di assorbire tutta la radiazione. Inoltre, nel caso delle stelle, la radiazione che riscalda la loro superficie non proviene dall’esterno, come nel corpo nero da laboratorio, ma dal loro interno. Secondo la legge di StefanBoltzmann, il flusso F di energia emesso da un corpo nero, espresso come potenza per unità di superficie, è direttamente proporzionale alla quarta potenza della temperatura: F = σ T4

Dove T è la temperatura assoluta, misurata in kelvin (si ottiene aggiungendo il valore 273 ai gradi Celsius) e σ è la costante di Boltzmann, che vale 5,67 x 10-8 W/ m2K4

68 L’ORA DI ASTRONOMIA DI MARCO MONTAGNA*
» La stella Rigel e la nebulosa Witch head in Orione in una ripresa di Gianni Tumino (Ragusa) eseguita con fotocamera Canon Eos RA e obiettivo Canon EF 200 mm su montatura iOptron Sky Guider Pro. L’ORA DI ASTRONOMIA » La stella Vega ripresa da Fabio Di Stefano (Pistoia) con una Canon EOS 1200D applicata a un rifrattore Sky-Watcher Evostar 72ED. I reali diametri stellari non possono essere rivelati neanche dai più grandi telescopi.
69

STARBLAST: ESPLOSIONI STELLARI IN REALTÀ VIRTUALE

Affascinanti resti di supernova ed energiche pulsar, in un ambiente immersivo e interattivo. Sono i modelli scientifici basati su simulazioni numeriche e analisi di osservazioni che popolano una nuova applicazione, targata Inaf: StarBlast: a VR tour of the outcome of stellar explosions

Grazie a un visore per la realtà virtuale, l’utente può navigare all’interno di queste sorgenti astrofisiche e interagire con le simulazioni dei controller manuali, simili a joystick, che forniscono una percezione sensoriale dell’oggetto che si sta osservando. Durante l’esplorazione, una voce fuori campo fornisce brevi note esplicative in italiano.

La App è fruibile su più livelli, da quello più ludico, che permette all’utente di diventare un esploratore di resti di supernova, fino a un livello più profondo, destinato agli studenti universitari, che permette di cogliere molti aspetti fisici caratteristici di queste sorgenti estreme.

Per utilizzare l’applicazione, occorre possedere un visore per la realtà virtuale e avere installato nel computer il software SteamVr. Una volta attivata l’esperienza, l’utente si trova di fronte alla intera Via Lattea, dove può selezionare l’oggetto astrofisico che vuole esplorare.

Per informazioni, vedi il sito axt.oapa.inaf.it/vr-ar/starblast/ Inquadra il QR per un video di Media-Inaf su StarBlast

Se moltiplichiamo il flusso per l’area della superficie sferica di raggio R che rappresenta una stella, otteniamo la luminosità assoluta L della stella, ovvero la potenza della sua emissione: L = 4 π R2 σ T4

Inseriamo in questa formula i valori riferiti al Sole: il suo raggio è 696.340 km e la sua temperatura, ricavata dal picco di emissione, è 5778 K.

Dal calcolo, risulta che la luminosità assoluta del Sole è pari a 3,85 x 1026 W: ecco che cosa consuma la “lampadina solare”.

CALCOLIAMO

IL RAGGIO STELLARE

Se conosciamo la luminosità di una stella, grazie alla relazione precedente possiamo stimare il suo raggio.

Per calcolare la luminosità assoluta di una stella dobbiamo usare un’altra relazione: L / L s = 10-(M - Ms) / 2,5

Dove L s e M s sono rispettivamente la luminosità e la magnitudine assoluta del Sole, adottate come riferimento. La luminosità l’abbiamo appena calcolata, mentre la magnitudine assoluta, che si ricava da quella apparente e dalla distanza, è pari a 4,83.

In teoria, si dovrebbe basare il calcolo sulla magnitudine “bolometrica”, che presuppone lo studio dell’energia emessa su tutte le lunghezze d’onda ed è diversa dalla magnitudine assoluta visuale. Questa differenza è evidente per le stelle molto calde, che emettono la maggior parte dell’energia nell’ultravioletto, ma anche per quelle più fredde, che emettono soprattutto nell’infrarosso, radiazioni entrambe invisibili per l’occhio umano. Per maggiore semplicità, in questo esercizio ignoreremo le correzioni bolometriche e useremo le magnitudini assolute.

Prendiamo come esempio la stella Vega, la Alfa della costellazione della Lira, che presenta una magnitudine assoluta pari a 0,58. Se inseriamo questo valore della formula precedente, otteniamo: L / L s = 50. Quindi, L = 50 L s = 1,925 x 1028 Vega ha una temperatura superficiale di 9660 K (anch’essa ottenuta dal picco di emissione). Se inseriamo

*MARCO MONTAGNA LAUREATO IN ASTRONOMIA E INGEGNERIA INFORMATICA, SI OCCUPA DI WEB DESIGN E WEB MARKETING E GESTISCE IL BLOG “LA NOTTE STELLATA”.

70 L’ORA DI ASTRONOMIA DI MARCO MONTAGNA

questo valore insieme a L nella formula della luminosità assoluta e risolviamo rispetto al raggio, otteniamo:

R = 1,76 x 109 m, ovvero circa 2,50 raggi solari. Queste sono dunque le dimensioni di Vega.

PER LA PROSSIMA PUNTATA

Il raggio della stella Antares, la Alfa dello Scorpione, è pari a 43,9 raggi solari e la sua temperatura superficiale vale 3913 K. Qual è la luminosità di questa stella?

Il rapporto tra la luminosità assoluta di Rigel, nella costellazione di Orione, è pari a 120mila volte quella del Sole, e la sua temperatura superficiale vale circa 12.100 K.

Qual è il raggio di questa stella? Attenzione: i risultati ottenuti con i calcoli proposti possono essere differenti da quelli che si trovano sui testi, a causa della mancata correzione bolometrica. Inquadra il QR per uno spettacolare video dell’European Southern Observatory, che mette a confronto le dimensioni delle stelle, dalle più piccole alle più grandi.

» Grafico dello spettro di corpo nero per tre diverse temperature. All’aumentare della temperatura del corpo, il picco di emissione si innalza e si sposta verso lunghezze d’onda più corte.

L’ORA DI ASTRONOMIA
71
Ecco la soluzione del problema proposto nella puntata precedente (“Navighiamo nel Sistema solare con le vele spaziali”) pubblicata su Cosmo n. 26 (marzo 2022). Rielaborando la formula ottenuta dall’uguaglianza della forza gravitazionale F g e della forza prodotta dalla pressione di radiazione F r, si ottiene: S / m = 2 π c G • M s / Ws = 632 m2/kg LE NOSTRE SOLUZIONI Giunti alla decima puntata di questa rubrica che ci accompagna fin dal primo numero di Cosmo, riportiamo l’elenco delle puntate precedenti. Tutte insieme vanno costituendo un utile eserciziario di astronomia applicata 1. Quanto sono distanti le stelle?, Cosmo n. 1 2. Le candele che misurano l’Universo, Cosmo n. 3 3. Dimmi il tuo colore e ti dirò quanto sei calda, Cosmo n. 6 4. Quando combattere la gravità diventa impossibile, Cosmo n. 9 5. Lo strano caso della gravità scomparsa, Cosmo n. 14 6. La misura della circonferenza terrestre, Cosmo n. 15 7. Vedere la bandiera americana sulla Luna, Cosmo n. 19 8. Pesiamo il Sistema solare, Cosmo n. 21 9. Navighiamo nel Sistema solare con le vele spaziali, Cosmo n. 26 LE PUNTATE PRECEDENTI

ROSETTA ZOO

La missione Rosetta dell’Agenzia spaziale europea (Esa) è stata lanciata nel 2004 verso la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, appartenente alla Famiglia di Giove, con il periodo orbitale di 6,5 anni. La sonda ha raggiunto la cometa dopo dieci anni e l’ha studiata da vicino, rimanendo in orbita per circa due anni intorno al piccolo nucleo cometario, di cui ha rivelato la forma bilobata di circa 4,3 x 4,1 chilometri. Rosetta trasportava anche il lander Philae che avrebbe dovuto ancorarsi sulla superficie

della 67P il 12 novembre 2014. L’atterraggio del lander purtroppo non ha funzionato, mentre la missione dell’orbiter è stata un successo: grazie alle camere di bordo, ha raccolto un’imponente quantità d’immagini, spettri e misure che documentano la morfologia del nucleo e il progressivo aumento dell’attività cometaria durante l’avvicinamento al perielio, raggiunto nel 2015, e anche dopo. La missione è terminata con l’atterraggio morbido sulla superficie della 67P il 30 settembre 2016. Rosetta ha rivoluzionato quanto sapevamo sulle

comete, rivelando la composizione della chioma e dell’acqua della 67P (differente da quella che compone gli oceani terrestri). I dati raccolti indicano che la formazione del nucleo deve essere avvenuta in una regione fredda del disco protoplanetario. Le osservazioni hanno anche dimostrato come l’attività della cometa dipenda fortemente dalla sua morfologia, che modula il rilascio di gas e polveri.

L’analisi dei dati è però lontana dall’essere conclusa ed è qui che i volontari, i citizen scientist, possono

» Un’immagine della sonda Rosetta dell’Esa sovrapposta a una foto del nucleo bilobato della cometa 67P/ Churyumov-Gerasimenko, ripreso dalla sonda stessa.
72 CITIZEN SCIENCE DI GIUSEPPE DONATIELLO* UN NUOVO PROGETTO CERCA VOLONTARI PER INDAGARE LA COMETA 67P/C-G

CITIZEN SCIENCE

dare un aiuto per esaminare la mole di dati e magari fare nuove scoperte.

CHE COSA CERCA ROSETTA ZOO

Le immagini della superficie del nucleo cometario raccolte dalla camera Osiris di Rosetta sono tutte ad altissima risoluzione: meno di 1 metro per pixel. Grazie ad esse, è stata definita la sua variegata morfologia superficiale, registrando anche un grande numero di cambiamenti nel corso della rivoluzione intorno al Sole. In oltre due anni di osservazioni, sono stati notati cambiamenti su larga scala, come il ritiro di una parete, la riduzione della superficie in alcuni terreni, lo spostamento di blocchi di grandi dimensioni. E migliaia i cambiamenti tra 1 e 10 metri, come la formazione di dossi, buche, spostamenti di massi.

Un catalogo di tutte le variazioni intervenute sulla 67P durante il sorvolo di Rosetta permetterà di capire come le comete di questa categoria evolvono nel tempo. Si tratta di una attività che possono eseguire i volontari, tracciando le posizioni e determinando l’epoca della formazione di nuove strutture, grazie al confronto tra immagini, che sono state selezionate per mostrare le stesse regioni superficiali a distanza di settimane, mesi o anche più di un anno. Il catalogo offrirà un quadro preciso sui processi di sublimazione negli strati superficiali della cometa,

di come i ghiacci si trasformano in gas e trasportino le particelle solide, al fine di costruirne un modello di riferimento.

IL COMPITO DEI VOLONTARI

Dato il gran numero di immagini catturate da Osiris, sarebbe impossibile per un piccolo gruppo di esperti di comete ispezionarle tutte in tempi ragionevoli. I volontari possono però rendere questo lavoro molto più celere, con l’obiettivo ulteriore di avvicinare gli appassionati allo studio scientifico delle comete.

Tutte le immagini ottenute da Rosetta sono disponibili con una licenza Creative Commons; perciò, gli appassionati ne possono fare anche usi differenti in ricerche autonome. Ma quello che viene più richiesto è il confronto di coppie di immagini della stessa area superficiale, grazie a una piattaforma dall’utilizzo molto intuitivo. Seguendo la guida online (anche in italiano), si riesce in pochi minuti ad apprendere l’utilizzo corretto degli strumenti e comprendere il compito da svolgere. Si può ingrandire e ruotare le immagini di Osiris per confrontarle e marcare le variazioni che individua.

Il confronto è tra immagini prese prima e dopo il passaggio al perielio della cometa, riguardo le quali Rosetta Zoo chiede di marcare i cambiamenti notati. Vanno indicati con un marcatore blu gli oggetti presenti in entrambe le immagini che si sono

spostati, in rosso nell’immagine di sinistra gli oggetti che poi sono scomparsi e in giallo nell’immagine di destra gli oggetti comparsi. Tutti i dati così segnalati vengono poi controllati dal team promotore del progetto.

TROVA LE DIFFERENZE

I dati raccolti da Rosetta non sono omogenei, a differenza di quelli delle sonde lunari o terrestri. L’orbita della sonda intorno al nucleo cometario era complessa e soggetta a perturbazioni; perciò, le immagini non potevano essere catturate sotto la stessa fase, luminosità, distanza e prospettiva. La gestione di immagini di questo tipo è difficile per gli algoritmi, mentre è relativamente semplice per il sistema occhio-cervello. Spesso sottovalutiamo questa nostra macchina ed è in tali circostanze che ne apprezziamo le straordinarie capacità nel fare collegamenti, notare similitudini, percepire differenze. Il progetto di Rosetta Zoo è simile ai quiz enigmistici in cui bisogna trovare le differenze tra due figure. Abbiamo voluto testare l’interfaccia per verificarne la facilità d’uso. Superata velocemente la fase di autoapprendimento, dopo aver allineato al meglio le immagini con rotazioni e ingrandimenti, diventa una sfida con sé stessi scovare eventuali variazioni. L’attività ha degli aspetti ludici, ma è un vero lavoro scientifico, da cui potranno scaturire nuove conoscenze. Come avviene per altri progetti, anche Rosetta Zoo permette di segnalare osservazioni interessanti e interagire con i promotori e altri utenti attraverso la piattaforma di discussione. Per informazioni e adesioni vedi il sito di Zooniverse al link bit.ly/3yiI1g0

» Da sinistra: la “testa” del nucleo della 67P ripreso da 8 chilometri di distanza da Rosetta Movimento di un masso largo 30 metri su una distanza di circa 140 metri nella regione di Khonsu sul nucleo di 67P
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74 A CURA DI PIERO STROPPA CARICATE LE VOSTRE FOTO ASTRONOMICHE SU BFCSPACE.COM LA REDAZIONE SCEGLIERÀ LE MIGLIORI PER “LE VOSTRE STELLE” SONO TAGGATE DA UNA STELLA LE FOTO CHE HANNO VINTO LE NOSTRE SFIDE SOCIAL INQUADRA IL QR PER VISITARE LA GALLERY DELLE FOTO STELLE LE VOSTRE SETTE SORELLE E UNA GALASSIA Le Pleiadi e la galassia UGC 2838 (mag. 17,8, a destra di Elettra, la più luminosa fra le Pleiadi, che si trova nel centro-destra dell’immagine) riprese da Felizzano (AL) in più notti tra ottobre e novembre 2021 Telescopio TS Optics 100Q, camera Moravian G3-16200 con filtri LRGB Elaborazione: PixInsight Pose: L 176x80 s, 230 x 300 s; R 22x300 s; G 28x300 s; B 27x300 s Autori: Michele Mazzola (acquisizione) e Soumyadeep Mukherjee (elaborazione).
75 LE VOSTRE STELLE GALASSIA GIRANDOLA (M101) Ripresa da Forca Canapine (AP) il 29/04/2022 Telescopio rifrattore tripletto Apo SW Esprit 120/840 mm a f/7 su montatura Sky-Watcher AZ EQ6 GT Camera QHY 168C (-20 °C) con filtro Idas LPS-D1 Guida Lodestar su rifrattore SW 70/500 mm Pose 53x300 s elaborate con PixInsight e Photoshop CS6 Autore: Saverio Ferretti, Spinetoli (AP).

ALLINEAMENTO PLANETARIO SU VITORCHIANO

A sinistra, la congiunzione di Giove e Venere; più a destra Marte e in alto a destra Saturno. Ripresa effettuata da Vitorchiano (VT) il 29/04/2022 alle 05:21 Fotocamera Nikon Z5 con obiettivo Nikon Z 24-70 mm f/2,8 S

Posa di 1/5 s a 640 Iso elaborata con Photoshop Autore: Marco Meniero, Civitavecchia (RM).

LE VOSTRE STELLE 76

E

LE VOSTRE STELLE 77 Da sinistra, in diagonale: Giove, Venere, Marte e Saturno, ripresi da Aci Trezza (CT) il 27/04/2022 Fotocamera Canon Eos R con obiettivo Sigma ART 20 mm f/1,4 a f/3,2 su cavalletto Manfrotto N. 10 pose da 6 s a 1600 Iso elaborate con Sequator, Lightroom, Photoshop. Autore: Gianni Tumino, Ragusa. Autore: Gianni Tumino, Ragusa. Inquadra il QR per un time-lapse dell’autore dedicato alle “Notti di primavera”. I PIANETI
LA LUNA TRA I FARAGLIONI
ECLISSE DI LUNA DEL 16 MAGGIO LE VOSTRE STELLE
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Ripresa da Modica il 16/05/2022 Fotocamera Sony ILCE-7M3 con obiettivo Sigma 100-400 a 400 mm Composizione di sette scatti, ripresi tra le 4h 30m e le 5h 30m del mattino. Le sfumature sono date dal passaggio dalla notte all’alba. Autore: Filippo Galati.

L’ECLISSE DI ASTROSAMANTHA

L’eclisse totale di Luna del 16 maggio 2022 ripresa dalla Stazione spaziale internazionale. In condizioni di osservazione migliori di quelle degli appassionati italiani che hanno assistito alla totalità dell’eclisse durante il tramonto della Luna (seguito a breve dal sorger del Sole), AstroSamantha ha catturato una serie di immagini in cui la Luna eclissata sembra giocare a nascondino con i pannelli solari della Iss. Autore: Samantha Cristoforetti..

LE VOSTRE STELLE 79
LE VOSTRE STELLE 80 Riprese il 23/11/2021 da Cordenons (PN) Telescopio TecnoSky H-alfa 150/900 mm più modulo Etalon Pst Coronado su Sky-Watcher AZ EQ6 GT Camera ASI 178 MM con Barlow 3x e filtro D-Erf; 4000 frame elaborati con Autostakkert, Imppg, Photoshop CC Autore: Alessandro Del Pup, Associazione Sacilese di Astronomia. PROTUBERANZE SOLARI
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UN CUORE NEL SOLE (AR 2976)

Ripreso da Cornaredo (MI) il 26/03/2022

Telescopio Sky-Watcher Mak 180 mm a f/33 su montatura HEQ5 Pro

Camera Player One Neptune Cll con filtri Baader Astrosolar 3,8 ND, Baader Continuum, Baader IR-UV cut Somma di 500 frame su 4000 elaborati con AutoStakkert!, Registax6, Astroart3, Paint.net

Autore: Maurizio Walter Miehe, Cornaredo (MI).

HEAD FISH NEBULA (NGC 896) IN CASSIOPEA

Ripresa da Finale Emilia (MO) il 15/01/2022

Telescopio Sky-Watcher N250 f/4 su montatura Sky-Watcher AZ-EQ6

Camera QHY9 CCD mono con filtri H-alfa, OIII Baader, SII Optolong

Guida QHY5 mono su Sky-Watcher 100/500 mm

Pose: 10x200 s in H-alfa, 20x200 s in SII, 20x200 s in OIII (Hubble palette)

Elaborazione: PixInsight, Photoshop

Autore: Alberto Bergamini (Gruppo Astrofili Discovery), Finale Emilia (MO).

LE VOSTRE STELLE 82
LE VOSTRE STELLE 83 La Thousand-Ruby Galaxy ripresa da El Sauce Observatory (Rio Hurtado Valley, Cile) il 02/08/2021 Telescopio Planewave CDK 24 su montatura Mathis MI-1000/1250 Camera FLI PL 9000 con filtri Astrodon LRGB Pose: L 16x600 s; R 6x300 s; 14x600 s; G 6x300 s, 13x600 s; B 6x300 s, 13x600 s Elaborazione: PixInsight Autore: Soumyadeep Mukherjee, Kolkata (India). LA GALASSIA M83 NELL’HYDRA
84 LE VOSTRE STELLE Ripresa da El Sauce Observatory (Río Hurtado, Cile) il 19/11/2021 Telescopio Planewave CDK24 f/6,5 Camera FLI PL 9000 con filtri Astrodon H-alfa (3 nm), SII (3 nm), OIII (3 nm) Guida Mathis MI-1000/1250 Pose: H-alfa 22x600 s; OIII 25x600 s; SII 26x600 s, via Telescope Live Elaborazione: Deep Sky Stacker, PixInsight, Photoshop Autore: Diptiman Nandy, Howrah (India). THE EAGLE NEBULA (M16) NEL SERPENTE

I PERICOLI DI IMPATTO SULLA TERRA DI ASTEROIDI E COMETE

Vorrei porre l’attenzione sulla pericolosità di impatto per la Terra di asteroidi e comete. Su Cosmo di maggio 2022 si sottolinea la maggiore pericolosità delle comete perché provengono da più lontano rispetto agli asteroidi. Come mai le osservano sempre per primi gli osservatori solari spaziali? Potreste riportare l’esempio di una cometa avvistata in passato e che avrebbe potuto costituire inizialmente un pericolo per la Terra? A che distanza si trovava dalla Terra quando è stata avvistata e dopo quanto tempo avrebbe impattato con la Terra se la sua traiettoria avesse puntato verso la Terra? Chiedo inoltre di specificare quali sono gli altri parametri importanti della traiettoria, sottolineando le ragioni della difficoltà della loro determinazione per oggetti provenienti da regioni molto lontane del Sistema solare (come la Fascia di Kuiper o la Nube di Oort).

Saremmo oggi in grado di rispondere efficacemente in caso di pericolo imminente? Nella rivista leggo che ci sarebbe poco da fare (anche per asteroidi di grandi dimensioni), ma penso che comunque qualcosa andrebbe fatto. Cosa in particolare? Una sonda per deviarne traiettoria?

86 A CURA DI PIERO STROPPA SCRIVI A BFCSPACE.COM/INVIA-LA-TUA-DOMANDAi
D.

COMETA 109P/SWIFT-TUTTLE

Semiasse

Periodo

Longitudine

Argomento

Ultimo passaggio al

Prossimo passaggio al

Non c’è da stupirsi se una cometa (prossima al Sole) viene avvistata prima da un osservatorio solare spaziale, in quanto esso, trovandosi al di fuori dell’atmosfera e mascherando il disco del Sole, è avvantaggiato nel vedere degli astri prossimi alla nostra stella, mentre dalla superficie terrestre il cielo reso chiaro dall’atmosfera ne ostacola la visione. Sono celebri le riprese effettuata dalla sonda solare Soho della Nasa, come quella della cometa Ison ripresa nel passaggio al perielio del novembre 2013 (vedi figura sopra a sinistra, il movimento è dal basso verso l’alto). Un esempio celebre di cometa del passato che avrebbe potuto (e che potrà) costituire un pericolo per la Terra è quello della 109P/Swift-Tuttle (la “madre” delle Perseidi), scoperta il 16 luglio 1862 e che avrebbe potuto impattare la Terra meno di un mese dopo, dal momento che la sua traiettoria attraversa l’orbita terrestre. Per fortuna, la Terra e la cometa hanno attraversato questo punto di incrocio in momenti differenti. Al momento della scoperta, la cometa si trovava a una distanza di oltre 100 milioni di chilometri. In tabella sono riportati i parametri più importanti dell’orbita di questa cometa (vedi sopra a destra la foto ripresa da Michael Jaeger il 15 dicembre 1992).

2126

È stato messo in evidenza che se nel prossimo passaggio la cometa dovesse essere in ritardo, potrebbe sussistere un rischio di un suo impatto con il nostro pianeta. Sarebbe un evento catastrofico, dal momento che il suo nucleo misura circa 26 km di diametro. Per fortuna, gli ultimi studi dimostrano che le probabilità di un tale evento siano quasi nulle.

Per oggetti provenienti da regioni molto lontane, la determinazione esatta dell’orbita è resa difficoltosa dal fatto che di essa se ne osserva solo una piccola porzione (quella in prossimità del perielio).

Oggi si può fare molto poco per evitare un’eventuale collisione con uno di questi corpi celesti, anche se sono state prese in considerazione diverse misure difensive, valide solo per oggetti di piccole dimensioni e con un lungo preavviso. Sono allo studio processi di allontanamento tramite vele in mylar o l’utilizzo di un “trattore gravitazionale”. Il ricorso a bombe nucleari celebrato dai film sarebbe una risorsa estrema, anche perché una percentuale dei frammenti prodotti dall’esplosione potrebbe raggiungere ugualmente la Terra.

87
R.
maggiore 26,1 UA Eccentricità 0,96 Perielio 0,96 UA Afelio 51,8 UA Inclinazione 113°
133 anni
nodo ascendente 139°
del perielio 153°
perielio 11 dicembre 1992
perielio 12 luglio

I PLANETARI

ITALIANI

RIUNITI A FIRENZE

Inauguriamo in questo numero una rubrica destinata ai Planetari e alle loro fantastiche potenzialità per la didattica e la diffusione della cultura scientifica, in particolare quella astronomica. I Planetari rappresentano l’apice dell’educazione informale, un luogo di apprendimento extrascolastico entusiasmante per appassionati e semplici curiosi che Cosmo intende sostenere, nella ricerca continua di eccellenze e innovazioni nei campi dello studio scientifico, della didattica e della divulgazione.

La redazione

Firenze è un luogo davvero speciale per l’astronomia, antica e recente. Una città ideale per ospitare il meeting 2022 dell’Associazione dei Planetari Italiani. Soprattutto dopo due anni di assenza forzata, a causa della pandemia. Per questo, il XXXVII meeting di PLANit è stato un’occasione speciale, che ha visto la presenza di una nutrita schiera di operatori di diverse decine di Planetari nazionali, dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, ma anche di insegnanti, ricercatori, appassionati di astronomia, nonché dei rappresentanti delle più importanti aziende del settore a livello internazionale.

IN UNA SEDE PRESTIGIOSA

Il convegno si è svolto dal 29 aprile al 1° maggio presso la Fondazione Scienza e Tecnica (www.fstfirenze.

it), che ospita, oltre a un moderno planetario digitale recentemente rinnovato, con una cupola di 8 metri di diametro, anche una straordinaria collezione di strumenti scientifici e didattici della seconda metà dell’Ottocento.

Il programma dei lavori si è aperto con un pre-meeting, un workshop dedicato alla realizzazione di filmati fulldome con il software Blender, un’occasione importante per i planetaristi che intendono realizzare con le proprie mani gli spettacoli da proiettare nelle loro strutture.

Gli interventi successivi hanno spaziato dalle esperienze specifiche svolte in alcuni Planetari come quelli di Modena e Ravenna, alle attività portate avanti in un luogo molto particolare, il Planetario di Amelia (Terni), che si trova all’interno del convento di origini trecentesche della Santissima Annunziata ed è animato da un giovane frate francescano, Andrea Frigo, che ha alle spalle una laurea in Scienza della materia e un master all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Non poteva mancare un ricordo di Margherita Hack, l’astronoma fiorentina di cui quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita (vedi Cosmo n. 29). Molto interesse hanno

*GIANLUCA RANZINI ASTROFISICO E GIORNALISTA, SI OCCUPA DI DIVULGAZIONE SCIENTIFICA E DI PLANETARI. È TRA I FONDATORI DI PLANIT, L’ASSOCIAZIONE DEI PLANETARI ITALIANI. DARIO TIVERON ASTROFISICO, SPECIALIZZATO IN PLANETARI DIGITALI E FONDATORE DI FULLDOME DATABASE, È PRESIDENTE DI PLANIT.

IL XXXVII MEETING NAZIONALE DI PLANIT L’ASSOCIAZIONE DEI PLANETARI E DEI PLANETARISTI ITALIANI
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PLANETARI DI GIANLUCA RANZINI E DARIO TIVERON*

suscitato anche due interventi tra arte e scienza. Il primo di Elisabeth Vermeer, architetto e storica dell’arte, con il suo racconto Da Giotto di Bondone a Yves Klein: L’evoluzione del cielo nell’arte. E il secondo dell’attore padovano Denis Varotto, che ha proposto uno spezzone del suo spettacolo L’altro lato delle fiabe, in cui ai protagonisti delle favole più classiche, da Cappuccetto Rosso a Biancaneve, è stata abbinata una costellazione. Riccardo Vittorietti, de L’Officina del Planetario di Milano, ha presentato Oltre Experience, una visita a un museo virtuale dedicato alla conquista della Luna realizzata online ma con un animatore dal vivo e sfruttando la realtà aumentata, una modalità sviluppata nel periodo di chiusura dovuto alla pandemia. Nell’ultimo giorno del meeting, gli interventi sono stati dedicati alle opportunità del Terzo Settore e a un

tema da sempre dibattuto nel mondo dei Planetari, e cioè la necessità di un’identità chiara e codificata per queste strutture, che talvolta sono assimilate a musei, altre a cinema, altre ancora a teatri a seconda della

L’ASSOCIAZIONE DEI PLANETARI

città e del settore comunale di appartenenza. Il meeting si è chiuso con la riunione dei soci e con una tavola rotonda su diversi temi, fra cui il lancio del nuovo logo e del nuovo sito web di PLANit (planetari.org).

I Planetari in Italia sono oltre 120 e ospitano ogni anno oltre 400mila visitatori Sono di diverse tipologie (optomeccanici o digitali, fissi o mobili), ma tutti svolgono un’importante missione educativa introducendo grandi e piccoli alla comprensione dei fenomeni celesti. PLANit, l’Associazione dei Planetari Italiani, si pone come obiettivo la costruzione di una rete che riunisca Planetari e planetaristi, per favorire le attività legate allo studio, alla ricerca, alla divulgazione, alla didattica e alla comunicazione della cultura scientifica, in particolare nei campi dell’astronomia e dell’astrofisica. Inoltre, intende promuovere l’informazione sui Planetari esistenti, mantenere un network dei Planetari italiani, favorendo lo scambio di informazioni e la collaborazione, sia in Italia sia all’estero, e favorire e supportare lo sviluppo di una specifica professionalità dei planetaristi. PLANit promuove ogni anno due concorsi: il Premio PLANit, per il miglior video fulldome, e il Premio Lara Albanese, che viene riconosciuto per l’attività di didattica o di divulgazione astronomica che più si è distinta tra quelle proposte dai Planetari italiani per originalità e creatività nell’anno precedente. Per qualsiasi informazione su Planit scrivere a: contatti@planetari.org

» Sopra: la magia di uno spettacolo al Planetario (cortesia Infini.to). A destra: i partecipanti al XXXVII meeting di PLANit, l’associazione dei Planetari italiani (Andrea Frigo).
89 PLANETARI

ASSOCIAZIONE PONTINA DI ASTRONOMIA

Rendere l’astronomia accessibile a tutti, anche alle persone con disabilità fisiche e cognitive, è la principale missione dell’Associazione Pontina di Astronomia (Apa), Delegazione territoriale dell’Unione Astrofili Italiani. Una missione perseguita attraverso l’organizzazione di eventi divulgativi all’insegna dell’inclusione e della solidarietà sociale - in cui tutti i partecipanti possono provare l’emozione della scoperta del cielo - e attraverso il continuo sviluppo di metodologie e strumenti per una cultura astronomica “senza barriere”. Nel campo della divulgazione inclusiva dell’astronomia, gli esperti dell’Apa sono veri pionieri e un solido punto di riferimento per la comunità italiana e internazionale di educatori e studiosi. Parliamo dell’associazione, del suo impegno

in campo divulgativo e dei progetti in cantiere con il presidente Andrea Alimenti.

QUANDO NASCE

LA VOSTRA ATTENZIONE PER IL MONDO DELLA DISABILITÀ?

L’Associazione Pontina di Astronomia (Latina-Anzio-Nettuno) nasce a Latina il 22 ottobre 2008. Viene fondata da quattro astrofili e tre astrofile, tutti con alle spalle una militanza in associazioni simili.

L’associazione nasce per riunire tutti gli appassionati di astronomia dell’agro pontino e per diffondere la cultura scientifica e astronomica in un territorio praticamente privo di realtà di questo tipo. Fin dalla sua costituzione, l’Apa porta avanti attività didattiche e divulgative, anche in chiave inclusiva, perfezionate con la creazione di

strumenti e metodi unici nel loro genere. Il primo incontro con il mondo della disabilità avvenne nel 2009, in occasione di un evento organizzato dall’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti (Uici) di Latina. Il nostro esperto Andrea Miccoli timidamente presentò il suo “orizzonte variabile”: uno strumento in legno utile per vedere i movimenti apparenti del Sole in cielo nelle diverse stagioni e alle diverse latitudini. Dopo qualche minuto dalla stanza dove eravamo riuniti si sentirono le urla di gioia dell’allora presidente dell’Uici Lucia Merola: per la prima volta aveva visto un tramonto.

QUAL È LA VOSTRA SEDE E COME È EQUIPAGGIATA?

Dal 21 giugno 2018 l’Apa ha un suo piccolo Osservatorio, realizzato interamente in legno

A CURA DI AZZURRA GIORDANI* A LEZIONE DI ASTRONOMIA INCLUSIVA DA PIONIERI DEL SETTORE
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UAI INFORMA

presso l’agriturismo Prato di Coppola a Latina. L’Osservatorio, principalmente dedicato alle attività osservative, è dotato di una montatura EQ8 e di un C11 Celestron. Questo telescopio è affiancato da uno Scopos 66/400 usato in parallelo con camere per il puntamento/centramento automatico, la guida e la ripresa. Siamo in attesa di una nuova strumentazione più potente: a breve dovremmo poter osservare attraverso un telescopio RC16. Nell’osservatorio abbiamo inoltre una stazione di ricezione radio per il monitoraggio delle radiometeore, operativa 24 ore su 24.

Nei periodi di maggiore attività il segnale ricevuto, trasposto nella banda audio, è fruibile da chiunque. Questa attività nasce con l’intento di rendere le stelle cadenti accessibili anche a persone con disabilità visiva. Siamo provvisti infine di telescopi portatili per i nostri eventi itineranti, che sono stati modificati per essere utilizzati anche da persone con disabilità motoria.

CHE COSA AVETE N PROGRAMMA NEI MESI ESTIVI PER I CURIOSI DEL CIELO?

Luglio e agosto sono i mesi di maggiore attività. Apriremo al pubblico il nostro Osservatorio (il calendario degli appuntamenti è disponibile su astronomiapontina. it) per offrire serate dedicate alla scoperta del cielo e organizzeremo tanti eventi divulgativi sul territorio della provincia di Latina.

In particolare, sabato 9 luglio saremo al Fortino di Creta Rossa sul promontorio del Circeo per

proporre al pubblico un’escursione notturna in collaborazione con il Club Alpino Italiano di Latina; sabato 30 luglio osserveremo invece il cielo tra le rovine del V sec a.C. del parco archeologico dell’antica città di Norba, dove si può godere di un panorama mozzafiato. Inoltre, ogni settimana, daremo ai più avventurosi l’opportunità di scoprire le bellezze del cielo a bordo di canoe e kayak, sul lago di Paola e sul fiume Cavata.

NEGLI ALTRI MESI DELL’ANNO CHE COSA OFFRITE AL PUBBLICO?

Nel periodo invernale siamo principalmente occupati con le scuole di ogni ordine e grado.

Il nostro pacchetto didattico standard prevede cinque incontri: tre frontali in aula, uno di giorno sotto il Sole e uno di notte, sotto le stelle. Non entriamo in aula con un computer per proiettare qualche slide, ma con valigie e scatoloni, dai quali tiriamo fuori strumenti elettromeccanici con motorini, luci, laser ed effetti sonori,

utili a rendere l’intervento didattico coinvolgente e, talvolta, ludico. Nel periodo pre-Covid abbiamo svolto attività con circa 80 classi ogni anno e coinvolto più di 1500 studenti delle scuole elementari, medie e superiori. Sempre in inverno, nel tardo pomeriggio, siamo impegnati con i corsi di astronomia dedicati ai nostri soci. Ne organizziamo tipicamente tre in parallelo: uno a Latina, uno ad Aprilia e uno a Nettuno. In aggiunta a questi, svolgiamo corsi presso centro anziani e comunità per persone con disabilità.

QUALI STRUMENTI UTILIZZATE PER AVVICINARE LE PERSONE CON DISABILITÀ ALLA CONOSCENZA DEL CIELO? Dal 2009 ci adoperiamo per rendere l’astronomia accessibile a persone con disabilità visiva. Da quell’anno Andrea Miccoli, nostro socio fondatore, è impegnato a realizzare strumenti elettromeccanici tattili

» I soci in occasione della inaugurazione dell’Osservatorio dell’Apa nel 2018.
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per i disabili della vista. Questi strumenti artigianali, unici nel loro genere, permettono di rappresentare fenomeni astronomici in evoluzione nelle quattro dimensioni, incluso quindi il tempo, e di renderli accessibili a chiunque. Nel corso degli anni Andrea è riuscito a realizzare un assortimento di strumenti vastissimo e utile per affrontare diversi argomenti di astronomia con diversi livelli di approfondimento. Con questo kit di strumenti è nato il corso residenziale di astronomia per ciechi e ipovedenti. Questo corso, pensato per offrire una settimana di vacanza estiva a carattere astronomico a ciechi e ipovedenti provenienti da tutta Italia, ha già superato la sua decima edizione. Le persone che frequentano il corso rimangono incantate dai nostri strumenti. Parliamo di persone appassionate di astronomia, magari senza avere mai visto un raggio di luce dalla nascita, dedite allo studio

di questa scienza e che grazie ai nostri strumenti possono avere conferma, per la prima volta, di aver compreso concetti sentiti raccontare da libri o video.

Gli stessi strumenti vengono usati anche nelle scuole: alcuni concetti risultano infatti più semplici se si ha la possibilità di mettere le mani su modelli 3D in movimento: l’accessibilità fa bene a tutti! Abbiamo un occhio di riguardo anche per i disabili motori. Come portare l’oculare di un telescopio sull’occhio di chi non può alzarsi, salire su una scaletta o accucciarsi come normalmente è richiesto?

Con una serie di prolunghe ottiche (semplici tubi di alluminio) e alcune modifiche alla montatura, i nostri telescopi sono accessibili a chiunque.

A QUALI ALTRE ATTIVITÀ VI DEDICATE?

Dal 2016 sensibilizziamo il pubblico sul tema dell’inquinamento

luminoso. Nel 2016 abbiamo organizzato, in collaborazione con l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Latina, il primo convegno sull’inquinamento luminoso, seguito - l’anno successivo - da un meeting aperto ai tecnici del Comune e alla Polizia municipale, inserito in una iniziativa di divulgazione per le scuole del territorio.

Credo che, grazie a queste attività di sensibilizzazione, si sia velocizzato il processo di ammodernamento e messa a norma degli impianti di illuminazione pubblica di Latina.

QUALI SONO I VOSTRI PROGETTI PER IL FUTURO?

Innanzitutto, vogliamo dotare il nostro Osservatorio di nuovi strumenti per dare l’avvio ad attività di ricerca astronomica, ora realizzate solo individualmente da alcuni soci. Desideriamo inoltre costruire un piccolo museo in grado di ospitare tutti i nostri strumenti di astronomia tattile, ora smontati e raccolti all’interno di buste e scatoloni. Tutto questo, e molto altro, sarà possibile però solo se l’Associazione riuscirà a trovare nuove risorse umane. Senza nuovi giovani soci, sarà difficile portare avanti i nostri progetti. Stiamo intensificando le attività didattiche nelle scuole del territorio proprio con l’augurio di avvicinare all’associazione i più giovani.

*AZZURRA GIORDANI GIORNALISTA, È MEMBRO DELLO STAFF DI COMUNICAZIONE DELL’UNIONE ASTROFILI ITALIANI. » Mostra di strumenti astronomici tattili, curata dall’Apa presso la Sapienza Università di Roma. Da sinistra, Andrea Miccoli e Andrea Alimenti.
92 UAI INFORMA A CURA DI AZZURRA GIORDANI
Make it sure, make it simple. rina.org Facciamo decollare i progetti più complessi negli ambienti più difficili.

EVENTI SOTTO IL CIELO DI LUGLIO

NUS (AO)

SPETTACOLI AL PLANETARIO

DAL MARTEDÌ AL SABATO, ORE 16:00 E 18:00

Il Planetario di Lignan offre spettacoli dedicati alla scoperta di costellazioni, oggetti e fenomeni celesti visibili d’estate. Ai più piccoli è dedicato lo spettacolo Polaris per esplorare i pianeti del Sistema solare. bit.ly/3NrYu5M

BELLINO (CN)

SERATA ASTRONOMICA

23 LUGLIO, ORE 21:00

Gli esperti dell’Associazione Astrofili Bisalta aprono al pubblico le porte dell’Osservatorio per offrire una serata all’insegna della scoperta delle meraviglie del cielo. bit.ly/3LBTLNv

BREMBATE DI SOPRA (BG)

CAMPUS DI ASTRONOMIA DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ

Il Parco astronomico “La Torre del Sole” offre ai bambini dai 6 agli 11 anni l’opportunità di trascorrere intere settimane all’insegna della scienza e del divertimento. bit.ly/381AS94

MONTE ZUGNA (TN)

UN SABATO CON IL SOLE 16 LUGLIO, ORE 14:30

Osservazione guidata del Sole con il telescopio della cupola dell’Osservatorio di Monte Zugna (1620 m slm). Attività a cura della Fondazione Museo Civico di Rovereto. bit.ly/3NpFvJk

A CURA DI AZZURRA GIORDANI
Segnalate eventi, mostre, star party a stroppa@bfcmedia.com 94 EVENTI
ATTENZIONE: SI CONSIGLIA DI VERIFICARE LA CONFERMA DEGLI EVENTI SUI SITI INDICATI

VERONA

LUNA IN PIAZZA BRA

11 LUGLIO, ORE 21:00

Serata dedicata alla scoperta e all’osservazione all’oculare dei telescopi della fascinosa Luna, con i soci del Circolo Astrofili Veronesi bit.ly/3Py47Bl

ROCCA DI PAPA (RM)

NIGHT STAR WALK

9 LUGLIO, ORE 21:00

Passeggiata notturna nei dintorni del Parco astronomico “Livio Gratton” per osservare il cielo stellato con la guida degli esperti dell’Associazione Tuscolana di Astronomia (foto Stefano Schutzmann). bit.ly/3wtEQko

SOVICILLE (SI)

VISITE ALL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO

8 E 22 LUGLIO, ORE 22:00

I soci dell’Unione Astrofili Senesi offrono ai visitatori dell’Osservatorio astronomico di Montarrenti osservazioni guidate del cielo notturno ai telescopi. bit.ly/3PvuDLD

NAPOLI

MOSTRE E SPETTACOLI NEL PLANETARIO

DA MARTEDÌ A DOMENICA

Città della Scienza propone ai visitatori gli spettacoli Robot explorer e Dalla Terra all’Universo nel Planetario, la visita alle sale espositive e, durante il weekend e nei giorni festivi, attività laboratoriali. bit.ly/3MtKvwi

BARI

SPETTACOLI AL PLANETARIO

SU PRENOTAZIONE

Con cupola di 15 metri di diametro e tecnologia tra le più sofisticate d’Europa, il Planetario offre al pubblico di curiosi e appassionati di astronomia spettacoli ricchi di suggestioni ed effetti speciali. planetariobari.com

EVENTI 95

DAI QUARK ALLE GALASSIE

GIANPAOLO BELLINI, MARCO BERSANELLI, ENRICO BONATTI

MILANO, HOEPLI, 2022

PAGINE 200 - FORMATO 14 X 21,5 CM

PREZZO € 19,90

Raccontare il panorama della ricerca moderna in fisica non è un compito banale. Si può partire dal mondo subatomico, con le ultime scoperte sulla fisica delle particelle condotte al Cern di Ginevra o agli esperimenti per neutrini, arrivando a descrivere il Modello Standard delle interazioni fondamentali. Oppure, si può partire dall’infinitamente grande, raccontando cosa abbiamo scoperto sui corpi celesti, dalle stelle fino alle galassie più lontane. Fra questi due estremi si trova il nostro pianeta, la Terra, di cui abbiamo imparato a studiare e capire la struttura e l’evoluzione. Tre grandi aree di ricerca che troviamo discusse in questo nuovo saggio scritto “a sei mani” da Gianpaolo Bellini, Marco Bersanelli ed Enrico Bonatti, tre scienziati di punta nel campo della fisica delle particelle, dell’astrofisica e della geologia. Bellini è professore emerito all’Università di Milano e ha diretto importanti esperimenti legati alla fisica delle particelle e in particolare dei neutrini. Bersanelli è professore ordinario di

astrofisica all’Università di Milano ed è stato fra i protagonisti della missione spaziale Planck dell’Esa per lo studio della radiazione cosmica di fondo. Bonatti è specializzato nello studio della geologia degli oceani ed è membro di prestigiose associazioni, fra cui l’Accademia dei Lincei e fellow dell’American Geophysical Union. Dopo aver discusso gli affascinanti temi legati alla fisica delle particelle elementari, alla geofisica e all’astrofisica, il volume si conclude con una sezione dedicata alle ricerche legate allo studio dei neutrini solari, raccontate in prima persona da Bellini, protagonista di questa avventura come responsabile di Borexino, l’esperimento installato ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso che ha avuto un ruolo chiave nella rivelazione dei neutrini di origine solare. Il volume, introdotto da una prefazione di Roberto Battiston, fornisce un racconto della ricerca moderna vista da chi la vive tutti i giorni in prima persona.

ILLUMINAZIONE PUBBLICA E CRIMINALITÀ

LUCA INVERNIZZI

MILANO, EDITORIALE DELFINO, 2022

PAGINE 290

FORMATO 24 X 17 CM

PREZZO € 25,00

Solo una parte di questo lavoro del giornalista scientifico Luca Invernizzi è dedicata ai problemi che l’inquinamento luminoso produce nell’osservazione del cielo: il tema principale è la relazione esistente tra l’illuminazione pubblica e comportamenti devianti. È quindi un lavoro utile per inquadrare il problema dell’inquinamento luminoso in un contesto più ampio delle osservazioni astronomiche. Che comunque è un problema globale, dato che la comunità scientifica è costretta a installare i maggiori telescopi in aree lontane dagli insediamenti umani per fruire appieno della potenzialità dei grandi strumenti. L’autore ricorda che “il cielo stellato, al di là degli aspetti connessi con la ricerca scientifica, rappresenta un indubbio patrimonio culturale dell’umanità”. Immagini impressionanti mostrano la brillanza del cielo notturno per l’Europa e l’aumento dell’illuminazione col trascorrere degli anni. Con l’Italia tra le nazioni che hanno peggiorato di più la loro situazione. Notevole anche il diagramma nel quale viene indicato

come la Luna piena produca un illuminamento di 0,25-0,30 lux, mentre l’illuminazione pubblica può superare tranquillamente i 10 lux (la luce stellare non supera il millesimo di lux). L’autore mostra come i danni prodotti dall’inquinamento luminoso non si limitino all’osservazione e allo studio del cielo: ha conseguenze nefaste per tutta la popolazione che lo subisce, per gli animali e anche per il mondo vegetale! Inoltre - contro le convinzioni comuni – un’intensa illuminazione notturna non scoraggia i criminali. Invernizzi cita Pierantonio Cinzano e Mario Di Sora, che tanto si sono prodigati per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo problema. Ma tutto il libro è denso di note a fondo pagina che riportano ai molti lavori sull’argomento e i riferimenti sono completati da una imponente bibliografia. Questa struttura rende il lavoro più una pubblicazione da consultare che un libro per la semplice lettura. Il tutto abbondantemente illustrato, con molte immagini a colori.

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