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TEMA DEL MESE
TEMA DEL MESE
DI PATRIZIA CARAVEO*
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L’OMBRA DEL

DELLA VIA LATTEA
RIVELATA L’IMMAGINE DI SGR A* REALIZZATA DA EHT: TANTE CONFERME E QUALCHE PERPLESSITÀ
Anche chi non si è mai occupato dello studio del buco nero al centro della nostra Galassia sa di dover ringraziare questo mostro del cielo, perché è grazie a lui che, nel 2020, il comitato Nobel si è accorto dell’esistenza delle astronome. In quell’occasione, il Nobel per la Fisica è stato dedicato ai buchi neri: metà è andato a Roger Penrose per il fondamentale contributo teorico, dato oltre mezzo secolo fa, “per la scoperta che la formazione dei buchi neri è prevista dalla relatività generale”, mentre l’altra metà è stata divisa tra due astronomi osservativi, Reinhard Genzel e Andrea Ghez “per la scoperta di un oggetto supermassivo nel centro della nostra Galassia”. Facciamo attenzione a questa seconda metà della intitolazione del Nobel. Dopo avere notato che Andrea Ghez, oltre a essere la quarta donna a ricevere il Nobel per la Fisica, e la prima nel campo dell’astronomia, leggiamo attentamente: il comitato parla della scoperta di un oggetto supermassivo, ma senza specificare di che cosa si tratti.
LA STORIA DELLA SCOPERTA
L’accurata mappatura del movimento delle stelle in prossimità del centro della nostra Galassia porta due gruppi concorrenti, tra il 2008 e il 2009, a “pesare” l’oggetto compatto che domina il centro. I gruppi fanno capo al tedesco Reinhard Genzel e alla statunitense Andrea Ghez che hanno dedicato oltre un decennio allo studio delle orbite delle stelle annidate nel cuore galattico. Un successo basato su lunghissime sequenze di osservazioni fatte da Ghez con il telescopio Keck alle Hawaii, spesso in competizione con Genzel che, invece, sfrutta i telescopi dello European Southern Observatory in Cile. Pur con strumenti diversi, i due gruppi hanno usato tecnologie simili, concentrandosi anche sulle stesse stelle. Per calcolare la massa dell’oggetto centrale, occorre avere una buona descrizione dell’orbita percorsa dalle stelle, cosa che richiede la mappatura accurata del loro moto. Negli anni 90, per migliorare la risoluzione spaziale delle loro immagini, entrambi ricorrevano alla speckle imagining, una tecnica basata sull’utilizzo di immagini con tempi di posa molto brevi, ottimizzati per “battere” le turbolenze dell’atmosfera. Le immagini dovevano poi essere sommate per ottenere le lunghe pose necessarie per rivelare e posizionare le stelle interessanti. L’idea era di fare osservazioni a distanza di circa un anno per seguire il movimento delle stelle e tracciare le loro orbite. Nel 1996-1997 i due gruppi hanno dimostrato che le stelle seguivano orbite kepleriane, poi nel 2002-2003 hanno calcolato che la stella S2 ha un periodo orbitale di

» L’ombra del buco nero centrale della Via Lattea, Sgr A*, ripresa nelle onde radio dalla collaborazione Eht.
Inquadra il QR per un suggestivo zoom verso il buco nero.
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DI PATRIZIA CARAVEO

» Visione a sempre maggior risoluzione della zona centrale della nostra Galassia. Sullo sfondo il radiotelescopio al Polo sud che fa parte della rete di strumenti utilizzata per ottenere l’immagine dell’ombra del buco nero (Sara Issaoun, Sao).
16 anni. Con l’avvento dell’ottica adattiva, grazie alla quale il fronte d’onda viene corretto in tempo reale per compensare le turbolenze atmosferiche, negli ultimi venti anni è stato possibile fare le osservazioni direttamente per i tempi richiesti. La nuova tecnica ha migliorato l’efficienza di tutto il processo, cosa che ha permesso di seguire un numero maggiore di stelle che danzano intorno al centro galattico. Il monitoraggio ha svelato la presenza di altre stelle con orbite ancora più vicine al buco nero che si muovono velocissime e che hanno conquistato una serie di primati di velocità. Tra il 2008 e il 2009, i due gruppi arrivano alla stessa conclusione: S2 orbita intorno a una massa di 4 milioni di masse solari che si trova nella posizione indicata dalla sigla Sgr A*. I dati non dicono che si tratti con certezza di un buco nero, ma cos’altro potrebbe essere “l’oggetto supermassivo e compatto nel centro della nostra Galassia”?
SIMILI MA DIVERSI
Quest’ultimo interrogativo ha avuto una risposta il 12 maggio scorso, durante una conferenza stampa organizzata dalla collaborazione Event Horizon Telescope (Eht), che grazie a una serie di osservazioni fatte nell’aprile del 2017 è riuscita a ottenere l’immagine del centro della Galassia. Abbiamo visto una ciambella un po’ sfuocata con un buco centrale le cui dimensioni sono in perfetto accordo con quanto previsto dalla relatività generale per un oggetto di quattro milioni di masse solari. L’ombra del buco nero è resa visibile dall’emissione della materia che vortica intorno ad esso e che ha rappresentato il più grande problema affrontato da Eht. Questa ciambella non risultava del tutto nuova; infatti, il look del buco nero di Sgr A* è sorprendentemente simile a quello già ripreso nel centro della galassia M87 e pubblicato dalla collaborazione Eht nell’aprile 2019. In realtà, i due buchi neri non potrebbero essere più diversi: il
mostro di M87 (in sigla M87*) ha una massa stimata di oltre 6 miliardi di masse solari ed è attivissimo, ha un tasso di accrescimento sostenuto e produce un potente e lunghissimo getto di materia; il nostro al confronto è un mostriciattolo, con una massa 1500 volte inferiore, che si accresce a un tasso bassissimo, è molto poco luminoso e non sembra produrre getti. Però hanno dimensioni apparenti simili, perché Sgr A* è 2000 volte più vicino di M87* e questa vicinanza compensa la minore estensione, producendo dimensioni angolari quasi uguali, entrambe nell’ordine delle decine di microsecondi d’arco. Considerando la relazione tra massa del buco nero e dimensione dell’orizzonte degli eventi, nel caso di M87* ricaviamo un diametro di 38 miliardi di km, meno del Sistema solare, che a 55 milioni di anni luce di distanza corrisponde a un angolo di 15 microsecondi d’arco, circa una moneta da 2 euro sulla Luna. In effetti, non c’è niente da vedere all’orizzonte degli eventi: quello che interessa è il photon ring, il cerchio descritto dai fotoni che vengono deviati dal campo gravitazionale del buco nero che agisce da potentissima lente gravitazionale e ha dimensioni circa doppie di quelle dell’orizzonte degli eventi. In più, visto che il disco di accrescimento ruota, è ragionevole aspettarsi che la parte che viene verso di noi sia intensificata dall’effetto Doppler e appaia più brillante. Per il nostro buco nero il ragionamento è simile, ma il diametro dell’orizzonte degli eventi si aggira intorno ai 24 milioni di km (inferiore all’orbita di Mercurio), alla distanza di circa 25mila anni luce.
RIPRENDERE
L’OMBRA DI SGR A*
Per produrre un’immagine di questi fenomeni celesti, bisogna disporre di uno strumento capace di risolvere le decine di microsecondi. La risoluzione angolare di un telescopio è tanto migliore quanto più grande è il suo diametro e quanto più piccola è la lunghezza d’onda alla quale lavoriamo. Iniziamo dalla lunghezza d’onda: lavorare in ottico o addirittura in ultravioletto sembrerebbe più vantaggioso. Perché hanno scelto di lavorare nel campo radio? La ragione va cercata nel comportamento dei gas e delle polveri che popolano il piano della Galassia. Entrambi sono dei killer dei fotoni ottici, mentre lasciano passare l’emissione radio. Per riuscire a vedere il centro della Galassia, bisogna scegliere le onde radio, selezionando però quelle di lunghezza d’onda più corte, intorno al millimetro. A questo punto, occorre trovare lo strumento utile per arrivare alla risoluzione necessaria. Sembrava una mission impossible, ma grazie a uno sforzo planetario, gli astronomi sono riusciti nell’impresa. I radioastronomi hanno utilizzato una tecnica potentissima chiamata Vlbi (Very Long Baseline Interferometry), grazie alla quale si possono combinare i dati acquisiti simultaneamente da due o più radiotelescopi, per costruire immagini con risoluzione pari a quella raggiunta da un radiotelescopio con diametro pari alla distanza tra gli strumenti. Per sfruttare al meglio la dimensione della Terra, è stata creata la collaborazione Eht, consorziando otto osservatori radio sparsi tra Polo sud e Groenlandia, passando per Cile, Messico, Arizona, Hawaii, Spagna. La rotazione della Terra è un elemento aggiuntivo, perché cambia la geometria relativa delle varie stazioni osservative e aggiunge informazioni nella ricostruzione dell’immagine. Si sperava così di arrivare a una risoluzione di 20 microsecondi d’arco, poco sopra le dimensioni attese per il photon ring di Sgr A* e di M87*, selezionati come i due buchi neri più promettenti la cui combinazione massa distanza portava a dimensioni angolari maggiori di quelle degli altri buchi neri disponibili nel nostro vicinato cosmico. Nell’aprile del 2017 gli otto telescopi hanno osservato in perfetta sincronia Sgr A*, mentre per M87* ne sono stati utilizzati solo sette, perché la sorgente non era visibile dal Polo sud. Dopo avere portato gli hard disk con una immane quantità di dati nei centri di calcolo, i membri della collaborazione Eht hanno deciso di iniziare da M87*, perché sapevano che le maggiori
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» Le immagini di M87* e di Sgr A* a confronto: dimensioni apparenti simili corrispondono a dimensioni reali molto diverse (Eht collaboration).
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DI PATRIZIA CARAVEO

» La rete dei radiotelescopi che compongono la collaborazione Event Horizons Telescope (Eht collaboration).
dimensioni erano garanzia di stabilità del flusso della sorgente. Infatti, supponendo che la materia nel disco di accrescimento si muova a velocità vicina a quella della luce, per fare un giro intorno a M87* ci vogliono giorni o settimane, mentre per Sgr A* bastano pochi minuti. Questo significa che M87* non cambia molto durante una sessione osservativa di qualche ora, mentre Sgr A* è soggetto a rapide variazioni che rendono tutto più complicato. Oltre alla variabilità, che faceva cambiare intensità e aspetto della ciambella, è stato necessario fare i conti con altri fattori di disturbo che si concentrano nel piano della Via Lattea dove ci troviamo sia noi che Sgr A*. Gli elettroni galattici, per esempio, deviano le onde radio, sfuocando così le immagini. In definitiva, l’immagine pubblicata a maggio è stata ottenuta utilizzando solo i dati del 7 aprile 2017, quando le condizioni meteo erano eccezionalmente buone e tutti i radiotelescopi avevano funzionato al meglio. In verità, l’immagine è una media di decine di immagini ottenute con brevi tempi di integrazione scelti per descrivere la variabilità della sorgente. Le immagini brevi non sono tutte uguali e sono state divise a seconda delle loro caratteristiche tra le ciambelle e le non ciambelle. Le ciambelle sono poi state ulteriormente divise a seconda di dove si vedessero le macchie di maggiore emissione. Per ricavare informazioni utili sulla sorgente, ogni immagine deve essere confrontata con una banca dati di simulazioni costruite per una vasta scelta di parametri, per decidere quale caso descriva meglio ogni singola immagine. Visto che le ciambelle, pur con i massimi di emissione in regioni diverse, erano preponderanti, si è proceduto a fare una media tra quelle, ottenendo la ciambella “leopardata” finale, così simile a quella di M87*. Trovare due oggetti celesti con masse così diverse che si comportano in modo simile è stupefacente. Nel campo dell’evoluzione stellare, la massa di una stella è molto importante: già un valore doppio cambia molte cose, mentre un aumento di un fattore cinque cambia tutto. Qui abbiamo due oggetti con masse che differiscono di un fattore 1500, eppure mostrano struttura e comportamento simili.
UN PARTICOLARE CHE
LASCIA PERPLESSI
Allora, visto un buco nero, visti tutti? Forse, ma c’è un particolare che lascia perplessi. Perché entrambi hanno questa forma a ciambella? Li stiamo vedendo dalla stessa prospettiva? Per il buco nero di M87, che produce dei potenti getti di materia (uno dei quali rivolto parzialmente verso di noi), era ragionevole vedere il disco di accrescimento quasi face-on, ma per Sgr A* c’era da aspettarsi che il disco di accrescimento fosse allineato con il piano della Galassia e che quindi ci mostrasse una mezzaluna (tipo quello di Interstellar), oppure una forma ovale, piuttosto che una ciambella così tondeggiante, come se il suo asse di rotazione fosse rivolto verso di noi. Certo siamo solo all’inizio della nostra conoscenza ravvicinata del buco nero centrale della Via Lattea. Vista la sua variabilità così marcata, il prossimo passo sarà la realizzazione di un video che potrebbe farci capire quanto sia dinamica la regione intorno al buco nero dove la materia si organizza in un disco in vorticoso movimento. Ci sono altre sessioni osservative nella campagna del 2017, ma sono stati presi dati anche negli anni successivi, con un numero di telescopi che è salito a dieci. Sono in arrivo anche riprese a frequenze più alte (quindi con maggiore risoluzione) e di buchi neri centrali di altre galassie, come Centaurus A. Sicuramente le novità non mancheranno.
*PATRIZIA CARAVEO
DIRIGENTE DI RICERCA ALL’ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA (INAF), LAVORA ALL’ISTITUTO DI ASTROFISICA SPAZIALE E FISICA COSMICA DI MILANO.




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