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NEWS SUMMARY
SOLAR ORBITER: INCONTRO RAVVICINATO CON IL SOLE
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FOTOGRAFATA LA CODA DI SODIO DI MERCURIO
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URANO E NETTUNO: FRATELLI DIVERSI
PRIMA VENNERO LE ESOCOMETE DI BETA PICTORIS
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QUBIC, UN NUOVO STRUMENTO PER L’UNIVERSO PRIMORDIALE
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L’HUBBLE CINESE IN ORBITA NEL 2023
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VERSO LE ORIGINI DEL SISTEMA SOLARE
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UNA PULSAR AL RALLENTATORE
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IN ADDESTRAMENTO L’EQUIPAGGIO DI POLARIS DAWN
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LA LUNGA ESTATE IN ORBITA DI ASTROSAMANTHA
L’estate per Samantha Cristoforetti non è un periodo di vacanze. “Ci attende un duro lavoro” – aveva anticipato in maggio l’astronauta italiana dell’Esa durante una conferenza stampa dallo spazio. In effetti, il lavoro era iniziato prima dell’estate: l’arrivo del veicolo spaziale Starliner della Boeing, senza equipaggio, con qualche problema tecnico all’attracco, ha impegnato gli astronauti a bordo della Iss. Poi è arrivato il veicolo-cargo Dragon di SpaceX con una enorme quantità di rifornimenti, materiali e attrezzature scientifiche. E naturalmente le molte operazioni in programma, fino alla conclusione della missione della Cristoforetti, in programma per metà settembre, tra esperimenti scientifici, attività extraveicolari e manutenzione alla Iss. Una missione che dalla Iss si proietta al futuro: molti esperimenti sono rivolti alle future missioni su altri corpi celesti. “Per le missioni verso la Luna o Marte è probabile che adotteremo veicoli più piccoli rispetto alla Iss, e dovremo adattarci a vivere in spazi più ristretti, con meno comfort – dice Cristoforetti – Abbiamo anche iniziato un esperimento che riguarda la decalcificazione ossea. La nostra vita in orbita ci conferma quanto l’attività fisica sia importante per mantenere le ossa in buono stato fino in età avanzata. E questo è un problema che si verifica con percentuale più alta per noi donne”. Donne sempre più protagoniste anche nello spazio. Le candidature femminili per la nuova selezione dell’Esa sono molto aumentate: “Alla fine di quest’anno avremo tanti nuovi astronauti e tra loro diverse colleghe. Saranno proprio queste giovani ad aprire la strada per missioni verso la Luna e, si spera, un giorno verso Marte”. È stato nominato dalla Cristoforetti, dallo spazio, il risultato del concorso Spazio alle idee, lanciato dal Miur, per dare un nome alla futura rete satellitare per Osservazione della Terra dell’Asi, che sarà la più avanzata in Europa. La giuria, tutta di astronauti, ha deciso che si chiamerà Iride, “poiché nella mitologia greca era un veloce messaggero degli dei”.
A.L. START
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SOLAR ORBITER: INCONTRO RAVVICINATO CON IL SOLE
Spettacolari immagini del Sole sono state ottenute dalla sonda Solar Orbiter durante il suo passaggio ravvicinato dello scorso 26 marzo, quando si trovava a solo un terzo della distanza Terra-Sole, riuscendo così a catturare immagini dell’atmosfera solare con dettagli senza precedenti. Tra gli strumenti di bordo c’è il coronografo italiano Metis, finanziato e gestito dall’Agenzia spaziale italiana. Metis è il primo strumento del suo genere in grado di osservare la corona solare simultaneamente nella banda visibile e UV, fornendo così un quadro dettagliato sui processi che governano l’espansione del plasma solare nello spazio interplanetario. Grazie alla sua alta risoluzione, Metis ha potuto rivelare la struttura filamentare ed estremamente dinamica del plasma e dei campi magnetici associati. Osservazioni che aprono la strada a nuove indagini sui processi che determinano l’accelerazione del vento solare e i fenomeni che determinano la “meteorologia spaziale”. Quella di marzo è la prima di una serie di visite ravvicinate alla nostra stella: la prossima è prevista a ottobre. Grazie ad alcuni fly-by con Venere, Solar Orbiter inclinerà poi progressivamente la sua orbita, fino a poter osservare per la prima volta i poli del Sole, il cui studio consentirà di far luce sui meccanismi che governano i cicli di attività magnetica solare. Inquadra il QR per un reportage dal perielio di Solar Orbiter curato da Media-Inaf.
FOTOGRAFATA LA CODA DI SODIO DI MERCURIO
Questo strano oggetto giallastro che si vede sotto le Pleiadi non è una cometa e nemmeno una meteora, ma il pianeta Mercurio, che mostra una coda evidente, proprio come quella di una cometa. L’immagine eccezionale è stata ripresa il 27 aprile 2022 da Sebastian Voltmer sotto il limpido cielo dell’isola di La Palma, alle Canarie. La gigantesca coda giallo-arancio di Mercurio, di cui è stata stimata una lunghezza di circa 2,5 milioni di chilometri, è composta di atomi di sodio ed è generata dal vento solare e dalle micrometeoriti che investono la superficie del pianeta ed espellono da essa atomi di sodio. La ripresa è stata possibile grazie a particolari condizioni del cielo, in combinazione con l’applicazione di uno speciale filtro da 589 nm, sintonizzato sul bagliore giallo del sodio, che ha evidenziato la coda altrimenti invisibile. Che peraltro si è manifestata in singole esposizioni da 30 secondi. In riprese successive dello stesso autore, la coda ha manifestato piccolissimi cambiamenti nella sua forma, proprio come avviene nelle comete.
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VERSO LE ORIGINI DEL SISTEMA SOLARE
Il Sole si è formato all’interno di una grande nube molecolare, al centro di una piccola regione in contrazione. Le giovani stelle producono un bozzolo residuo di gas e polveri così come un disco entro il quale prende il via la formazione planetaria. Anche il giovane Sole aveva il suo bozzolo, la cosiddetta nebulosa solare (figura). La serie di passaggi che ha portato alla formazione planetaria è abbastanza chiara, anche grazie all’osservazione di molti dischi circumstellari di giovani stelle. Ma non sappiamo la tempistica: quanto ha impiegato il Sole per dissipare il suo bozzolo? Uno studio condotto da gruppo internazionale di ricercatori ha considerato il tempo di raffreddamento dei nuclei metallici nei planetesimi. Sono stati usati per questo i meteoriti, i più antichi testimoni del Sistema solare. Alcuni non hanno subito trasformazioni sin dalla loro formazione: addirittura, sono state trovate tracce dell’ambiente precedente la formazione del Sole. Altri manifestano delle trasformazioni e sono perciò rappresentativi delle fasi successive e raccontano storie di violente collisioni. Queste fasi violente e caotiche sono state relativamente rapide, nell’ordine dei 10 milioni di anni dopo l’inizio della formazione del Sistema solare. All’epoca i pianeti erano ancora degli embrioni, e conoscere tale fase cruciale può aiutare a capire come si siano accresciuti. Vedi la news completa su bit.ly/3MXlf1T
G.D. NEWS

URANO E NETTUNO: FRATELLI DIVERSI
Urano e Nettuno sono “pianeti ghiacciati” con masse, dimensioni e composizioni atmosferiche simili. Ma Nettuno ha stranamente un colore nettamente più blu del pallido Urano. Uno studio recente spiega questa differenza basandosi su osservazioni a diverse lunghezze d’onda, dall’ultravioletto al vicino infrarosso, effettuate con il telescopio Gemini North alle Hawaii e utilizzando dati d’archivio dell’Infrared Telescope Facility della Nasa, anch’esso alle Hawaii, e del telescopio spaziale Hubble. Le osservazioni sono state integrate su un modello sviluppato per descrivere l’atmosfera dei due pianeti. Il modello consiste in tre strati di aerosol a diverse altezze, dove lo strato chiave è quello centrale, che si presenta come una sorta di foschia, più spessa su Urano che su Nettuno. Su entrambi i pianeti, il ghiaccio di metano si condensa sulle particelle di questo strato e le trascina più in profondità, producendo delle nevicate di metano. Poiché Nettuno ha un’atmosfera più turbolenta di quella di Urano, è più efficiente nel sollevare le particelle di metano nello strato di foschia e nel produrre questa neve. Questo meccanismo rimuove una maggiore quantità di foschia e mantiene lo strato più sottile di quello di Urano, rendendo più intensa la sua colorazione blu. Inquadra il QR per un video di Media-Inaf sui “fratelli diversi” del Sistema solare.

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PRIMA VENNERO LE ESOCOMETE
DI BETA PICTORIS
Negli anni 80, gli astronomi scoprirono che la giovane stella Beta Pictoris ospitava un disco circumstellare formato da polveri e gas. Trovandosi a soli 63,4 anni luce di distanza, il suo disco è diventato un laboratorio ideale per studiare i processi che portano alla formazione dei sistemi planetari. Sin dal 1987 fu dimostrata la presenza attività di tipo cometario nella regione interna del disco: le comete di Beta Pictoris furono così i primi oggetti non stellari individuati fuori dal Sistema solare, prima della scoperta degli esopianeti. Decenni di osservazioni delle esocomete (anche su poche altre stelle) hanno fornito informazioni importanti sull’attività dei corpi minori nei primi milioni di anni di vita di una stella, processi analoghi a quelli che avvennero nella nebulosa che circondava il nostro giovane Sole circa 4,5 miliardi di anni fa. Finora, le osservazioni delle esocomete erano limitate alla parte gassosa delle loro code, sondate dalla spettroscopia di transito. Recentemente, utilizzando dati ottenuti dal satellite Tess, sono stati individuati anche una trentina di eventi fotometrici dovuti alle code polverose in transito sul disco stellare, e si è riusciti a prendere le misure dei nuclei cometari. La distribuzione osservata nelle dimensioni di queste esocomete è simile a quella presente nel Sistema solare e probabilmente è comune a tutti i sistemi planetari in formazione, essendo prodotta da un processo a cascata di collisioni reciproche. Leggi la news completa su bit.ly/3au9Vfg
G.D.
UNA PULSAR AL RALLENTATORE
Conosciamo circa 3000 stelle di neutroni, resti densissimi dell’esplosione di stelle massicce. La popolazione di stelle di neutroni che emettono impulsi radio, le pulsar, comprende oggetti con periodi di rotazione dai millisecondi fino alle decine di secondi. Man mano che invecchiano, le pulsar rallentano, sino a quando l’emissione cessa, dopo alcuni milioni di anni. Una nuova pulsar batte tutte quelle conosciute sinora per lentezza di rotazione. Si tratta di PSR J0901-4046, scoperta al radiotelescopio MeerKAT in Sud Africa da un gruppo internazionale guidato da Manisha Caleb dell’Università di Sydney, che ha rilevato un insolito segnale radio ricorrente ogni 76 secondi. In realtà, la pulsar esibisce almeno sette altri diversi tipi d’impulsi, tipici delle classiche pulsar, delle magnetar a periodo ultra lungo e persino dei lampi radio veloci. Ha un’età di 5,3 milioni di anni e non è chiaro come produca la sua emissione: in teoria dovrebbe già risiedere nel “cimitero delle stelle di neutroni”, cioè non emettere più onde radio. Il gruppo pensa che potrebbe appartenere alla classe teorizzata delle magnetar a periodo ultra-lungo, oggetti compatti con campi magnetici estremamente forti. “Probabilmente ce ne sono molte altre là fuori. Dobbiamo solo guardare”, afferma Caleb. Inquadra il QR per una animazione di questa nuova pulsar.
G.D.
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QUBIC, UN NUOVO STRUMENTO PER L’UNIVERSO PRIMORDIALE
La collaborazione Qubic (Q&U Bolometric Interferometer for Cosmology), che coinvolge 130 ricercatori di Francia, Italia, Argentina, Irlanda e Regno Unito, sta realizzando un telescopio per lo studio dell’Universo appena nato che si avvarrà di una tecnica innovativa. Qubic osserverà e mapperà le proprietà del fondo cosmico a microonde, l’eco residua del Big Bang, concentrandosi sulla misura della polarizzazione di questa radiazione. Un fenomeno che potrebbe rivelare le perturbazioni indotte dalle onde gravitazionali generate nei primi istanti di vita dell’Universo. Il progetto vede l’Italia protagonista, grazie all’Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e alle Università di Milano e di Roma. Qubic osserverà il cielo a partire dalla fine del 2022, dal sito desertico di Alto Chorrillo alla quota di 5000 metri in Argentina. Dopo il suo sviluppo e l’integrazione avvenuta presso i laboratori delle Università e degli enti di ricerca coinvolti nella collaborazione, Qubic è attualmente sottoposto alle calibrazioni e test di laboratorio in Argentina. Si tratta di un “interferometro bolometrico”, in grado di misurare l’energia della radiazione del fondo cosmico trasformandola in calore, con la precisione tipica degli strumenti interferometrici. Dall’interpretazione dei segnali prodotti da Qubic (foto), si spera di fornire una prova diretta della teoria dell’inflazione.
L’HUBBLE CINESE IN ORBITA NEL 2023
La Cina ha in programma di lanciare il suo più grande telescopio spaziale a fine 2023. Si chiama Xuntian, “Sentinella celeste”, e ha l’obiettivo di mappare nel visibile e nell’ultravioletto il 40% del cielo profondo nei dieci anni di vita operativa prevista dall’orbita bassa. Ha uno specchio primario da 2 metri di diametro, simile a quello di Hubble, ma per portare a termine il suo compito ha un campo visivo 350 volte più ampio di quello del venerando telescopio spaziale di Nasa ed Esa. La sua caratteristica più peculiare è però la capacità di attraccare alla stazione spaziale cinese Tiangong, i cui taikonauti si occuperanno della sua manutenzione e del suo rifornimento. Xuntian disporrà di una camera da 2,5 miliardi di pixel con cui osserverà lo spazio extragalattico e raccoglierà dati su materia ed energia oscura. Inoltre, ospiterà quattro strumenti scientifici per il rilevamento di comete e asteroidi, lo studio dei buchi neri supermassicci, l’imaging diretto degli esopianeti e la mappatura delle regioni di formazione stellare della Via Lattea.
D.L.
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IN ADDESTRAMENTO L’EQUIPAGGIO DI POLARIS DAWN
SpaceX e l’imprenditore Jared Isaacman portano avanti l’esplorazione spaziale umana commerciale con il programma Polaris. Questo consiste in tre missioni: due a bordo della capsula Crew Dragon e l’ultima a bordo della nave spaziale Starship, che non ha però ancora eseguito nemmeno un viaggio orbitale. La prima di queste, Polaris Dawn, dovrebbe partire a novembre e avrà come capitano lo stesso Isaacman, già comandante della missione Inspiration 4. A bordo, assieme a lui, il suo collega e amico Scott Poteet e due dipendenti SpaceX: Sarah Gillis e Anna Menon. Queste ultime erano impegnate nel supporto della missione Crew-3, ma, dopo il rientro avvenuto a maggio, i quattro di Polaris Dawn hanno potuto cominciare l’allenamento e le immersioni per eseguire la prima “passeggiata spaziale” civile. La capsula verrà depressurizzata e due dei quattro passeggeri usciranno nello spazio aperto. Un altro record della missione sarà quello di raggiungere l’orbita terrestre più ellittica mai sperimentata: Isaacman vuole sfidare le radiazioni cosmiche e portare la Crew Dragon a ben 1400 km dal pianeta, battendo il primato delle missioni Gemini di 1368 km. Nella foto, l’equipaggio di Polaris Dawn al quartier generale di SpaceX ad Hawthorne, in California.