Brain. Novembre 2023

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Anno IV | N. 11 | Novembre 2023

PATRIOSKA Così il patriarcato soffoca le donne nel loro silenzio

Il narcisita manipolatore. Ecco l’identikit

La psicopatologia attraverso il visore del metaverso

Se la terapia è una passeggiata nei boschi

Con i contributi di Barillà, Cattolico, Cuomo, Fagiolini, Gazzanni, Koukouna, Mariantoni, Necci, Pardossi, Piccinni, Pietrini, Saraff, Tundo.


Libri fuori dal tempo e dalle mode Giuseppe Quaranta LA SINDROME DI RÆBENSON

Finalista al Premio Calvino 2023

Un esordio coinvolgente e perturbante tra Borges e Labatut Uno psichiatra, nell’aiutare un collega più anziano, Antonio Deltito, che all’improvviso manifesta i sintomi di una strana condizione mentale, viene a conoscenza di un nuovo morbo, che alcuni chiamano la sindrome di Ræbenson. La misteriosa malattia condurrebbe a una sorta di immortalità, impedendo a chi ne viene colpito di morire di morte naturale, ma sviluppando nel malcapitato dei sintomi incompatibili con l’esistenza del resto degli uomini. Il narratore, tra tutti coloro che incrociano le sorti del suo amico e collega, è l’unico che crede all’esistenza di questa malattia e quando il suo amico muore suicida, la sindrome diventa per lui una vera ossessione, che lo porterà a seguire le flebili tracce di chi, come Deltito, potrebbe essere stato un raebensoniano. Le sue ricerche lo condurranno infine a domandarsi però se invece di una “sindrome” da cui sono affetti, i raebensoniani non siano piuttosto una linea finora sconosciuta, o meglio segretamente celata, dell’evoluzione umana... Affascinante e perturbante, idealmente tra Borges, Maurensig ed Eliade, La sindrome di Ræbenson è la straordinaria ed erudita opera prima di un giovane scrittore, psichiatra di professione, che tesse un romanzo usando verità scientifiche e suggestioni filosofiche e post-umane che portano il lettore a chiedersi non solo ciò che è possibile conoscere della mente altrui, ma anche quale sia davvero il significato della nostra vita sulla Terra.

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EDITORIALE

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L’orrore della cronaca e la necessità di capire di Armando Piccinni

Sono giorni di sofferenza e rabbia per tutti noi. Per noi padri, mariti, fidanzati, nonni, fratelli. Uomini e donne. Sono giorni di impotenza di fronte all’orrore che la cronaca ci consegna, e che non può lasciarci inermi. La drammatica vicenda di Giulia Cecchettin - la giovanissima uccisa da Filippo Turetta, il suo ex ragazzo, nella zona industriale di Fossò, a due passi da Venezia - ha scosso l’opinione pubblica, e i nostri cuori. Per questo, d’accordo con l’intera redazione, abbiamo deciso di dedicare questo numero a Giulia e a tutte le donne vittime di femminicidio in Italia. Ad oggi - 21 novembre 2023 - sono 101. Una strage ancora troppo silenziosa, che vede ogni tre giorni una donna ammazzata. Una strage fatta di storie, di nomi e cognomi che abbiamo deciso di pubblicare in fondo a questo numero che è interamente focalizzato sul femminiciio fin dalla copertina, firmata dal talentuoso artista Giacomo Marguglio, che ha deciso di farcene dono. Appare ancora più drammatico che questa straziante vicenda avvenga a una manciata di giorni dal 25 novembre quando in tutto il mondo - dal 1999 - si celebra

la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne. Una data scelta per ricordare il brutale assassinio delle sorelle Mirabal - Patria, Minerva e María Teresa - a tutti gli effetti figure iconiche nella storia della Repubblica Dominicana; attive nella resistenza contro la dittatura di Rafael Trujillo, furono brutalmente assassinate il 25 novembre 1960. Un evento che segnò un punto di svolta nella lotta contro il regime. La loro storia è diventata un simbolo globale di lotta e resistenza contro l’oppressione e l’ingiustizia, in particolare per i diritti delle donne. In Italia, come nel resto del mondo, il ricordo delle tre sorelle Mirabal - e oggi, alla luce della cronaca, ancora di più - è vivissimo, fondamentale per sensibilizzare rispetto alle questioni di violenza di genere e oppressione, vessillo contemporaneo della lotta per la giustizia e l’uguaglianza. Molta strada in questi anni è stata fatta, ma attraverso il nostro primo piano, nonché nel nostro dossier ricco di dati, è evidente come tanto lavoro sia ancora quello da portare a termine. Ad oggi la violenza sulle donne rima-

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EDITORIALE

ne un problema globale critico, con implicazioni profonde e durature non solo per le vittime ma anche per la società nel suo complesso. Basti pensare che secondo il rapporto del 2021 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), circa 1 donna su 3 (30%) nel mondo ha subito violenza fisica e/o sessuale da parte di un partner intimo o violenza sessuale da parte di una persona non partner nella sua vita. Questi dati sottolineano l’ampiezza del problema, che ha evidenti e significative conseguenze sulla Salute Mentale delle donne coinvolte, ma anche dei loro figli, famigliari ed amici. Le ricerche dimostrano che l’esposizione alla violenza domestica e di genere ha un impatto significativo sulla salute mentale delle donne, aumentando il rischio di sviluppare disturbi come PTSD, depressione, ansia e disturbi alimentari. Un recente studio americano ha rivelato che le donne che hanno subito violenza domestica hanno il doppio delle probabilità di sviluppare depressione e quasi il

doppio delle probabilità di avere problemi di abuso di alcol. Per questo è essenziale che i professionisti della salute mentale siano dotati di strumenti e tecniche specifici per affrontarne le conseguenze. La prevenzione e la sensibilizzazione restano oggi più fondamentali che mai. È cruciale promuovere la consapevolezza su questa tematica non solo tra i professionisti della salute mentale, ma anche nella società in generale. Campagne di sensibilizzazione pubblica, formazione sui segnali di allarme e promozione di una cultura di non violenza sono passi cruciali per prevenire, non dimenticando che è necessario un impegno collettivo e multidisciplinare. Come professionisti della salute mentale, abbiamo la responsabilità di essere in prima linea in questo sforzo, applicando le nostre conoscenze e competenze per fornire supporto, intervento e prevenzione efficaci. Giorno dopo giorno. Perché non ci siano più vittime. Perché non ci siano più Giulie.




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Anno IV | N. 11 | Novembre 2023

SOMMARIO Illustrazione di copertina di Giacomo Marguglio.

PATRIOSKA Così il patriarcato soffoca le donne nel loro silenzio

Il narcisita manipolatore. Ecco l’identikit

La psicopatologia attraverso il visore del metaverso

Se la terapia è una passeggiata nei boschi

Con i contributi di Barillà, Cattolico, Cuomo, Fagiolini, Gazzanni, Koukouna, Mariantoni, Necci, Pardossi, Piccinni, Pietrini, Saraff, Tundo.

EDITORIALE

3 L’orrore della cronaca

e la necessità di capire di Armando Piccinni PRIMO PIANO

10 I dati della violenza: l’Italia non è un Paese per donne di Flavia Piccinni

14 La violenza di genere:

un problema fin da ragazzi di Bianca Lupi

Brain Anno IV | N. 11 | Novembre 2023 Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org Direttore responsabile: Armando Piccinni Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca

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16 “Sopravvissuta a un uomo che mi ha fatto violenza psicologica” di Flavia Piccinni

18 Violenza nella coppia: Liliana

e la sua prigionia durata trent’anni di Flavia Piccinni

20 Identikit del narcisista manipolatore: ecco come riconoscerlo di Martina Gaudino

24 Così possiamo sfatare i miti

e combattere la violenza di genere di Valentina Formica PRIMO PIANO - CONTRIBUTO

28 Nella mente dello stalker

di Antonio Tundo e Roberta Necci L’INCHIESTA

34 Ecco la mappa delle emozioni

CONTRIBUTO

50 Psicofarmaci durante l’allattamento: bilanciare rischi e benefici di AA. VV. #PARLIAMONE

52 Ecco perché il patriarcato è una matrioska di Chiara Andreotti NEUROSCIENZE

56 Il potere curativo della natura: benefici nel cervello dopo un’ora trascorsa tra gli alberi di Chiara Andreotti

60 Approvata negli Usa la prima pillola antidepressiva rapida di Chiara Andreotti

62 Ebbene sì, anche gli animali sono dotati di immaginazione

nelle persone di tutto il mondo

di Alessia Vincenti

di Giovanni Saraff

FILM

L’APPROFONDIMENTO

38 Psichiatria digitale: diagnosi ed etica si affacciano sul mondo dell’IA di Martina Gaudino

41 Trappole per pazienti

con l’autodiagnosi sui social di Chiara Andreotti

42 Il metaverso e la psicopatologia: un nuovo orizzonte nella salute mentale di Valentina Formica

64 Da “Women talking” a “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” e “Tonya” di Chiara Andreotti LIBRI

66 Giulio Cavalli: la distopia sul dramma del femminicidio di Flavia Piccinni PODCAST

67 Informazione e cultura della solidarietà on-air di Flavia Piccinni TITOLI DI CODA

46 L’autismo sotto un altro punto di vista: la sfida dell’ansia di Giovanni Saraff

Le vittime del femminicidio

69 in Italia dal 1° gennaio al 21 novembre 2023


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I DATI DELLA VIOLENZA: L’ITALIA NON È UN PAESE PER DONNE Violenze, percosse, minacce Il mostro è dentro casa o sul posto di lavoro di Flavia Piccinni


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ono i dati a fornire gli elementi centrali del tempo che stiamo vivendo. Ed è per questo che abbiamo deciso di accompagnarvi in viaggio per il nostro Paese attraverso le ultime rilevazioni ISTAT, che svelano come l’Italia non sia affatto un paese per donne. Partiamo da questo assunto: il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Ma non è tutto. Perché spesso il dramma accade - come potrete scoprire dalle due testimonianze che completano questo primo piano di Brain - quando la porta di casa si chiude, e si crede di essere al sicuro. Le donne che hanno denunciato, e rispetto a questo bisogna segnalare che il sommerso è del tutto imponderabile, ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner nel 13,6% dei casi (2 milioni 800 mila donne), in particolare il 5,2% (855 mila) dal partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner. La maggior parte di quelle che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa delle violenza subita (68,6%), e per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, mentre per il 26,8% è stato un elemento importante. Da segnalare come il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro. Se vi state chiedendo a che tipo di

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Il 31,5% delle 1670enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale

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soprusi vengono sottoposte le donne, vi troverete davanti a un muro di alternative. Le donne subiscono minacce (12,3%), sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%), altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1%). Meno frequenti le forme più gravi come il tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia o l’uso di armi. Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%). Ancora una volta, il mostro è dentro casa (o sul posto di lavoro). Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti

o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8% fra tutte le violenze commesse da sconosciuti). Le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corso della vita (31,3% e 31,5%). La violenza fisica è più frequente fra le straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%). Le straniere sono molto più soggette a stupri e tentati stupri (7,7% contro 5,1%). In questa lista atroce, sono le donne moldave (37,3%), rumene (33,9%) e ucraine (33,2%) quelle che subiscono più violenze. Le donne straniere, contrariamente alle italiane, subiscono soprattutto violenze (fisiche o sessuali) da partner o ex partner (20,4% contro 12,9%) e meno da altri uomini (18,2% contro 25,3%). Le donne straniere che hanno subìto violenze da un ex partner sono il 27,9%, ma per il 46,6% di queste, la relazione è finita prima dell’arrivo in Italia. Per comprendere i cambiamenti nel tempo del fenomeno della violenza contro le donne, può essere utile il confronto fra gli ultimi cinque anni e il periodo 2000-2005 già oggetto di ricerche approfondite da parte di ISTAT. Negli ultimi 5 anni il numero di donne che hanno subìto almeno una forma di violenza fisica o sessuale ammonta a 2 milioni 435 mila, stiamo parlando dell’11,3% delle donne dai 16 ai 70 anni. Quelle che hanno subìto violenza fisica sono 1 milione 517 mila (il 7%), le vittime della violenza sessuale sono 1 milione 369 mila


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(il 6,4%); le donne che hanno subìto stupri o tentati stupri sono 246 mila, (1,2%), di cui 136 mila stupri (0,6%) e circa 163 mila tentati stupri (0,8%). La violenza nelle relazioni di coppia, negli ultimi 5 anni, ha riguardato il 4,9% delle donne (1 milione 19 mila), in particolare il 3% (496 mila) delle donne attualmente con un partner e il 5% (538 mila) delle donne con un ex partner. Considerando solo le donne che hanno interrotto una relazione di coppia negli ultimi 5 anni, la violenza subìta sale al 12,5%. Nel confronto con i cinque anni precedenti al 2006 si colgono importanti segnali di miglioramento: diminuiscono la violenza fisica e sessuale da parte dei partner attuali e da parte degli ex partner, e cala pure la violenza sessuale (in particolare le molestie sessuali, dal 6,5% al 4,3%), perpetrata da uomini diversi dai partner. Non si intacca però lo zoccolo duro della violenza nelle sue forme più gravi (stupri e tentati stupri) come pure le violenze fisiche da parte dei non partner mentre aumenta la gravità delle violenze subite. Oltre alla violenza fisica o sessuale le donne con un partner subiscono anche violenza psicologica ed economica, cioè comportamenti di umiliazione, svalorizzazione, controllo ed intimidazione, nonché di privazione o limitazione nell’accesso alle proprie disponibilità economiche o della famiglia. La violenza psicologica è in forte calo rispetto al 2006, e diminuisce l’incidenza soprattutto di quella meno grave, ovvero non accompagnata a violenza fisica e sessuale (dal 35,9% al 22,4%). Una percentuale non trascurabile di donne ha subito anche atti persecutori, ovvero è stata vittima di stalking. Si stima che il 21,5% delle donne fra i 16 e i 70 anni (pari a 2 milioni 151 mila) abbia subito com-

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portamenti persecutori da parte di un ex partner nell’arco della propria vita. Se si considerano le donne che hanno subito più volte gli atti persecutori queste sono il 15,3%. Lo stalking è stato subito anche da altre persone, nel 10,3% dei casi per un totale di circa 2 milioni 229mila donne. Complessivamente, sono circa 3 milioni 466 mila le donne che hanno subìto stalking da parte di un qualsiasi autore, pari al 16,1% delle donne. Nei casi di autore diverso da un ex-partner le donne hanno subito stalking da conoscenti (nel 4,2% dei casi), sconosciuti (3,8%), amici o compagni di scuola (1,3%), colleghi o datori di lavoro (1,1%), dai parenti e dai partner con cui la donna aveva al momento dell’intervista una relazione (entrambi nello 0,2% dei casi). Gli autori di stalking sono maschi nell’85,9% dei casi a fronte di un 14,1% di femmine. Il 78% delle vittime non si è rivolta ad alcuna istituzione e non ha cercato aiuto presso servizi specializzati; solo il 15% si è rivolta alle forze dell’ordine, il 4,5% ad un avvocato, mentre l’1,5% ha cercato aiuto presso un servizio o un centro antiviolenza o anti stalking. Tra queste solo il 48,3% delle donne che si sono rivolte a istituzioni o servizi specializzati ha poi denunciato o sporto querela, il 9,2% ha fatto un esposto, il 5,3% ha chiesto l’ammonimento e il 3,3% si è costituita parte civile, a fronte di un 40,4% che non ha fatto alcunché. Tra le vittime che non si sono rivolte a istituzioni o a servizi specializzati, una su due afferma di non averlo fatto perché ha gestito la situazione da sola. E questo ci dimostra, ancora una volta, quanto sia importante diffondere una cultura dell’aiuto, della solidarietà e dell’ascolto. Quanto sia fondamentale, nella nostra società, far capire alle donne che non sono sole. Né adesso, né mai.

Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%).

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LA VIOLENZA DI GENERE: UN PROBLEMA FIN DA RAGAZZI Un report di Fondazione Libellula aiuta a far luce su quello che accade fra i giovanissimi.

di Bianca Lupi

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irca 400 adolescenti tra i 14 e i 19 anni. Uno studio che ha messo al centro della riflessione la violenza di genere, e le conseguenze che può produrre. La necessità di capire che cosa provano i ragazzi, e cosa pensano di temi come sessualità, privacy, rispetto e possessività. E’ questo quello che ha portato avanti con “Teen Community” la Fondazione Libellula, arrivando a dei dati che evidenziano chiaramente come la disparità di genere sia un problema attualissimo, rispetto alle cui conseguenze ogni giorno siamo chiamati a confrontarci. Per capire qualcosa di più, ne abbiamo parlato con la Presidente e fondatrice di Fondazione Libellula, la dott.ssa Debora Moretti. Il 48% degli intervistati racconta di aver vissuto contatti fisici indesiderati, mentre il 43% ha confessato di aver subito richieste sessuali non desiderate. La percentuale di ragazze vittime è nettamente superiore

rispetto ai ragazzi, mostrando una disparità di genere evidente. Come si spiega questo dato? Si spiega con il fatto che abbiamo dovuto persino istituire una giornata per riconoscere che la violenza contro le donne – e le adolescenti di oggi sono le donne di domani - è un fenomeno sistemico e non un episodio casuale. Non è un caso se avviene un femminicidio ogni tre giorni. Non è un caso se, come riporta la nostra survey, solo il 22% dei ragazzi ha risposto che non è per niente d’accordo con la frase “Se una ragazza dice no, in realtà vorrebbe dire di sì”. Non è un caso se, per una donna che ha subito violenza, l’aver bevuto è un pretesto per dire che “se l’è andata a cercare”, mentre per l’uomo che esercita la violenza il fatto che fosse ubriaco diventa un’attenuante, perché “non era in sé”. Stesso comportamento, interpretazione diversa. Doppio standard. I dati ci devono servire come campanello d’allarme; se non agiamo subito per


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un cambiamento culturale che decostruisca la violenza di genere, niente cambierà. Questi dati sottolineano la necessità di interventi mirati per sensibilizzare le nuove generazioni. Avete sottolineato la necessità di responsabilizzare scuole e famiglie, promuovendo una riflessione attiva tra i giovani. Cosa credete sia necessario fare? Affinché ci sia un cambiamento culturale, la sensibilizzazione e la responsabilizzazione deve essere collettiva. Il problema non è solo delle e degli adolescenti, ma della comunità intera, anche perché i giovani non si sono “inventati” la violenza di genere: l’hanno ereditata da noi. Secondo un’altra nostra survey, L.U.I. (Lavoro, Uomini, Inclusione), condotta su oltre 2000 uomini a febbraio, è emerso che quasi 1 uomo su 2 pensa che la violenza contro le donne non lo riguardi. Questo significa che ancora non riusciamo a comprendere davvero la violenza di genere in tutte le sue forme, non solo le più estreme, ma anche quelle più subdole: il commento sessista, il catcalling, la manata sul sedere per “goliardia”, perché non ci è stato detto che quella è in realtà “molestia”. Per riconoscere il fenomeno, dobbiamo usare le parole giuste, per questo è fondamentale portare l’educazione all’affettività, alla sessualità e all’equità di genere nelle scuole. Ma anche le persone adulte dovrebbero fare formazione sul consenso, la violenza e l’equità di genere. Che queste persone siano genitori, che siano docenti, che non siano nessuno di questi due ruoli, tanto siamo una comunità educante in ogni caso: è il nostro esempio che parla. Poi, dato che per gli adolescenti il gruppo dei pari è fondamentale, consigliamo anche di formare gruppi di “Ambassador” tra gli e le studenti che siano formati/e sull’argomento e possano fare divulgazione nel contesto scolastico. E lo stes-

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so si potrebbe fare nel corpo docente. E anche nelle aziende, dove possiamo formare le persone adulte e intercettare padri, madri, zie, zii… In che modo si costruisce la consapevolezza e il rispetto reciproco? Chiedendo, informandosi. Non temendo di rimettere in discussione ciò che ci è stato insegnato sulle questioni di genere. Partendo prima di tutto da noi e dagli stereotipi che abbiamo: non esiste persona sulla terra che ne sia priva, il nostro cervello ne ha “bisogno” per semplificare la complessità della realtà. Non dobbiamo percepirla come una colpa, ma una responsabilità: possiamo allenarci a riconoscere i meccanismi automatici e cambiarli. E poi parlarne sempre, parlarne ovunque, anche sul posto di lavoro, che non è una scuola ma è comunque un luogo dove si fa cultura. Se è nel silenzio che la violenza trova terreno fertile, allora dobbiamo parlare di violenza. Tutti e tutte.

“Abbiamo dovuto persino istituire una giornata per riconoscere che la violenza contro le donne – e le adolescenti di oggi sono le donne di domani - è un fenomeno sistemico e non un episodio casuale”.

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“SOPRAVVISSUTA A UN UOMO CHE MI HA FATTO VIOLENZA PSICOLOGICA” La storia di Maria T. e della sua lunga guarigione da una relazione abusante

di Flavia Piccinni

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a mia storia è davvero complessa, ma tutto è iniziato come un sogno d’amore. Ero innamorata e credevo che la relazione con il mio partner fosse speciale. Ma ben presto, le cose hanno preso una piega diversa”. Mi parla così Maria T., 39 anni, che ha dovuto lasciare la città dove era nata e cresciuta per sfuggire all’uomo che le giurava amore, e che in realtà per anni l’ha abusata psicologicamente. “I primi mesi - rivela sono stati bellissimi: mi assecondava, sembrava tenerci davvero a me. Si interessava a tutto quello che facevo, e mi ha sorpreso in tanti modi. Un esempio? Una volta sono arrivata all’aeroporto all’alba, e lui si è fatto quattrocento chilometri per venirmi a prendere. Poi però le cose sono cambiate”.

In che modo? Ha cominciato a criticare prima ogni tanto, poi costantemente, ogni mia azione. E così, in modo del tutto naturale e puntuale, ha iniziato a minare la mia autostima. Mi faceva sentire inadeguata e mi diceva che ero fortunata a stare con lui. Poi è passato a controllare ogni aspetto della mia vita: le persone con cui parlavo, le mie amicizie, i miei social media. E in due anni, senza che io me ne rendessi conto, era riuscito a isolarmi da chiunque potesse darmi supporto. Ricorda un episodio specifico di questa violenza psicologica? Un episodio che non dimenticherò mai è quando ho organizzato una cena con amici senza chiedere il suo permesso. Quando lo ha scoperto, ha iniziato a urlare e a insultarmi, dicendomi che ero irresponsabile e


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che non avevo il diritto di prendere decisioni senza consultarlo. Quella notte mi ha fatta sentire completamente inutile. In quel momento, ho cercato di giustificare le sue reazioni, pensando che forse aveva ragione. Siamo rimasti insieme molti anni, e io ho cercato di rigare sempre dritto. “Riga dritto”, mi ammoniva ogni giorno. Un giorno poi, quasi fosse stata un’illuminazione, di fronte all’ennesimo divieto ho capito che non era normale e che stava cercando di controllare ogni aspetto della mia vita. In questo mi ha aiutato molto una mia amica, l’unica con cui a sua insaputa avevo continuato a mantenere rapporti. È stata lei ad aiutarmi ad aprire gli occhi. La manipolazione emotiva è centrale in queste storie di abusi. So che c’è stato un altro episodio di violenza psicologica che ci tieni a condividere. Un altro momento critico è stato quando ha iniziato a minacciare di lasciarmi se non facevo esattamente

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ciò che voleva. Aveva un modo subdolo di manipolarmi emotivamente, facendomi sentire come se non potessi vivere senza di lui. Non è stato semplice superare questa impasse. Inizialmente, avevo paura di perderlo, ma poi ho realizzato che meritavo di più. Ho iniziato a cercare supporto esterno e ho finalmente trovato la forza, grazie anche a questa mia amica, per mettere fine a quella relazione tossica. È per questo che ci tengo a lanciare un messaggio. Quale? Di non rimanere in silenzio. La violenza psicologica è reale e può essere altrettanto dannosa quanto quella fisica. Non dovete sentirvi soli. Cercate aiuto, parlate con qualcuno di fiducia, e non abbiate paura di cercare il supporto di un terapeuta o di un’organizzazione che si occupa di violenza domestica. La guarigione è possibile, anche se è un percorso difficile. È importante riconquistare la propria vita e la propria dignità.

Ha cominciato a criticare prima ogni tanto, poi costantemente, ogni mia azione. E così, in modo del tutto naturale e puntuale, ha iniziato a minare la mia autostima.

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VIOLENZA NELLA COPPIA: LILIANA E LA SUA PRIGIONIA DURATA TRENT’ANNI “Ha cominciato, letteralmente, a considerarmi una cosa sua, controllando tutto ciò che facessi

di Flavia Piccinni

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elazione tossica. Violenza psicologica. Minacce. Abusi sessuali. La storia di Liliana D., professoressa di un liceo nel Nord Italia, è la storia di una donna che ha vissuto metà della sua esistenza nel terrore, affrontando in una complessa dinamica dicotomica le sue giornate: a scuola e con le colleghe si mostrava forte e coraggiosa, ma in casa - quando la porta si chiudeva, e restava sola con suo marito - sprofondava in quello che definisce “un abisso”. Conosco Liliana D. attraverso un’amica che fa parte della sua “seconda vita”, quella cioè in cui ha messo da parte la paura, la sudditanza e la schiavitù in cui era sprofondata per decenni a favore di se stessa. Iniziamo dall’inizio. La tua storia dura quasi trent’anni.

È una storia lunga, e dolorosa. Francamente non so identificare il momento in cui mi sono avviata al baratro e in cui quel piccolo paradiso domestico che credevo di aver creato è diventato una relazione tossica. Le cose, ora che ci penso, cose sono cambiate quando ho annunciato a mio marito di essere rimasta incinta. Da lì, e lentamente, tutto si è trasformato. In che modo? Ha cominciato, letteralmente, a considerarmi una cosa sua. Prima mi ha obbligato a sospendere il lavoro, poi voleva un controllo meticoloso di tutto ciò che facessi: da quello che dovevo mangiare, agli orari che dovevo tenere. Mi ero convinta che lo facesse perché divenuto protettivo, nei confronti miei e del futuro figlio


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che aspettavamo. Ma in realtà mi sbagliavo. Cosa è successo dopo? Mi sono sforzata di tollerare. Ormai eravamo una famiglia, e lasciarlo mi sembrava impossibile. Così ho attribuito la mia sensazione di disagio a problemi nella relazione, come le liti frequenti e la mancanza di comunicazione. Ma col passare del tempo, ho iniziato a notare che insisteva su atti sessuali che mi facevano sentire a disagio. Non avevo mai dato un consenso esplicito per alcune di queste pratiche, ma lui continuava comunque. Dopo il parto mi ha obbligato ad avere rapporti sessuali pochi giorni dopo. Quando io stavo ancora malissimo. Dev’essere stato molto difficile da sopportare. Hai cercato aiuto o supporto durante questa fase? Per anni sono rimasta in trappola in questa relazione. Se provavo a ribellarmi, erano botte e schiaffi. Ma era un buon padre, non ci faceva mancare niente, e io tolleravo. Inghiottivo l’amaro, come si suol dire. Poi una sera, quando ero tornata a casa più tardi dopo un collegio docenti, mi ha rimpiatto di botte. Era convinto che l’avessi tradito. In quel momento ho capito che no, non potevo continuare a tollerare. Cosa hai fatto allora? Mi sono confessata con un’amica, una delle poche che mi erano rimaste. Lei mi ha incoraggiata a cercare assistenza professionale. Ho contattato un consulente e ho iniziato a vedere un terapeuta per affrontare la situazione. Questo è stato un passo importante per me. All’inizio l’ho fatto in segreto. Per mesi, a essere sincera. Quando ho avuto la forza, ho detto basta. Come ti ha influenzato psicologicamente questa esperienza? La violenza sessuale ha avuto un

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impatto devastante sulla mia salute mentale. Mi sono sentita degradata, senza valore e piena di vergogna. Ho iniziato a soffrire di ansia e depressione, e il mio senso di identità è stato gravemente danneggiato. È stato difficile riprendersi. Hai consigli per altre persone che potrebbero trovarsi in una situazione simile? Vorrei dire a chiunque si trovi in una situazione simile di non sentirsi sola. Cercate aiuto, parlate con qualcuno in cui potete fidarvi. La violenza sessuale è inaccettabile e nessuno dovrebbe subirla. Trovate un terapeuta o un consulente, e cercate il supporto di organizzazioni che si occupano di violenza domestica. La guarigione è possibile, ma è un percorso difficile che richiede tempo e sostegno.

“Col passare del tempo, ho iniziato a notare che insisteva su atti sessuali che mi facevano sentire a disagio. Non avevo mai dato un consenso esplicito per alcune di queste pratiche, ma lui continuava comunque”.

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IDENTIKIT DEL NARCISISTA MANIPOLATORE: ECCO COME RICONOSCERLO Punto per punto le caratteristiche di questo disturbo psichico di Martina Gaudino


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el panorama scientifico e non, la diagnosi di un profilo come quello del narcisista manipolatore rischia erroneamente di essere confusa con una “moda”. Sempre più spesso, infatti, si sente parlarne in tv, se ne legge sui social, ma non sempre ciò che si intende è la realtà. Il disturbo narcisistico di personalità è qualcosa che va ben oltre l’immaginario di uomo che seduce e abbandona la sua preda. Il Disturbo Narcisistico di Personalità rientra, da un punto di vista scientifico, all’interno del gruppo dei disturbi di personalità ed esistono precisi criteri diagnostici per intercettarlo. Ne ha parlato a Brain lo psichiatra e sessuologo Marco Rossi, noto al grande pubblico anche per essere stato volto del programma “Loveline” su MTV. “Oggi esistono nove condizioni sintomatologiche per le quali, se ce ne sono almeno cinque, si può formulare la diagnosi di disturbo narcisistico di personalità” ha spiegato lo specialista illustrando una sorta di “checklist” che compone l’identikit di un soggetto con questo particolare tipo di disturbo. “Il primo punto è la grandiosità, cioè la sensazione di essere delle persone importanti spesso in modo immeritato” ha iniziato Rossi spiegando come “la persona che oggettivamente non è importante si sente invece la più importante del mondo, producendo un senso di grandiosità che va al di là di una normale percezione di se stessi”. Il secondo punto chiave è legato alle fantasie di illimitato successo, potere, amore e bellezza: “Queste persone fantasticano che loro saranno sempre bellissime, avranno sempre un potere incredibile, avranno sempre tutto l’amore che vogliono”. La lista prosegue con la sensazione di sentirsi assolutamente unici e speciali e per-

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“Il primo punto, nell’identikit del disturbo narcisistico della personalità, è la grandiosità, cioè la sensazione di essere delle persone importanti spesso in modo immeritato”.

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tanto non sempre alla portata di tutti. L’esperto ha infatti spiegato che “le persone che hanno questo disturbo si sentono uniche e, quando non capite, pensano che chi hanno di fronte non è così speciale da rientrare nella stretta cerchia di persone in grado di comprendere questa grandezza”. Il quarto punto della checklist mostra come questi soggetti chiedano in maniera eccessiva ammirazione e attenzione. “Chi soffre di questo disturbo è costantemente alla ricerca di attenzioni o ammirazione da parte degli altri” ha spiegato Rossi che ha poi precisato come sentano, ancora, un immeritato diritto di meritare migliori privilegi rispetto alle altre persone. “È questo il quinto punto della nostra lista: dato che loro sono unici, perfetti e importanti, hanno più diritto degli altri, meritano più privilegi rispetto agli altri perché sono persone particolari e speciali”. Il disturbo si connota anche per la tendenza a sfruttare gli altri per i propri interessi. “Questo – ha aggiunto lo psichiatra - è il senso della manipolazione: io sfrutto l’altro usando un’abilità comunicativa particolare per un mio interesse. È chiaro che alla base c’è mancanza di empatia verso le altre persone”. Il DSM non ha emozioni, non ha affettività, non ha empatia, tutto quello che provano gli altri, nel bene e nel male non interessa. “Sono persone totalmente impermeabili a quello che provano gli altri” ha aggiunto. Anche l’invidia persistente è un tratto preciso: “Mi riferisco proprio ad una invidia cattiva, il manipolatore narcisista lavora affinché gli altri stiano peggio, affinché possano cadere in disgrazia”. L’ultimo punto caratteristico tratteggiato da Rossi riguarda i comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntuosi. “Se ci sono almeno cinque di queste caratteristiche si può fare la diagnosi di

disturbo di personalità di tipo narcisistico” ha chiarito lo specialista che ha voluto sottolineare anche quanto sia semplice diagnosticare: “A noi professionisti del settore basta chiacchierare per un quarto d’ora, con lo screening che abbiamo detto in nove punti si riesce benissimo a comprendere se si ha davanti un manipolatore narcisista. Secondo recenti teorie solo l’un per cento della popolazione è narcisista con una


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prevalenza di uomini rispetto alle donne” ha spiegato. Esistono, tuttavia, altri aspetti che possono smascherare questi soggetti come la capacità a mentire. “Sono dei veri esperti a girare la realtà – ha proseguito Rossi – Non sono capaci di avere emozioni, sono il classico cuore di pietra che non prova emozioni per nessuno, neanche per la mamma, neanche in amore. Altro campanello d’allarme è il nascondere le cose: informazioni

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personali, indirizzi, numeri di telefono, rispondono sempre in modo evasivo”. I narcisisti manipolatori sono anche abili nell’elogiare gli altri: fanno complimenti che esaltano molto e fanno promesse che puntualmente non mantengono. “Sono poi persone abituate a fare favori ma solo per trarre un vantaggio personale, per far sì che si parli bene di loro” ha aggiunto Rossi che ha anche spiegato come “spesso usno il senso di colpa altrui per far stare male”. Tutte queste caratteristiche fanno pensare a persone deliberatamente crudeli ma lo psichiatra ha aggiunto che si tratta di una patologia vera e propria e che “non c’è volontarietà. Se vogliamo fare gli psicanalisti – ha proseguito - è un qualcosa che nasce nell’infanzia, nel momento in cui una persona deve cominciare a pensare a se stesso e allontanarsi dall’amore che ha ricevuto e che dovrebbe ricevere dai genitori. In realtà non riceve amore dai genitori e quindi a quel punto pensa di poter essere autosufficiente. Intendiamoci però: non si decide di diventare un narcisista manipolatore, si arriva ad esserlo”. Un grande problema rispetto a questa patologia è la mancata possibilità di diagnosi in quanto quasi mai questi soggetti chiedono aiuto: “Sono persone malate o persone che con grande difficoltà si può cercare di aiutare perché pensano che gli altri siano meno intelligenti” ha aggiunto l’esperto. Non mancano casi in cui il manipolatore tenti poi di manipolare il terapeuta: “Un bravo specialista riesce a individuare il tentativo: raccontano delle storie incredibili pur di riuscire nel loro intento. Se mi capita cerco di aiutarli anche se è molto difficile perché è complesso curare i disturbi di personalità. C’è una frangia della psichiatria che ritiene che i disturbi di personalità non siano curabili per definizione” ha concluso Rossi.

I narcisisti manipolatori sono anche abili nell’elogiare gli altri: fanno complimenti che esaltano molto e fanno promesse che puntualmente non mantengono. “Sono poi persone abituate a fare favori ma solo per trarre un vantaggio personale, per far sì che si parli bene di loro”.

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COSÌ POSSIAMO SFATARE I MITI E COMBATTERE LA VIOLENZA DI GENERE L’importanza dell’educazione e della sensibilizzazione

di Valentina Formica

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gni anno, il 25 novembre ricorre la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne. Questa giornata non è solo un momento di riflessione, ma anche un appello all’azione per combattere la violenza di genere in tutte le sue forme. In questo articolo, esploreremo il legame tra abbigliamento, stereotipi e violenza di genere, e come l’educazione e la sensibilizzazione possano rappresentare le chiavi per il cambiamento. Secondo le Nazioni Unite, una donna su tre in tutto il mondo ha subito violenza fisica o sessuale nella sua vita. Nel corso della pandemia da COVID-19, le violenze domestiche e la violenza di genere sono aumentate, con molte donne intrappolate in situazioni pericolose senza possibili-

tà di fuga. Inoltre, i dati relativi alla tratta di esseri umani mostrano che il 90% dei sopravvissuti sono donne e ragazze, spesso costrette nella schiavitù sessuale. La moda ha sempre giocato un ruolo cruciale nella nostra società, influenzando i gusti, i comportamenti e la percezione di se stessi. L’abbigliamento è un potente strumento di espressione personale, un modo per comunicare la nostra identità e la nostra personalità. Il concetto di “Dress for Impress” è ampiamente conosciuto. Ciò che indossiamo può comunicare chi siamo, ma dietro questa espressione di libertà individuale si nasconde un fenomeno sconcertante: il giudizio basato sull’abbigliamento delle donne e la convinzione secondo cui questo potrebbe condurre a violenza.


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L’abbigliamento di nessuno giustifica le molestie o la violenza. L’idea che l’abbigliamento di una donna possa “provocare” un’aggressione perpetua la colpevolizzazione delle vittime e distrae dal vero problema: il comportamento inaccettabile di coloro che perpetrano la violenza. Una delle sfide più gravi affrontate dalle vittime di violenza di genere è la colpevolizzazione. Troppo spesso, dopo un atto di violenza, le vittime si trovano a dover affrontare domande inappropriatamente giudicanti, come “Chissà com’era vestita?”. Questo tipo di domande riflette una mentalità dannosa che, invece di condannare gli aggressori, mette in discussione le vittime. È cruciale sottolineare che l’abbigliamento di una persona non può mai giustificare o scusare la violenza. La domanda “Chissà com’era

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vestita?” rappresenta una pericolosa inversione di colpa. Piuttosto che interrogarsi sul motivo per cui un aggressore ha compiuto un atto di violenza, si concentra l’attenzione sulla vittima, facendola sentire responsabile per l’aggressione subita. Questo atteggiamento contribuisce a perpetuare la cultura dello stupro. La violenza sessuale è un atto criminale, indipendentemente dalle circostanze. Nessun aspetto dell’immagine o del comportamento della vittima può essere utilizzato per giustificare o minimizzare il crimine commesso. La consapevolezza e l’educazione sono fondamentali per rompere questi stereotipi dannosi e assicurarsi che le vittime ricevano il supporto e la giustizia di cui hanno bisogno. Per affrontare questo problema è necessario un cambiamento

Secondo le Nazioni Unite, una donna su tre in tutto il mondo ha subito violenza fisica o sessuale nella sua vita. Nel corso della pandemia da COVID-19, le violenze domestiche e la violenza di genere sono aumentate, con molte donne intrappolate in situazioni pericolose senza possibilità di fuga.

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La Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne ci ricorda l’importanza di rompere il silenzio. Molte donne che subiscono violenza si sentono isolate e spaventate a parlarne. È fondamentale creare spazi sicuri e accoglienti in cui le vittime possono denunciare gli abusi e cercare aiuto senza paura di ritorsioni.

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culturale, che inizia con il modo in cui raccontiamo queste storie. Dobbiamo spiegare che la responsabilità della violenza è dell’aggressore, non della vittima, smettendo di giudicare le donne in base a ciò che indossano. Sono sconcertanti i risultati di un recente studio condotto da ActionAid e Ipsos su un campione rappresentativo di 800 giovani tra i 14 e i 19 anni, il quale ha rivelato opinioni preoccupanti sull’interazione tra abbigliamento, comportamento e violenza sessuale. Un adolescente su cinque ritiene che le ragazze possano provocare la violenza sessuale a causa del loro abbigliamento o comportamento, un dato allarmante che rivela una profonda mancanza di comprensione sulla natura della violenza che conduce al “victim blaming”, spostando la responsabilità dall’aggressore alla vittima. Inoltre, 4 su 5 ritengono che una donna possa evitare un rapporto sessuale se non lo desidera. La Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne ci ricorda l’importanza di rompere il silenzio. Molte donne che subiscono violenza si sentono isolate e spaventate a parlarne. È fondamentale creare spazi sicuri e accoglienti in cui le vittime possono denunciare gli abusi e cercare aiuto senza paura di ritorsioni.

Per combattere la violenza di genere, dobbiamo sfidare gli stereotipi profondamente radicati sulle donne e sulle loro scelte. L’educazione gioca un ruolo cruciale in questa trasformazione e l’urgente necessità di cambiamento culturale è evidente; la responsabilità è di tutti noi. È fondamentale insegnare il rispetto, il consenso e il valore dell’uguaglianza di genere sin dalle prime fasi dell’istruzione. I risultati dello studio precedentemente nominato rivelano una profonda mancanza di comprensione sulla natura della violenza, spostando la responsabilità dall’aggressore alla vittima. È necessaria un’educazione sessuale e affettiva obbligatoria, co-progettata per docenti e studenti di tutti i livelli scolastici. Questa deve rappresentare un pilastro dell’istruzione per aiutare le nuove generazioni a comprendere la violenza di genere, sfatare gli stereotipi e promuovere il rispetto e l’uguaglianza tra i sessi. I governi, le organizzazioni non governative, le comunità e i singoli individui hanno un ruolo cruciale da svolgere nella prevenzione della violenza di genere. Le leggi contro la violenza di genere devono essere rigorosamente rafforzate e applicate. Le donne che hanno subito violenza hanno bisogno di assistenza medica, psicologica, legale ed economica. È essenziale garantire che abbiano accesso a queste risorse in modo tempestivo ed efficace. Le linee telefoniche di emergenza e i rifugi sono vitali per la sicurezza e il benessere delle vittime. La lotta contro la violenza di genere è una sfida collettiva che richiede un impegno costante da parte di governi, organizzazioni, comunità e singoli individui. È cruciale cambiare la mentalità collettiva sfatando i miti, promuovendo il rispetto reciproco e garantendo che nessuno sia vittima di pregiudizi.



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NELLA MENTE DELLO STALKER Cosa spinge una persona a mettere in atto comportamenti persecutori e in quali contesti è più probabile che questo accada

di Antonio Tundo e Roberta Necci* *Istituto di Psicopatologia – Roma

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o stalking e le sue conseguenze La parola stalking è entrata da anni nel linguaggio comune e indica comportamenti molesti e ripetuti a danno di una persona che causano, disagio, ansia e paura. Oggi la più diffusa e conosciuta forma di stalking si riferisce a maltrattamenti e violenze sulle donne che può arrivare alle conseguenze più estreme. Parliamo del femminicidio, un problema sociale in crescita, di cui sentiamo parlare ogni giorno nelle notizie di cronaca, ma che rappresenta solo la punta di un iceberg. Le statistiche, infatti, ci dicono che nel corso della vita una persona su cinque subisce molestie che rientrano nella definizione di stalking e che, in tre casi su quattro, la vittima è una donna (motivo per cui parliamo di stalker al maschile e di vittime al femminile). Il molestatore è spesso il partner o l’ex partner (50% dei casi) ma può essere anche un semplice conoscente (25% dei casi), un collega (15% dei casi), un familiare (5% dei casi) o uno sconosciuto (5% dei casi).

Lo stalker di solito utilizza più modalità di aggressione contemporaneamente: telefonate, messaggi o mail insistenti che possono arrivare anche a centinaia di contatti al giorno (70% dei casi), pedinamenti (40% dei casi), violenza fisica (30% dei casi) e violenza sessuale. Possiamo facilmente immaginare quali siano le conseguenze di questi comportamenti su chi li subisce, dato che viene costretto riorganizzare la propria vita. Con un notevole dispendio di tempo e di energie cambia abitudini, orari, percorsi, persone frequentate rischiando di rimanere isolata. Spesso affronta anche problemi al lavoro dove lo stalker può presentarsi senza preavviso e con insistenza. Ma l’impatto maggiore è senza dubbio sul piano emotivo. Essere oggetto di molestie fa svanire la serenità e alimenta uno stato di tensione e di insicurezza continue che sono terreno fertile per ansia, insonnia, riduzione dell’autostima, disturbi psicosomatici, sintomi depressivi e, in casi estremi, idee e progetti di suicidio.


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Stalking, un fenomeno con cinque diverse cause. Ma perché una persona arriva a mettere in atto comportamenti che hanno conseguenze tanto gravi per chi li subisce e non sono privi di rischi anche per se stessa (problemi legali e a volte suicidio come esito finale)? Grazie agli studi avviati oltre 20 anni fa da un gruppo di psichiatri e psicologi forensi australiani, Paul Mullen, Michele Pathé e Rasemary Purcell, sono stati individuati 5 tipi di stalker: il rifiutato, il risentito, il bisognoso di affetto, il corteggiatore incompetente e il predatore. Ciascuno di questi differisce dagli altri per il contesto in cui si muove, le motivazioni psicologiche che lo spingono, gli obiettivi che si pone e il grado di pericolosità. Lo stalker “rifiutato” è in genere il partner o l’ex partner della vittima che non riesce ad accettare la fine della relazione, mette in atto le molestie per tentare di ricostruire la relazione interrotta e, quando si rende conto che non ha possibilità di recupero, per vendetta. Il contesto in cui si muove è quindi quello familiare.

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Sul piano psicologico si tratta di una persona che non accetta il rifiuto, fatica a capire e rispettare scelte e stati d’animo diversi dal proprio e reagisce con aggressività alle frustrazioni. Spesso ha problemi psichiatrici come un disturbo di personalità narcisistica, antisociale o dipendente1, un disturbo delirante2 o un disturbo bipolare in fase maniacale3. Questo tipo di stalker è il più comune, ha un’alta pericolosità ed è la causa della maggior parte delle violenze domestiche e dei femminicidi. Lo stalker “risentito” è dominato dall’idea di aver subito un torto e prende di mira la persona che ritiene responsabile. Il contesto in cui si muove è ampio e può includere colleghi di lavoro, professionisti a cui si è rivolto, gli impiegati di un ufficio, vicini di casa. Quando non riesce a rivalersi sulla persona specifica che a suo giudizio lo avrebbe danneggiato arriva a molestare un “rappresentante” della categoria, per esempio un nuovo vicino

Il molestatore è spesso il partner o l’ex partner (50% dei casi) ma può essere anche un semplice conoscente (25% dei casi), un collega (15% dei casi), un familiare (5% dei casi) o uno sconosciuto (5% dei casi).

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Lo stalker di solito utilizza più modalità di aggressione contemporaneamente: telefonate, messaggi o mail insistenti (si può arrivare anche a centinaia di contatti al giorno) (70% dei casi), pedinamenti (40% dei casi), violenza fisica (30% dei casi) e violenza sessuale.

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o un nuovo collega. La motivazione psicologica in questo caso è la certezza di aver subito un’ingiustizia e la convinzione di avere il diritto di farsi vendetta da solo. Anche questo tipo di stalker presenta spesso problemi psichiatrici come un disturbo di personalità narcisistica o antisociale1, un disturbo delirante2 o un disturbo bipolare in fase maniacale3. Come nel caso precedente lo stalker motivato dal risentimento è altamente pericoloso e arriva spesso ad aggredire fisicamente o a uccidere la persona presa di mira. Sebbene chiunque possa essere molestato da questo tipo di stalker, alcune categorie professionali, in particolare i medici, sono più a rischio. Lo stalker “bisognoso di affetto” di solito molesta una persona conosciuta occasionalmente, in genere più grande di età e con uno status sociale ed economico migliore del suo (per esempio un manager incontrato a una cena), oppure un personaggio pubblico (come un attore, un cantante, un politico, un giornalista). Il suo obiettivo è stabilire una relazione sentimentale o, più raramente, di amicizia e confidenza. Nella maggior parte dei casi, al contrario degli stalker visti finora, è una donna con una vita sociale limitata e senza relazioni affettive che si innamora della sua futura vittima convinta, al di là di qualsiasi evidenza contraria, di esserne ricambiata. Forte di questa convinzione, per tentare di stabilire un contatto più intimo inizia l’escalation di richieste di incontri con continui messaggi, appostamenti e pedinamenti. I rifiuti non vengono considerati segnali di disinteresse ma attribuiti all’interferenza di terze persone (per esempio familiari o il manager dell’artista). Persone che, a loro volta, possono

diventare oggetto di minacce o aggressioni perché, secondo lo stalker, ostacolerebbero la relazione desiderata. Lo stalker bisognoso di affetto può soffrire di un disturbo psicotico (disturbo delirante2 o schizofrenia4) e, più di rado, di un disturbo bipolare in fase maniacale3 o di un disturbo di personalità1 (borderline o narcisistico). La sua pericolosità è considerata medio-alta. Anche lo stalker “corteggiatore incompetente” è in genere una persona sola e senza una relazione affettiva che rivolge le sue attenzioni a una persona che conosce in modo superficiale come, per esempio, chi incontra spesso sull’autobus andando al lavoro, chi


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soffrire di un disturbo psicotico, come la schizofrenia4, anche se in parte o del tutto stabilizzato. Il suo livello di pericolosità è più basso rispetto agli altri tipi di stalker a tal punto che se la vittima chiarisce di non essere interessata affettivamente ed evita ulteriori incontri le molestie possono cessare. Infine, lo stalker “predatore”. Si tratta quasi esclusivamente di un uomo che aggredisce sessualmente donne o bambini, in genere sconosciuti, da cui è attratto sessualmente. Sul piano psicologico è mosso dal piacere sadico non solo di studiarne le abitudini, gli orari e le frequentazioni ma anche di sentirsi artefice del loro destino, di cui sono ancora ignari e che non potranno cambiare, e di immaginare la paura che l’aggressione causerà in loro. Lo stalker predatore è molto pericoloso, ma per fortuna anche molto raro, e presenta un disturbo psicosessuale.

gli serve la colazione al bar la mattina, chi lavora in un ufficio che frequenta regolarmente. Il suo obiettivo è stabilire una relazione affettiva e sessuale ma, avendo una scarsa dimestichezza con i rapporti sociali e affettivi, scambia come segni di speciale interesse nei suoi riguardi quelle che sono le normali attenzioni tra conoscenti (un saluto, un sorriso, una domanda su come si è trascorso il fine settimana o su come va la salute). È da questo equivoco che parte un corteggiamento serrato e molesto attraverso messaggi, regali, richiesta di informazioni personali, pedinamenti. Lo stalker corteggiatore incompetente spesso è una persona con un lieve ritardo sul piano cognitivo e può

Concludiamo con due considerazioni e un invito. Per quanto potenzialmente chiunque possa essere preso di mira da uno stalker e l’aggressione possa avvenire ovunque, la maggior parte delle vittime è donna e l’ambito in cui più spesso si realizza è quello domestico. Ma è possibile fare qualcosa per prevenire almeno le conseguenze più drammatiche? Certamente. Il più efficace strumento per limitare i danni è la conoscenza del fenomeno. Sapere quali sono i diversi tipi di stalker, cosa li motiva, essere in grado di riconoscere i primi segnali che qualcosa non va e cercare di sottrarsi appena possibile può fare la differenza. Diversi studi hanno infatti dimostrato che le molestie più durano e più è difficile fermarle, come se si creasse una sorta di “dipendenza” da parte dello stalker

Ma l’impatto maggiore è senza dubbio sul piano emotivo. Essere oggetto di molestie fa svanire la serenità e alimenta uno stato di tensione e di insicurezza continue che sono terreno fertile per ansia, insonnia, riduzione dell’autostima, disturbi psicosomatici, sintomi depressivi e, in casi estremi, idee e progetti di suicidio.

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Attenzione però a non generalizzare. Dire che gli stalker soffrono spesso di una patologia psichiatrica, peraltro quasi sempre non diagnosticata e/o non curata, non vuol dire che chi soffre di una patologia psichiatrica è potenzialmente uno stalker.

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verso i suoi comportamenti. È sempre, inoltre, importante ricordare che se la situazione diventa potenzialmente pericolosa non bisogna esitare a sporgere denuncia. Lo stalking è un fenomeno complesso, conseguenza della combinazione di fattori ambientali, culturali, sociali, psicologici e, almeno in parte, di un disturbo mentale. Ma cosa fa la società per contrastare lo stalking? Negli ultimi decenni, in Italia come nel resto del mondo, sono state promulgate delle leggi molto severe per punire chi mette in atto comportamenti molesti e aggressioni. I legislatori, però, non hanno tenuto nel giusto conto la possibile presenza di un disturbo psichiatrico temendo che questo potesse essere utilizzato dallo stalker per evitare, o attenuare, le conseguenze penali del proprio comportamento. Il timore è più che giustificato ma comporta il rischio non solo di sottovalutare le conseguenze di una patologia mentale non curata ma anche che le aggressioni continuino sebbene le misure restrittive. Le misure cautelari dovrebbero essere affiancate, quando necessario, da percorsi ad hoc che prevedano un trattamento integrato di tipo farmacologico, psicologico e rieducativo-riabilitativo. Attenzione però a non generalizzare. Dire che gli stalker soffrono spesso di una patologia psichiatrica, peraltro quasi sempre non diagnosticata e/o non curata, non vuol dire che chi soffre di una patologia psichiatrica è potenzialmente uno stalker. Il nostro invito, quindi, è di evitare pericolose generalizzazioni. Le ricerche scientifiche, infatti, ci dicono che è vero esattamente il contrario. Cioè che le persone con patologie mentali gravi sono più spesso vittime che autori di violenza. Come abbiamo

già ricordato, lo stalking è il risultato della combinazione di diversi fattori e la patologia mentale contribuisce solo in parte (e non sempre) alla sua insorgenza e/o al suo mantenimento. Quanto scritto, quindi, non è in conflitto con la lotta che da decenni Organizzazione Mondiale della Sanità, associazioni internazionali e nazionali degli psichiatri e degli psicologi e associazioni di volontariato portano avanti per contrastare lo stigma verso le malattie mentali e chi ne soffre. Stigma che, a sua volta, genera vergogna, paura di chiedere aiuto e diffidenza verso le cure. I disturbi mentali sono malattie come tutte le altre e, come e meglio di tante altre, possono essere curate. La diffidenza verso chi ne soffre non ha alcuna giustificazione. Note 1 Per la descrizione dei disturbi di personalità vedere Brain estate 2023 2 Il disturbo delirante è caratterizzato dalla presenza cronica di deliri, cioè di false convinzioni che non sono modificabili da prove contrarie (per esempio, la certezza di essere spiato o perseguitato) 3 Il disturbo bipolare è caratterizzato dall’alternanza di fasi depressive e di fasi maniacali. Nelle fasi maniacali c’è un’esaltazione dell’umore (grande euforia), dell’autostima (una valutazione di sé stesso e delle proprie capacità irrealistica ed eccessiva), delle energie (instancabilità) e cambiamenti del funzionamento fisico (scarso bisogno di sonno, eccessivo appetito…); spesso sono presenti anche deliri che si risolvono con la fine dell’episodio. 4 La schizofrenia è caratterizzata dalla presenza di deliri, allucinazioni (sentire voci o vedere cose che non ci sono), disturbi del modo di ragionare e di risolvere i problemi, da appiattimento dell’emotività e da chiusura nelle relazioni sociali.


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ECCO LA MAPPA DELLE EMOZIONI NELLE PERSONE DI TUTTO IL MONDO Cosa dice il report Gallup 2023

di Giovanni Saraff


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egli anni ’50, lo psicologo americano Paul Ekman, ha sviluppato la sua Teoria Neuroculturale delle emozioni, supportando quella di Darwin secondo cui le espressioni emotive sono universali e hanno radici in schemi neurobiologici ereditari. Attraverso esperimenti condotti in tutto il mondo sulla mimica del volto e sui movimenti del corpo ha riscontrato, infatti, l’esistenza di espressioni facciali universali associate a emozioni specifiche, riscontrabili in tutte le culture. Queste emozioni sono state definite “emozioni primarie” e includono: rabbia, paura, disgusto, sorpresa, felicità e tristezza. Oltre a questo, però, già Ekman identificò specifiche “display rules” (letteralmente, “norme di espressione”), ovvero norme sociali di espressione delle emozioni, culturalmente apprese, e quindi specifiche per cultura, che determinano il controllo e la modificazione delle espressioni emotive a seconda del contesto socio-culturale in cui l’individuo si trova. Nel tempo le scoperte e le teorie di Ekman sono state ulteriormente sviluppate e confermate, contribuendo ad arricchire la nostra conoscenza sulle emozioni e rafforzando l’idea di una dimensione universale che trascende le differenze culturali. Nel suo report “Global Emotions 2023” la società di analisi e consulenza Gallup, ha indagato la distribuzione globale delle esperienze emotive grazie ai suoi due indici sulle esperienze positive e negative. I punteggi degli indici di esperienze positive e negative sono la media di tutte le risposte positive e negative alle 5 domande di ciascun indice, che riguardano appunto da un lato eventuali esperienze emotive positive e dall’altro eventuali esperienze emotive negative. Il risultato è poi moltiplicato per

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Circa 7 persone su 10 hanno risposto di sentirsi riposate (71%), di aver sorriso o riso molto (73%) e di aver provato molto piacere (72%) nel giorno precedente l’intervista. L’87% delle persone riporta di essersi sentito trattato con rispetto. Infine, la metà degli intervistati ha imparato o fatto qualcosa di interessante il giorno prima dell’intervista.

L’INCHIESTA

100. I punteggi dell’indice per ogni paese variano da 0 a 100. Dopo anni di stabilità, le emozioni positive hanno registrato una diminuzione nel 2021, tornando poi a riprendersi nel 2022. Circa 7 persone su 10 hanno risposto di sentirsi riposate (71%), di aver sorriso o riso molto (73%) e di aver provato molto piacere (72%) nel giorno precedente l’intervista. L’87% delle persone riporta di essersi sentito trattato con rispetto. Infine, la metà degli intervistati ha imparato o fatto qualcosa di interessante il giorno prima dell’intervista. Questa analisi ha registrato un aumento significativo di almeno 1 punto percentuale su 4 delle 5 domande che compongono l’indice, ad eccezione di quella sull’aver imparato qualcosa di interessante, che è rimasta invariata rispetto all’anno precedente. Il “global index score” del 2022, che si colloca a un punteggio di 70, è infatti aumentato di 1 punto rispetto al 2021, sebbene non sia ancora tornato al punteggio di 71, registrato precedentemente alla pandemia.

Forse, dopo gli anni incerti della pandemia, il mondo si è sentito globalmente più riposato, ha provato più emozioni positive arrivando a ridere o sorridere di più rispetto al 2021. I paesi dell’America Latina e del Sud-Est Asiatico sono quelli che si sono collocati più in alto nella classifica “Positive Experience Index Worldwide in 2022”. Libano, Turchia e Afghanistan sono quelli che, invece, occupano le ultime posizioni della classifica. In particolare, un anno dopo il ritorno dei Talebani al potere, la vita in Afghanistan continua ad essere scarsamente soddisfacente, tanto che quasi tutte le persone intervistate valutavano così negativamente la propria vita (98%) da essere considerati in uno stato di sofferenza. Se da un lato i vissuti positivi sono aumentati nel 2022, l’aumento degli stati di infelicità sembra aver visto una battuta d’arresto a livello globale, sebbene il “Negative Experience Index Worldwide in 2022”, rimanga ai massimi storici. 4 persone su 10 hanno dichiarato di aver provato molta preoccupazione


L’INCHIESTA

(41%) o stress (40%) il giorno prima dell’intervista, mentre il 32% ha riportato di aver percepito molto dolore fisico. Il 23% degli intervistati ha provato rabbia e il 27% tristezza. Questo dato non è da interpretare in controtendenza rispetto all’aumento di emozioni positive, ma è forse da considerare come espressione di una complessità. Le posizioni più alte della classifica sono occupate da Afghanistan e Sierra Leone. Se il dato dell’Afghanistan non sorprende, in quanto sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente (58 nel 2022, 59 nel 2021), quello della Sierra Leone ha visto un forte aumento a seguito delle proteste, talvolta anche mortali, contro l’aumento dei costi della vita. Qui, in particolare, una forte maggioranza dei cittadini ha dichiarato di aver percepito preoccupazione, stress e dolore fisico. I paesi con i punteggi più bassi al “Negative Experience Index Worldwide in 2022” non sono necessariamente quelli con i punteggi più alti al “Positive Experience Index Worldwide in 2022”, tra questi: Taiwan,

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Lituania, Kazakhistan, Lettonia e Kirghizistan. Questo aspetto sottolinea nuovamente quanto sia complessa la gamma dei vissuti emotivi umani, i quali non si riducono semplicemente alla presenza o all’assenza di emozioni positive o negative. Infatti, sembra che il benessere sia spesso associato a un equilibrio emotivo generale, senza estremi né in termini di positività né di negatività. In altre parole, il benessere non si manifesta necessariamente con una prevalenza di emozioni positive rispetto a quelle negative, ma piuttosto con un equilibrio tra entrambe che può variare da persona a persona e da contesto a contesto. Sebbene questi risultati siano difficili da interpretare proprio per la vastità dell’area presa in esame, un’indagine così ampia e diffusa può fornire spunti di riflessione specifici che possano mettere in relazione gli eventi e i cambiamenti a livello geo-politico con la qualità della vita percepita dalle persone. Fonti: Gallup, Global Emotions, 2023

Forse, dopo gli anni incerti della pandemia, il mondo si è sentito globalmente più riposato, ha provato più emozioni positive arrivando a ridere o sorridere di più rispetto al 2021.

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PSICHIATRIA DIGITALE: DIAGNOSI ED ETICA SI AFFACCIANO SUL MONDO DELL’IA Vantaggi e rischi che nascono dalle nuove applicazioni di Martina Gaudino


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ovremmo conservare la medicina che abbiamo imparato fino ad oggi e applicarvi le nuove tecnologie. È questo, in estrema sintesi, il pensiero del professore Giuseppe Bersani, ordinario di Psichiatria alla Facoltà di Farmacia e Medicina dell’Università La Sapienza di Roma rispetto al grande tema della digitalizzazione della psichiatria. Le applicazioni tecnologiche in campo medico rappresentano ormai la quotidianità, qualcosa a cui non solo gli specialisti sono abituati. Sono le metodiche quali realtà virtuale, telepsichiatria o l’utilizzo dell’intelligenza artificiale ad essere viste come un tabù, una materia sconosciuta. L’obiettivo primario resta la salute mentale e a questo scopo la comunità scientifica sta procedendo verso nuove chiavi di analisi e diagnosi per migliorare il benessere comune. Anche i più scettici, in tempo di pandemia da Covid-19, sono stati costretti a familiarizzare con gli strumenti digitali per garantire continuità terapeutica ai pazienti e per fornire risposte adeguate anche in un momento storico in cui come ben ricordiamo è stato impossibile approcciare in presenza. Il timore di una espansione delle tecnologie provenienti da altre discipline mediche è fomentato dalla paura di implicazioni etiche che certamente non possono essere ignorate. “Non esiste una psichiatria digitale specifica, cioè più digitalmente specifica di altre discipline, non esiste una psichiatria digitale che sia diversa da una neurologia digitale, tutto ruota intorno all’applicazione delle tecnologie alla materia” ha spiegato a Brain il professore Bersani. Punto focale del percorso di avanzamento della materia è la soddisfazione di quelli che, prendendo in prestito dall’inglese, chiamiamo “unmet needs”, ovvero bisogni insoddisfatti che possono essere legati alle terapie, alle diagnosi, ai servizi territoriali. “Lo psichiatra

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Anche i più scettici, in tempo di pandemia da Covid-19, sono stati costretti a familiarizzare con gli strumenti digitali per garantire continuità terapeutica ai pazienti e per fornire risposte adeguate anche in un momento storico in cui come ben ricordiamo è stato impossibile approcciare in presenza.

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critico ha sempre dei bisogni insoddisfatti, delle situazioni operative che vorrebbe fossero più efficaci. Ne è un esempio la raccolta dati” ha aggiunto il professore. Uno dei maggiori obiettivi è infatti mantenere la personalizzazione della terapia pur potendo avere accesso ad una quantità di informazioni talmente grande, talmente complessa che non si è, ad oggi, in grado di applicarla al singolo paziente. Secondo Bersani è proprio in questo senso che “potrebbe venirci incontro l’intelligenza artificiale e il machine learning: vale a dire una serie di dati che la statistica attuale non è in grado di dare sul singolo paziente. Si tratta di estrapolare da miliardi di dati quelli utilizzabili sia individuali che di popolazione e quindi capire qual è il trattamento migliore per quel paziente con quelle caratteristiche storiche, biologiche, somatiche, anamnestiche e psicopatologiche”. In un futuro che ci si augura sia molto vicino l’intelligenza artificiale che attinge ai big data sarà in grado di dare indicazioni personalizzate per ogni paziente pur accedendo a miliardi di dati. “Ancora è un sogno – ha aggiunto lo specialista - ma è certamente una rete

che potrà essere sviluppata”. Il grande rischio etico che si corre è la spersonalizzazione, “vale a dire adeguare tecnologie e metodiche in modo talmente automatico, talmente complesso, talmente al di fuori della nostra libertà di scelta da perdere di vista non le finalità o le caratteristiche biologiche del paziente, ma egli stesso come persona” ha spiegato ancora Bersani. L’intelligenza artificiale desta preoccupazione su più livelli, ne è una prova il crescente interesse in ambito internazionale con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden che ha pensato a misure più forti per regolamentarne l’utilizzo chiedendo agli sviluppatori dei più potenti sistemi di condividere con il governo le informazioni emerse dai test. A questo proposito per il professore Bersani “il rischio è che si vada talmente avanti che l’avanzamento tecnologico faccia perdere di vista il lato umano della nostra disciplina che è importantissimo in tutta la medicina, ma ancora più per chi lavora con le menti delle persone”. Il paziente, però, chiede “semplicemente” di guarire ed è per questo che secondo l’accademico “la riflessione etica sul tema è un problema che riguarda più l’operatore che il paziente. L’avanzamento tecnologico porta con sé una quantità di migliorie, di possibilità di intervento e di terapia che dire no al progresso è pericoloso, è da stupidi”. Tutto ciò che l’uomo ha imparato nel corso dei millenni, tutte le conoscenze sviluppate in ambito della medicina della mente vanno mantenute e a queste va applicata la tecnologia. “Il progresso – ha concluso il professoTutto quello di cui hai bisogno per re - porta sempre con sé la tua cura. Medicina specialistica, esami di delle grandi sfide”. laboratorio e diagnostica.


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TRAPPOLE PER PAZIENTI CON L’AUTODIAGNOSI SUI SOCIAL Così il rischio di fake news è sempre dietro l’angolo di Chiara Andreotti

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ell’era digitale, i social media sono diventati un punto di riferimento per la condivisione di esperienze personali, interessi comuni e, purtroppo, anche per l’autodiagnosi di problemi di salute. Mentre i social media possono essere una fonte preziosa di informazioni e sostegno, è importante comprendere il doppio taglio dell’automedicazione online. Le piattaforme social offrono una vasta gamma di gruppi, forum e pagine dedicate a problemi di salute. Questi spazi sono spesso frequentati da individui alla ricerca di risposte alle loro preoccupazioni, ma possono anche diventare terreni fertili per l’autodiagnosi. Molte persone condividono sintomi, storie personali e pareri su diagnosi e trattamenti, basati su esperienze individuali. Questo può alimentare l’ansia, poiché i sintomi spesso vengono interpretati nel modo peggiore possibile. Inoltre la diffusione di informazioni errate o non verificate può causare diagnosi sbagliate o adottare trattamenti inefficaci e quindi ritardare ulteriormente le cure professionali. L’accesso facile a informazioni mediche online ha reso l’autodiagnosi un fenomeno diffuso. Molti individui cercano sintomi su Google prima di rivolgersi a un medico. Tuttavia, questa pratica presenta alcuni rischi significativi tra cui la mancanza di formazione medica. La diagnosi medica richiede competenze e formazione specifiche. Molti problemi di salute condividono sintomi comuni. L’autodiagno-

si basata sui sintomi può portare a confusione tra condizioni diverse ma simili. Inoltre la convinzione di avere una grave malattia può influenzare negativamente la salute mentale e fisica. Sebbene ci siano rischi legati all’autodiagnosi sui social media, questi possono ancora essere uno strumento utile se utilizzati in modo responsabile. Ecco alcuni accorgimenti da tenere a mente: cercare fonti attendibili: quando si cercano informazioni online, si dovrebbe fare affidamento su fonti mediche affidabili, come siti web di organizzazioni sanitarie riconosciute o professionisti sanitari sui social media. Evitare la condivisione di informazioni personali sensibili: evitate di condividere dettagli medici personali su social media, poiché potrebbe violare la privacy e potenzialmente causare ansia o confusione. Infine è necessario consultare un medico o uno specialista prima di fare autodiagnosi online. L’autodiagnosi sui social media può essere un doppio taglio. Se utilizzati in modo responsabile, i social media possono essere una fonte utile di informazioni e supporto per la salute. Tuttavia, è essenziale cercare il giusto equilibrio tra l’accesso alle informazioni e la consulenza di professionisti sanitari per garantire una diagnosi accurata e un trattamento adeguato. La cautela è la chiave per sfruttare appieno i benefici dei social media senza cadere nelle trappole dell’autodiagnosi.

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METAVERSO E PSICOPATOLOGIA NUOVO ORIZZONTE NELLA SALUTE MENTALE Quali sono le implicazioni delle nuove tecnologie sul nostro cervello?

di Valentina Formica

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el corso degli ultimi anni, il “Metaverso” è sempre più in auge, aprendo la strada a un’era di possibilità che potrebbero impattare profondamente la nostra società. Nel mondo in continua evoluzione della tecnologia digitale, il concetto di “metaverso” sta emergendo come una promettente frontiera che offre possibilità innovative che non si limitano soltanto all’intrattenimento e alla socializzazione online ma promettono una rivoluzione nella comprensione e nel trattamento dei disturbi psicopatologici. Il termine “metaverso” è stato coniato da Neal Stephenson nel suo romanzo “Snow Crash” del 1992 e si riferisce a un mondo virtuale tridimensionale condiviso, capace di sfidare i confini

tra realtà e virtualità e offrire esperienze immersive. Il Metaverso offre una fusione continuativa tra il mondo digitale e quello reale. Nella realtà mista quello che facciamo nel mondo fisico influenza l’esperienza nel mondo virtuale e viceversa. Questo legame profondo tra mondo digitale e fisico è reso possibile grazie ai “gemelli digitali”, cloni virtuali degli oggetti reali collegati direttamente alle loro controparti digitali. Indossando dispositivi di realtà mista come occhiali ibridi VR/AR, gli utenti possono interagire con oggetti e persone sia nel mondo fisico che in quello virtuale, creando una connessione spaziale e temporale. Per esempio, se mi muovo nel mondo reale, anche il mio avatar vir-


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tuale si muove. Oppure, se l’avatar viene toccato nel mondo digitale, un feedback tattile viene inviato al corpo fisico. Infine, se nella realtà virtuale faccio partire la lavatrice digitale, anche quella fisica presente nel mio appartamento inizia a funzionare. I “neuroni GPS” del nostro cervello, che si attivano quando occupiamo una posizione nell’ambiente fisico, svolgendo un ruolo importante nella navigazione spaziale, contribuiscono a stabilire una mappa cognitiva

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dell’ambiente circostante e aiutano a orientarsi e a navigare attraverso di esso. Questi neuroni non solo ci aiutano a navigare nel mondo fisico ma contribuiscono anche a plasmare chi siamo attraverso la nostra memoria. Sono la bussola della nostra identità. Giocano infatti un ruolo fondamentale nella costruzione della nostra memoria autobiografica. La nostra identità è intrecciata con i luoghi che frequentiamo. Siamo lavoratori per-ché andiamo in azienda, siamo

Il Metaverso offre una fusione continuativa tra il mondo digitale e quello reale. Nella realtà mista quello che facciamo nel mondo fisico influenza l’esperienza nel mondo virtuale e viceversa.

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È stato scoperto che il metaverso a differenza di Zoom e delle varie piattaforme di videoconferenza attiva i neuroni GPS consentendoci di creare ricordi con una collocazione spazio-temporale chiara. Invece, quando sperimentiamo luoghi multipli (siamo in una stanza, ma contemporaneamente siamo in videoconferenza sullo schermo del computer), il nostro luogo è lo spazio in cui possiamo muoverci, non quello che stiamo vedendo.

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appassionati tifosi perché andiamo allo stadio, ecc. I neuroni GPS registrano questi luoghi e gli eventi che vi accadono. Cosa succede ai neuroni Gps quando invece di andare in ufficio o a scuola svolgiamo le nostre attività nel metaverso? È stato scoperto che il metaverso a differenza di Zoom e delle varie piattaforme di videoconferenza attiva i neuroni GPS consentendoci di creare ricordi con una collocazione spazio-temporale chiara. Invece, quando sperimentiamo luoghi multipli (siamo in una stanza, ma contemporaneamente siamo in videoconferenza sullo schermo del computer), il nostro luogo è lo spazio in cui possiamo muoverci, non quello che stiamo vedendo. In sintesi, per il nostro cervello i sistemi di videoconferenza e le altre piattaforme di socialità digitale non sono luoghi, e quindi non collegano direttamente le esperienze che abbiamo al loro interno con la nostra memoria autobiografica. Per questo le piattaforme di videoconferenza possono essere definite «non luoghi». Questi ultimi possono creare un senso di eterno presente digitale, in cui le esperienze non lasciano segni nella nostra memoria autobiografica. Il metaverso si basa sulla simulazione della realtà e sulla corretta previsione delle simulazioni cognitive degli utenti. Questa capacità rende il metaverso significativamente di-verso dalle tecnologie precedenti. Mentre la televisione e i social media possono influenzare i comportamenti umani, il metaverso è una tecnologia trasformativa che modifica i meccanismi cognitivi e la percezione della realtà stessa. Un esempio di questa trasfor-mazione è il “body swapping”, in cui le persone possono incarnare avatar diversi, appor-tando

significativi cambiamenti nelle loro abilità cognitive e nei loro atteggiamenti. Ma quali sono le implicazioni del metaverso per la salute mentale e il trattamento dei disturbi psicopatologici? Le applicazioni sono diverse e promettenti. Ad esempio, per quanto riguarda il trattamento della fobia sociale, il metaverso può offrire un ambiente sicuro per il rafforzamento delle abilità sociali, consentendo ai pazienti di migliorare la comunicazione e l’autostima. Un mondo virtuale privo di giudizio sociale consente un’esperienza graduale e sicura delle situazioni temute in un ambiente favorevole senza il timore del giudizio negativo. Allo stesso modo la possibilità di fare esperienza in maniera graduale di situazioni fobiche rende il metaverso uno strumento utile nel trattamento delle fobie specifiche.


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La personalizzazione di ambienti virtuali per simulare scenari traumatici rilevanti può aiutare i pazienti con disturbo da stress post-traumatico nello sviluppo di risposte e meccanismi di coping appropriati. Inoltre, la creazione di avatar con diverse corporature offre un’opportunità di ristrutturazione cognitiva per le persone con dismorfismo corporeo o disturbi dell’alimentazione, contribuendo a sviluppare una maggiore accettazione di sé. Nei contesti clinici di neuroriabilitazione, la VR ha applicazioni nell’ictus, nella malattia di Parkinson, nell’Alzheimer, nei traumi cranici e nella gestione del dolore. Ha dimostrato il maggior potenziale nel trattamento dei deficit sensorimotori migliorando la plasticità neu-rale e promuovendo il recupero funzionale. Alcuni strumenti VR includono l’utilizzo di avatar digitali nell’am-

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biente virtuale, sfruttando il sistema dei neuroni specchio per facilitare il recupero dell’esecuzione motoria. Osservare azioni simulate nella VR può attivare programmi motori memorizzati, contribuendo alla riabilitazione. Le applicazioni del Metaverso nella salute mentale non si fermano qui. Le sessioni di terapia di gruppo, le esperienze immersive per il rilassamento e la meditazione e il supporto fornito dagli avatar virtuali possono permettere di affrontare i sentimenti di solitudine, ansia e isolamento sociale, specialmente in situazioni di emergenza, quali il lockdown durante la pandemia da COVID-19. Infine, il Metaverso ha anche il potenziale per trasformare l’educazione e le esperienze di apprendimento, offrendo un apprendimento personalizzato e interattivo per migliorare la conoscenza in molteplici settori, incluso quello medico. Tuttavia, l’utilizzo del Metaverso solleva alcune questioni etiche e di sicurezza, comprese le preoccupazioni sulla privacy e la possibilità di manipolazione da parte delle grandi aziende. Inoltre, il confine tra l’immersione digitale e la realtà fisica richiede un monitoraggio costante per prevenire possibili effetti negativi sulla salute mentale. In conclusione, il Metaverso sta aprendo nuove porte per la comprensione e il trattamento dei disturbi psicopatologici, promettendo un futuro in cui la tecnologia non è solo un mezzo di intrattenimento, ma anche un potente strumento per il benessere mentale e l’evoluzione della conoscenza in genere. Tuttavia, è necessario esplorare con attenzione i pro e i contro di questa rivoluzione in atto e garantire che questi nuovi strumenti vengano utilizzati in modo etico e responsabile.

In sintesi, per il nostro cervello i sistemi di videoconferenza e le altre piattaforme di socialità digitale non sono luoghi, e quindi non collegano direttamente le esperienze che abbiamo al loro interno con la nostra memoria autobiografica.

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L’AUTISMO SOTTO UN ALTRO PUNTO DI VISTA: LA SFIDA DELL’ANSIA Perché è importante cercare di aumentare conoscenza e sensibilità operativa

di Giovanni Saraff

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autismo è un disturbo del neurosviluppo che si caratterizza, oltre che per stereotipie motorie, comportamenti ripetitivi ed interessi ristretti, anche per comunicazione bizzarra, deficit nell’interazione sociale e deficit del contatto affettivo. Talvolta chiuse, spesso bizzarre, goffe, frequentemente fuori sintonia con le richieste esterne, le persone autistiche hanno anche le loro paure, i loro timori, le angosce e le ansie generati dalla difficoltà di vivere in una condizione di neurodiversità. Considerate comunemente, anaffettive, spettrali, talvolta addirittura incapaci di provare emozioni, queste persone hanno in realtà un mondo interno movimentato, turbolento, invaso da ondate emotive troppo

difficili da tenere sotto controllo. In questo senso, la presa in carico psicologica e non solo, non può prescindere dall’includere anche gli aspetti emotivi del problema. Sebbene l’ansia non sia considerata una caratteristica tipica dei Disturbi dello Spettro Autistico, i Disturbi d’Ansia sono la condizione di comorbidità più comune nei pazienti autistici, con una prevalenza che si aggira attorno al 40%, contro circa il 20% della popolazione generale. L’ansia nell’autismo può presentarsi in tutte le sue sfaccettature, con la sintomatologia tipica dell’ansia sociale, come la preoccupazione per il giudizio negativo da parte degli altri, il mancato rispetto delle aspettative auto-imposte, le fobie specifiche, problematiche legate all’ansia da


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separazione o al Disturbo Ossessivo Compulsivo, ecc. assumendo così le stesse caratteristiche che ha nella popolazione neurotipica. Esistono però anche manifestazioni tipiche dell’ansia legate all’autismo, come la preoccupazione per la comprensione del mondo sociale, che spesso risulta troppo complesso e confuso, l’ansia verso possibili cambiamenti della routine, la preoccupazione circa l’impossibilità di mettere in atto i comportamenti ripetitivi o di potersi

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dedicare ai propri interessi ristretti e la presenza di fobie specifiche, spesso riguardanti la sfera sensoriale. È importante comprendere, quindi, che le persone autistiche non sono prive di emozioni. Tuttavia, la ricerca, insieme ai trattamenti dell’autismo, non sempre riescono a dare il giusto risalto alle problematiche emotive, concentrandosi principalmente sui comportamenti caratteristici del disturbo, senza approfondire a sufficienza quei pro-

Sebbene l’ansia non sia considerata una caratteristica tipica dei Disturbi dello Spettro Autistico, i Disturbi d’Ansia sono la condizione di comorbidità più comune nei pazienti autistici

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L’ansia nell’autismo può presentarsi in tutte le sue sfaccettature, con la sintomatologia tipica dell’ansia sociale, come la preoccupazione per il giudizio negativo da parte degli altri, il mancato rispetto delle aspettative auto-imposte, le fobie specifiche, problematiche legate all’ansia da separazione o al Disturbo Ossessivo Compulsivo, ecc.

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cessi affettivi che costituiscono spesso il “dietro le quinte” [Franciosi, 2017] dell’assetto comportamentale autistico. Così, un target di studio fondamentale per una miglior comprensione della complessità dell’autismo è proprio l’ansia, con i trigger antecedenti che la evocano e le conseguenze cognitive e/o comportamentali che la persona mette in atto per scaricare l’eccessiva tensione accumulata, per regolare il proprio equilibrio emotivo e in generale per difendersi dalle tempeste ansiose che troppo spesso la travolgono. Si tratta di un processo circolare, in cui l’autismo e l’ansia si influenzano reciprocamente, nel tentativo della persona di adattarsi a un mondo che spesso risulta difficile da comprendere ed affrontare. Le principali cause dell’emergenza più o meno improvvisa di stati ansiosi difficili da regolare, che spesso assumono le caratteristiche di vere e proprie tempeste emotive tali da stravolgere l’equilibrio psichico della persona, sono da ricercare nella continua interazione tra la mente autistica, con le sue atipie, e le richieste ambientali circostanti. Sembrano diversi i fattori che entrano in gioco in questo complesso processo circolare. Tra questi, ci sono certamente le difficoltà generali a decodificare l’ambiente, dovute per esempio ai deficit sensoriali e di coerenza centrale (difficoltà di integrazione delle informazioni sensoriali in un costrutto unico dotato di senso), che portano ad un’idea sbagliata, frammentata, non unitaria delle situazioni e degli stimoli che la persona ha intorno. A questi si aggiungono anche i problemi relativi alla codifica delle espressioni facciali altrui e degli stimoli sociali in generale, che non permettono una chiara comprensione degli aspetti non-ver-

bali della comunicazione, complicando notevolmente, per esempio, la comprensione delle richieste altrui. Un ruolo centrale possono giocarlo le difficoltà legate ai possibili deficit cognitivi. Molte persone autistiche, infatti, affrontano anche problemi cognitivi, come difficoltà di problem-solving e categorizzazione concettuale (capacità di dare ordine e chiarezza alle esperienze, sia emotive che non); queste difficoltà possono aumentare l’incertezza nella comprensione della realtà e portare ad un maggiore livello di stress.


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Ci sono poi le difficoltà di adattamento alle situazioni nuove e incerte. Le persone autistiche hanno spesso problemi nella gestione dell’imprevedibilità e quindi nel trovarsi ad operare in situazioni mutevoli. Ecco che, quando queste gli si pongono di fronte, possono aumentare notevolmente i livelli di ansia. La grande varietà di esperienze sociali, caotiche e imprevedibili, in cui la persona autistica può imbattersi, senza essere però dotata dei sistemi di controllo e gestione adeguati, spesso condiziona fortemente il suo equilibrio emotivo.

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In un’ottica circolare, poi, l’ansia può andare a favorire l’espressione di alcuni sintomi specifici dell’autismo come i comportamenti ripetitivi o l’iper/ipo-reattività alle stimolazioni sensoriali. Inoltre, l’ansia può aumentare i comportamenti di evitamento delle situazioni, specialmente quelle sociali o quelle che comportano cambiamenti e imprevedibilità. Può anche portare a una maggiore aderenza a routine rigide, rendendo difficile affrontare cambiamenti di programma o transizioni da un’attività all’altra. In sostanza, l’ansia può amplificare le difficoltà che le persone autistiche affrontano nella gestione dei sintomi e nell’adattamento alle sfide quotidiane. È evidente quindi che nello spettro autistico, dietro ai criteri diagnostici, ci siano delle persone, bambini e adulti con serie difficoltà di connessione con chi gli sta intorno. La loro vita risulta essere fortemente condizionata da ondate d’ansia pervasive e totalizzanti che alterano il loro equilibrio emotivo, compromettendo il loro benessere psicologico. Ecco che in questo senso, aumentare la conoscenza sull’ansia e la sensibilità operativa in questa direzione, può contribuire a una miglior comprensione della complessità dell’autismo, al fine di ridurre il malessere provocato dal vivere in una condizione di neurodiversità. Solo in questo modo è possibile ridurre l’apparente bolla che separa bambini, giovani e adulti autistici dal mondo circostante. Bibliografia Franciosi F., (2017). La Regolazione Emotiva nei Disturbi dello Spettro Autistico. Saraff G., Apicella F., (2021). L’Ansia nei Disturbi dello Spettro Autistico.

Le principali cause dell’emergenza più o meno improvvisa di stati ansiosi difficili da regolare, che spesso assumono le caratteristiche di vere e proprie tempeste emotive tali da stravolgere l’equilibrio psichico della persona, sono da ricercare nella continua interazione tra la mente autistica, con le sue atipie, e le richieste ambientali circostanti.

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PSICOFARMACI DURANTE L’ALLATTAMENTO: BILANCIARE RISCHI E BENEFICI Possibili effetti dovuti al passaggio di antidepressivi nel bambino possono essere sonnolenza, irritabilità, problemi di alimentazione

di Alessandro Cuomo, Despoina Koukouna, Giovanni Barillà, Matteo Cattolico, Simone Pardossi, Elisa Mariantoni, Andrea Fagiolini* *Dipartimento di Medicina Molecolare, Università di Siena

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l postpartum è una fase delicata nella vita di una donna, che comporta profondi cambiamenti fisici, ormonali ed emotivi. Questa fase è anche associata a una maggiore vulnerabilità al rischio di sviluppare o esacerbare disturbi psichiatrici, come la depressione, l’ansia, il disturbo bipolare o la psicosi. Il trattamento di questi disturbi richiede spesso l’uso di psicofarmaci, che possono avere effetti sia sulla madre che sul bambino. Come si può quindi bilanciare il rischio e il beneficio di utilizzare i trattamenti durante questa fase? La risposta non è semplice, in quanto dipende da diversi fattori, tra cui la gravità del disturbo, la risposta al trattamento, le preferenze della madre e le caratteristiche dei farmaci. In generale, si raccomanda di valutare caso per caso la necessità di inizia-

re, continuare o modificare la terapia farmacologica durante il postpartum, tenendo conto dei potenziali effetti avversi sui bambini esposti attraverso il latte materno. Inoltre, si suggerisce di monitorare attentamente lo stato clinico della madre e del bambino e di fornire un supporto psicologico adeguato. Un altro aspetto da considerare nella scelta del farmaco è il metabolismo epatico del neonato e come cambia nel tempo. Il neonato infatti ha iniziale capacità ridotta di metabolizzare i farmaci attraverso le vie enzimatiche a livello epatico, raggiungendo i livelli adulti solo intorno ai 6 mesi-1 anno di età. Queste capacità metaboliche aumentano quindi solo gradualmente con la crescita del bambino e vengono influenzate anche da fattori genetici ed ambientali.


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Per quanto riguarda l’allattamento, si tratta di una pratica benefica sia per la madre che per il bambino, che favorisce il legame affettivo e offre vantaggi nutrizionali e immunologici. Tuttavia, l’allattamento può essere influenzato dall’uso degli psicofarmaci, che possono passare nel latte materno e raggiungere il bambino. Possibili effetti indesiderati comuni dovuti al passaggio di antidepressivo nel bambino possono essere sonnolenza, irritabilità, problemi di alimentazione o crescita. Altri farmaci possono invece interferire con la produzione o l’eiezione del latte nella madre. Uno dei modi per valutare la sicurezza di un farmaco durante l’allattamento è calcolare la Relative Infant Dose (RID), ovvero la Dose Infantile Relativa. La RID è la percentuale della dose materna di un farmaco che un bambino riceve attraverso il latte materno, corretta per il peso corporeo; i farmaci con una RID inferiore al 10% sono generalmente considerati sicuri nell’allattamento, in quanto è improbabile che causino effetti avversi significativi nel bambino. In ogni caso, è importante consultare il proprio medico prima di assumere qualsiasi farmaco durante l’allattamento e segnalare tempestivamente qualsiasi sintomo anomalo nel bambino, discutendo con il pediatra di riferimento l’eventuale necessità di interrompere l’allattamento. Per questi motivi, si raccomanda di usare i farmaci con il più basso potenziale di interazione possibile e di monitorare i livelli plasmatici dei farmaci e dei loro metaboliti quando disponibili. Infine, si deve tenere conto sempre della natura e della gravità del disturbo psichiatrico da trattare. Ad esempio, la psicosi postpartum è una condizione rara ma grave, che colpisce circa 1-2 donne ogni 1000 nati

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vivi. Il rischio di psicosi postpartum è maggiore nelle donne con una storia pregressa o familiare di disturbo bipolare/psicosi, con un rischio che diventa in questi casi fino 5 volte maggiore. Sintomi di depressione insieme a sintomi psicotici, come allucinazioni e deliri, possono compromettere il giudizio e il comportamento della madre e mettere a rischio la sua vita e quella del bambino. Diventa mandatorio in questi casi il trattamento farmacologico, che spesso richiede l’uso combinato di antidepressivi e antipsicotici, eventualmente associati a stabilizzatori dell’umore. In conclusione, nella gestione degli psicofarmaci durante il postpartum e l’allattamento, è di fondamentale importanza operare con prudenza e consapevolezza, prestando particolare attenzione al monitoraggio del neonato per effetti avversi e anomalie nella crescita e nello sviluppo. Specialmente per le donne che ricevono farmaci sedativi, è cruciale prendere precauzioni, come evitare di allattare a letto (per il relativo rischio di soffocamento del neonato), e assicurare un monitoraggio continuo per valutare l’impatto della sedazione sulla capacità materna di interagire con il bambino. È consigliabile, ove possibile, minimizzare le dosi e il numero di farmaci utilizzati e mantenere, quando appropriato, il regime terapeutico prescritto durante la gravidanza. Ogni decisione terapeutica dovrebbe essere attentamente ponderata, considerando le esigenze individuali di madre e bambino e cercando un equilibrio tra i benefici della terapia e dell’allattamento e i potenziali rischi associati. La consulenza informata e il sostegno continuativo possono fare la differenza, aiutando le madri a navigare con consapevolezza e sicurezza attraverso questo periodo delicato della vita.

In generale, si raccomanda di valutare caso per caso la necessità di iniziare, continuare o modificare la terapia farmacologica durante il postpartum, tenendo conto dei potenziali effetti avversi sui bambini esposti attraverso il latte materno.

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ECCO PERCHÉ IL PATRIARCATO È UNA MATRIOSKA Intervista al fumettista Giacomo Marguglio di Chiara Andreotti

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i sono imbattuta nelle illustrazioni di Giacomo Marguglio sui social: personaggi fantastici e colori che catturano l’attenzione, catturano subito lo sguardo, ma anche una certa attenzione alle battaglie che la nostra società deve affrontare. Ed è proprio questo che ha portato la Fondazione BRF ONLUS a chiedere a Giacomo di unirsi alla campagna #Parliamone: illustratori, grafici e fumettisti uniti nella battaglia allo stigma sulla salute mentale. Il disegno, d’altra parte, è uno strumento fondamentale per raccontare e spiegare un sentimento a chi lo sente come estraneo e sembra proprio che Giacomo lo sappia da sempre: “Fin da piccolo ho avuto la propensione al disegno, amavo immortalare tutto quello che vedevo intorno a me durate la giornata” racconta Giacomo, “Inoltre mio nonno materno aveva la stessa passione e spesso mi mostrava i

suoi disegni di quando era giovane; a questo punto immagino di aver preso da lui.” Come nasce il tuo processo creativo? Mi lascio spesso guidare da ciò che ho attorno, prendo spunto dalla natura e dalle situazioni di vita quotidiana a volte con un twist bizzarro o curioso. Mi piace rappresentare la realtà per come la vedo ma a volte può non essere come la vedono gli altri e questo mi piace. Ti ritrovi mai ad avere un’idea che non riesci a realizzare come vorresti? Come reagisci? Certo, capita anche più spesso di quanto si pensi, soprattutto quando ho più idee che girano insieme nella testa e a volte può essere utile fermarsi e capire quale sia la strada più espressiva per comunicare quello che si vuole trasmettere con quel disegno. A volte è anche un bene avere più di un’idea col risultato che la somma


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Illustrazione di Giacomo Marguglio.

delle tante può creare qualcosa di nuovo. Qual è il tuo rapporto con i social? Per essere illustratore a tutto tondo al giorno d’oggi bisogna inevitabilmente essere super collegati e avere un buon rapporto con i social e l’autopromozione. Personalmente non penso di sfruttare al meglio il potere dei social, non sono molto portato ad essere ambasciatore di me stesso, però mi rendo conto che con un minimo di accortezza in più riuscirei a raggiungere molte più persone e avere più visibilità come artista. Senti mai il bisogno di staccare? Come tutti certo, ma è importante ritagliarsi dei momenti per stare con se stessi e fare le cose che ci fanno bene all’anima, andare in posti che ci trasmettono serenità e frequentare persone che ci vogliono bene. Sui social si parla molto di privilegio, patriarcato e violenza nelle sue diverse forme. Quando ti sei accorto

dell’impatto sulla nostra società e in che modo? Ormai i social hanno un ruolo preponderante sulle nostre vite e purtroppo possono essere spesso veicolo di comportamenti che nutrono stereotipi dannosi. Ad esempio noto con quanta facilità circolino insulti e discriminazioni nei confronti delle donne da parte di individui che non comprendono il reale peso delle parole, anche quelle scritte sotto un post che spesso hanno però le medesime conseguenze. Credi che i social per come sono oggi impattino molto su come percepiamo la violenza contro le donne? Sicuramente avrebbero il potenziale per essere strumenti di educazione e divulgazione per vecchie e nuove generazioni, purtroppo però vengono spesso usati in modi troppo pretestuosi che impediscono la comunicazione. Rappresenti il potere, la violenza, il patriarcato come una matrioska, un uomo che tiene stretta al suo in-

“Per essere illustratore a tutto tondo al giorno d’oggi bisogna inevitabilmente essere super collegati e avere un buon rapporto con i social e l’autopromozione”.

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“In situazioni di abusi e violenze è necessario trovare un canale di comunicazione con chi li subisce in quanto spesso il comportamento di chi li mette in atto è quello di isolare la vittima dal resto della società in modo da averne il totale controllo”.

terno una donna che non può fare altro che rimanere in silenzio. Cosa credi possano fare gli uomini per sostenere le donne nel raggiungimento della parità? In quanto portatori di un dato privilegio, gli uomini hanno una grande responsabilità nel far sì che tali atteggiamenti di natura violenta e discriminatoria non vengano perpetuati né assecondati. In situazioni di abusi e violenze è necessario trovare un canale di comunicazione con chi li subisce in quanto spesso il comportamento di chi li mette in atto è quello di isolare la vittima dal resto della società in modo da averne il totale controllo. Come uomo ti sei mai trovato in situazioni in cui ti sei sentito costretto a mantenere un determinato atteggiamento o pensiero solo per non essere discriminato? Sì, in quanto parte della comunità LGBTQI+ mi sono spesso sentito in dovere di comportarmi in un certo modo piuttosto che in un altro per evitare di essere discriminato o trattato in maniera ingiusta in svariate circostanze del quotidiano. Ti senti influenzato dalla visione machista della società di oggi? Personalmente credo che la visione dell’uomo macho e sempre forte sia dannosa per tutti noi, in primo luogo per gli uomini stessi che non riescono mai a vedersi completi e risoluti a meno di non riflettere questo stereotipo ormai diffuso nella nostra società. In che modo in generale tuteli la tua salute mentale? Innanzitutto credo che ritagliare per me una certa quantità di tempo sia estremamente essenziale per vivere sereni e riuscire a interagire in modo sano con gli altri. Durante questo tempo cerco di fare cose che mi fanno stare bene e cerco di diminuire al minimo tutto ciò che mi trasmette ansia o preoccupazione.

Come si riflette il tuo stato psicologico sul tuo lavoro? Capita che quando sono di mal umore oppure ho troppi pensieri per la testa, non riesca a buttare giù nemmeno uno scarabocchio, in quel caso preferisco lasciar perdere e cercare di capire la fonte del mio disagio, per poi magari ritornarci a mente fresca. Quali sono i tuoi progetti per il futuro e per la nostra società? Spero vivamente di entrare a far parte del mondo dell’illustrazione editoriale in modo più coinciso, credo che lavorare con le immagini sia un grande vantaggio quando si vuole trasmettere un messaggio che va oltre le parole; il potere di un’illustrazione, di un quadro o di una fotografia è molto più forte dei numerosi discorsi che si potrebbero fare e spero di riuscire nel mio piccolo a cambiare il modo di pensare delle persone, cercando di promuovere la gentilezza e la tolleranza verso il prossimo, chiunque esso sia. Siamo più di 7 miliardi su questo pianeta e tutti diversi gli uni dagli altri ma una cosa ci accomuna tutti: l’essere umani e quando finalmente capiremo che la diversità è arricchimento e va preservata, solo allora potremo sperare di vivere serenamente gli uni accanto agli altri. Sarebbe davvero il momento di accettare la diversità come un arricchimento e sensibilizzare su temi fondamentali come l’accettazione di se stessi oppure l’importanza di parlare di salute mentale è uno degli obiettivi che contraddistinguono il lavoro della Fondazione BRF ONLUS. Per questo motivo sul sito www. worthwearing.org è disponibile la nuova illustrazione creata da Giacomo e tutte le grafiche di #Parliamone, perché anche indossando una t-shirt possiamo creare consapevolezza.


Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale

Visita la pagina #Parliamone sul sito www.fondazionebrf.org per acquistare i gadget della campagna e sostenere la ricerca


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IL POTERE CURATIVO DELLA NATURA: BENEFICI NEL CERVELLO DOPO UN’ORA TRASCORSA TRA GLI ALBERI E anche una passeggiata in ambiente urbano può avere alcuni vantaggi di Chiara Andreotti


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ià sappiamo che vivere in prossimità della natura può avere effetti positivi sulla salute mentale e fisica, in contrasto con gli ambienti urbani che spesso sono associati a problemi psicologici come ansia, depressione e altri disturbi. Un recente studio condotto in Germania dal Max Planck Institute for Human Development di Berlino ha cercato di dimostrare scientificamente questi benefici, rilevando cambiamenti nel cervello umano anche dopo solamente un’ora trascorsa in mezzo alla natura. La ricerca è stata pubblicata su “Molecular Psychiatry” di Nature ed è stata condotta utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), una tecnologia che permette di registrare i cambiamenti del cervello in tempo reale. Nel corso dello studio, 63 adulti sani sono stati coinvolti. Questi partecipanti hanno completato questionari, eseguito compiti di memoria di lavoro e sono stati sottoposti a scansioni di risonanza mentre rispondevano a domande, alcune delle quali erano progettate per indurre stress sociale. I partecipanti non erano a conoscenza degli obiettivi dello studio. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi in modo casuale. Un gruppo ha effettuato una passeggiata di un’ora in un ambiente urbano, specificamente un vivace quartiere dello shopping a Berlino, mentre l’altro gruppo ha fatto una passeggiata nella natura, attraverso la foresta di Grunewald, che si estende su 3.000 ettari sempre a Berlino. A entrambi i gruppi è stato chiesto di seguire un percorso specifico e di non utilizzare i loro telefoni cellulari durante la passeggiata. Dopo la passeggiata, ciascun partecipante ha svolto un’altra scansione fMRI e ha

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Questo studio dimostra che anche una breve passeggiata di un’ora nella natura può avere effetti benefici sul cervello umano, riducendo l’attività dell’amigdala associata allo stress.

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completato un ulteriore questionario che includeva un compito stressante. I risultati delle scansioni fMRI hanno rivelato una riduzione dell’attività nell’amigdala nei partecipanti che avevano fatto una passeggiata nella foresta. L’amigdala è una piccola struttura nel centro del cervello coinvolta nell’elaborazione dello stress, nell’apprendimento emotivo e nella risposta di lotta o fuga. La diminuzione dell’attività nell’amigdala durante situazioni stressanti suggerisce che la natura può attivare effetti benefici nelle regioni del cervello coinvolte nello stress, e questo accade in soli 60 minuti. Simone Kühn, neuroscienziato ambientale e capo del Lise Meitner Group for Environmental Neuroscience presso il Max Planck Institute for Human Development, ha commentato che questi risultati sup-

portano la relazione precedentemente ipotizzata tra la natura e la salute del cervello, ma è la prima volta che viene dimostrato un nesso causale. Studi precedenti avevano già associato il tempo trascorso nella natura a una serie di benefici per la salute mentale e fisica, tra cui una pressione sanguigna più bassa, una riduzione dell’ansia e della depressione, un miglioramento dell’umore, della concentrazione, del sonno, della memoria e dei tempi di guarigione. Questo nuovo studio sembra confermare ulteriormente il legame tra la natura e il benessere. Un dato interessante è emerso anche dal gruppo di persone che hanno camminato in ambiente urbano: sebbene la loro attività dell’amigdala non sia diminuita come nei partecipanti della passeggiata in natura, essa non è nemmeno aumentata. Questo potrebbe suggerire che l’esposizione urbana almeno in questo contesto specifico non ha causato un aumento significativo dello stress. Questo dato potrebbe essere visto come un segnale positivo per gli abitanti delle città, suggerendo che forse l’effetto stressante dell’ambiente urbano potrebbe essere meno potente o pervasivo di quanto suggeriscano altri studi. Inoltre, camminare in generale potrebbe avere benefici per la salute mentale. In conclusione, questo studio dimostra che anche una breve passeggiata di un’ora nella natura può avere effetti benefici sul cervello umano, riducendo l’attività dell’amigdala associata allo stress. Questi risultati sottolineano l’importanza di trovare l’opportunità per trascorrere del tempo nella natura, magari anche durante una pausa pranzo in un giardino o in un parco urbano, per ridurre le tensioni e migliorare il benessere mentale.



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APPROVATA NEGLI USA LA PRIMA PILLOLA ANTIDEPRESSIVA RAPIDA Come funziona, considerando benefici e rischi di Chiara Andreotti

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egli Stati Uniti, un nuovo farmaco antidepressivo sta rivoluzionando il trattamento della depressione: una pillola in grado di mostrare effetti benefici in soli sette giorni di utilizzo. Questa innovazione offre speranza a milioni di persone che lottano contro la depressione e rappresenta un importante passo avanti nella ricerca farmaceutica. Ma come funziona questa pillola, quali sono i suoi benefici e i potenziali rischi? La pillola antidepressiva rapida agisce attraverso una combinazione di meccanismi farmacologici che la rendono unica rispetto agli antidepressivi tradizionali. Mentre i farmaci antidepressivi classici richiedono spesso diverse settimane per manifestare pienamente i loro effetti benefici, questa agisce molto più rapidamente, fornendo sollievo ai pazienti già dopo una settimana di utilizzo. Il medicinale si basa su due principi

attivi: gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e i modulatori di recettori glutammatergici (NMDA). Gli SSRI agiscono aumentando i livelli di serotonina, un neurotrasmettitore associato al benessere e all’umore positivo, nel cervello. Gli SSRI sono già ampiamente utilizzati in molti antidepressivi tradizionali. Gli NMDA contribuiscono alla rapida risposta antidepressiva. La combinazione di questi due meccanismi rende il nuovo farmaco un potente strumento nel trattamento della depressione, permettendo ai pazienti di sperimentare una rapida riduzione dei sintomi depressivi. Tra i principali benefici di questa pillola troviamo una rapida efficacia: il principale vantaggio è la sua capacità di alleviare i sintomi depressivi in tempi molto più brevi rispetto agli antidepressivi tradizionali. Questo significa che i pazienti possono


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ottenere un sollievo più veloce e una migliore qualità di vita. Migliora l’aderenza al trattamento: poiché il medicinale mostra risultati positivi in una settimana, i pazienti potrebbero essere più inclini a continuare il trattamento, migliorando così l’aderenza terapeutica. Si parla infine di riduzione del rischio di recidiva: la possibilità di ottenere un sollievo rapido può anche ridurre il rischio di recidiva nei pazienti depressi, contribuendo a prevenire futuri episodi depressivi. Come con qualsiasi farmaco anche questo comporta alcuni rischi. È importante notare che la sua sicurezza nel lungo periodo e gli effetti collaterali a lungo termine richiedono ulteriori studi e monitoraggio. Alcuni dei potenziali rischi e preoccupazioni includono: effetti collaterali, come disturbi gastrointestinali, insonnia, vertigini e, in rari casi, disturbi emozionali o compor-

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tamentali. Può capitare di sperimentare una forma di dipendenza: come con altri antidepressivi, c’è il rischio di sviluppare tolleranza al farmaco o di diventare dipendenti da esso. È importante monitorare attentamente i pazienti che assumono il farmaco. In conclusione, l’approvazione della prima pillola antidepressiva rapida negli Stati Uniti rappresenta un importante passo avanti nella terapia della depressione. Tuttavia, è fondamentale che i medici e i pazienti siano consapevoli dei potenziali benefici e rischi associati a questo farmaco, e che la sua prescrizione e l’uso siano attentamente monitorati per garantire una terapia efficace e sicura. La depressione è una malattia grave, e qualsiasi nuovo trattamento che offre sollievo rapido merita attenzione e valutazione accurata.

Mentre i farmaci antidepressivi classici richiedono spesso diverse settimane per manifestare pienamente i loro effetti benefici, questa agisce molto più rapidamente, fornendo sollievo ai pazienti già dopo una settimana di utilizzo.

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EBBENE SÌ, ANCHE GLI ANIMALI SONO DOTATI DI IMMAGINAZIONE Lo studio condotto grazie a un sistema di interfaccia cervello - macchina di Alessia Vincenti

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embrerebbe impossibile dirlo. E invece no. Oggi sappiamo che anche gli animali possiedono un’immaginazione. Lo dice, nitidamente, uno studio condotto dai ricercatori del Janelia Research Campus dell’HHMI. Ciò è stato possibile grazie a un nuovo sistema che combina la realtà virtuale e un’interfaccia cervello-macchina per sondare i pensieri interiori del ratto. Hanno scoperto che, come gli esseri umani, gli animali possono pensare a luoghi e oggetti che non sono proprio di fronte a loro, usando i loro pensieri per immaginare di camminare verso un luogo o spostare un oggetto remoto in un punto specifico. Come gli esseri umani, quando i roditori (su cui è stato sperimentato questo sistema) sperimentano luoghi ed eventi, specifici modelli di attività neurale vengono attivati nell’ippocampo, un’area del cervello responsabile della memoria spazia-

le. Il nuovo studio rileva che i ratti possono generare volontariamente questi stessi modelli di attività e farlo per ricordare luoghi remoti distanti dalla loro posizione attuale. «Il ratto può effettivamente attivare la rappresentazione dei luoghi nell’ambiente senza andarci», ha affermato Chongxi Lai, postdoc presso gli Harris and Lee Labs e primo autore di un articolo che descrive le nuove scoperte. «Anche se il suo corpo fisico è fisso in un posto, i suoi pensieri spaziali possono andare in un luogo molto remoto». Questa capacità di immaginare luoghi lontani dalla propria posizione attuale è fondamentale per ricordare eventi passati e immaginare possibili scenari futuri. Pertanto, il nuovo lavoro mostra che gli animali, come gli esseri umani, possiedono una forma di immaginazione, secondo gli autori dello studio. La domanda, a questo punto, è capire come funziona questa in-


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terfaccia cervello - macchina, che fornisce una connessione diretta tra l’attività cerebrale e un dispositivo esterno. Tale sistema produce una connessione tra l’attività elettrica nell’ippocampo del ratto e la sua posizione in un’arena di realtà virtuale a 360 gradi. L’ippocampo memorizza le mappe mentali del mondo coinvolte nel ricordare eventi passati e nell’immaginare scenari futuri. Il richiamo della memoria comporta la generazione di specifici modelli di attività ippocampale legati a luoghi ed eventi. Ma nessuno sapeva se gli animali fossero in grado di controllare volontariamente questa attività. Non solo. Il sistema registra anche l’attività ippocampale del ratto. I ricercatori, pertanto, possono vedere quali neuroni si attivano quando il

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ratto naviga nell’arena per raggiungere ogni obiettivo. Questi segnali mostrano l’attività ippocampale in tempo reale, tradotta in azioni sullo schermo. Successivamente, i ricercatori scollegano il tapis roulant e premiano il ratto per aver riprodotto il modello di attività dell’ippocampo associato alla posizione di un obiettivo. Per cui l’interfaccia è come se traducesse l’attività cerebrale dell’animale in movimento sullo schermo della realtà virtuale. In sostanza, l’animale usa i suoi pensieri per navigare verso la ricompensa pensando prima a dove deve andare per ottenere la ricompensa. Questo processo di pensiero è qualcosa che gli esseri umani sperimentano regolarmente. E che ora, pare, anche gli animali sperimentano.

Il richiamo della memoria comporta la generazione di specifici modelli di attività ippocampale legati a luoghi ed eventi. Ma nessuno sapeva se gli animali fossero in grado di controllare volontariamente questa attività.

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FILM

DA “WOMEN TALKING” A “TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI” E “TONYA” Cosa succede quando una donna racconta una storia

di Chiara Andreotti

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osa succede quando una donna decide di raccontare una storia? Succede che le storie che nascono sono potenti, talvolta dolorose, ma talmente necessarie che dovranno risuonare nelle nostre orecchie per anni. Le voci, troppo spesso silenziate, sono tornate ad essere ascoltate in questa nuova ondata rivoluzionaria che gli Academy stanno portando avanti per dare spazio a tutti coloro che negli anni sono passati in sordina, le cui storie sono rimaste nel buio ma che oggi più che mai vogliono uscire fuori. Ecco allora che il talento e la creatività di registe e sceneggiatrici viene a galla e rimane impresso nella storia del cinema e nelle nostre menti. È successo con uno dei candidati a miglior film 2023 “Women Talking – Il diritto di scegliere” (2022) scritto e diretto da Sarah Polley, regista e sceneggiatrice canadese che ha vinto

l’Oscar come miglior sceneggiatura non originale. Adattamento del romanzo “Donne che parlano” di Miriam Tows, è ispirato a fatti realmente accaduti in una comunità in Bolivia nel 2011. La pellicola racconta la storia di un gruppo di donne che scopre che gli uomini della loro stessa comunità, i loro mariti, figli e fratelli, le narcotizzavano con un tranquillante per mucche e abusavano di loro. A fronte di una denuncia alcuni degli uomini vengono arrestati nella città vicina e gli altri partono in soccorso per pagare la cauzione. Le donne, rimaste sole e isolate nella comunità, hanno poche ore per decidere del loro futuro. Mettono in atto una votazione seguita da un dibattito che vede fronteggiarsi chi vuole restare e combattere, chi vuole lasciare la comunità e iniziare una nuova vita e chi invece, sopraffatta dalla paura, pensa di rimanere e stare in silenzio.


FILM

Quella che ne emerge è una storia dall’impronta teatrale, dove i dialoghi sono l’elemento portante: ogni voce ha la sua importanza e ogni donna che prende parola ha alle spalle una storia fatta di dolore, scelte, silenzi e speranze. Le stesse speranze di libertà e giustizia che sembrano essere le premesse di “Una donna promettente” (2020) scritto e diretto da Emerald Fennell. Anche questa pellicola, candidata come miglior film nel 2021, ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura originale. Cassie è una ragazza che sembra aver perso la bussola della propria esistenza: ha abbandonato la facoltà di medicina, lavora in un bar e passa le serate da sola in discoteca fingendosi ubriaca in modo da dare una lezione agli uomini che tentano di approfittarsi di lei. Quello che però la spinge a questo teatrino è la vendetta per quanto accaduto alla sua migliore amica, che si è suicidata a seguito della diffusione contro la sua volontà di video intimi. Cassie, che non riesce ad andare avanti con la propria vita, decide di mettere in atto un piano per colpire tutti coloro che ritiene colpevoli del destino della sua amica. Una storia drammatica, con un’impronta thriller, che tiene sempre alta l’attenzione dello spettatore e punta i riflettori sul revenge porn, una forma di violenza spesso taciuta che in Italia è diventata reato nel 2019. Capita che anche i registi uomini vogliano rappresentare la violenza sulle donne, trovando supporto in produttrici e attrici che hanno portato la pellicola agli Oscar. Lo ha fatto Martin McDonagh con “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” (2017) e Craig Gillespie con “Tonya” (2017).

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McDonagh racconta di Mildred (Frances McDormand) una donna distrutta dal destino della figlia, violentata e uccisa, che con alcuni manifesti e frasi provocatorie mette in moto una serie di avvenimenti che sconvolgono una silenziosa e dimenticata cittadina del Missouri. Frances McDormand, sul palco a ritirare il premio come miglior attrice protagonista, ha inneggiato a tutte le donne candidate presenti in sala, mostrando come fossero una minoranza in tutto il teatro. Infine la storia di Tonya Harding, pattinatrice che negli anni Novanta è finita al centro di uno scandalo per il sabotaggio della sua rivale che è stata aggredita a pochi giorni dalla competizione. Il film inizia con la sua infanzia difficile con la madre LaVona, interpretata da Allison Janney che si è aggiudicata il premio come miglior attrice non protagonista, per approdare alla sua vita adulta fatta di allenamenti, gare e un marito abusante. Speriamo di poter godere di ritratti sempre più frequenti di donne forti al cinema, in modo da poter celebrare la Giornata contro la violenza sulle donne scoprendo, per coloro che non li hanno ancora visti, quei titoli che finalmente conferiscono alle donne la voce che avrebbero dovuto avere da sempre.

“Women Talking – Il diritto di scegliere” racconta la storia di un gruppo di donne che scopre che gli uomini della loro stessa comunità, i loro mariti, figli e fratelli, le narcotizzavano con un tranquillante per mucche e abusavano di loro.

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LIBRI

GIULIO CAVALLI: LA DISTOPIA SUL DRAMMA DEL FEMMINICIDIO Lo scrittore e attore lombardo torna in libreria con “I Mangiafemmine” di Flavia Piccinni

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n’acuta critica sociale e politica, incentrata sulla violenza contro le donne in un contesto politico contemporaneo. Ecco l’ultimo lavoro di Giulio Cavalli - scrittore e drammaturgo, nonché giornalista dall’ampio seguito online - che torna in libreria con “I Mangiafemmine” (Fandango, pp. 204) proprio a ridosso della giornata mondiale della violenza contro le donne, che si celebra il 25 novembre. Secondo lo stile cui ha abituato il suo pubblico, battezzato con successo da “Carnaio” (Fandango), Cavalli anche questa volta mette insieme distopia a realtà, per amplificare i cortocircuiti del nostro tempo. La trama ruota attorno alla figura di Valerio Corti, un candidato “I Mangiafemmine” premier dei Conservatori, Giulio Cavallo la cui ascesa al potere è Fandango, 2023 304 pagine, 18 euro offuscata da una serie di omicidi di donne. Queste donne vengono brutalmente uccise in casa da mariti, amanti, ed ex fidanzati, tracciando un inquietante modello di violenza domestica. Pagina dopo pagina, il romanzo mette in luce

la disattenzione e l’indifferenza della classe politica nei confronti di questa crisi. La risposta di Corti, che ignora il problema, riflette un atteggiamento diffuso e problematico verso la violenza di genere. La sua affermazione che “le donne per bene” non corrono rischi è una critica pungente alla mentalità che minimizza la gravità di questi crimini. Ed è così - mentre i dati ci raccontano che nel nostro Paese un femminicidio viene compiuto ogni 3 giorni - che Cavalli solleva questioni importanti sulla responsabilità della politica e dello Stato nel proteggere i suoi cittadini, in particolare le donne, da tali atrocità. Il libro, quindi, non solo è un thriller politico, ma anche un commento sulla società attuale, sui suoi valori e sulla sua incapacità di affrontare questioni critiche come la violenza contro le donne. Si arriva colpevoli e disarmati alla conclusione di questo struggente romanzo, provocatorio e stimolante, che esplora la complessità della violenza di genere e la sua intersezione con la contemporaneità, decantando lodi e nenie della giustizia sociale e del ruolo della politica nel plasmare la società.


PODCAST

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INFORMAZIONE E CULTURA DELLA SOLIDARIETÀ ON-AIR Podcast contro la violenza. Da “Love Bombing” a “Respiro: Voci di Speranza per gli Orfani di Femminicidio” di Flavia Piccinni

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n un mondo dove la violenza domestica lascia cicatrici profonde, si moltiplicano gli strumenti per creare cultura, intrecciare relazioni e diffondere solidarietà. Un po’ come quello che prova a fare “Love Bombing” (storielibere.fm) della giornalista Roberta Lippi, che accompagna tra testimonianze dirette - di vittime e, nell’ultima edizione anche di un carnefice, una manipolatrice sentimentale - chi ascolta, mettendo in evidenza tanto i comportamenti dei manipolatori, quanto le strategie per salvarsi. Ma anche come accade con “Respiro” - firmato sempre dalla medesima autrice - che narra le storie degli orfani di femminicidio e punta a restituire la realtà che scaturisce dove nessuno guarda, quando le telecamere si spengono e le passerelle politiche si esauriscono. Questa serie in sei puntate, sviluppata da Terre des Hommes, offre una finestra sulla realtà spesso invisibile dei bambini che perdono entrambi i genitori in circostanze tragiche: la madre, vittima di crimine domestico, e il padre, finito in carcere o deceduto. Il progetto, nato nel 2021 dalla Cooperativa Irene ‘95 e sostenuto dall’impresa sociale Con i Bambini, mira a offrire un sostegno concreto ai bambini affetti da un trauma così profondo; attraverso storie personali e interviste, con un impegno verso un modello di cura e intervento, il podcast si propone di rompere il silenzio, accompagnando i giovani protagonisti in

un percorso di guarigione e consapevolezza che sia da monito anche per chi ascolta. “Respiro” non è così solo un racconto, ma un’iniziativa che intende stimolare un cambiamento culturale attraverso la collaborazione con media e comunicatori, diffondendo un approccio più consapevole alla prevenzione della violenza domestica. La sua essenza si riflette nel nome stesso: un respiro di sollievo e di speranza per coloro che hanno affrontato l’indicibile, ma cercano ancora la luce nel buio della loro esperienza.

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Libri fuori dal tempo e dalle mode

www.edizionidiatlantide.it


TITOLI DI CODA

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LE VITTIME DEL FEMMINICIDIO IN ITALIA DAL 1° GENNAIO AL 21 NOVEMBRE 2023 Rita Talamelli

Anna Elisa Fontana

Giulia Cecchettin

Liliana Cojita

Francesca Romeo

Rosaria Di Marino

Patrizia Vella Lombardi

Maria Rosa Troisi

Michele Faiers Dawn

Cosima D’Amato

Etleva Kanolja

Nerina Fontana

Annalisa D’Auria

Marisa Leo

Pinuccia Anselmino

Rossella Nappini

Giuseppina Lamarina

Francesca Renata Marasco

Antonella Iaccarino

Vera Schiopu

Marta Di Nardo

Anna Scala

Concetta Marruocco

Celine Frei Matzohl

Silvana Aru

Maria Costantini

Eleonora Moruzzi

Iris Setti

Piera Paganelli

Sofia Castelli

Anna Malmusi

Mara Fait

Egidia Barberio

Angela Gioiello

Klodiana Vefa

Marina Luzi

Monica Berta

Vera Maria Icardi

Carla Schiffo

Norma, Bologna

Manuela Bittante

Mariella Marino

Fano, 20 novembre 2023 Barcis, 18 novembre 2023 Taurianova, 18 novembre 2023 Capodrise, 14 novembre 2023 Casoli, 1 novembre 2023 Savona, 29 ottobre 2023 Rivoli, 28 ottobre 2023 Varese, 25 ottobre 2023 Latiano, 24 ottobre 2023 Napoli, 21 ottobre 2023 Milano, 20 ottobre 2023 Cerreto d’Esi, 14 ottobre 2023 Roma, 13 ottobre 2023 Bardi, 5 ottobre 2023 Rimini, 4 ottobre 2023 Vignola, 1 ottobre 2023 Primavalle di Roma, 30 settembre 2023 Castelfiorentino, 28 settembre 2023 Alessandria, 27 settembre 2023

Alessandria, 27 settembre 2023 Treviso, 25 settembre 2023

Palermo, 25 settembre 2023 Tombolo, 21 settembre 2023 Calvizzano, 20 settembre 2023 Battipaglia, 20 settembre 2023 San Michele Salentino, 20 settembre 2023 Brescia, 16 settembre 2023 Marsala, 6 settembre 2023 Roma, 4 settembre 2023 Foggia, 28 agosto 2023

Ramacca, 19 agosto 2023 Piano di Sorrento, 17 agosto 2023 Silandro, 13 agosto 2023 Milano, 9 agosto 2023 Trento, 6 agosto 2023 Cologno Monzese, 29 luglio 2023 Noriglio di Rovereto, 28 luglio 2023 Monterusciello di Pozzuoli, 28 luglio 2023 Fossombrone, 25 luglio 2023 Vinovo, 24 luglio 2023 22 luglio 2023

Troina, 20 luglio 2023

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TITOLI DI CODA

Benita Gasparini

Agnese Oliva

Ilenia Bonanno

Francesca Giornelli

Fontanelle di Agrigento, 6 luglio 2023

Tuoro Sul Trasimeno, 28 marzo 2023

Maria Michelle Causo

Pinuccia Contin

Primavalle di Roma, 28 giugno 2023

Pavia, 16 marzo 2023

Laura Pin

Maria Febronia Buttò

Fiume Veneto, 28 giugno 2023

Gioiosa Marea, 10 marzo 2023

Margherita Ceschin

Rubina Kousar

Conegliano, 24 giugno 2023

Pinerolo, 9 marzo 2023

Svetlana Ghenciu

Petronilla De Santis

Rimini, 19 giugno 2023

Carlantino, 9 marzo 2023

Rosa Moscatiello

Rossella Maggi

Roteglia di Castellarano, 12 giugno 2023

Lumellogno di Novara, 8 marzo 2023

Cettina De Bormida

Iulia Astafieya

Catania, 10 giugno 2023

Rosarno, 7 marzo 2023

Floriana Floris

Iolanda Pierazzo

Incisa Scapaccino, 9 giugno 2023

Trieste, 6 marzo 2023

Maria Brigida Pesacane

Rosalba Dell’Albani

Sant’Antimo, 8 giugno 2023

Giarratana, 4 marzo 2023

Giuseppina De Francesco

Caterina Martucci

Istia d’Ombrone di Grosseto, 8 giugno 2023

Serranova di Carovigno, 1 marzo 2023

Giulia Tramontano

Giuseppina Traini

Senago, 1 giugno 2023

Capodarco di Fermo, 25 febbraio 2023

Pierpaola Romano

Maria Luisa Sassoli

San Basilio di Roma, 1 giugno 2023

Ferrara, 23 febbraio 2023

Ottavina Maestripieri

Sigrid Gröber

Pistoia, 1 giugno 2023

Merano, 19 febbraio 2023

Yirel Natividad Peña Santana

Chiara Carta

Cassino, 27 maggio 2023

Silì di Oristano, 18 febbraio 2023

Anica Panfile

Rosina Rossi

Spresiano, 21 maggio 2023

Castagneto Carducci, 16 febbraio 2023

Jessica Malaj

Cesina Bambina Damiani

Torremaggiore, 7 maggio 2023

Casoli, 12 febbraio 2023

Danjela Neza

Melina Marino

Savona, 6 maggio 2023

Riposto, 11 febbraio 2023

Rosanna Trento

Santa Castorina

Paese, 3 maggio 2023

Riposto, 11 febbraio 2023

Antonella Lopardo

Antonia Vacchelli

Cassano allo Ionio, 2 maggio 2023

Lecco, 6 febbraio 2023

Wilma Vezzaro

Margherita Margani

Verona, 25 aprile 2023

Pietraperzia, 4 febbraio 2023

Barbara Capovani

Yana Malayko

Pisa, 23 aprile 2023

Lonato del Garda, 1 febbraio 2023

Stefania Rota

Giuseppina Faiella

Mapello, 21 aprile 2023

Poggioreale di Napoli, 28 gennaio 2023

Anila Ruci

Alina Cristina Cozac

Scaldasole, 19 aprile 2023

Spoltore, 22 gennaio 2023

Rosa Gigante

Teresa Di Tondo

Pianura di Napoli, 18 aprile 2023

Trani, 15 gennaio 2023

Sara Ruschi

Oriana Brunelli

Arezzo, 13 aprile 2023

Bellaria Igea Marina, 14 gennaio 2023

Brunetta Ridolfi

Martina Scialdone

Arezzo, 13 aprile 2023

Tuscolano di Roma, 13 gennaio 2023

Carla Pasqua

Giulia Donato

Tempera de L’Aquila, 31 marzo 2023

Pontedecimo di Genova, 4 gennaio 2023

Alessandra Vicentini

Teresa Spanò

Bagheria, 2 gennaio 2023

Pantianicco di Mereto Di Tomba, 19 luglio 2023

Tempera de L’Aquila, 31 marzo 2023

Zenepe Uruci

Terni, 30 marzo 2023

Roma, 29 marzo 2023



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