Pizza e Pasta Italiana - Settembre 2021

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n°8 settembre 2021 anno XXXII



Sarà presente a Milano

PAD 1 - STAND M10


4

pizza e pasta italiana settembre

2021

AZIENDE Albinea Canali

p. 97

Brimi

p. 47

Cameo

p. 13

Caseificio Moro

p. 31

Cerutti Inox Cuppone Di Marco Corrado Srl

p. 125 p. 63 p. 93

Dr Schaer

p. 22, 23

Dr Zanolli

p. 89

Familia

p. 67

Farmfrites

p. 29

Gi Metal

p. 85

Greci

p. 117

Gruppo Cellino

p. 43

Host

p. 129

Iffco

p. 59

Industria Alimentare Tanagrina

p. 73 p. 9, 121

Latteria Montanari

p. 113

La Torrente

p. 69

Lilly Codroipo

p. 79

Macinazione Lendinara

p. 33

Marana Forni

p. 14, 15

Megliopuglia

p. 71

Mecnosud Millberg

p. 26, 27 p. 123

Molecola

p. 11

Molino Agugiaro e Figna

p. 51

Molino Cosma

p. 55

Molino Denti

p. 65

Molino Magri

p. 131

Molino Pasini

p. 37 p. 7

MTP Forni

p. 81

Mulino Padano

p. 83

OEM Refrattari Reggello - Forni Valoriani Ristora Hotel Sicilia Sanfelici

p. 107 p. 75 p. 130 p. 19

Sitta

p. 132

Velma

p. 41

Vitella

p. 3

Vito Italia srl

p. 39

24

EDITORIALE

Riprende la vita. Con nuove scelte anche nella ristorazione di Giampiero Rorato

8 PRIMA PAGINA a cura della redazione

10-12 PIZZA NEWS a cura della redazione

16

SPECIALE PIZZA NAPOLETANA

Ritorno al territorio

SPECIALE PIZZA NAPOLETANA

Intervista con Massimo Di Porzio, Vicepresidente Associazione Verace Pizza Napoletana a cura della redazione

28

di Giampiero Rorato

20

SPECIALE PIZZA NAPOLETANA

p. 2

Molino Dallagiovanna

Molino Naldoni

6

p. 109

Forni Pavesi Rimini

Italforni

— Sommario —

SPECIALE PIZZA NAPOLETANA

Intervista con Sergio Miccù, Presidente Associazione Pizzaiuoli Napoletani a cura della redazione

La pizza Napoletana. Storia, caratteristiche e disciplinare a cura della redazione

34

Intervista a Luciano Pignataro di David Mandolin


5

sommario

38

Sicurezza alimentare e tracciabilità dei grani, sia italiani che importati

L’importanza 70 della mozzarella sulla pizza: quale scegliere? di Marisa Cammarano

di Alfonso Del Forno

76

Street Sud.

a cura della redazione

Il cibo di strada secondo Napoli.

in collaborazione con Italmopa

di Antonio Puzzi

44

Enzo Coccia, Maestro della pizza napoletana di Caterina Orlandi

Guglielmo Vuolo.

80

Tenuta Tosi, Cilento: la salvaguardia della tradizione di Marisa Cammarano

48

Peppe Guida

di David Mandolin

52

I vini rossi della Campania

di Alfonso Del Forno

di Giampiero Rorato

Giuseppe Pignalosa

90

94

di Caterina Orlandi

di Virgilio Pronzati

98

Carmine Donzetti, innovare rispettando la tradizione

Pizza World Sharing, le menzioni speciali. 2° parte

a cura della redazione

a cura della redazione

Il pomodoro e la pizza napoletana di Michele Croccia

Grani del Paradiso

Liquori,

distillati e rosoli della Campania di Caterina Vianello

114

di Giampiero Rorato

Come rendere più moderna l’analisi di tutti i costi

118

HR MANAGEMENT

Stage curricolare ed extra curricolare

122

dell’Avv. Manuela Viscardi

“La pizza mi incanta sempre”

66

LE SPEZIE

di Domenico Maria Jacobone

Tra le sigle del vino: un viaggio non agevole

60

di Giampiero Rorato

di C.O.

Rosa Citro e la sua pizza gluten free

56

86

110

Procida 2022. Capitale italiana della cultura

FOOD COST

Chef stellato e grande interprete della cultura gastronomica napoletana.

Una bella storia da Napoli al mondo

I piatti 104 della tradizione napoletana incontrano la birra

100

126

Osservatorio Host a cura della redazione

Scuola Italiana Pizzaioli

127

Il programma di Pizza e Pasta Italiana ad Host

128

a cura della redazione

LE AZIENDE INFORMANO Mecnosud

p. 26

Molino Denti

p. 64


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pizza e pasta italiana settembre

2021

— Editoriale —

Riprende la vita. Con nuove scelte anche nella ristorazione Giampiero Rorato

È

vero che il peggio è passato e che, pur gradualmente, assieme al lavoro ripartito alla grande, come ci assicurano i dati ISTAT, l’Istituto Nazionale di Statistica, ripartono ora le scuole in presenza, mentre la sanità, irrobustita dall’impegnativa esperienza vissuta per oltre un anno e mezzo, è oggi in grado di offrire servizi migliori e più veloci, ancor meglio se sarà potenziata la sanità pubblica, con una qualificata rete di medicina sul territorio ed ospedali pubblici più ricchi di medici e di attrezzature, capaci di rispondere con accresciuta competenza e velocemente alle molteplici richieste di chi ne ha bisogno. Scrivo questo perché il mondo del lavoro,

costituito anche da chi opera nella ristorazione, dà lavoro a centinaia di migliaia di persone, contribuendo in modo consistente al reddito nazionale. Per questo gli operatori della ristorazione hanno bisogno di avere alle spalle dei servizi pubblici pienamente funzionanti e col Recovery plan in partenza, pensiamo che si possa essere ottimisti. Ci piacerebbe poi che la vita riprendesse con le cose più belle che c’erano prima, con un ritorno alla socializzazione di qualità, ma soprattutto, dai ristoranti alle paninoteche vorremmo trovare un maggior impiego di prodotti di alta qualità. E torno a suggerire una proposta che già numerosi ristoratori, pizzaioli e anche panificatoti

stanno realizzando da tempo: indicare nel menu e nella lista dei pani offerti al pubblico l’origine delle materie prime: il nome dei produttori della carne, degli insaccati, del pesce, dei formaggi, dell’olio evo, il grano da cui deriva la farina e come è stato coltivato e così via, perché in futuro – cominciato già ieri – attireranno sempre più i ristoranti e le pizzerie che indicano in Carta l’origine dei prodotti impiegati in cucina, mentre per i fornai quelli che indicheranno nelle tabelle esposte al pubblico, e ben visibili, con quali farine e quale lievito sono prodotte le varie tipologia di pane. C’è ancora chi guarda il prezzo, per abitudine o per bisogno, e sceglie i prodotti che

costano meno, incappando, a volte, in prodotti chiaramente vergognosi. Ma il futuro, con l’aumento della cultura alimentare già in atto, vedrà la gente scegliere con più attenzione, privilegiando i prodotti migliori e, spesso, quelli dalla filiera più corta. Questo sarà il futuro della ristorazione ed è bene che tutti i professionisti si preparino. Nelle interviste che compiamo e che riportiamo ogni mese in questa rivista, ci sono chef e pizzaioli seri e intraprendenti, attenti al nuovo e soprattutto al buono, proiettati verso il futuro, perché per un numero crescente di consumatori il futuro è già cominciato e se non si è pronti si corre il rischio di restare indietro o, addirittura, di rimanere esclusi.

www.giampierororato.blogspot.com COLOPHON

PIZZA E PASTA ITALIANA Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura

PROGETTO GRAFICO Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi — Mediagraf lab

Edito da PIZZA NEW S.p.A. Autorizzazione Tribunale di Venezia n. 1019 del 02/04/1990 Anno XXXI - n.8 settembre 2021 Repertorio ROC n. 5768

DIGITAL PUBLISHING Maura Trolese — Mediagraf lab

DIRETTORE EDITORIALE Massimo Puggina DIRETTORE RESPONSABILE Giampiero Rorato SEGRETARIA DI REDAZIONE Caterina Orlandi PUBBLICITÀ David Mandolin, Caterina Orlandi RESPONSABILE PROGETTO David Mandolin REDAZIONE Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

IN COPERTINA illustrazione di Valentina Bongiovanni STAMPA MEDIAGRAF S.p.A. Noventa Padovana (Pd) COMITATO TECNICO E REDAZIONALE Marisa Cammarano, Tony Gemignani (U.S.A.), David Mandolin, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Caterina Orlandi, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon. AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.), P.M.Q. Russia, P.M.Q. Cina.

ASSOCIATO ALL’UNIONE ITALIANA STAMPA PERIODICA

PER LA PUBBLICITÀ SULLE RIVISTE: ITALIA Pizza e Pasta Italiana; U.S.A. Pizza Today, P.M.Q. TEL 0421.83148 — FAX 0421.81007 PER INFORMAZIONI, SOTTOSCRIVERE UN ABBONAMENTO O RICHIEDERE UN ARRETRATO: TELEFONARE AL NUMERO 0421 212348 dal lun. al ven.: 10:00 – 12:00 / 15:00 – 17:00 INVIARE UN FAX A 0421 83178 Servizio abbonamenti Pizza e Pasta Italiana INVIARE UNA MAIL A: abbonamenti@pizzaepastaitaliana.it L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno e dà diritto a ricevere 11 numeri della rivista. L’abbonamento andrà in corso dal primo numero raggiungibile.


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LA LINEA SOFFIO RADDOPPIA T I P O 0 E T I P O 1 P E R M E D I A E L U N G A L I E V I TA Z I O N E P E R U N A P I Z Z A C R O C C A N T E D A L B O R D O A L T O E D A LV E O L A T O M O L I N O PA S I N I . C O M


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pizza e pasta italiana settembre

2021

PRIMA PAGINA

a cura della redazione

FIPE: la campagna #SICUREZZAVERA entra nel vivo. Al via la presentazione del progetto in 5 città

Il

contrasto alla violenza di genere passa sempre di più dai Pubblici Esercizi. È infatti pronto a entrare nel vivo il progetto #sicurezzaVera, partito ufficialmente nei mesi scorsi con la firma di un protocollo tra la FipeConfcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, il Gruppo Donne

Assemblea Generale Italmopa: Silvio Grassi eletto Presidente per il biennio 2021-2022

È

Silvio Grassi il nuovo Presidente eletto in occasione dell’Assemblea Generale di Italmopa, Associazione Industriali Mugnai d’Italia, aderente a Confindustria e a Federalimentare, che rappresenta, in via esclusiva, l’Industria molitoria italiana a frumento tenero e a frumento duro. Grassi, che guiderà Italmopa nel biennio 2021-2022, succede a Cosimo De Sortis che ha ricoperto il ruolo di Presidente dell’Associazione negli ultimi 4 anni dedicandosi al proprio compito con grande entusiasmo e profondo senso di responsabilità. A lui vanno i più sinceri ringraziamenti da

Imprenditrici della Federazione e la Polizia di Stato. L’obiettivo è quello di incrementare i livelli di sicurezza delle persone e degli stessi esercizi, nel quadro di aggiornate strategie di prevenzione di eventi illegali o pericolosi, connessi a forme di violenza di genere”.

nonché, creare una rete per promuovere e diffondere la cultura di genere. Per le dipendenti, le clienti e le titolari di aziende. E il primo passo per prevenire la violenza è quello di riconoscere i segnali di pericolo. Grazie al supporto della Polizia di Stato, insegneremo sia alle donne sia agli uomini a riconoscere questi segnali e insegneremo loro come reagire”.

“Troppo spesso i pubblici esercizi vengono dipinti come luoghi pericolosi – sottolinea la presidente del Gruppo Donne Imprenditrici di Fipe – Confcommercio, Valentina Picca Bianchi. Luoghi nei quali si pensa che sia lecito fare avances spinte alle ragazze che servono ai tavoli, o nei quali un sorriso in più fatto da una donna che lavora dietro a un bancone viene subito male interpretato. Noi vogliamo ribaltare questo stereotipo e rafforzare i nostri locali in presìdi di legalità e di sicurezza,

Il progetto darà centralità ai Pubblici Esercizi sotto due aspetti principali: uno, riconoscendoli come punto di riferimento e luogo sicuro; due, rafforzando la sicurezza all’interno dei locali stessi. Il centro del progetto saranno le iniziative informative e formative per diffondere la conoscenza delle tematiche relative alla cultura di genere e alla violenza basata sul genere grazie al contributo attivo della Polizia di Stato.

parte delle Aziende associate e della struttura per aver contribuito fattivamente allo sviluppo dell’Associazione.

parzialmente compensata da una crescita del canale domestico (+33,6%) che esprime tuttavia una quota piuttosto limitata sugli acquisti totali delle farine di frumento tenero.

A supportare il Presidente Grassi, i quattro Vice Presidenti designati: Andrea Valente (Nova) ed Emanuela Munari (Munari F.lli) per la Sezione Molini a frumento tenero, Enzo Martinelli (Candeal Commercio) ed Emilio Ferrari (Barilla G. & R. Fratelli) per la Sezione Molini a frumento duro. Valente e Martinelli svolgeranno altresì la funzione rispettivamente di Presidente della Sezione a frumento tenero e Presidente della Sezione a frumento duro. In occasione dell’Assemblea annuale, Italmopa ha diffuso, come di consueto, i dati 2020 relativi al comparto molitorio nazionale. Relativamente al comparto della macinazione del frumento tenero, si registra una riduzione complessiva dei volumi produttivi del 4,2% rispetto al 2019 - ovvero da 4,055 a 3,883 milioni di tonnellate - per via, in particolare, della forte contrazione registrata nei canali della panificazione (-7,6%) e della pizzeria (-22,8%) solo molto

incremento del 2,8% rispetto ai livelli produttivi registrati nel 2019. Relativamente al comparto della macinazione del frumento tenero, si registra una riduzione complessiva dei volumi produttivi del 4,2% rispetto al 2019 - ovvero da 4,055 a 3,883 milioni di tonnellate - per via, in particolare, della forte contrazione registrata nei canali della panificazione (-7,6%) e della pizzeria (-22,8%) solo molto parzialmente compensata da una crescita del canale domestico (+33,6%) che esprime tuttavia una quota piuttosto limitata sugli acquisti totali delle farine di frumento tenero.



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pizza e pasta italiana settembre

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PIZZA NEWS a cura della redazione

CHEF IN PIZZERIA Al via la seconda edizione del progetto by Pizzeria Salvo

T

orna la seconda edizione dell’iniziativa Chef in Pizzeria, portata avanti dai fratelli Francesco e Salvatore Salvo: 4 chef, 8 settimane, 12 pizze per un’esperienza all’insegna dell’incontro tra il mondo del fine dining e quello della pizza. Ospiti dei fratelli Francesco e Salvatore Salvo 4 chef d’eccezione: Peppe Guida (Antica Osteria Nonna Rosa), Luigi Salomone (Re Santi e Leoni), Eugenio Boer (Bu:r) e Ernesto Iaccarino (Don Alfonso 1890). Nella sede di Napoli, alla Riviera di Chiaia, si susseguiranno a rotazione ogni due settimane le pizze ideate dai 4 chef che vedranno l’incontro di tecniche e sapori nati dalla fusione tra tradizione, ispirazioni, cucine personali e differenti percorsi di formazione. Ad aprire le danze lo chef Peppe Guida del ristorante Antica Osteria Nonna Rosa* a Vico Equense (NA). La sua cucina, originale e creativa, è fedele alla tradizione campana e ai suoi prodotti, per lo più provenienti dalla sua azienda agricola, e riesce sempre a coniugare l'alta cucina con la semplicità delle ricette ispirate al passato. Il secondo appuntamento è dedicato a Luigi Salomone resident chef di Re Santi e Leoni a Nola (NA), si continua con Eugenio Boer del ristorante Bu:r di Milano che presenta uno stile culinario basato sulla concettualità ma con una base solida della cucina classica maturata da anni di esperienza. Ernesto Iaccarino del ristorante Don Alfonso 1890** a Sant’Agata sui Due Golfi concluderà questa seconda edizione con tre pizze semplici dedicate alla sua famiglia, che rimarcano il legame con il territorio e la cucina classica, utilizzando ingredienti a km0.

IMPASTO 55 - Gusto in Equilibrio apre in Piazza Vittoria a Napoli

S

i chiama Impasto 55 la pizzeria aperta da Vitale De Gais nei mesi scorsi in Piazza Vittoria 11-12, a pochi passi dal lungomare di Napoli e dalla Villa Comunale. Il progetto nasce per offrire al pubblico napoletano un’esperienza che fa della ricerca di qualità ed equilibrio il suo maggiore punto di forza. Il locale punta l’attenzione sull’impasto e recupera un’antica regola dei pizzaioli, la regola del 55: la somma della temperatura ambiente, della temperatura della farina e della temperatura dell’acqua deve sempre essere pari a 55. Un preciso calcolo matematico e farine di alta qualità per un impasto a regola d’arte, da qui la scelta del nome della pizzeria. La “regola del 55” consiste nel riconoscere il ruolo cruciale che svolge la temperatura nella preparazione dell’impasto senza trascurare la qualità della farina: una miscela di farine di Tipo 1 e di Tipo 2 macinata a pietra, ricca di fibre nobili, profumi e nutrienti preziosi per una pizza naturale e digeribile, fatta con ingredienti selezionati e di qualità. La carta contempla le classiche della tradizione e nuove varianti gastronomiche che danno spazio a ingredienti freschi e di stagione. Il locale progettato da Mimmo Esposito, artista, scenografo e creativo, gioca sui toni del legno e del vimini. Il 55 si ripete anche nei coperti: trenta interni e 25 esterni su un ampio dehor aperto sulla piazza.



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pizza e pasta italiana settembre

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PIZZA NEWS a cura della redazione

HOST Milano: il mondo ho.re.ca. riparte “in presenza” con un'agenda di oltre 800 eventi. Tra il ritorno di smart label innovation award e “pasticceria di lusso nel mondo” by Iginio Massari

Un’

occasione imperdibile per fare networking e celebrare insieme la ripartenza dell'intero settore Ho.re.ca. Per i top player dell'ospitalità professionale mondiale l'appuntamento da non perdere sarà, “in presenza” e in piena sicurezza, a HostMilano (a fieramilano, dal 22 al 26 ottobre 2021): buyer, stakeholder e di associazioni dei mercati internazionali più interessanti – troveranno un variegato menù di appuntamenti da non perdere.

All'interno del “palinsesto”, il posto d'onore verrà riservato alla grande vetrina di SMART Label - Host Innovation Award, il riconoscimento divenuto ormai un punto fermo a livello internazionale per tutto ciò che riguarda l'innovazione. Organizzato da Fiera Milano e HostMilano in collaborazione con POLI.Design Consorzio del Politecnico di Milano con il patrocinio di ADI - Associazione Italiana per il Disegno Industriale, il concorso può contare su una giuria composta da docenti del Politecnico di Milano ed esperti provenienti dal mondo del design, dell'architettura e dell'hospitality (tra i quali siede anche il Maestro Massari)

sceglierà i prodotti/servizi/progetti considerati più “dirompenti” per funzionalità, tecnologie, sostenibilità ambientale, etica o risvolti sociali. Sul fronte della pasticceria, dopo il successo di due anni fa, sarà di nuovo tra i padiglioni di Rho Fiera “Pasticceria di Lusso nel Mondo” by Iginio Massari, il concept ideato dal Maestro del pastry italiano e internazionale che metterà uno accanto all'altro i più grandi nomi del mondo sweet a livello globale, tutti chiamati ad interrogarsi sulle ultime tendenze del dolce d’alta gamma.

Arte bianca, va in scena il Panettone World Championship Promuovere, attraverso un confronto internazionale, il rispetto del panettone artigianale tradizionale, sensibilizzando l’opinione pubblica sull’importanza della qualità, del valore e dell’unicità di un dolce tradizionale fatto senza l'utilizzo di additivi chimici. Torna, ad Host2021 con la sua seconda edizione, Panettone World Championship, campionato a cura dell’Accademia dei Maestri del Lievito Madre e del Panettone Italiano, che celebra il lievitato italiano più famoso al mondo: il panettone tradizionale

artigianale. Da non perdere, sempre nel macrosettore dedicato a Pane Pizza Pasta, anche le iniziative messe in campo dall’Associazione Panificatori di Milano e Province di Confcommercio Milano, protagoniste con Bakery Academy.

Ristorazione professionale: focus sulla digitalizzazione Una survey sull’innovazione digitale nella ristorazione. Un trend che non è più possibile ignorare, dal momento che il 55% dei ristoranti ancora non utilizza app o software per le ordinazioni, soltanto il 34% ha adottato un software per la gestione del magazzino e solo il 31% si serve di strumenti per la fatturazione elettronica. Sono solo alcuni dei dati che verranno resi noti ad Host2021 durante la presentazione di Ristorazione 4.0, un Osservatorio privilegiato sulla digitalizzazione del comparto a cura di FIPE – Federazione Italiana Pubblici Esercizi.


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Napoletana Giuseppe: Amore a Prima Pizza Napulé forno VPN: Lo Specialista Johnny: La Felicità Ciccio: La Serenità

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Luigi: La Gioia Dennis: La Ricerca Attilio: L’Entusiasmo Guinness: La Passione 30 pizzaioli Napoletani uniti per un Guinness. - Chiasso 27-6-2015 Carlo: La Soddisfazione Antonio: La Certezza

Cosa accomuna questi maestri?

la passione per la pizza napoletana e un forno Marana.

Prossime fiere Lyon - SIRHA

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Paris - PARIZZA 13-14/10/2021 Bolzano - HOTEL 18-21/10/2021 Milano - HOST 22-26/10/2021


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pizza e pasta italiana settembre

2021

Ritorno al territorio L’orto di casa è ancora il migliore In questo mese la nostra rivista dedica molte pagine alla “pizza napoletana” e ai pizzaioli che la interpretano quotidianamente e, in contemporanea, abbiamo pensato di compiere un veloce viaggio per capire come si evolve la ristorazione italiana – e quella dei Paesi evoluti non è diversa dalla nostra – partendo proprio dalla Campania. Questa nostra bellissima e amata regione è affascinante per la sua ricca storia, le sue città, il suo mare, i suoi prodotti agroalimentari, la sua straordinaria cucina e per la sua pizza che ha conqui-

stato il mondo. E, naturalmente, per la sua gente, la sua cultura, la sua civiltà. La Campania è il felice risultato di un crogiolo di culture, saperi, tradizioni, anche di contraddizioni, non sempre facili da capire, ma ha valori culturali e civili che hanno prodotto monumenti d’arte che da secoli affascinano il mondo, attirando studiosi, artisti e turisti spinti dal desiderio di vedere la bellezza che risplende su Napoli e sull’intera regione. Basta pensare, fra le tante opere stupende che impreziosiscono Napoli, al Museo di Capodimonte, con le sue meravigliose collezioni d’arte. Da quel palazzo reale, una volta entrati, non si vorrebbe più uscire, ogni sala, ogni parete, ogni angolo è in inno alla bellezza che stupisce e affascina. Possiamo prendere questo Museo, orgoglio non solo di Napoli e della Campania, ma dell’intera civiltà umana, quale punto ideale di partenza per un viaggio da una terra che ha molto da raccontare e insegnare, anche per capire, guardando alla storia e alle opere del passato, come potrà essere il nostro futuro. Non è un un’impresa facile, ma la Campania invita a non aver fretta, a guardare con attenzione, a riflettere e a immaginare,

di Giampiero Rorato


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Dalla terra e dal mare alle tavole imbandite perché anche la terra, le colline e i monti e il mare che sta loro davanti, contengono, come la reggia-museo di Capodimonte, un ricco patrimonio di tesori unici e affascinanti. Per restare nel settore che più ci appartiene, quello agroalimentare e gastronomico, la Regione Campania presenta un elenco di ben 250 prodotti tipici, dagli ortaggi alla frutta, dai latticini e formaggi ai vini, dalle paste ai salumi. Senza dimenticare il pesce che sublima una tradizione marinara che lungo la costa ha una ristorazione di grande eccellenza e di forte richiamo anche turistico.

Siamo partiti dalla Campania che è anche il principale punto di riferimento di Pizza e Pasta Italiana di questo mese, ma avremmo potuto iniziare il nostro viaggio da ogni altra regione italiana, in ciascuna delle quali ci sono tesori d’arte e di bellezza come a Capodimonte, come in Campania. E questo per dire che ovunque nel nostro Bel Paese è possibile preparare, come a Napoli e in Campania, grande cucina con prodotti quasi esclusivamente locali, Se in Campania troviamo ristoranti come il Don Alfonso 1890 di Sant’Agata sui Due Golfi; Torre del Saracino a Vico Equense; Quattro Passi a Massa Lubrense; Taverna Estia a Brusciano; L’Olivo ad Anacapri; Dani Maison ad Ischia; Kresios a Telese Terme e molti altri, premiati dalla guide, ma, soprattutto ed è quel che veramente conta, frequentati dai buongustai sia italiani che internazionali, si ha la conferma che i prodotti della terra e del mare garantiscono una cucina di alta e altissima qualità. Perché è vero: la cucina migliore, non la più appariscente – che interessa solo il turista ricco e inesperto – è quella realizzata con materie prime attentamente scelte fra quelle capaci di raccontare il territorio, la sua storia, la sua cultura, la sua civiltà e, naturalmente, la vita della gente. È ormai una convinzione fortunatamente molto diffusa che i ristoratori e cuochi d’oggi preferiscono e ricercano orti vicino alla loro attività cui attingere personalmente; vignaioli amici o comunque ben conosciuti da cui acquistare i vini migliori; pescatori quasi personali per assicurarsi del pesce che esalti la loro cucina.


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pizza e pasta italiana settembre

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Una cucina radicata sul territorio E stiamo arrivando al punto più importante. Se è vero, come abbiamo visto, e come tutti possono constatare, e continuiamo a vedere anche a livello internazionale, che il mondo ristorativo più qualificato vuole conoscere dove nascono, crescono e maturano i prodotti che entrano nella propria cucina, allora ad emergere è una caratteristica ormai irrinunciabile: la cucina ha scelto la “filiera corta”, cioè preferisce i prodotti del territorio rispetto a quello che arrivano da lontano, e così avviene anche per le pizzerie. È un ritorno alla propria terra perché il piatto che poi arriva in tavola e la pizza che giunge fumante davanti al cliente devono esprimere il territorio, la storia, la cultura, la tradizione e la vita delle persone che vi abitano e vi lavorano. La ristorazione non è solo alimentazione, lo era forse in passato, anche se non sempre, ma oggi sarebbe troppo poco; la ristorazione è la bandiera di un territorio, è la sua immagine; è come una finestra aperta sul mondo d’attorno, sulle persone, sul lavoro, sulle speranze e i sogni della gente.

Su questa strada, lastricata di saperi certamente manuali ma anche storici, artistici, culturali stanno camminando ormai molte pizzerie che, iniziando dalla materia prima per le farce, scelgono i prodotti del territorio, in un rapporto sinergico con i produttori locali, a iniziare dalle piccole aziende casearie, dagli ortolani, dai vignaioli, dalle birrerie artigiane. Ciò non significa opporsi alla globalizzazione, che ha sempre da offrire qualcosa di buono – basta saper scegliere con intelligenza - ma inserire con orgoglio la propria cultura alimentare, le proprie tradizioni produttive, i profumi, i gusti e i sapori filtrati dalla sapienza delle generazioni nel grande affresco dell’alimentazione internazionale, valorizzando e impreziosendo il proprio contributo. Questa rivista è da sempre molto attenta all’evoluzione dell’alimentazione e della cultura gastronomica e gli incontri che pubblichiamo ogni mese anche con diversi pizzaioli ci confermano questa “voglia di casa”, in un incessante lavoro di intelligente ricerca, lasciando volentieri la cucina della fantasia per reimpiantarla lì dove è nata, nel proprio territorio che ha, ovunque, tanti ottimi prodotti che meritano di essere valorizzati dalle pizzerie come dalle cucine stellate. E, credo, su questa strada non si tornerà indietro.


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pizza e pasta italiana settembre

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INTERVISTA CON SERGIO MICCÙ, Presidente Associazione Pizzaiuoli Napoletani A cura della redazione

"Siamo stati molto vicini al settore, reclamando i dovuti ristori, ma abbiamo garantito sempre il rispetto delle norme, consapevoli che la tutela della salute


21 CI PUÒ RACCONTARE COME SI È MOSSA LA VOSTRA ASSOCIAZIONE IN QUESTI LUNGHI MESI DIFFICILI PER IL SETTORE E PER LA SOCIETÀ IN GENERALE? "Con grande senso di responsabilità. Abbiamo vissuto oltre un anno e mezzo di una pandemia che ha imposto regole dure soprattutto per il settore ristorazione in generale e, quindi, anche per il comparto pizzerie. Siamo stati molto vicini al settore, reclamando i dovuti ristori, ma abbiamo garantito sempre il rispetto delle norme, consapevoli che la tutela della salute umana viene prima di tutto. Dobbiamo dire che la nostra comunità nella sua interezza ha dimostrato grande senso civico e una maturità senza pari. Le limitazioni, purtroppo, hanno riguardato anche il settore fieristico e quindi il nostro Tuttopizza, il salone internazionale dedicato al mondo pizza che abitualmente si svolge alla Mostra d’Oltremare di Napoli, quest’anno si è dovuto tenere su di una piattaforma digitale."

"Il movimento pizza a Napoli è questione di cultura. Appartiene al nostro Dna, rappresenta l’identità di un popolo, dei napoletani tutti."

DAL VOSTRO OSSERVATORIO PRIVILEGIATO CI PUÒ DIRE COME STA E QUAL È LO "STATO DI SALUTE" DEL MOVIMENTO PIZZA A NAPOLI ED IN CAMPANIA? "Il movimento pizza a Napoli è questione di cultura. Appartiene al nostro Dna, rappresenta l’identità di un popolo, dei napoletani tutti. C’è un legame indissolubile tra Napoli e la pizza che è molto più del suo alimento simbolo, è una questione antropologica. Notiamo però un ritorno ai valori, alla tradizione. Ed è stata una fortuna, perché se si è riusciti a sopravvivere con quello che è stato chiamato delivery è perché storicamente la pizza veniva "chiamata a casa". Si diceva "chiamiamo una pizza" per fare festa, per una serata speciale. E anche oggi i napoletani, in questi mesi difficili, sono stati vicini ai pizzaiuoli ordinando spesso la pizza dall’esercizio più prossimo al proprio domicilio. La Margherita, la Marinara non moriranno mai. La pizza ha il potere di varcare i secoli e attraversare immortale anche le pandemie, come ha dimostrato negli anni."

QUALI SONO I CAMBIAMENTI PIÙ VISIBILI (A TUTTI I LIVELLI) CHE AVETE NOTATO RISPETTO A PRIMA E QUELLI CHE PENSATE SI CONFERMERANNO NEL TEMPO? "Che le persone hanno premiato la qualità. Forse, in quest’ultimo periodo, si era assistito ad una esagerazione che non ha fatto bene al comparto. Troppi protagonismi personali hanno finito col togliere l’attenzione da quello che era il nostro patrimonio: l’arte del pizzaiuolo. Penso che sia opportuno avere meno riflettori e più sostanza."

CHE COSA NE PENSATE DEL DIBATTITO ATTORNO ALLA CARENZA DI FIGURE PROFESSIONALI NEL MONDO DELLA RISTORAZIONE? "Nella ristorazione in generale posso dire che il trend mediatico ha enfatizzato troppo la figura degli chef, determinando così una sottovalutazione del personale di sala. E’ il momento di riportare tutto nella giusta ottica: perché un’attività funzioni tutti i ruoli devono essere svolti in maniera professionale. Se anche abbiamo dei piatti meravigliosi ma l’accoglienza lascia a desiderare, il cliente tenderà a non bissare l’esperienza. Del resto anche le guide della ristorazione più rinomate non trascurano questi elementi. Riteniamo che occorra puntare sulla formazione professionale."

QUALI SONO I VOSTRI PROGETTI IMMINENTI E FUTURI? "Stiamo potenziando la Pizzaiuoli School con numerosi master per pizzaiuoli professionisti che si affiancano al corso base per chi invece si vuole approcciare a questa arte. Non a caso, sulla nostra pagina Fb abbiamo attivato una campagna di comunicazione dedicata proprio ai gesti tipici del pizzaiuolo napoletano, le “mosse” come lo staglio, lo schiaffo, il pizzico che fanno grande un’arte. Inoltre a settembre annunceremo un grande evento, al quale lavoreremo nei mesi estivi."




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INTERVISTA CON MASSIMO DI PORZIO, vicepresidente Associazione Verace Pizza Napoletana A cura della redazione

COME SI È MOSSA LA VOSTRA ASSOCIAZIONE IN QUESTI LUNGHI MESI DIFFICILI PER IL SETTORE E PER LA SOCIETÀ IN GENERALE? "Mesi lunghi e difficilissimi, soprattutto per una associazione come la nostra che fa della condivisione e della convivialità il suo obiettivo primario. Mesi di ‘stop and go’ che hanno cambiato profondamente la nostra vita e le nostre attività. Noi ci siamo adeguati ai provvedimenti ed abbiamo approfittato del tempo a disposizione per pianificare meglio gli eventi futuri. Mi sembra che così abbiano fatto un po’ tutti, riducendo al minimo le attività e utilizzando gli strumenti messi a disposizione dal Governo: cassa integrazione e indennizzi per le chiusure."

DAL VOSTRO OSSERVATORIO PRIVILEGIATO CI PUÒ DIRE COME STA E QUAL È LO "STATO DI SALUTE" DEL MOVIMENTO PIZZA A NAPOLI ED IN CAMPANIA? "Io sono tra quelli che sostiene che dopo i periodi di crisi ci sono grandi riprese e tantissime opportunità: credo che così stia andando e chi ha avuto la forza e talvolta il coraggio di affrontare questa orribile pandemia adesso vede rinascere il mercato, per troppo tempo compresso. Certo non bisogna dimenticare né abbandonare i meno fortunati, quelli che magari avevano appena fatto degli investimenti e aperto nuove attività e si sono ritrovati dall’oggi al domani a dover fronteggiare una delle più gravi crisi economico, sociale, finanziaria dal dopoguerra ad oggi. Sono loro che vanno aiutati e sostenuti."

"Nessuno nasce "imparato", è necessaria una formazione in azienda, che oggi è completamente assente."


25 QUALI SONO I CAMBIAMENTI PIÙ VISIBILI (A TUTTI I LIVELLI) CHE AVETE NOTATO RISPETTO A PRIMA E QUELLI CHE PENSATE SI CONFERMERANNO NEL TEMPO? "Sicuramente una rimodulazione degli assets aziendali e anche l’esplorazione, grazie al maggior tempo che si è avuto a disposizione di nuove opportunità di business: penso ad esempio al mercato in grande crescita del delivery e al fenomeno delle “dark kitchen”, prima molto sottovalutato da tutti. Certo adesso con la ripresa della somministrazione al pubblico ci sarà un trend decrescente, ma è una abitudine che difficilmente sarà sradicata. E’ bello andare in pizzeria, ma è comodo ricevere la pizza a casa comodamente. Anche il mercato del packaging ecosostenibile è un mercato abbastanza nuovo e adesso molto utilizzato proprio per il delivery: l’ecosostenibilità è un obbligo a cui nessun pizzaiolo si dovrebbe sottrarre. Un altro importante cambiamento lo vedo nel tracciamento e nella profilazione dei clienti, argomento prima molto sottovalutato, che è diventato importante durante i periodi di lockdown e di limitazione. Quei dati, che fanno la ricchezza di piattaforme come Uber Eats o Just Eat, sono stati sempre “trattati male” dalle pizzerie, che erano soliti segnare le prenotazioni su semplici fogli di carta, che poi gettavano via. Adesso molti hanno capito l’importanza e utilizzano App o strumenti digitali che riconoscono i clienti e li rendono felici, magari con offerte personalizzate."

CHE COSA NE PENSATE DEL DIBATTITO ATTORNO ALLA CARENZA DI FIGURE PROFESSIONALI NEL MONDO DELLA RISTORAZIONE? "È un problema antico, che è assunto alla cronaca semplicemente perché, dopo mesi di chiusure e di cassa integrazione, a maggio è ripreso il lavoro per tutti insieme! Certo i redditi di emergenza e cittadinanza, così come sono strutturati, rappresentano sicuramente un ostacolo al libero mercato dei lavoratori, soprattutto in una nazione come l’Italia in cui purtroppo si utilizza ancora il lavoro nero o grigio. Io sostengo che chi ha voglia di lavorare, trova sempre un lavoro, se ha capacità di adattamento. Certo scontiamo anche la carenza di strumenti normativi di formazione che introducano i lavoratori, al termine del percorso formativo scolastico (sostanzialmente teorico) all’interno delle pizzerie per imparare "il mestiere", come si dice in gergo. Nessuno nasce "imparato", è necessaria una formazione in azienda, che oggi è completamente assente. Il grande problema è tra il personale di sala e tra gli aiuto pizzaioli o fornai. Tutti vogliono diventare direttori o primi pizzaioli: ma la "gavetta" serve, si impara molto!"

QUALI SONO I VOSTRI PROGETTI IMMINENTI E FUTURI? "Stiamo rimodulando la struttura dell’Associazione per dare maggior spazio alla formazione (che come dicevo poc’anzi è fondamentale!) e stiamo portando avanti progetti di studio di prodotti idonei per la verace pizza napoletana all’interno del nostro albo. L’attività dei “Brand ambassador” sui territori è finalizzata al coinvolgimento dei nostri associati e di nuove realtà che vogliono certificare la qualità della loro pizza e del loro prodotto con il nostro marchio collettivo ‘Vera pizza napoletana’. Spazio anche alla formazione universitaria digitale, grazie ad un progetto iniziato con l’università telematica Pegaso Mercatorum. Infine grandi energie e risorse sulle Olimpiadi della pizza Napoletana, le cui “eliminatorie” dovrebbero iniziare, covid 19 permettendo, il prossimo ottobre, con la finale prevista a Napoli nel luglio 2022."


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LE AZIENDE INFORMANO

MECNOSUD SRL Zona Industriale Valle Ufita 83040 Flumeri (AV) Italy Tel.: +39 0825 443185 / 89 mecnosud@mecnosud.com

Da trent’anni gli specialisti delle impastatrici per Pizza

A

d un’ora da Napoli, capitale mondiale della Pizza, è situata MECNOSUD S.r.l., azienda specializzata nella produzione di macchine per pizzeria, pasticceria e panificazione. Attiva dal 1989, esporta in oltre 70 paesi del mondo, occupando circa 100 addetti, tra le due sedi produttive in Italia e Francia.

La pizza si è trasformata passando da semplice street food, a piatto gourmet. Parallelamente le impastatrici MECNOSUD si sono evolute seguendo le esigenze dei pizzaioli: i vari modelli sono adatti sia alla lavorazione dei classici impasti per pizza napoletana ed in teglia alla romana, che ai contemporanei impasti gourmet e ad alta idratazione.

Uno dei punti di forza della MECNOSUD è l’integrale gestione del processo produttivo, che consente contemporaneamente flessibilità produttiva e capacità di controllo qualitativo di tutte le fasi della produzione

L’ultimo progetto di casa MECNOSUD, è la piccola impastatrice a bracci tuffanti della linea MAMY, destinata sia ad utenti amatoriali che a rinomati pizza chef.

L’azienda è riconosciuta come uno dei maggiori produttori di Impastatrici per Pizza e negli anni ha sviluppato una gamma completa di macchine, affiancando alle tradizionali Impastatrici a Forcella ed a Bracci Tuffanti, storicamente preferite dai Maestri Pizzaioli Napoletani, le più moderne Impastatrici a Spirale. Da anni MECNOSUD è partner di scuole di formazione ed Associazioni per la promozione e valorizzazione della cultura della pizza nel mondo.

Dall’alto: i reparti di Produzione, Montaggio e Logistica A lato: sede Produttiva di Flumeri (Av)

www.mecnosud.com



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LA PIZZA NAPOLETANA

Dal 2016 Pizza e Pasta Italiana pubblica ogni anno un numero speciale dedicato alla pizza napoletana, tema cui abbiamo sempre affiancato anche degli approfondimenti puntuali sulla cucina

Storia, caratteristiche e disciplinare

partenopea e campana, sui prodotti e la

A cura della redazione

dizione che non rimane mai tale e che si

vitivinicoltura del territorio regionale. È il nostro omaggio a una grande tra-

evolve nel tempo, innervandosi di nuove idee e di nuove interpretazioni portate – da una parte - da nuovi professionisti che, com’è normale, si affacciano con entusiasmo ed energia nel mondo della pizza e dall’altra dai progressi tecnologici e produttivi delle aziende della filiera. Con questo numero – come del resto negli speciali degli anni precedenti – abbiamo voluto fotografare alcune realtà e dare la voce ad alcuni protagonisti senza la pretesa di essere esaustivi ma animati dalla voglia di capire, spiegare e fornire punti di vista diversi in merito a un movimento che negli anni si è diffuso in tutto il mondo con enorme successo e che rappresenta nella sua interezza – comprese le diverse sfumature – un vero e proprio patrimonio gastronomico italiano.


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La pizza napoletana è radicata nella nostra storia la sua comparsa può essere fatta risalire ad un periodo storico che si colloca tra il 1715 ed il 1725. Numerosi sono i documenti storici che attestano che la pizza è una delle specialità culinarie di Napoli, gli stessi Dizionari della Lingua italiana e l’Enciclopedia Treccani parlano specificatamente di pizza napoletana. Le prime pizzerie, senza dubbio, sono nate a Napoli e fino a metà del ‘900 il prodotto era un’esclusiva di Napoli e delle Pizzerie. Fin dal 1700 erano attive nella città diverse botteghe, denominate “pizzerie”, la cui fama era arrivata sino al re di Napoli, Ferdinando di Borbone, che per provare questo piatto tipico del-

la tradizione napoletana, violò l’etichetta di corte entrando in una tra le più rinomate pizzerie. Da quel momento la “pizzeria” si trasformò in un locale alla moda, luogo deputato alla sola preparazione della “pizza”. Le pizze più popolari e famose a Napoli erano la “marinara” nata, si dice, nel 1734 e la “margherita” del 1796 – 1810, che venne offerta alla Regina d’Italia in visita a Napoli nel 1889 proprio per il colore dei suoi condimenti (pomodoro, mozzarella e basilico) che ricordano la bandiera dell’Italia. Nel tempo le Pizzerie sono nate in tutte le città d’Italia e anche all’estero, ma ognuna di queste, se sorta in una città diversa da

Napoli, ha sempre – comunque molto spesso - legato la sua stessa esistenza alla dizione “Pizzeria Napoletana” o, in alternativa, utilizzando un termine che potesse rievocare in qualche modo il suo legame con Napoli, dove da quasi 300 anni questo prodotto è rimasto pressoché inalterato. Nel 2010 viene ufficialmente riconosciuta come Specialità Tradizionale Garantita (STG) dell’Unione Europea mentre è del 2017 il riconoscimento come patrimonio immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco dell’arte del pizzaiuolo napoletano, di cui ovviamente la pizza è il prodotto tangibile.


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Il disciplinare STG è uno dei – non l’unico - punti di partenza per capire come venga realizzata la pizza napoletana in molte attività e, nel contempo, per constatare come, partendo da esso, molti professionisti vi abbiano apportato la propria esperienza e le proprie sperimentazioni ed innovazioni.

IL DISCIPLINARE DELLA PIZZA NAPOLETANA IN...TRANCI Secondo il Disciplinare STG le caratteristiche del prodotto finale sono le seguenti (citazione testuale):

‹‹ La “Pizza Napoletana” STG si presenta come un prodotto da forno tondeggiante, con diametro variabile che non deve superare 35 cm, con il bordo rialzato (cornicione) e con la parte centrale coperta dalla farcitura. La parte centrale sarà spessa 0,4 cm con una tolleranza consentita pari a + 10%, il cornicione 1-2 cm. La pizza nel suo insieme sarà morbida, elastica, facilmente piegabile a “libretto”. ››

ASPETTO: La “Pizza Napoletana” STG è caratterizzata da un cornicione rialzato, di colore dorato, proprio dei prodotti da forno, morbida al tatto e alla degustazione; da un centro con la farcitura, dove spicca il rosso del pomodoro, cui si è perfettamente amalgamato l’olio e, a seconda degli ingredienti utilizzati, il verde dell’origano e il bianco dell’aglio, il bianco della mozzarella a chiazze più o meno ravvicinate, il verde del basilico in foglie, più o meno scuro per la cottura. La consistenza della “Pizza

Napoletana” deve essere morbida, elastica, facilmente piegabile; il prodotto si presenta morbido al taglio; dal sapore caratteristico, sapido, derivante dal cornicione, che presenta il tipico gusto del pane ben cresciuto e ben cotto, mescolato al sapore acidulo del pomodoro, all’aroma, rispettivamente, dell’origano, dell’aglio o del basilico, e al sapore della mozzarella cotta. La pizza, alla fine del processo di cottura, emanerà un odore caratteristico, profumato, fragrante.



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GLI INGREDIENTI E LE FARINE PER REALIZZARLA vengono indicate come segue:

INGREDIENTI: Le materie prime di base caratterizzanti la “Pizza Napoletana” sono: farina di grano tenero, lievito di birra, acqua naturale potabile, pomodori pelati e/o pomodorini freschi, sale marino o sale da cucina, olio d’oliva extravergine. Altri ingredienti che possono essere utilizzati nella preparazione della “Pizza Napoletana” sono: aglio e origano; Mozzarella di Bufala Campana DOP, basilico fresco e Mozzarella STG.

LE FARINE: - W 220 – 380 - P/L 0,50 – 0,70 - Assorbimento: 55 – 62 - Stabilità: 4 – 12 - Indice di Caduta E10: max 60 - Falling number ((Indice di Hagberg): 300 – 400 - Glutine secco 9,5 – 11 g % - Proteine 11 – 12,5 g %

CAR ATTERISTICHE DELL’IMPASTO: (con una tolleranza per ognuna di esse del ± 10%): - temperatura di fermentazione 25°C - pH finale 5,87 - acidità totale titolabile 0,14 - densità 0,79 g/cm3 (+ 34 %)

Non riportiamo per motivi di spazio tutta la descrizione della procedura di realizzazione dell’impasto, della stesura e della cottura.

Accanto al Disciplinare STG troviamo anche un altro sicuro punto di riferimento per i professionisti che vogliano approcciarsi alla pizza napoletana ovvero il “Disciplinare Internazionale per l’ottenimento del marchio collettivo “Verace Pizza Napoletana” (Vera pizza Napoletana) messo a punto dall’Associazione Verace Pizza Napoletana.



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LUCIANO PIGNATARO E LA PIZZA NAPOLETANA Storia, attualità e futuro d’un piatto che ha conquistato il mondo di David Mandolin

Luciano Pignataro, laureato in filosofia e giornalista professionista (storica, tra le molte, la sua collaborazione con il Mattino di Napoli), è uno sguardo attento e informato sul mondo dell’enogastronomia italiana oltre che autore di diversi libri, ultimo dei quali "Il metodo Cilento – I cinque segreti dei centenari", scritto con Giancarlo Vecchio, con particolare focus sulla Dieta Mediterranea. Le sue battaglie professionali hanno da sempre al centro la ristorazione di qualità, la difesa dei prodotti tipici e di una via sostenibile nell’approcciarsi all’agricoltura. L’abbiamo interpellato per aiutarci ad inquadrare il movimento della pizza campana oggi.


35 DAL RICONOSCIMENTO DELLA STG AL QUELLO DI PATRIMONIO IMMATERIALE UNESCO PER ARRIVARE AI NOSTRI GIORNI. QUAL È LO "STATO DI SALUTE" GASTRONOMICO DEL MOVIMENTO PIZZA IN CAMPANIA OGGI? "Da cibo povero a lusso accessibile, è stato questo il percorso che la pizza ha fatto negli ultimi dieci anni. Quando cioè la diminuzione del potere di acquisto delle famiglie italiane è diminuito contestualmente al miglioramento generale delle pizze negli impasti, nella qualità del servizio e nei prodotti utilizzati. Oggi il movimento della pizza gode di ottima salute ed è in piena espansione: sino a 15 anni fa la pizza napoletana era solo un fenomeno cittadino, adesso è saldamente radicato in tutta la regione e ovviamente, nel resto dell’Italia e in Europa. Fare il pizzaiolo è diventato un mestiere di prestigio e la paga media supera i duemila euro al mese, ma può arrivare anche a 10mila euro e più nel caso dei campioni di 50 Top Pizza."

"Da cibo povero a lusso accessibile, è stato questo il percorso che la pizza ha fatto negli ultimi dieci anni."

DA DIVERSI ANNI ORMAI LA PIZZA NAPOLETANA È TORNATA PREPOTENTEMENTE ALLA RIBALTA, DISTINGUENDOSI SIA DA UN PUNTO DI VISTA PIÙ PROPRIAMENTE LEGATO ALL’ASPETTO GASTRONOMICO (RICERCA ED EVOLUZIONE NEGLI IMPASTI, NELLE RICETTE) SIA DA QUELLO COMUNICATIVO. QUALI SONO A SUO AVVISO LE TAPPE DI QUESTO PERCORSO E GLI SNODI FONDAMENTALI CHE L’HANNO CARATTERIZZATO? "Il merito è di chi ha difeso l’identità napoletana della pizza attraverso l’impostazione di alcuni disciplinari che sono culminati nel riconoscimento europeo. Ogni merito va dunque alle due associazioni di categoria più forti e rappresentative, l’Associazione Vera Pizza Napoletana presieduta da Antonio Pace e l’Associazione Pizzajuoli Napoletani presieduta da Sergio Miccu. Senza il loro supporto sarebbe stato impossibile arrivare al riconoscimento Unesco. Grande merito nell’aver concepito la pizza napoletana in modo moderno, allungando le lievitazioni e migliorando la qualità dei prodotti lo ha avuto Enzo Coccia. Gino Sorbillo è stato un formidabile comunicatore, Ciro Salvo il leader della modernizzazione dello stile napoletano a ruota di carro senza rinnegare nulla del passato. E poi Martucci, numero 1 per 50 Top Pizza, che ha rivoluzionato il concetto di pizzeria."

NELLA CRESCITA DEL MOVIMENTO C’È STATO (O È DOVUTO ALL’ENERGIA DEI SINGOLI ATTORI) UN INTERSCAMBIO FATTIVO CON LE ISTITUZIONI DELLA CITTÀ CHE L’HA AGEVOLATO? PENSIAMO ALLA RICERCA UNIVERSITARIA, ALLA TUTELA DELL’AGROALIMENTARE, ALLA PROMOZIONE E VALORIZZAZIONE, AD ESEMPIO. "Le istituzioni hanno fatto poco o nulla per la pizza. Basti pensare che a Napoli non esiste un Museo della Pizza come sarebbe normale che fosse. L’Università, segnatamente il Dipartimento di Agraria e quello di Ingegneria, ha invece compreso subito l’importanza di quello che stava succedendo e ha avuto un ruolo fondamentale nel combattere alcune fake news." QUALI SONO I GRANDI FILONI DELLA PIZZA NAPOLETANA OGGI? INTRAVEDE I SEGNALI DI UN’ULTERIORE EVOLUZIONE E SE SI, IN QUALE DIREZIONE? "I filoni sono tre, quello tradizionale a ruota di carro, la pizza dei signori di Chiaia e del Vomero, più piccolina e infine il canotto, ossia il cornicione molto alveolato e pronunciato portato avanti dalle giovani generazioni."


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QUINDICI MESI DI PANDEMIA – SPERANDO SIA DEFINITIVAMENTE ALLE SPALLE – HANNO INFLUITO (E SE SI, IN CHE MODO) SUI RISTORATORI E SUL LORO MODO DI INTENDERE LA CUCINA E L’OSPITALITÀ NEL SENSO PIÙ PROFONDO DEL TERMINE? "La Pandemia ha messo a nudo la forza e la debolezza del sistema. La forza è stata la spinta al buono e alla qualità che ha trasformato la gastronomia italiana negli ultimi dieci anni, la debolezza è nell’individualismo e nella mancanza di rappresentatività che ha fatto da pendant a una spaventosa arretratezza del nostro ceto politico che ancora considera il Food come uno spasso e qualcosa di cui si può fare a meno. Oggi passato e modernità sono facili da distinguere: è moderno chi tiene conto del food cost senza rinunciare alla qualità ben sapendo che i clienti sono disposti a pagare qualcosa in più se sono garantiti su questo terreno."

"È moderno chi tiene conto del food cost senza rinunciare alla qualità ben sapendo che i clienti sono disposti a pagare qualcosa in più se sono garantiti su questo terreno."

QUAL È E COME SI CARATTERIZZA IL RAPPORTO TRA LE NUOVE GENERAZIONI DI PIZZAIOLI E L’IMMENSO - NONCHÉ "PESANTE" – PATRIMONIO GASTRONOMICO E CULTURALE CAMPANO RAPPRESENTATO DA GRANDE TRADIZIONE, GRANDI MATERIE PRIME E GRANDI MAESTRI? "In Gastronomia la tradizione campana ha avuto la sua naturale evoluzione nell’orto-mare degli Stellati della Penisola Sorrentina. Qui, come altrove in Italia, c’è insofferenza verso una cucina di estrema ricerca ma poi si accettano passivamente mode come il fusion giapponese che ormai dilaga. Nel mondo pizza c’è una gerarchia legata al ricordo, ma soprattutto rispetto alla notorietà e alla bravura più che all’età. Diciamo che i pizzaioli di vecchia generazione non hanno colto il momento. Il vantaggio di avere una tradizione radicata ha spesso lo svantaggio di una scarsa sensibilità al nuovo e vince chi riesce a trovare un punto di equilibrio."

PERSONALMENTE CHE PASSI ULTERIORI LE PIACEREBBE FACESSE L'INTERO COMPARTO E IN QUALI DIREZIONI? "Nel food, non solo nella pizza, è indispensabile avere una cultura umanistica che leghi il lavoro all’Università. Non dico di fare il liceo Classico come si pensava un tempo, ma sicuramente studiare il passato, i ricettari regionali di Corrado Cavalcanti e Artusi, studiare il Carnacina. Studiare lo sviluppo del movimento gastronomico italiano dopo la tragedia del metanolo del 1986. Quest’anno da professore a contratto ho tenuto un corso alla Federico II sulla comunicazione dai media tradizionali e ai social e ho scoperto che non esiste un manuale. Persone come Bonilli rischiano di finire nel dimenticatoio ed è assurdo. Chi opera del Food deve conoscere tecnica, prodotti e storia del contesto in cui opera."


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La sicurezza alimentare – ovvero la rispondenza sia del frumento, sia degli sfarinati di frumento, duro e tenero, alle vigenti normative comunitarie riguardanti la tutela della salute dei consumatori – rappresenta una priorità assoluta per l’Industria molitoria.

Sicurezza alimentare e tracciabilità dei grani, sia italiani che importati A cura della redazione in collaborazione con Italmopa*

Il

rispetto della regolamentazione vigente è garantito dai costanti e severi controlli effettuati sia dalle Autorità di vigilanza - nello specifico sono previsti circa 15 livelli nella rete di controlli effettuati da Istituzioni ed Enti italiani e stranieri- sia, nell’ambito dei propri piani di autocontrollo, dagli operatori della filiera in generale e dalle Aziende molitorie, in particolare. Controlli questi ultimi che garantiscono ulteriormente la salubrità della materia prima frumento e degli sfarinati ottenuti a seguito del processo di trasformazione. I controlli sul territorio, e i controlli all’ingresso per il frumento d’importazione, costituiscono la base della sicurezza della materia prima utilizzata dai trasformatori. In particolare, i prodotti importati, per poter essere immessi nel territorio dell’Unione europea, devono rispettare i medesimi requisiti igienico-sanitari richiesti dalla normativa europea per i prodotti comunitari. Nell’ambito dei controlli rientra la costante verifica della conformità del frumento alla normativa comunitaria in materia di contaminanti nei prodotti alimentari, che comprendono le micotossine, i metalli pesanti, i residui di antiparassitari. Andiamo ad approfondire, nello specifico, alcuni aspetti con il Condirettore di Italmopa, il Dott. Tullio Pandolfi.


39 Che tipo di controlli – i principali - vengono fatti per il frumento italiano e per quello proveniente dall’estero e da quali autorità al fine di garantire la sicurezza alimentare? I controlli sul frumento riguardano sia il prodotto agricolo nazionale che quello d’importazione ed entrambe le provenienze debbono rispettare i medesimi requisiti di accettabilità legale. L’importazione del frumento nel territorio nazionale da provenienze extra U.E. è sottoposta, come per ogni altro alimento che non sia di origine animale, al controllo dei posti di controllo frontalieri (PCF) del Ministero della Salute. Una volta nazionalizzato, per il frumento, come per tutti gli alimenti, hanno competenza sui controlli numerose autorità: - a livello centrale, il Ministero della Salute, le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano, le ASL. Ed inoltre anche il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Oltre a queste, a livello centrale operano i Carabinieri per la Tutela della Salute attraverso i Nuclei Antisofisticazione e Sanità, l’Ispettorato per il Controllo della Qualità dei Prodotti Agroalimentari, l’Agenzia delle Dogane, Area centrale verifiche e controlli tributi doganali, con i laboratori Chimici delle Dogane, la Guardia di Finanza e il Corpo Forestale dello Stato (confluito da alcuni anni nell’Arma dei Carabinieri);

- a livello periferico, operano i servizi d’Igiene degli Alimenti e della Nutrizione, l’Istituto Superiore di Sanità per gli aspetti tecnico scientifici; infine, a livello locale, si devono ricordare i Presidi multizonali, le Agenzie regionali per la protezione Ambientale, gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, le Regioni e le Province autonome.

Qualora vi fossero, in tema di contaminanti, parametri diversi tra agenzie regolatorie (ad esempio tra Nordamerica e UE) come viene affrontata la “questione” una volta che il prodotto arriva nel territorio dell’Unione? Sulla base di quanto previsto dal Reg. CE n. 178/2002, i prodotti importati, per poter essere immessi nel territorio dell’Unione europea, devono rispettare le normative vigenti nell’Unione europea e quindi presentare i medesimi requisiti igienico-sanitari richiesti per i prodotti comunitari. Qualora si dovesse accertare che non li rispettano, i prodotti - nel caso specifico i frumenti - provenienti da Paesi extra Ue non potranno entrare nell’Unione dell’U.e.


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C’è qualche indicazione sul sacco o sono informazioni che rimangono solo ai produttori? Tutto quanto riguarda la sicurezza alimentare è da considerare un pre-requisito, che l’operatore del settore molitorio, il molino, si impegna a rispettare sia nei riguardi dei consumatori, sia nei riguardi dei propri clienti. Informazioni su questi aspetti non vengono generalmente riportate, essendo invece i produttori di sfarinati tenuti al rispetto della normativa (comunitaria) sulla fornitura di informazioni al consumatore e di quella (nazionale) sulle indicazioni da riportare sui sacchi destinati ad utilizzatori professionali.

Cos’è l’autocontrollo dei produttori, in cosa consiste nella realtà? La sicurezza alimentare è assicurata in prima istanza dagli stessi operatori della filiera che, ciascuno per quanto riguarda la propria fase di lavorazione, agiscono per garantire la conformità agli standard qualitativi individuati ai fini della produzione. In questo sistema di autocontrollo vi sono attività che rientrano in obblighi legislativi – quali l’autocontrollo igienico– sanitario e la tracciabilità – sulla base delle normative comunitarie in materia di igiene e sicurezza alimentare – mentre altre, come le certificazioni di prodotto o di processo, sono facoltative, per quanto trovino sempre più diffusione in seno alle stesse aziende molitorie. All’interno di una filiera complessa i diversi operatori effettuano audit per il controllo della filiera. Anche questa è un’attività non obbligatoria, sebbene diffusa specialmente a cura degli operatori di maggiori dimensioni.

Tracciabilità: che modo ha il professionista di verificare la filiera del prodotto? Tutti i prodotti alimentari commercializzati in ambito dell’Unione Europea sono assoggettati alle regole della rintracciabilità previste dal Reg. Ce n. 178/2002. Si tratta di un requisito obbligatorio per i produttori, conformemente a quanto previsto dall’articolo 18 dello stesso regolamento che ha previsto, a partire dal 1° gennaio 2005, un sistema di rintracciabilità obbligatorio per gli operatori del settore alimentare, in tutte le fasi della filiera. La rintracciabilità è uno strumento finalizzato ad assicurare una maggiore garanzia della sicurezza alimentare, che dovrebbe pertanto consentire di individuare l’origine dei problemi e circoscriverli, e quindi di attribuire le specifiche responsabilità di tutti i soggetti che operano nella filiera. Il Regolamento comunitario non prescrive agli operatori l’adozione di specifici mezzi: l’obbligo viene espresso solo in termini di risultato. A prescindere dalle procedure adottate si dovrà


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essere in grado di fornire su richiesta, alle Autorità competenti, le informazioni essenziali in merito agli approvvigionamenti e alle vendite dei prodotti. Il sistema per la rintracciabilità dei prodotti interessa sia le imprese alimentari, sia le imprese mangimistiche, e comporta l’obbligo di individuare, da una parte, i fornitori dell’alimento, del mangime o della sostanza destinata ad entrare a far parte di un alimento o di un dato mangime, dall’altra i destinatari dei prodotti onde poter procedere a ritiri mirati e precisi o fornire informazioni ai consumatori o ai controllori laddove si evidenzi un pericolo per la sicurezza. Devono pertanto essere registrati i fornitori dei diversi prodotti in entrata e i destinatari dei prodotti in uscita; ovvero si dovranno conservare i documenti di ricevimento delle materie prime e quelli di spedizione dei prodotti (dove sono annotati: materia prima/prodotto, fornitore/cliente, qualità, data di spedizione). Ogni operatore dovrà quindi, relativamente alla fase di competenza, essere in grado a monte di risalire ai propri fornitori, a valle di individuare i propri clienti. Nel settore della macinazione del frumento, l’attuazione del sistema di rintracciabilità deve rispondere a requisiti di efficienza e di applicabilità. L’applicazione dei sistemi di autocontrollo secondo i principi dell’HACCP nel settore molitorio, fornisce già un quadro rassicurante in termini di garanzie di sicurezza igienico-sanitaria degli sfarinati.

Nel caso in cui lo sfarinato risulti non conforme sotto il profilo della sicurezza alimentare, la rintracciabilità deve consentire di individuare il fornitore della materia prima utilizzata per la fabbricazione di quel prodotto. Ugualmente, il produttore dello sfarinato deve essere in grado di identificare il cliente a cui ha venduto il prodotto -sfarinato non conforme, al fine di poterlo ritirare dal mercato. Pur garantendo la sicurezza igienico-sanitaria dell’alimento, in taluni casi potrebbe essere obiettivamente difficile far sì che il sistema di rintracciabilità raggiunga livelli di dettaglio estremamente elevati. Alcune difficoltà potrebbero essere dovute alla complessità dei processi produttivi o di trasformazione, alla natura della materia prima, alle capacità dei silos di raccolta, alla necessità di effettuare miscelazioni di più provenienze e via dicendo. In un’unica miscela di lavorazione il molino potrebbe infatti essere costretto a utilizzare lotti di forniture di materie prime anche di diverse provenienze, per le quali non sempre è possibile effettuare lo stoccaggio in sili dedicati. In tali casi, dovendo risalire allo specifico lotto di materia prima utilizzato per la fabbricazione di un prodotto non conforme, l’applicazione del sistema di rintracciabilità, anche se non consente di risalire in via diretta all’unico fornitore del lotto di materiale che ha causato la non conformità di prodotto finito, permette di individuare con esattezza il flusso di provenienza e quindi la rosa dei nomi di fornitori fra i quali vi è il responsabile.

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Enzo Coccia Maestro della Piz za Napoletana di Caterina Orlandi

Enzo Coccia, pizzajuolo napoletano classe 62, è uno tra i professionisti della pizza più significativi del panorama mondiale. Esperienza, competenza, spirito di ricerca, passione, capacità d’innovare fanno di lui una figura di riferimento per i colleghi e per i clienti: con le sue pizzerie La Notizia in via Caravaggio (in due civici distinti, al 53 ed al 94) riesce a proporre delle vere e proprie esperienze sensoriali che abbracciano sia la tradizione gastronomica che una visione diversa, in cui innovare e spingersi sempre un po’ oltre. Coccia cresce nel quartiere della Duchesca, alle spalle di Piazza Garibaldi e della Stazione Centrale, e da subito la pizza è nel suo destino. “Sono nato a Napoli nel centro storico proprio nei pressi della stazione centrale e la mia famiglia ha sempre avuto una pizzeria. Sono cresciuto professionalmente lì e nel 1994 ho aperto la mia prima pizzeria: “La Notizia” a via Caravaggio 53.” Il percorso da qui si delinea verso un crescendo inarrestabile di successi professionali e riconoscimento da parte del

pubblico e della critica, ma la base di Enzo Coccia è assolutamente la conoscenza della cultura gastronomica del suo territorio. Coccia è stato infatti tra i primi a battersi – con successo – per l’approvazione da parte dell’Unione Europea del Disciplinare della pizza napoletana STG e gli chiediamo quale sia a suo avviso lo “stato di salute” della pizza STG oggi nelle pizzerie napoletane. “È una domanda molto complessa che meriterebbe una lunghissima discussione… ma proverò ad essere breve. Il regolamento 97A del 4 febbraio 2001 ha sancito, con l’approvazione di 27 stati membri europei, la paternità, la tecnica e le caratteristiche di un prodotto finito. È chiaro che questa legge per la pizza napoletana è stata una rivoluzione al pari, mi verrebbe da dire, di un “rinascimento gastronomico”. Purtroppo o per fortuna, tutti i disciplinari necessitano di aggiornamenti per un mondo che è in continua evoluzione rispettando però sempre la tradizione. Di questi eventi il mondo pizza e gli addetti ai lavori hanno sicuramente beneficiato


45 elevando la qualità del prodotto pizza napoletana.” Non a caso si definisce orgogliosamente “pizzajuolo, in quanto il significato etimologico della parola indica la tradizione, la cultura di un popolo e il suo legame antropologico con la città di Napoli.” Un legame culturale, antropologico e gastronomico che ha utilizzato per innovare e proporre anche piatti che andassero oltre la tradizione: “le mie 2 pizzerie La Notizia sono due facce d'una stessa medaglia, ma nella “53” cerco di restare più saldo alla tradizione mentre nella “94” eseguo alla lettera il concetto di Eduardo De Filippo sulla tradizione: se conosci benissimo la tradizione essa rappresenta il trampolino di lancio per innovare” Come dicevamo la pizza di Coccia segue alcuni principi: “più che filosofia lo definirei un metodo, che ha come cardini principali lo studio, l’esperienza dettata dalla pratica continua e l’esperienza che ne deriva. Solo da qui si può aggiungere un pizzico di creatività.”


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Anche il metodo con cui si approccia e seleziona le materie prime fa parte di una visione coerente, come ci racconta: “io mi sono iscritto all'associazione Slow Food circa 25 anni fa. Carlin Petrini è stato il mio mentore, così come la cultura del movimento legata al lavoro dei contadini e della terra madre, le comunità del cibo. Ho sempre utilizzato per i miei piatti prodotti dei presidi Slow Food.” Coccia è stato un innovatore anche nel promuovere e proporre le giuste bevande accompagnate alla pizza, ma anche qui non ci si può improvvisare né andare avanti senza un metodo e una solida base di studio. “Il mio consiglio è seguire le tecniche di degustazione dell’associazione italiana sommelier. Le suddette indicano da ben 50 anni abbinamenti per concordanza o per discordanza. In senso pratico per contrasto degli ingredienti che compongono la pizza con i vini e le birre artigianali o per affinità degli ingredienti.” La chiosa finale è una breve considerazione post pandemia, che chiude questa nostra conversazione: “Sicuramente oggi il ristoratore deve essere più attento a tanti fattori che prima considerava esterni alla sua attività. Uno tra tutti è sicuramente la comunicazione e i social, che oggi sono fondamentali per mantenere con il cliente una linea diretta e onesta.” Di seguito la ricetta della pizza per eccellenza, la Margherita.

Pizza Margherita PREPARAZIONE DELL’IMPASTO TRADIZIONALE PIZZA NAPOLETANA CON IL METODO DIRETTO: Un litro d’acqua; 50 g di sale marino; 3 g di lievito di birra; 1700/1750 kg di farina; 10/12 ore di lievitazione a temperatura ambiente 22-25°C. Versate un litro d’acqua (a 8-12°C) in una zuppiera circolare, sciogliete il sale marino, successivamente stemperate 3 g di lievito di birra, e aggiungete il 30 % della farina rispetto alla quantità complessiva prevista. Iniziate a impastare e versate gradualmente il resto della farina fino al raggiungimento della consistenza desiderata, definita punto di pasta. Tale operazione deve durare 20 minuti fino ad ottenere un'unica massa compatta. L'impasto deve presentarsi non appiccicoso e “liscio” al tatto, morbido ed elastico. Coprite l’impasto, senza estrarlo dalla zuppiera, con un panno umido e lasciate lievitare. Dopo circa 6 ore preparare circa 10 panetti dal peso di 230g/250g. Fateli lievitare per altre 6 ore a temperatura di 22-25°C.

MANIPOLAZIONE

FARCITURA PER 1 PIZZA

Manipolare il panetto secondo la tecnica napoletana tradizionale facendo pressione con i polpastrelli spingendo l’aria verso l’esterno per creare il cornicione ed effett uare la rotazione con entrambe le mani.

in successione di ingredienti: 80 g di pomodoro San Marzano, 60g/70 g di fior di latte di Agerola tagliato alla julienne, Pecorino romano dop grattugiato, 1 filo d’olio extravergine d’oliva dop Colline Salernitane, qualche foglia di basilico.


Südtirol

È nell a nostra natura


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Guglielmo Vuolo Una bella storia da Napoli al mondo di David Mandolin “Nel 1968 avevo 8 anni e papà mi aveva già messo in negozio. Non facevo la pizza ma stavo là, annusavo l’aria, respiravo già aria di pizzeria; ciò non toglie che il mio percorso di studi me l'abbia fatto completare, ovviamente. Nel 72 una sera, con una scusa banalissima – mi disse che non stava bene – mi chiese di sostituirlo, salii sul bancone e non ci scesi più. Questo è quanto” Comincia così la grande storia d’amore tra Guglielmo Vuolo e la pizza. Un professionista d’altri tempi, che coniuga gentilezza e disponibilità ad una sapienza e maestria acquisite in tantissimi anni d’esperienza e di studio. “Nel 1983 ho aperto il mio primo negozio a Napoli con il suo aiuto, poi altri ancora hanno costellato la mia professione. Nel 1996 ci spostammo a nord est di Napoli, a

Casalnuovo, e fu un grande successo, e così via. Nel frattempo con Avpn ho girato mezzo mondo, facendo esperienza e aprendomi ad altre culture, sono stato a Mykonos, poi Eccellenze Campane – esperienza che mi ha dato tantissimo – ed eccoci a Verona, dove sono ora con l’attività gestita da mio figlio Enrico, passando per Firenze, con deviazione fino al Giappone.” Nella nostra lunga conversazione tocchiamo diversi temi, partendo dal mestiere di pizzaiolo e la simpatica “diatriba” tra tradizionalisti ed innovatori. “Sai, il mestiere è partito dal saper fare la pizza. Poi ognuno che la faccia con impegno e passione merita rispetto, che sia a Milano, Firenze o in qualunque altro posto, che faccia la tonda o la pinsa. Ogni generazione è contemporanea a sé stessa…;


49 nel corso del tempo le cose cambiano. È un po’ come quando iniziammo ad usare il lievito di birra fine anni 60; ci fu una “gioia immensa” perché noi eravamo “schiavi” del lievito madre. Il lievito madre non è certo quello che vediamo nei vasetti, è un’altra storia. Va costruito, mantenuto, curato, richiede un impegno che è proprio dei panettieri, che lavorano di notte e lo possono seguire. Il lievito di birra non ha mai fatto male a nessuno, come altri tipi di lievito. Io uso il criscito ad esempio. O lavoro e faccio le pizze o mi metto a fare il lievitista.” Gli chiediamo cosa significhi per un professionista come lui la pizza napoletana, e quali siano le basi da cui non si può prescindere, e la risposta è semplice e diretta: “Posso rispondere parlando solo per me. La madre di mia nonna, mia nonna, mio padre erano pizzaioli. Per me è la base di tutta la mia vita perché io sono partito da lì, ce l’avevo in casa ed era quello che volevo ed avevo scelto di fare. Addirittura era una scelta controcorrente, perché alla fine degli anni 70 molti pensavano fosse un mestiere senza futuro: faticoso, in cui lavoravi quando gli altri si divertivano. Poi all’improvviso è cambiato tutto, è diventato un mestiere con una sua specifica nobiltà. In più è un mestiere in cui se hai talento lo fai, lo fai bene e non ti peserà mai. Io da 50 anni faccio quello che mi piace e che ho voluto fare. Va detto che ora c’è la comunicazione, che sembra ancor più importante del fatto di saperla fare, la pizza: devi avere qualcuno alle spalle che ti supporti mentre prima la regola era “mettiti a lavorare, e vediamo che sai fare”. Adesso se cerchi un pizzaiolo ti chiedono “ma voi che pizza fate? Io la stendo ma non la cuocio, uso la pala di legno o quella di alluminio, faccio questo e non faccio quello…”. Io, Guglielmo Vuolo, faccio la pizza! So tutte le tecniche, sono aperto a tutto e posso fare di tutto, ma l’importante è che la pizza sia buona e il cliente torni. So fare anche friggitoria, rosticceria, se devo lavare a terra lavo a terra, se devo spazzare spazzo, e mi trovo persone che non sanno fare che una cosa sola.” “Da quando sono nato faccio la pizza napoletana verace. Negli anni mi sono fatto due corsi importanti, il primo undici anni fa per capire l’equilibrio dei sapori in cucina, da trasporre poi sulla pizza. Penso sia una cosa fondamentale, talmente importante - anche lato food cost – che fin che non lo si fa non ce se ne rende conto fino in fondo. Bisogna avere curiosità e voglia di sapere e di studiare. Ti faccio un esempio: anni fa dovetti fare delle pizze dopo un concerto di Rossini. Cosa feci? Mi documentai in bi-

blioteca su cosa amava mangiare Rossini, e orientai le mie ricette per l’occasione in base ai gusti culinari del grande compositore. Occasioni come queste – ma te ne posso citare diverse altre – ti permettono di ampliare le tue conoscenze e di elaborare ricette che abbiano un senso anche per il cliente. Bisogna documentarsi e metterci la propria conoscenza, esperienza e sensibilità.” Vuolo ritiene importante dunque continuare a formarsi, anche se “io non devo fare il chimico. Ma confrontandomi con persone di formazione diversa ho capito il perché dei fenomeni che avevo già sperimentato nella pratica tanti anni prima. Anche la curiosità professionale ed intellettuale è importante. Io faccio la carta dei pomodori in pizzeria, e tu puoi scegliere con quale avere la pizza: 12 tipi diversi, tranne in questo periodo in cui di alcune tipologie vi è scarsità. Non lo faccio perché voglio che le persone si ricordino di questo o di qualcos’altro, e non vorrei nemmeno usare il termine passione che è tanto abusato. Faccio questo perché è il mio mestiere, tengo a farlo bene, mi permette di vivere e di onorare i miei impegni.” “Il mio impasto? Acqua, farina,

sale, lievito. Stop. Non c’è altro. Posso usare un sale differente qualche volta o quando uso un lievito di birra ne scelgo uno francese che ha dei saccaromiceti diversi, l’acqua me la faccio decantare, però la base è sempre la stessa. Per quanto riguarda la materia prima per le farciture, se parliamo di verdure uso quelle dei contadini e sto dalla loro parte, sempre, oppure le coltivo io assieme a loro. Per le conserve – penso ad esempio ai pomodori – scelgo varietà e sementi coi produttori e poi ognuno se le fa, non c’è altro dentro. Il fiordilatte sì me lo faccio fare secondo la mia preferenza, in salamoia, da un grande caseificio che fa un buonissimo prodotto.” Chiudiamo con una chiosa sul ruolo del ristoratore: è cambiato o cambierà? La risposta di Guglielmo Vuolo è netta: “Questa è una domanda strana, ambivalente. Se ricordi durante il primo lock down tutti dicevano che questa esperienza ci avrebbe migliorato. In realtà non è stato così, ci siamo incattiviti di più. Per quel che mi riguarda verso il cliente – che è sacro, quello che mi fa vivere – ho sempre il massimo rispetto, l’attitudine che avevo prima l’ho mantenuta ora. Gentilezza e disponibilità.”


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Pizza Santa Chiara INGREDIENTI PER L’IMPASTO:

INGREDIENTI PER LA FARCITURA:

1l di acqua 50g di sale 500g di criscito 1600g di farina (70% Farina W 330, 30% farina a macinazione integrata X tipo 1)

80g di pomodorini datterino 70g di provola affumicata Olio EVO q.b. Formaggio a pasta dura grattugiato q.b. Qualche foglia di basilico

PROCEDIMENTO PER L’IMPASTO:

PER LA FARCITURA:

Sciogliere il sale nell’acqua, aggiungere il 50% di farina e mescolare. Aggiungere il mezzo chilo di criscito, mescolare ancora e poi aggiungere il restante della farina. Impastare fino ad ottenere un composto omogeneo e lucido. Lasciare riposare l’impasto per 30 minuti, poi riavvolgerlo e lasciarlo ancora riposare per un’altra mezzora. Riavvolgere l’impasto ancora una volta e poi procedere allo staglio, formando panetti da 250g. Fare riposare i panetti di impasto su tavole da lievitazione per almeno 24 ore. Il giorno dopo procedere alla stesura e alla successiva farcitura.

Tagliare la provola affumicata a listelle non molto spesse e distribuire sul disco di pasta. Aggiungere i pomodorini datterino tagliati a filetto e spargere il formaggio grattugiato sulla superficie con movimento rotatorio e uniforme. Disporre alcune foglie di basilico fresco e condire con olio extravergine di oliva, con movimento a spirale, partendo dal centro verso l’esterno. Procedere alla cottura in forno.


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Rosa Citro e la sua pizza gluten free di Alfonso Del Forno

La pizza senza glutine ha fatto grandi progressi negli ultimi anni, raggiungendo una qualità generale molto elevata. Le nuove farine introdotte sul mercato e lo studio approfondito dei pizzaioli di nuova generazione sono alla base di questa trasformazione del settore. Nata come sostitutiva della pizza tradizionale, senza badare troppo alla qualità, le attuali produzioni mettono in imbarazzo tante pizze tradizionali. Tra gli artefici di questa rivoluzione del gluten free troviamo Rosa Citro, pizzaiola salernitana che si fa valere su scala nazionale. Ho incontrato Rosa nella sua pizzeria di Salerno per conoscere da vicino la sua storia e le evoluzioni che ci sono state negli ultimi anni.


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Rosa, tu sei un’esponente importante del mondo femminile all'interno della pizza in un settore a forte componente maschile. Come nasce la tua professione di pizzaiola? Il mio percorso di pizzaiola nasce proprio qui, nella pizzeria “La pizza di Aniello Mansi”, mio marito. È stato un caso la mia sfida nel settore senza glutine. Cercavo sempre di far migliorare il lavoro dei miei collaboratori e non ero molto contenta di ciò che vedevo. Un giorno mi sono guardata allo specchio e ho deciso che era venuto il momento di entrare in campo. Questo mondo mi appassiona tantissimo. Di lì in poi abbiamo cominciato a lavorare sui nuovi impasti e, prova dopo prova, siamo riusciti a raggiungere i livelli che oggi puoi vedere con i tuoi occhi.

Cosa è accaduto in questi anni nell’evoluzione della vostra pizzeria? All’inizio avevamo una pizzeria più piccola, poi ci siamo trasferiti in quella nuova, dove abbiamo iniziato con il senza glutine. Negli ultimi mesi abbiamo aperto un locale dedicato allo street food, dove realizziamo pizze in teglia, con particolare attenzione al senza glutine. In questo nuovo locale il celiaco può trovare tranci di pizza e vari fritti, compreso la graffa napoletana. Nella pizzeria principale, quella in cui serviamo la pizza tonda, abbiamo un'area dedicata al senza glutine: un forno a legna, un banco da lavoro e una impastatrice. Una vera e proprio pizzeria in miniatura, dove svolgo il mio lavoro senza alcun tipo di contaminazione.

Nelle pizzerie preparate due

Ritornando al locale dove fate la pizza tonda, cos’altro viene subito lavorato e preparato. I due impasti hanno tempi diversi di cottura perché utilizziamo per la tonda il forno a legna, mentre la pizza in teglia viene cotta nel forno elettrico.

Quante pizze hai nel menù e in che modo lo avete realizzato? Il nostro è un menu stagionale. Cambiamo gli ingredienti in funzione delle stagioni. Selezioniamo quello che offre il nostro territorio nelle diverse stagioni. In estate usiamo molto le diverse varietà di pomodorini e ortaggi, come la pizza cilentana, con fiordilatte, fichi, prosciutto crudo e noci. Questa è la mia preferita in questo periodo dell’anno. Inforno il disco della pizza con il fiordilatte. In uscito aggiungo il prosciutto crudo, i fichi e le noci.

tipologie di pizza diverse.

Che tipo di abbinamenti

Come gestite i due impasti?

proponete?

Nel locale dove preparo la pizza tonda lavoro con un impasto diretto, con idratazione del 90%, che lascio lievitare e poi maturare in cella per due giorni. Invece, per la proposta di pizza in teglia senza glutine abbiamo una forte idratazione, parliamo di un 110%. Anche lì preparo un impasto diretto, che

In genere preferiamo proporre un abbinamento con il vino. Abbiamo una carta dei vini che ci permette di consigliare il vino giusto per ogni pizza. Abbiamo anche le birre, anche se abbiamo cominciato a lavorare con i cocktail, sempre abbinati alle pizze.

è possibile ordinare nel menù senza glutine? Oltre alla pizza abbiamo una vasta scelta di fritti, come le frittate di maccheroni, il crocchè di patate e arancini vari. Abbiamo anche crocchè farcito con diverse materie prime stagionali. Proponiamo anche un tris di montanarine, guarnite in funzione di quello che ci regala la natura in ogni stagione. A fine pasta proponiamo la graffa napoletana, che può essere mangiata da sola o farcita con vari gusti di crema, dal pistacchio alla nocciola, ma anche con il gelato.

Negli ultimi hanno hai partecipato ad alcuni concorsi, con grandi soddisfazioni. Nel 2019 ho partecipato al Campionato mondiale della pizza a Parma e mi sono classificata al terzo posto con una pizza chiamata Ottava Meraviglia, con base di fiordilatte, mortadella, burrata pugliese, pesto di pistacchio, granella di pistacchio, olio evo e basilico. Sempre nel 2019, al concorso Pizza Doc di Nocera Inferiore, ho vinto nella categoria gluten free con una semplice Margherita.


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Pizza Cilentana PER L’IMPASTO 1 lt acqua 20 gr sale 2 gr lievito 50 gr grano saraceno 950 farina senza glutine 110 gr olio

Inserisco nella planetaria l’acqua ad una temperatura circa di 4 gradi. Faccio sciogliere il lievito e unisco le farine. Lascio lavorare la planetaria in prima velocità per almeno 10 minuti. Passati i 10 minuti unisco all’impasto il sale e lascio impastare per altri 10 minuti in seconda velocità. Finiti i secondi dieci minuti unisco l’olio e lascio girare in terza velocità la macchina.

Finito l’impasto lo lascio riposare per dieci minuti e lo trasferisco in un contenitore. Metto in frigo e lascio maturare l’impasto per 24 ore ad una temperatura che oscilla tra i 4 /6 gradi. Passate le 24 ore l’impasto è pronto. Inforno il disco di pasta già con il fiordilatte. In uscita aggiungo il prosciutto crudo, i fichi e le noci.

La mia pizza viene cotta in forno a legna ad una temperatura di 350 massimo 380 gradi per circa due tre minuti. Il risultato finale sarà una pizza asciutta croccante e leggerissima



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Giuseppe Pignalosa "La pizza mi incanta sempre." di Caterina Orlandi Giuseppe Pignalosa, pizzaiolo ed imprenditore classe 1973, è originario di Portici. Appartiene ad una antica famiglia di pizzaioli e la sua è la prosecuzione di una passione, prima che di un mestiere, che sembra quasi scritta nel Dna.

Qual è stato il suo percorso lavorativo? “Nasco da una delle più antiche famiglie di pizzaioli. Sono figlio d’arte e questo mi ha consentito di mettere le mani in pasta fin da bambino, esattamente come oggi faccio con mio figlio. Il cambio generazionale nelle aziende di famiglia non è mai indolore e scevro da critiche per cui, nonostante gli oltre trent’anni in campo, subisco ancora lo sguardo critico di mio padre Leopoldo e mi prometto di non rifare lo stesso con mio figlio che del nonno porta sia l’arte innata che il nome. Insomma siamo davanti ad uno di quei saperi che si tramandano sperimentando, studiando, azzardando, osando, ma al quale non deve mai mancare l’amore per il piatto

più popolano e povero che ci sia: la pizza. A soli 14 anni fui mandato nella pizzeria di famiglia a Milano per rapportarmi con una realtà diversa. A ripensarci adesso mi fa ancora effetto; in quegli anni avrei voluto giocare a calcetto con i miei amici del rione ma oggi ringrazio per quei sacrifici che dopo una lunga evoluzione personale mi hanno permesso di integrare sapientemente tradizione ed innovazione, adoperando le tecniche acquisite con il desiderio di sperimentare”.

Quanti e quali locali ha e che caratteristiche hanno? “Attualmente ho cinque pizzerie di cui due sono con seduta mentre le altre tre sono da asporto: Le Parùle si trova ad Ercolano ed è la pizzeria da cui tutto è nato e dove posso dire di essere diventato il maestro pizzaiolo che sono adesso. Quello che si vede entrando è un orto verticale, dove le cassette della frutta e della verdura


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colme delle prelibatezze di stagione della mia terra celebrano i topping delle pizze contemporanee. Del resto, parùle in napoletano antico significa proprio orto. In questa pizzeria troverete uno stile moderno, ordinato ma al tempo stesso caldo e riposante grazie alle luci soffuse che lo caratterizzano. I forni a legna a vista fanno ammirare la manualità e l’artigianalità mia e dei miei pizzaioli in tutte le fasi dalla preparazione alla cottura. Qui lo posso dire che un semplice disco di pasta diventa un’opera d’arte. Pignalosa Pizzeria è una vera e propria location nel cuore di Salerno. Ho voluto creare un’esperienza intima, anche qui rilassata e calma, che esaltasse la bellezza e la bontà della pizza contemporanea che mi distingue da sempre. In tempo di Covid poi ho avuto il tempo di riflettere nella calma forzata del lock down e ho intuito che la pizza da asporto potrebbe diventare una valida alternativa per i clienti senza snaturare le pizzerie; nasce così la prima Gina Pizza ad Ercolano nel cuore del Miglio d’Oro. Gina, diminutivo della Regina della tavola ovvero la pizza, è diventata in pochi mesi ad Ercolano prima, a Portici poi e per finire a San Giorgio a Cremano, il successo del momento con tanto di App dedicata. Volevo che anche l’asporto diventasse esperienza e quindi ho curato nei dettagli ogni particolare: i contenitori per l’asporto raccontano il mio stile, la mia passione per le cose belle sino al

punto di aver voluto rendere omaggio ad un’artista che ha onorato Napoli con la un’opera bellissima, la Madonna di Banksy, che ho riprodotto anche sui contenitori.”

Che tipo di pizza propone ai clienti nelle sue pizzerie? “Ad Ercolano da Le Parule propongo sia l’impasto tradizionale che il contemporaneo mentre a Salerno da Pignalosa Pizzeria invece una scelta più assoluta: l’impasto contemporaneo. Per l’asporto da Gina Pizza ho preferito orientare la proposta verso l’impasto tradizionale. In ognuna delle pizzerie l’impasto è curato con costante attenzione e vanta un’attenta lievitazione e maturazione che è di circa 24 ore per la pizza contemporanea mentre è di circa 12 ore per la pizza tradizionale. Questa doppia scelta ha riscontrato un enorme successo proprio perché il concept degli impasti ha incontrato il gusto di ogni tipo di cliente. Anche per il senza glutine in entrambe le pizzerie (sia quella di Ercolano che quella di Salerno) ho studiato un impasto che dia alla pizza la stessa gustosità, fragranza e appetibilità; sostanzialmente un impasto fatto con un blend di farine idratato al 70% per far sì che nella tradizionalità ci sia un tocco di innovazione e nello stesso tempo sia scioglievole con un velo di crunch”.

Qual è l’idea di fondo che sostiene l’ideazione delle ricette? “Sperimento ancora molto sia per gli impasti che per i topping. La mattina la dedico soprattutto ad un lavoro di progettazione e sperimentazione consultandomi con produttori e chimici del Mulino per riuscire a regalare sensazioni diverse ed un ricordo della mia pizza per i clienti che ogni sera mi scelgono. Ho un rapporto quotidiano con i produttori che approvvigionano le pizzerie; garantendo così in prodotto sempre fresco. Avere la pizzeria ad un passo dalla Costiera Sorrentina e alle pendici del Vesuvio mi permette di poter scegliere i migliori prodotti con le peculiarità più adatte all’idea di sapore che voglio dare alle mie pizze. Un pomodoro per esempio non ha lo stesso sapore se è coltivato alle falde del Vesuvio o in Costiera: cambiano la mineralità del terreno, l’esposizione al sole e l’acqua che irriga i campi. Le caratteristiche di ogni prodotto ne determinano l’utilizzo o ispirano una pizza.”

Come si pone nel selezionare le materie prime ed i fornitori (in ottica di sostenibilità e prossimità/ valorizzazione di filiere agricole)? E’ un tema rilevante per il suo approccio al lavoro? “Traduco da sempre i frutti offerti dalle fertili terre vesuviane in topping per le mie pizze. Parùle in napoletano antico significa orto e nella scelta di questo nome c’è la passione che nutro per le eccellenze della terra vesuviana e campana. Scelgo sempre solo materie prime di altissima qualità, rispettando territorialità e stagionalità; una ricerca che conduco con la conoscenza delle aziende del territorio e dei loro prodotti che possano sposarsi bene con il mio impasto.


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Non tralascio neanche la sostenibilità: molti produttori sono aziende che da anni hanno sposato questi temi così attuali e che contribuiscono al mantenimento di un pianeta green con contenitori riciclabili ed ecosostenibili.”

Come si rapporta alla grande tradizione della pizza in Campania nel suo lavoro? Che approccio ha? “La tradizione è stata la base da cui partire, ed è la pizza che ho visto fare da bambino; il punto di partenza per le prime sperimentazioni per poi pian piano confrontarmi, studiare , testare e non da ultimo dimostrare a me stesso e a mio padre che avevo visto giusto. La pizza classica Napoletana ci sarà sempre nelle mie pizzerie, Salerno è l’unica eccezione. C’è una clientela che fa solo brevissime incursioni nella pizza contemporanea ma non si discosta dalle classiche. Io personalmente sono un grande amante della pizza e ancora dopo anni mi incanto davanti ad un cornicione perfetto che parla di maturazione, di caramelizzazione degli zuccheri, di alveolature e di lievitazione. In quel disco ho costruito tutta la mia vita.”

Quali altri prodotti oltre la pizza possono trovare i suoi clienti? “In tutte le pizzerie la pizza è affiancata dal più generoso e classico fritto da strada napoletano: la frittatina di pasta, il crocchè e l’arancino bianco o rosso. Anche per il fritto faccio un’attenta ricerca dei prodotti come per il fiordilatte, che deve essere perentoriamente di latte campano, le uova di filiera controllata o le patate che approvvigiona uno storico fornitore della pizzeria che garantisce raccolto dopo raccolto un prodotto eccellente.”

Pizza Nerano Vellutata di zucchine San Pasquale, fior di latte 100 x 100 latte campano, chips di zucchine , provolone del Monaco e olio evo.

Pizza cottura forno a legna 420° 1600 gr farina 00 1 lt acqua 1,5 gr lievito 45 gr sale Cott ura 55/60 sec Lievitazione 24 ore Impastare 20 min a velocità 1 Impastare 2 min a velocità 2

Ricetta Crocchè di patate 750 gr patate 50 gr Parmigiano grattugiato 3 uova 2 albumi 500 gr pangrattato prezzemolo qb sale e pepe 200 gr fiordilatte 1 lt olio di semi di girasole Dopo aver lessato le patate in acqua salata schiacciarle con lo schiacciapatate in una boule. Quando sono fredde aggiungere all'interno di una ciotola il pepe, il parmigiano e le uova e il prezzemolo tritato. Bagnarsi le mani e prelevate un po' di impasto, posizionate al centro il fiordilatte tagliato a listarelle. Richiudere l'impasto e dargli la tipica forma cilindrica.



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Carmine Donzetti Innovazione rispettando la tradizione. a cura della Redazione

“Ho iniziato l’attività di pizzaiolo sin da ragazzino quando, non volendo andare a scuola, i miei genitori per evitare che frequentassi cattive compagnie mi avviarono al mestiere. La nostra famiglia, da parte di mia madre, è una famiglia storica di pizzaioli che dal 1953 aveva una sua pizzeria sulla popolare e centrale Via Foria a pochi passi dall’Orto Botanico di Napoli. È stato lì che ho cominciato prima pulendo i pavimenti, poi dedicandomi alla preparazione della linea e poi dopo qualche anno prima vicino la friggitrice e poi al forno. Solo verso i 18-19 anni, dopo 5 anni circa di gavetta ho

cominciato a stare sul banco e a fare pizze. Questa era la gavetta a Napoli, e devo dire che era un bene fosse così.” È Carmine Donzetti a raccontarsi, pizzaiolo che – come abbiamo già potuto leggere dalle prime righe – ha cominciato da giovanissimo quel percorso che l’ha portato oggi a condurre con successo due locali diversi tra loro. Un professionista attento alle esigenze del cliente contemporaneo ed ai progressi che permeano il settore, sempre però con un rigore filologico nelle ricette ed un’attenzione particolare al proprio territorio.


61 Qual è la filosofia di fondo che sostiene Che locali ha e con quali caratteristiche? “Attualmente ho due locali: “Frijenno Magnanno” e “Carmine Donzetti Pizze e Fritti”. Nel primo si fa prevalentemente cucina di mare con pesce freschissimo e pizze con pesce, mentre nel secondo si servono i fritti (il mio primo amore!) e pizze tradizionali. Sono locali freschi, dai colori chiari con grandi spazi esterni fruibili anche in inverno grazie a delle chiusure create appositamente. Ma il loro aspetto è assolutamente temporaneo, essendo abitudine mia e di mia moglie Carla di rifare i locali ex novo ogni 4-5 anni, come stiamo per apprestarci a fare con “Frijenno Magnanno” e abbiamo fatto poco meno di due anni fa con “Carmine Donzetti Pizze e fritti”. Lo stile attuale è lo shabby chic con colori che virano sulle varie gradazioni del bianco e del grigio tenue. Ma presto cambieremo anche quello.”

Che tipo di pizza propone ai suoi clienti? Con quali caratteristiche? “La pizza che proponiamo è una pizza tradizionale napoletana ma con alta idratazione. Quindi cornicione non eccessivamente pronunciato e disco di pasta grande che copre l’intera superficie del piatto pizza. Prevalentemente è un impasto ottenuto con un blend di farine da me appositamente studiato e calibrato dove insiste anche una percentuale significativa (20%) di farina integrale. Il risultato è una pizza morbida e fragrante con sentori lievi di pane.”

l’ideazione delle ricette? “La filosofia è molto semplice: pochi ingredienti. Mai più di 3-4, salvo qualche finitura sul pass in uscita e l’immancabile basilico fresco e olio extravergine di oliva. Tutti freschissimi e selezionati con molta cura. Tengo particolarmente alla qualità. Preferisco caricare un euro in più sul prezzo finale piuttosto che adoperare prodotti scadenti o di qualità mediocre.”

Come si pone nel selezionare le materie prime ed i fornitori (in ottica di sostenibilità e prossimità/valorizzazione di filiere agricole)? È un tema rilevante per il suo approccio al lavoro? “Assolutamente determinante. E non solo sui pomodori o i latticini che - per mia posizione geografica - posso selezionare con molta attenzione, ma anche con prodotti che arrivano da più lontano. La mia scala preferenziale di scelta è sempre quella della territorialità di provenienza del prodotto e a parità di condizioni qualitative quella di lasciare una corsia preferenziale alle piccole realtà produttive, siano esse piccole aziende o, meglio ancora, contadini. La mia provenienza sociale mi “impone” di sostenere chi ha meno e fa più fatica a collocarsi sul mercato. In tale ottica anche la prossimità ha prevalenza nelle scelte salvo si sia in presenza di prodotti che non possono esserlo come ad esempio un Pistacchio di Bronte o un Pesto di Prà.


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Come si rapporta alla grande tradizione della pizza in Campania nel suo lavoro? La interpreta, la rielabora,

Quali altri prodotti oltre la

la porta avanti secondo

pizza possono trovare i suoi

tradizione?

clienti? Le sue specialità?

Che approccio ha? “Come avrà capito sono assolutamente in linea con essa anche se ritengo personalmente che la tradizione vada uniformata anche ai gusti e alle tendenze del mercato. Impensabile oggi servire una pizza come la si faceva quando ho iniziato o non avere cura per le farine o il prodotto. Talvolta, confesso, cedo alle lusinghe della sperimentazione ma soprattutto da ”Frijenno Magnanno”, dove grazie alla presenza di grandi quantità di pesce fresco o vivo posso lasciarmi andare a topping più creativi.

Il mio antico e primo amore ovvero i fritti della tradizione napoletana. Frittatine di pasta, arancini e supplì di riso, scagliuzzielli (triangolini di polenta condita e fritta), fiori di zucca pastellati, verdure pastellate e fritte e tanto altro a seconda dei criteri di stagionalità e buona disponibilità del mercato. Come del resto si è sempre fatto in passato.”

“Chic” Vellutata di patate viola, pomodorini gialli, bacon croccante, basilico ed olio evo pizza

“Donzetti” Fior di latte, funghi porcini, salsiccia di nero casertano, patate, tartufo olio extravergine di oliva e basilico



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LE AZIENDE INFORMANO

DENTI Tel. 0522 350085 commerciale@molinodenti.it technicalservice@molinodenti.it

Tutto il profumo e l’aroma naturale del grano, grazie alla magia della tostatura.

Il mondo delle farine INFIBRA

Recuperare un procedimento antico per creare un prodotto innovativo. Questa l’idea di Ermanno Denti, che attraverso la tostatura del germe di grano e della crusca crea farine uniche, per prodotti dal gusto sorprendente.

“U

na volta – racconta Ermanno Denti,– il grano restava a essiccare al sole nell’aia e aveva tutto il tempo di maturare e di assorbire tutti i profumi naturali. Si macinava solo quando era pronto. Io sono entrato in mulino a 13 anni e ho imparato che ogni cosa va fatta al momento giusto”. Ma come fa la tostatura a permettere al grano di trasformarsi in una farina tanto diversa rispetto a quelle tradizionali? Il nostro sistema di tostatura differisce radicalmente dai grandi tostatori industriali. “Per me la priorità è sempre stata quella di non rovinare la materia prima – puntualizza l’ideatore di INFIBRA – cosa che con i sistemi standard è molto facile. Il nostro è un tostatore di nuova generazione, dove la tecnologia svolge un ruolo fondamentale per assicurare un risultato di qualità, ma dove tanto dipende ancora dal lavoro dell’uomo. Non esiste un tempo prestabilito, perché il germe di grano è vivo: tutto cambia a seconda della stagione, della temperatura, dell’umidità e in base a tantissimi altri fattori imprevedibili.

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Quando è pronto me ne accorgo dal colore e dal profumo. Alla fine è il prodotto a parlare”. Il risultato è davvero sorprendente: una farina che si presta a tantissimi usi: dal pane ai dolci, dalla focaccia alla pizza, dalla pasta fresca e secca ai grissini e ai biscotti. “Qualunque cosa si prepari con le farine INFIBRA – spiega il patron di Molino Denti – il risultato è più buono, più nutriente e anche più bello da vedere”. Una gamma vastissima, che oltre alla linea classica comprende: INFIBRA PIZZA, per le varie tipologie di pizza; INFIBRA CEREALI & SEMI, nelle varianti con semi di chia, farro, zenzero, curcuma e alga aspirulina; INFIBRA PRIMAMACINA, che contiene tutte le parti del chicco, come le farine integrali ma con la stessa versatilità di una farina bianca.



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Il

pomodoro

pizza napoletana e la

di Michele Croccia *

Il mio primo pomodoro è un ricordo, il ricordo di mia nonna Franceschina e della sua pizza, un ricordo semplice e saporito: la nonna ci metteva pomodori, olio, origano e pezzetti di caciocavallo e me la faceva trovare quando tornavo da scuola. La realizzava con i pomodori del periodo: d’estate quelli tradizionali, rossi, d’inverno quelli più giallini. La pizza di nonna Franceschina oggi è nel mio menù, la faccio con i pomodori del mio orto, e questo ci porta ad un aspetto importante ovvero la terra nel quale il pomodoro cresce - nel mio caso la Creta - il luogo di Caselle in Pittari dove sono nato e cresciuto. Il pomodoro è un frutto che viene storicamente conservato in casa nel cestino di vimini; quando a metà del 1500 arrivò in Italia grazie agli spagnoli, la nota famiglia toscana dei de’ Medici ricevette un cesto di pomodori dal Vicerè del Regno

di Napoli cambiando la destinazione da pianta ornamentale a coltura con proprietà curative e gastronomiche. Ricco di principi nutritivi e a basso contenuto calorico il pomodoro va utilizzato nel rispetto della sua semplicità, al naturale, con olio extra vergine di oliva e sale, che sono i suoi compagni di viaggio preferiti. Questo frutto, ricco di umami, acido glutammico esaltatore di sapidità, si presenta con le sue circa 5000 varietà passando dalla dolcezza all’acidità, dalle bucce spesse a quelle sottili, dalla succulenza alla concentrazione di liquidi. In Campania esistono ben 32 ecotipi del San Marzano e 15 ecotipi di pomodorini del piennolo, gli utilizzi sono molteplici a seconda delle preparazioni finali, dalle bottiglie di passata fatte in casa fino all’essicazione.


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*Michele Croccia inizia giovanissimo la sua carriera di apprendista pizzaiolo durante le stagioni estive sulle coste campane, ma già dopo pochi anni diventa titolare della propria pizzeria “La Pietra Azzurra” a Caselle in Pittari, provincia di Salerno, piccolo paese del Cilento, ricco di storia e tradizioni enogastronomiche, cui negli ultimi anni si è affiancato Pizza e Macarun, con la socia nonchè premiata pizzaiolo Francesca Gerbasio. La sua filosofia è quella di coniugare la passione per la pizza all’amore per la terra ed il suo territorio. Michele coltiva un orto stagionale, utilizzando i prodotti del sul raccolto per la farcitura delle pizze e dei piatti del ristorante, ecco perché viene chiamato il Pizzaiolo Contadino. Ogni giorno infatti si dedica alla cura dei suoi terreni per assicurare un prodotto eccellente.


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Sapete qual è la mia miglior ricetta per il pomodoro? Crudo! E una cosa da non dire mai a un cilentano come

Mettere lo zucchero nel pomodoro, vi fareste un nemico! Per ottenere le giuste acidità e avere sempre un “effetto wow” al momento della degustazione basta affidarsi a un prodotto di qualità, lo zucchero non serve, altera soltanto le caratteristiche del pomodoro. Il pomodoro che utilizzo per la mia pizza è un San Marzano pelato che schiaccio con le mani finemente, in maniera tale da lasciare sul prodotto anche pezzetti di polpa e che condisco con un po’ di olio e sale e due o tre foglie del mio basilico. Naturalmente si può utilizzare anche il tradizionale passino e poi condire sempre

con olio, sale e basilico. Sconsiglio invece fortemente l’uso del mix perché – come potete vedere - altera sia il colore che il sapore del pomodoro. Credetemi, con l’impasto giusto, il pomodoro giusto e gli ingredienti giusti, per esempio una mozzarella di bufala di alta qualità, si crea un’armonia di gusti e di sapori che permette di portare a tavola una pizza veramente eccezionale. Ecco la mia semplicissima ricotta e le 3 versioni di cui vi ho parlato poc’anzi: ogni 3 kg di pomodoro, 20/25 gr di sale, olio e qualche foglia di basilico.

me o un napoletano verace?

con il passino ... con il minipimer

Con le mani...

(lo sconsiglio fortemente!)


il buon pomodoro italiano

“Gli artisti della pizza”. Tante idee da assaporare ogni mese con i nostri dodici “Artisti della pizza”. Settembre è stato dedicato al nostro caro pizzaiolo Michele Cuomo, che esalta il gusto dei nostri dadini. La praticità della polpa di pomodoro italiano, già tagliata e pronta per essere cucinata, semplifica la vita di chi lavora ai fornelli. Dolce e compa�a, in ogni barattolo c’è solo il cuore del pomodoro di primissima qualità. Che sia saltata in padella o usata come base per la pizza, la Polpa di Pomodoro a Cube� la Torrente, aiuta chi ha le mani in pasta.

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L’importanza della mozzarella sulla pizza: quale scegliere? della Dott.ssa Marisa Cammarano, biologa nutrizionista

L

a pizza con pomodoro e mozzarella è un grande successo della cucina italiana. Non c’è posto al mondo dove la pizza non sia conosciuta ed apprezzata, tanto è vero, che la pizza è stata dichiarata dall’Unesco nel 2017 ‘Patrimonio dell’umanità’. Le origini della pizza come molti sanno è napoletana, la pizza margherita fu creata da un cuoco napoletano di nome Raffaele Esposito che in omaggio alla regina Margherita preparò la prima pizza

Margherita con pomodoro, olio, mozzarella e basilico. Da quel momento in poi, la pizza Margherita e poi le tantissime varianti, hanno avuto un successo planetario ed intramontabile. L’importante per una buona riuscita della pizza, è che tutti gli ingredienti siano freschi e genuini. Oltre al pomodoro, l’ingrediente che la fa da padrona è la mozzarella. La mozzarella, infatti, è uno dei simboli della cucina italiana e sicuramente uno degli ingredienti fondamentali della

pizza. che, durante la cottura in forno, si scioglie e diventa il connubio perfetto per legare i sapori. Anche i migliori pizzaioli, a volte, si trovano alle prese con una fatidica domanda: «Che mozzarella usare per la pizza?». Infatti, trattandosi di uno dei formaggi freschi a pasta filata più apprezzati della gastronomia italiana, ne esistono di diversi tipi ed ognuno di essi si differenzia per le modalità di consumazione, quantità di siero presente e resistenza alle alte temperature. Solitamente,


nelle pizzerie vengono utilizzati tre tipi di mozzarella: la tipica mozzarella per pizza, il fiordilatte oppure la mozzarella di bufala. Ma quale tipo di mozzarella è più adatto per la pizza? Non c’è una risposta univoca: la scelta della mozzarella dipende molto dal tipo di impasto e dalle singole preferenze di ogni individuo. La classica mozzarella per pizza è differente dalla mozzarella da tavola: ha una forma allungata e compatta, è meno grassa e contiene meno acqua, caratteristica che la rende un ingrediente adatto alla preparazione della pizza, in quanto non necessita di essere scolata e non subisce ingenti perdite di siero durante la cottura, situazione che, difatti, potrebbe rovinare l’intera pizza, se questa non viene cotta in un forno abbastanza potente da riuscire ad asciugare l’impasto. A livello di gusto, è innegabile che questo tipo di latticino, rispetto ad altre mozzarelle, abbia un sapore meno deciso, soprattutto se di qualità non eccellente. La mozzarella fiordilatte è un prodotto preparato esclusivamente con latte vaccino e vanta una consistenza cremosa e meno asciutta rispetto alla mozzarella da pizza. Prodotta esclusivamente in alcune regioni dell’Italia Centrale e Meridionale, ha un gusto unico, diffe-

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rente rispetto alla classica mozzarella da tavola. Riconosciuto come prodotto “DOP”, sulla pizza ha un gusto più marcato e viene tipicamente utilizzato come ingrediente nella tradizionale ricetta della pizza napoletana. La mozzarella di bufala è un latticino prodotto con latte di bufala, tradizionalmente tipico della regione Campania. A differenza delle altre mozzarelle usate per la pizza, questa solitamente non viene cotta, ma messa sulla pizza all’uscita dal forno. Prodotta in diverse forme, sia tondeggiante che a treccia, e commercializzata con liquido di accompagnamento, la mozzarella di bufala viene usata nelle pizzerie per offrire una variante alla classica pizza margherita. Ha un gusto più deciso rispetto alle altre tipologie di mozzarella, con un alto livello di sierosità. La mozzarella per pizza, dunque, contiene una quantità minore di grassi rispetto a quella da tavola. Infatti, ha una quantità di grassi tra il 10% ed il 15%. In questo modo, anche se sciolta ad alte temperature, non causa il galleggiamento degli ingredienti. La mozzarella da tavola, invece, ha una quantità di grassi del 20%, in quanto la sua finalità principale non è quella di essere cotta ad elevate temperature, ed il suo gusto risulta, così, più intenso. La differenza è visibile anche nel colore della mozzarella, infatti, quella per la pizza risulterà con un colore diverso, più tendente al giallo, se confrontata con quella da tavola. La mozzarella per pizza contiene, anche, una dose mino-

re di acqua rispetto a quella da tavola, si presenta con una forma allungata e compatta, senza la presenza del liquido nella confezione. Quella da tavola, invece, ha la classica forma tondeggiante ed è immersa in un composto di acqua e siero. La mozzarella per pizza ha una dose ridotta di siero perché altrimenti in cottura bagnerebbe l’impasto, lasciandolo crudo, mentre quella da tavolo risulta più apprezzabile al palato proprio grazie alla sua grande quantità di siero. Il gusto di una mozzarella per pizza è molto diverso da quello della mozzarella da tavola: ha un sapore molto meno definito, e risulta più pastosa. Questo le permette però di essere lavorata con più facilità. Mentre quella da tavola ha un sapore più deciso, che ricorda quello del latte, e al palato risulta molto cremosa. Trovare una mozzarella di qualità spesso

si rivela un’impresa, se poi parliamo di trovare la migliore mozzarella per la pizza, la faccenda diventa ancora più complicata. Molti pizzaioli, infatti, utilizzano un particolare tipo di mozzarella prodotta dalla cagliata, e non dal latte fresco. La mozzarella da cagliata è così popolare perchè rispetto alle mozzarelle tradizionali, costa meno ed ha una resa maggiore, ma quando la pizza si raffredda il formaggio a pasta filata assume l’aspetto di una lastra di plastica. Infatti, molti prodotti ottenuti da cagliata, importata o prodotta in Italia, quando la pizza si raffredda hanno un aspetto simile alla plastica e questo non piace al consumatore. La filatura, come è noto, della mozzarella nella pizza è fondamentale. Il problema principale è mantenere la filatura dopo la cottura, quando la temperatura è inferiore ai 50°C La questione, però, non è solo economica, anche se in alcuni periodi dell’anno i prezzi delle cagliate sono molto convenienti, mentre in altri il risparmio non è così evidente. La grande convenienza sta nella comodità d’uso: spesso la cagliata viene venduta tritata e pronta all’uso, e questo fa guadagnare tempo al pizzaiolo. Un altro fattore fondamentale per il pizzaiolo è l’umidità. L’umidità delle mozzarelle ottenute da cagliata in genere è standardizzata e agevola la preparazione della pizza, e questo facilità il lavoro. La mozzarella preparata con latte fresco con una bassa umidità non è impossibile da trovare, ma è più costosa.


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Ma, alla fine dei conti, c’è un modo per il consumatore per capire che tipo di lavorazione ha subito la mozzarella usata per la pizza? Se è stata prodotta con latte fresco o cagliata conservata? La risposta è semplice: no. Anche il nuovo decreto sull’origine del latte, a cui presto i produttori si dovranno adeguare, permetterà di conoscere l’origine della materia prima delle mozzarelle acquistate al supermercato, ma nessun ristoratore sarà obbligato a scrivere sul menu il tipo di lavorazione utilizzato. Al momento, l’unico sistema certo per distinguere mozzarelle prodotte con i due sistemi rimane il test di laboratorio, che però si può usare solo sui prodotti ancora da infornare. C’è un solo modo per risolvere la diatriba: portare all’attenzione del legislatore la questione della freschezza della materia prima e non solo dell’origine. E’ stato proposto, senza successo, la creazione di due categorie: la “mozzarella da latte fresco”, accanto alla normale “mozzarella”. Si tratta di differenziare le categorie merceologiche come si fa da anni per il latte fresco, proposto come pastorizzato di alta qualità, oppure semplicemente pastorizzato. In questo modo la pizzeria ed il ristorante potrebbero riportare sul menu il tipo di mozzarella, ed il consumatore avrebbe la certezza di essere davanti ad un prodotto di elevata qualità nel rispetto della tecnologia “classica”.

Per ottenere una pizza di successo, dunque, è d’obbligo comprare una mozzarella di qualità. La migliore per la pizza è la mozzarella fiordilatte, prodotta con latte vaccino italiano. La buona riuscita della pizza è per lo più dovuta all’umidità della mozzarella; il rischio maggiore, altrimenti, sarà una pasta troppo bagnata al centro, con un cornicione bruciato all’esterno. Questo è un problema che riguarda con grande probabilità chi utilizza un forno elettrico o a gas che non raggiunge elevate temperature; chi utilizza, invece, un forno a legna classico, dove le temperature possono raggiungere anche i 400 gradi e la pizza cuoce perfettamente in un

paio di minuti, non ha questo problema. Il fiordilatte, invece, quello “vero” fatto esclusivamente con latte vaccino è un buon prodotto, ma se non si dispone di un forno a legna si avrà lo stesso problema di galleggiamento degli ingredienti sulla pizza, rilascia molto siero durante la cottura. In realtà quello che rende gustosa questo tipo di mozzarella al nostro palato è appunto il siero contenuto in essa, quindi cercare di risolvere il problema mettendola a scolare non aiuta. Ancor di più vale questo discorso per la mozzarella di bufala che ha nel siero contenuto in essa stessa il proprio punto di forza che le da un ottimo sapore. Sfortunatamente, per renderla adatta allo scopo, non rimarrebbe che scolarla per diverse ore per separarla dal siero, ma con il risultato di ritrovare una mozzarella gommosa sulla pizza, oppure una pizza “allagata”. Per tutti coloro che non vogliono proprio rinunciare alla bufala, il consiglio è quello di aggiungerla a cottura ultimata, magari spezzettandola grossolanamente sopra la propria pizza. Ma i nostri avi latini dicevano “De Gustibus non est disputandum”.


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Street Sud. Il cibo di strada secondo Napoli.

di Antonio Puzzi, Antropologo dell'alimentazione e giornalista

a sinistra Una foto di © Stefano Asaro


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Nello scorso dicembre 2020, fece il giro del mondo l’immagine di un bellissimo termopolio della Regio V (già parzialmente scavato nel 2019), una delle tavole calde affiorate dagli scavi archeologici di Pompei, il cui recupero testimoniò l’eccellente conservazione di una pittura murale che lo decorava: una Nereide a cavallo. All’interno di questa antica bottega conservata dalle ceneri del Vesuvio, furono ritrovati anche resti alimentari e ossa di animali che fanno pensare (scusandomi anticipatamente con Stefano Callegari) a un locale del Trapizzino “ante litteram”. Sì, perché lo street food non è una questione contemporanea. Da sempre i commessi viaggiatori, i messaggeri, i mercanti e i forestieri di ogni tipo, giunti in una qualsiasi città del mondo, potevano scegliere tra una taverna e del “cibo veloce” (chiedo venia ma “fast food” proprio non riesco a scriverlo). Il fascino del cibo da consumare in strada, camminando, “a giro” come dicono nelle regioni del Nord o “frijenno

magnanno” come invece è uso nel Napoletano, ha dunque travalicato i secoli e, come è naturale che sia in questi casi, si è evoluto, raggiungendo picchi di eccellenza. Oggi, su moderni e super attrezzati food truck, è possibile trovare quasi di tutto: dal vegan al gluten free, dalle polpette in mille versioni a ricette ricercatissime di finger food. Nel contempo, alcuni tipici street food hanno conquistato le tavole dei ristoranti, talvolta “lucidandosi” per l’occasione. Come è possibile dunque parlare di “street food” dall’età pompeiana ai giorni nostri? Se è vero che l’hot dog rende una l’America nelle sue stelle e strisce e il fish and chips spopola nel Regno Unito (spesso grazie a manodopera italiana), lo Stivale è fatto di mille campanili, tutti da gustare. Lo sguardo di questo articolo vuole però posarsi su Napoli, scelta spesso dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (l’ateneo fondato da Slow Food) per conoscere e celebrare lo “street food” italiano. Impossibile non partire dalla pizza a portafoglio, originariamente venduta nella sola area di piazza Dante, via Port’Alba e via dei Tribunali e oggi disponibile anche nelle vie “nobilissime” della città, come Via Toledo, regno incontrastato di Gennaro Salvo. Lo stesso vale per la pizza fritta, nata nei quartieri popolari dalla necessità, dalle mani e dalla “visione” di Concettina ai Tre Santi (il locale oggi gestito da Ciro Oliva), delle “figliole” e di zia Esterina (prozia di Gino Sorbillo). La pizza fritta a Napoli oggi è sia Montanara, come quella di Donna Sofì o di Luise, sia ripiena, come quella proposta in varie versioni da Gino Sorbillo con i suoi punti vendita “zia Esterina” (uno tra questi è nel ricco quartiere del Vomero, un altro a due passi da piazza del Plebiscito) e da “La Masardona”, presente sia nel popolare quartiere del Mercato, sia nel salotto della città, in piazza Vittoria.

accanto Pizza Fritta, "street food" di Napoli


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Napoli però non è solo pizza (e spero di potere ancora rientrare a casa dopo questa affermazione) perché a Napoli tutto diventa “fritto”: i panzarotti (crocché di patate semplici o ripieni di fior di latte), le pastecresciute (ossia le zeppole, il cui impasto è simile a quello della pizza ma preparato con acqua frizzante), gli scagliuzzielli (triangoli di polenta arricchiti da cicoli di maiale), ‘e palle ‘e riso (arancini), le frittatine (pasta al ragù con piselli, fritte in pastella), la mozzarella in carrozza (una fetta di mozzarella tra due fette di pane indorate e fritte), le melanzane pastellate. Pezzi misti, dunque, serviti in un irresistibile cuoppo (cono di cartone) che ha reso celebre, tra gli altri, la Friggitoria Vomero. Il cuoppo però di strada ne ha fatta, superando le colonne d’Ercole, anzi del Vesuvio e accogliendo molte altre “fritture tricolori” come accade nelle Marche con le olive all’ascolana, in Liguria con le sarde fritte e la panissa, in Sicilia con pane e panelle (panissa e panelle sono delle farine di ceci fritte). E così via.

Va anche detto però che oltre la padella Napoli riserva un mondo per molti ancora da scoprire. Recuperando l’antica tradizione dei maccaronari, Giuseppe Di Martino, “boss” del celebre pastificio, ha lanciato qualche anno fa la sua “devozione”, ossia una porzione di spaghetti al pomodoro con basilico serviti in un cartone da gustare rigorosamente in piedi in strada, come nell’Ottocento, riservando alla fine dell’assaggio una gustosa sorpresa: una fetta di pane che consente anche di fare la “scarpetta”. Esperimento oggi riproposto anche da altri “street food heroes”. D’inverno è poi impossibile resistere alla tentazione del “brodo ‘e purpo” ossia un bicchiere tratto da un pentolone nel quale viene messo a cuocere un polpo: a ciascun avventore spetterà un po’ dell’acqua e una “ranfetella”, ossia un tentacolo, del polpo.

D’estate invece la carne da gustare è quella de ‘o pere e ‘o musso, una specialità che si prepara con il piede di maiale ('o pere) e il muso del vitello, ovviamente depilati, bolliti, raffreddati, tagliati in piccoli pezzi e serviti freddi, conditi con sale e succo di limone. Talvolta tra gli ingredienti di questa preparazione è anche possibile trovare il piede di vitello o di capretto, la trippa detta anche cientopelle (è lo stomaco della vitella) e la zizza ‘e vacca (la mammella della mucca da latte). Pizza e fritti sono dunque i “piacioni” dello street food della città di Partenope ma solo i veri cercatori della tradizione sapranno andare oltre e valicare i confini di un porto sicuro per addentrarsi in quelle culture gastronomiche che rendono “slow” anche un cibo di strada.



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Tenuta Tosi, Cilento: la salvaguardia della tradizione

U

n sentiero meraviglioso che attraversa l’intero territorio del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Si attraversa la Via Silente per gustare il tempo, per avvertire la realtà con tutti i sensi, per scoprire quel silenzio che non è assenza di suoni ma qualità di ascolto. Tutto senza mai dimenticare le asperità di un territorio in cui la natura da sempre è padrona. Terra di mare, di navigatori, di arte e di cultura, il Cilento è una terra ben nota anche per la sua tradizione culinaria caratteristica, che differisce in alcuni piatti da quella del resto della provincia salernitana. Oggi, in Cilento non si va solo per godersi le belle spiagge, il mare pulito da bandiera blu o per immergersi nella natura visitando il famoso Parco Nazionale, ma anche e, soprattutto, per godere delle prelibatezze che offre la cucina cilentana. Tra il Cilento e il buon cibo, infatti, c’è un legame unico, a partire dal rapporto che gli abitanti hanno con i prodotti della terra: raro trovare una famiglia che non abbia una piccola coltivazione.

Un’area che ha conquistato gli stranieri e si è guadagnata grande fama tanto che il Parco Nazionale del Cilento dal 1988 è Patrimonio Unesco Mondiale per la Dieta Mediterranea, con tanto di museo a Pioppi, dove visse per anni lo studioso americano Ancel Keys, il quale coniò il concetto di «dieta mediterranea» come stile di vita. Luoghi, dunque, che nascondono tesori di biodiversità unici, oggi sono noti ai più, anche e soprattutto, per i loro tesori enogastronomici che conservano ancora quelle antiche tradizioni culinarie tramandate di generazione in generazione. In questo territorio, in cui il cibo è bontà ed arte e soprattutto biologico, si celano diverse, ottime, strutture ricettive cui le guide gastronomiche non rendono giustizia, come per esempio la Tenuta Tosi. Immerso nel verde delle colline cilentane, un luogo dove riscoprire la cucina di una volta.

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Spettacoli di inaudita bellezza si aprono durante il cammino: ambienti selvaggi ed incontaminati dalla vegetazione rara, naturale scenografia ricca di colori e profumi con il rumore tonante delle acque da sottofondo. Ci troviamo nel "regno" della lontra, che qui vive indisturbata, libera e protetta. Il sottobosco ricco di vegetazione arbustiva rammenta quasi una foresta tropicale. Lungo il cammino si incontrano foglie di edera, di lauroceraso e grossi tronchi di frassino e carpino bianco. La Tenuta Tosi, quindi, è circondata da borghi, vallate ed itinerari storico paesaggistici di alto valore culturale: le gole di Remolino, situate vicino al fiume Calore, Castel San Lorenzo, famoso per i vini, Castelcivita e le sue grotte. Il punto forte della Tenuta Tosi è l'utilizzo di prodotti di primissima qualità i quali rendono il sapore di ogni piatto unico ed inimitabile. Dall'antipasto al dolce, passando dall' olio d'oliva al vino paesano, agli ospiti della Tenuta Tosi viene proposto un excursus di emozioni rievocate, di pietanze riproposte, di accostamenti di cibi dimenticati.

Tutto iniziò negli anni 60, quando un gruppo di contadini amanti della propria terra si unirono e con la forza che contraddistingue il popolo cilentano provarono a valorizzare ciò che più amavano. E' semplicemente così che in un piccolo paese immerso nella valle del calore nasce la cantina sociale di Castel San Lorenzo. Il sig. Giovanni Tosi con la sua tenuta partecipò in prima fila alla creazione della cantina, valorizzando il territorio, i prodotti e l’ azienda di proprietà nella quale a tutt’oggi si produce vino, olio extra vergine di oliva, prodotti agricoli e formaggi di capra. E sono proprio le materie prime autoctone a rendere questi prodotti un fiore all’occhiello della Tenuta Tosi. Questa semplicità ed il rispetto per l’ambiente di Giovanni sono state tramandate al figlio e alle nipoti Angela e Giovanna che con grande passione portano avanti, oggi, gli antichi valori su cui è stata fondata questa meravigliosa realtà. La Tenuta Tosi, oggi come allora, offre la possibilità di assaporare gusti genuini e ricchi di storia nel pieno rispetto delle tradizioni e dell'ambiente. La loro è una cucina semplice che trae origini dalle sapienti massaie della zona.

Le loro specialità sono tutte da gustare ed apprezzare come l’antipasto della Tenuta composto dai salumi artigianali, caratterizzati da uno specifico processo di lavorazione, curato in ogni dettaglio a partire dalla selezione della carne, la rifilatura dei vari tagli, la salatura e non in ultimo l’aromatizzazione; da sottolineare, inoltre, l’assenza assoluta di additivi chimici e conservanti. Questo tipo di lavorazione che porta ad un risultato di altissimo pregio è assolutamente da difendere e tramandare.



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Nell’ antipasto troviamo capicollo, prosciutto, salsiccia e soppressata e formaggio primo sale prodotto dal latte delle loro caprette sempre con tradizioni e lavorazioni tramandate dai nonni. Bis di primi composto da fusilli di Felitto al ragù, particolare pasta fresca all’uovo, frutto di una laboriosa lavorazione manuale tramandata di generazione in generazione. Vengono realizzati con l’ausilio di un sottile ferretto e con semplici ingredienti, quali: semola di grano duro Senatore Cappelli, uova fresche dell’aia di famiglia, acqua e sale. Si presenta come un maccherone forato di lunghezza variabile (superiore ai 20 cm) e di spessore ridotto (massimo 24 mm) di colore giallo più o meno intenso. Questa particolare pasta è prodotta unicamente nel Comune di Felitto ed è riconosciuta dalla Regione Campania nel Registro dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali come stabilito dal decreto ministeriale delle politiche agricole e Forestali del 14 giugno 2002 (D.M. 350/99).

Cavatelli detti scazzatielli, una pasta sempre fatta a mano, all' uovo con farina di grano duro, acqua e sale condita con il ragù di marzafecatu, un insaccato prodotto con carne suina tritata di colore rosso scuro, la carne utilizzata per la produzione viene ricavata dalla spalla, cuore, stinco, e miscelato con formaggio caprino stagionato, sale, pepe. La conservazione di questo insaccato avviene ponendo i pezzetti nella sugna derivata dal maiale stesso. Come secondo propongono pollo ruspante da allevamento a terra dell’azienda, arrostito su brace di legno degli alberi della zona, accompagnato da patate al forno o insalata di pomodori e cetrioli, anche questi esclusivamente bio e del territorio.

C’è inoltre, da aggiungere che tutte le pietanze sono accompagnati dal pane fatto in casa così come il vino. Insomma, fermarsi a mangiare alla tenuta Tosi significa vivere una grande emozione, è come aver fermato il tempo e riscoprire sapori ormai dimenticati o ancor peggio sostituiti da cibo proveniente da allevamenti intensivi o da colture industriali. L’ obiettivo primario, infatti, dice Angela, è fare in modo che le loro ricette ed i loro sapori tradizionali restino nel cuore di chi li assaggia.


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PEPPE

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GUIDA chef stellato e grande interprete della cultura gastronomica napoletana di C.O.

In un numero della rivista dedicato alla Pizza napoletana e alla Campania ci è parso doveroso incontrare un professionista che col suo lavoro e la sua solida professionalità ha fatto conoscere i suoi locali ben oltre i confini di Vico Equense, addirittura oltre i confini d’Italia. Peppe Guida ha infatti clienti che arrivano da altri continenti per sedersi alla tavola di un prestigioso self made man che oggi è una bandiera della cucina napoletana, rivista e proposta con una capacità da artista e da serio professionista. Peppe Guida è poi un grande “Ambasciatore del gusto” e della cultura gastronomica napoletana, che è una delle più affascinanti del pianeta e parlare con lui è un vero piacere, poiché sa trasmettere non solo l’amore per la buona tavola, ma il valore di una civiltà che è un bene prezioso non solo per la Campania e per l’Italia, ma per l’intera umanità.

Guida è un esempio di come si possano raggiungere professionalmente traguardi importanti e prestigiosi, pur partendo dal basso, solo guardando la mamma “Nonna Rosa”, e questo ci dice come anche una persona autodidatta, se è ripiena d’amore per il proprio lavoro, lo sa insegnare bene, trasmettendo amore per il lavoro e per un lavoro fatto bene. “Nonna Rosa”, madre e maestra, ha regalato a Vico Equense e alla Campania Peppe Guida, meraviglioso ristoratore che onora la sua terra e la sua professione.


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Abbiamo voluto farlo conoscere ai nostri lettori ed ecco, in sintesi, quanto ci ha detto.

Leggiamo che Nonna Rosa era una rosticceria/ pizzeria d’asporto: com’è avvenuta la trasformazione a ristorante da 1 stella Michelin, sotto quale impulso? “Quando ho aperto l’Osteria – ci dice Peppe Guida - era una trattoria dove c’era anche il forno per le pizze. Lavoravamo tanto per l’asporto e, non lo dico per vanteria, ma avevamo sempre la fila fuori. Ma io avevo delle ambizioni che andavano oltre quel forno e quella trattoria; cominciavano a starmi stretti. Una mattina ho preso un piccone e ho smantellato il forno, con mia moglie e mia madre che guardavano allibite. Lì è cominciata la trasformazione del locale. Ho cambiato il menù e ho cominciato a proporre i miei piatti, sempre ispirati alla tradizione, ma più moderni nella tecnica di preparazione e nel modo di presentarli. L’inizio è stato duro, non sono stato capito subito ma non mi sono arreso. Nel 2007 la stella Michelin mi ha dato ragione e ancora oggi posso dire che brilla ancora luminosa.”

Quanto è importante nella sua filosofia gastronomica poter coltivare in maniera controllata le materie prime? Cosa vi coltiva?

Come si rapporta con la grande tradizione gastronomica campana nella proposta al cliente?

“Avere un orto è sempre stato il mio sogno. Coltivare quello di cui ho bisogno per me è fondamentale, dovrebbero farlo tutti per apprezzare davvero la materia prima che maneggiamo: si dà molto più valore a tutto se sai quanto lavoro ed energia ci vuole per produrlo. Coltivo seguendo le stagioni, avendo cura di fare la rotazione dei campi per fare in modo che non si impoveriscano di elementi fondamentali, non uso pesticidi o sostanze chimiche, le erbacce si tolgono a mano. Per me è fondamentale che il sapore, il colore e i profumi di quello che coltivo arrivino nel piatto intatti. Cosa coltivo? Tutto quello che posso: in questo momento ci sono diverse varietà di pomodori, verdure tipo melanzane, fagiolini, fagioli, zucchine e molto altro, frutta, i miei adorati limoni. Davvero cerco di non far mancare nulla.”

“La tradizione campana è alla base della mia cucina e cerco di trasmetterla come meglio posso. A Villa Rosa provo a interpretare le ricette antiche senza assolutamente modificarle, se non provando a migliorarle, dove è possibile, con tecniche di cottura più moderne e utilizzando meno grassi e più nobili. All’Antica Osteria Nonna Rosa, invece, la tradizione viene elaborata alleggerendola e presentandola in maniera moderna senza intaccare quelli che sono i sapori. Quando mi dicono che un mio piatto ha ricordato la cucina della nonna o le tavolate che si facevano una volta sono molto contento perché vuol dire che ho trasmesso quello che volevo.”

Da dove è venuto lo stimolo a collaborare con Francesco e Salvatore Salvo come chef in Pizzeria? “Li conosco da tanti anni, avevamo sempre parlato di una collaborazione ma non riuscivamo mai a trovare il momento.”

Ricordo di una zuppa di pesce: una pizza dalla presentazione particolare, rovesciata su un padellino composto da un mix di pesce e pomodoro.


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Come si rapporta come Chef col mondo della pizzeria? “Ho l’impasto nel sangue. Ho cominciato impastando pizze, senza sapere niente né di farine, né di lieviti né di lievitazione. Sono un autodidatta su tutto: guardavo mia madre, Nonna Rosa, e cercavo di capirne i gesti e tutto quello che poteva trasmettermi. Per me la pizza è Napoli e mi ci sono sempre rapportato con grande devozione. Mi stimola moltissimo: il disco bianco è come una tela da dipingere con i colori ed i sapori più veri.”

Pizza di Nonna Rosa con pomodoro, fiordilatte, polpette di carne di nonna Rosa e spuma di ricotta a freddo;

Ci racconta le sue Pizza di Nonna Rosa, Ricordo di una Zuppa di pesce e la sua versione della Pastiera per la pizza dolce? “Sono la chiara reinterpretazione di alcuni dei miei piatti più conosciuti: le polpette della Nonna sono il benvenuto al cliente all’Antica Osteria da sempre. Ricordo di una zuppa di pesce è una cosa che ho sempre avuto in mente di realizzare e credo che per una pizzeria che punta in alto il nostro mare non può mancare. La Pastiera è la pastiera. L’ho elaborata in mille modi e perché no anche sulla pizza.”

La pizza dolce Pastiera, composta da focaccia con ricotta setacciata con grano cotto, arancia candita e fior d'arancio, albicocca Pellechiella del Vesuvio candita, cedro, zest di limone e polvere di foglie di limone.

Come si è mosso in relazione all’impasto? Che caratteristiche ha per poter rendere al meglio con le ricette da lei ideate? “La pizza è un alimento antico e secondo una mia personalissima opinione deve rimanere tale. Si deve lavorare molto sulla qualità delle farine, utilizzare pochissimo lievito e, sempre secondo me, su un’elevata idratazione. In questo modo, profumo e leggerezza sono garantiti: una pizza di tradizione ma moderna.”


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i Vini ros si della

Campania Vini straordinari molto amati anche dagli antichi Romani di Giampiero Rorato

La Campania è una grande terra di vini, sia bianchi che rossi

La Campania è una grande terra di vini, sia bianchi che rossi, e la storia vitivinicola della regione inizia con l’arrivo dei coloni greci nell’VIII° - VII° sec. a.C. i quali, portarono con sé piante, germogli, semi dei loro paesi d’origine per continuare a goderne i frutti e, in tal modo, arricchirono anche l’Italia centro-meridionale e le isole dove si fermarono. E fra quanto avevano portato con sé c’erano anche semi e tralci di vite, che seminarono o innestarono nelle viti sia selvatiche che coltivate trovate dove s’erano fermati.

Ci fu, attorno al 500 a.C., anche l’incontro con gli Etruschi, che risiedevano fra Lazio, Umbria e Toscana, con presenze anche in zone d’attorno ed avevano attività commerciali in quasi l’intera penisola italiana e con la Grecia. Dai vitigni cresciuti nelle colonie greche e da quelli ottenuti incrociandoli con quelli degli Etruschi si ottennero delle uve da vino che sia i Greci residenti in quella che venne chiamata la Magna Grecia, sia i Romani che gli Etruschi seppero trasformare in vini divenuti famosi. Da allora ci sono state altre trasformazioni, nel corso del tempo ci furono delle selezioni, delle ibridazioni spontanee, degli incroci realizzati da bravi vignaioli per cui il panorama viticolo della Campania – come di ogni altra regione vitivinicola italiana ed estera – s’è andato mutando, ma alcuni vitigni, quelli che davano le uve migliori, quelli che garantivano vini importanti, sono rimasti uguali, per cui anche in questa regione ci sono dei vitigni originari.


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all’impegno di alcuni “ Plaudiamo bravi vignaioli che si sono dedicati alla scoperta di antichi vitigni quasi scomparsi, per rilanciarli e mettere a disposizione di ristoranti, trattorie, pizzerie, enoteche e anche delle famiglie i vini degli antichi abitanti della Campania.

"

Fra i vitigni e, quindi, i vini più antichi – anche se i nomi sono stati dati nel corso degli ultimi secoli – ci sono il Marsigliese dei campi Flegrei, da poco rivalutato e rilanciato; il Tintore di Tramonti che concorre nella produzione del Costa d’Amalfi Tramonti Rosso Doc; lo Sciascinoso, anche questo un antico vitigno autoctono presente nei Campi Flegrei, sul Vesuvio, nella Penisola Sorrentina e sulla Costiera Amalfitana; il Piedirosso, divenuto famoso anche perché reimpiantato e coltivato nell’area archeologica di Pompei, producendo un vino che si pensa similare a quello che bevevano gli antichi abitanti di questa città, prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.; ed ancora ci sono il Casavecchia di Pontelatone, nell’alto Casertano e altri di minore diffusione.

Marsigliese Tintore di Tramonti Sciascinoso Piedirosso Casavecchia di Pontelatone

grandi Vinirossi i

Abbiamo ricordato alcune rarità e plaudiamo all’impegno di alcuni bravi vignaioli che si sono dedicati alla scoperta di antichi vitigni quasi scomparsi, per rilanciarli e mettere a disposizione di ristoranti, trattorie, pizzerie, enoteche e anche delle famiglie i vini degli antichi abitanti della Campania. Per intanto ci sono altri vini che vanno forte, alcuni dei quali presenti in importanti ristoranti di tutto il mondo. Il vino rosso più famoso della Campania è il Taurasi. Il vitigno che lo produce l’Aglianico e prende nome dal comune di Taurasi in provincia di Avellino. Al vino Aglianico di Taurasi, è stata attribuita, per primo, la denominazione di origine controllata e garantita (Docg). È un vitigno antichissimo, probabilmente originario della Grecia e introdotto in Italia dai coloni greci. Il medesimo vitigno è prodotto in altre aree e precisamente alle pendici del Monte Taburno e nel Cilento.


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L’Aglianico, pur con lievi variazioni nelle diverse zone di produzione – altra area famosissima per questo vino è il Vulture, in Basilicata – è uno dei grandi rossi italiani. Ha colore rosso porpora, odore che ricorda le more ed il ribes nero; in bocca è pieno ed equilibrato con tannini fusi e un finale lungo di caffè tostato, tabacco e spezie. Vino prezioso da abbinare a grandi piatti di carne e, se giustamente invecchiato, da bersi anche da solo, la sera, conversando tra amici, come fosse un cognac. Abbiamo prima velocemente citato il Piedirosso, vitigno antichissimo anche questo, tipico dei Campi Flegrei ed è il vino più presente nei ristoranti e nelle trattorie napoletane. Ha colore rosso rubino, con profumo intenso e floreale di violetta, con sentori speziati; sapore pieno, rustico, tannico, caldo e di lunga persistenza gusto-olfattiva.

Altro vino campano di straordinario interesse non solo enologico ma anche umano, coinvolgendo tanti piccoli produttori è il Gragnano, ottenuto per il 60% da uve Piedirosso, Sciascinoso e Aglianico per il 60%, e per il resto da una enorme varietà di uve da viti autoctone quali Spezza, Sabato, Castagnara e chissà quali altre, sconosciute, che fanno la fortuna del questo vino. Il Gragnano è stato definito un vino furente e gioioso di montagna, ma sul mare, il che implica una sinergia di forze e volontà lassù dove è difficile anche camminare, figurarsi vendemmiare e portarci un trattore. È dunque un vino che può cambiare da un produttore all’altro, ma è l’espressione forse più vera degli antichi vini ottenuti pigiando assieme uve di vitigni diversi, ottenendo profumi e sapori caldi e pieni come il sole che splende sulla Campania.

Taurasi Aglianico Piedirosso Gragnano Pallagrello nero Barbera del Sannio Tintore Monteventano Terra di lavoro Sabbie di Sopra il Bosco Falerno

Vorremmo poter continuare a raccontare gli altri vini rossi di questa bellissima regione, come il Solopaca, presente ovunque tanto che si narra a Napoli che Ferdinando II di Borbone, il re Burlone, così avesse esclamato: “A faccia do’ c……. Solopaca co’ sto’ vino è cchiù ricco ‘e Napule!” Poi un altro vino prodotto, pare, fin dall’arrivo dei coloni greci, è il Pallagrello nero; troviamo poi il Barbera del Sannio, riscoperto e rilanciato dopo l’ultima guerra mondiale; il Tintore della Costa Amalfitana; e altri tre vitigni e rispettivi vini lanciati in veste nuova negli ultimi decenni: Monteventano, Terra di lavoro, Sabbie di Sopra il Bosco. Concludo questo viaggio alla ricerca dei vini rossi della Campania con un altro gioiello storico: il Falerno, prodotto in provincia di Caserta in tre tipologie. Fra esse il Falerno rosso, forse il più importante vino dell’antica Roma, oggi è prodotto con - Aglianico: minimo 60%; - Piedirosso: massimo 40%. Possono concorrere alla produzione di detto vino uve di altri vitigni fino ad un massimo del 15% del totale. È uno splendido vino rosso rubino molto intenso, con un odore forte, vinoso, caratteristico; sapore secco, caldo, robusto. Un vino anche questo per grandi piatti di carne, perché se la Campania si sposa col mare ed ha per la cucina marinara grandissimi vini bianchi, nell’interno c’è un’altra cucina per la quale servono grandi vini rossi e la Campania li ha.



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Tra le sigle del vino: un viaggio non agevole La Classificazione dei cru in Champagne

2^parte

A

di Virgilio Pronzati

lcuni champagne (o vini francesi in generale), riportano in etichetta diciture premier cru o grand cru; in questo articolo approfondiremo il significato di questi termini rapportato agli champagne. Lo champagne è uno dei pochi casi dove il prodotto, la tipologia di vino e la denominazione geografica corrispondono perfettamente. Con il nome champagne si indicano vini frizzanti metodo classico prodotti nella regione Champagne-Ardenne, a nord est di Parigi. Si tratta di un’area molto settentrionale, a ridosso del 49° parallelo, con una temperatura media annuale

di 10°C (40°F), poco adatta alla produzione di vini fermi, ma molto indicata per la vinificazione di metodo classico per l’acidità che un clima così fresco conserva nelle uve che maturano a certe latitudini. La superficie dei vigneti è molto vasta con oltre 33000 ettari coltivati. Ci sono circa 5000 produttori con la propria etichetta e 14000 viticoltori che vendono le uve a terzi. Le macro aree di riferimento sono : Aube, Côte des Blancs, Côte de Sézanne, Montagne de Reims, e Vallée de la Marne. Ognuna con proprie caratteristiche specifiche quanto a tipo di terreno e microclima.

In un’area così vasta ci sono delle zone, dove comunque la qualità delle uve è costantemente più alta che nel resto della regione. Proprio per certificare queste differenze qualitative, nel 1919 venne creato il sistema della ‘Échelle des Crus (la scala dei cru), che determina di anno in anno il prezzo massimo di acquisto delle uve in funzione della qualità del vigneto. Contestualmente venne anche realizzata una classificazione di tutti i 319 villaggi della regione assegnando ad ognuno un punteggio in percentuale. Questa percentuale determina il prezzo di acquisto delle uve rispetto al prezzo massimo fissato nell’anno: un vigneto classificato al 100% verrà pagato il massimo, uno al 95% un po’ meno e così via. Da notare che rispetto alle altre zone vinicole francesi il cru delimita


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I formati: 15 Quart - 18,75 o 20 cl pari a una flute Demie - 37,5 cl pari a due flûtes Medium o Pinte - 50 cl Bouteille - 75 cl pari a 6-8 flûtes Magnum - 2 bottiglie (litri 1,5) Jéroboam - 4 bottiglie (litri 3,0) Réhoboam - 6 bottiglie (litri 4,5) in via di esaurimento

Mathusalem - 8 bottiglie (litri 6,0) Salmanazar - 12 bottiglie (litri 9,0) Balthazar - 16 bottiglie (litri 12)

il villaggio e non il singolo vigneto. La suddivisione originale, in larga parte uguale a quella attuale include tre livelli:

Grand Cru I villaggi con il 100% di valutazione sono definiti Grand Cru e sono 17 (Ambonnay, Avize, Ay, Beaumontsur-Vesle, Bouzy, Chouilly, Cramant, Louvois, Mailly , Le Mesnil-sur-Oger, Oger, Oiry, Puisieulx, Sillery, Tourssur-Marne, Verzenay e Verzy) per un totale di 4000 ettari. Per poter mettere in etichetta la dicitura Grand Cru uno champagne deve essere prodotto solo con uve provenienti dai vigneti interamente inclusi nell’area di questi villaggi.

Nabuchodonosor - 20 bottiglie (litri 15) Salomon - 24 bottiglie (litri 18) Souverain - 35 bottiglie (litri 26,25) Primat - 36 bottiglie (litri 27) Melchizedec o Midas - 40 bottiglie (litri 30)

Premier Cru Su un’area di 5000 ettari si estendono i 44 villaggi denominati Premier Cru, classificati tra il 90% ed il 99%, questi sono: Avenay, Bergères-lesVertus, Bezannes, Billy le Grand, Bisseuil, Chamery, Champillon, Chigny les Roses, Chouilly, Coligny, Cormontreuil, Coulommes la Montagne, Cuis, Cumières, Dizy, Ecueil, Etrechy, Grauves, Hautvillers, Jouy les Reims, Les Mesneus, Ludes, Mareuil sur Aÿ, Montbré, Mutigny, Pargny les Reims, Pierry, Rilly la Montagne, Sacy, Sermiers, Taissy, Tauxières, Tourssur-Marne (CH), Trépail, Trois Puits, Vaudemanges, Vertus, Villedommange, Villeneuve Renneville, Villers Allerand, Villers aux Noeuds, Villers Marmery, Voipreux, Vrigny.

Deuxième Cru Infine i 255 villaggi classificati tra l’80% e l’89% sono in pratica senza cru. Di questa denominazione fanno parte circa 21000 ettari fra cui anche vigneti che sono parzialmente su aree grand cru o premier cru. Per questa volta ci fermiamo qui, nel prossimo articolo parlerò delle caratteristiche delle singole aree di produzione come l’Aube e la Côte des Blancs.


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Gli spumanti si differenziano in metodo Classico (rifermentazione in Le denominazioni date alle diverse tipologie di formato, si rifanno a personaggi mitici

bottiglia) e Charmat (spumantizzato in autoclave) e in base al grado zuccherino:

e biblici.

Brut nature, Pas dosé o Dosaggio zero:

Solomon:

meno di 3 g/l (vietata l'aggiunta della liqueur d’expedition)

18 litri di capacità (equivalente a 24 bottiglie), peso 43 Kg, altezza 85 cm, diametro 23 cm.

Primat: 27 litri di capacità (equivalente a 36 bottiglie) peso 65 Kg, altezza 1 m, diametro 26 cm.

Extra brut: 0 - 6 g/l. Brut: meno di 15 g/l. Extra dry: 12 - 20 g/l. Sec, Secco o Dry: 17 - 35 g/l. Demi-sec o Abboccato: 33 - 50 g/l

Altre diciture Cruasè è una crasi formata dalle parole “cru” e “rosé Satèn” è la pronuncia francese di “satin”, che significa “raso”. Nel Franciacorta è solo di uve bianche e con meno di 5 bar.

Millesimato: ottenuto con uve dello stesso anno.

Classico: prodotto nella zona storica.

Superiore Classico: con maggiore quantità di alcol e prodotto nella zona storica

Valdobbiadene Superiore di Cartizze: la tipologia più elevata del Prosecco. Cartizze è in assoluto la località più vocata.

Vini passiti: ottenuti con appassimento delle uve su reti e graticci

Vendemmia tardiva: appassimento delle uve sulla pianta

Passito liquoroso: passito con aggiunta di alcol.



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PIZZA LA NORVEGESE

PIZZA BERGHEM MOLA MIA

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Salvatore La Porta

Danny Aiezza

Valentina (Bergamo)

Al Posto Giusto (Bergamo)

Diametro 31 (Lugano, Svizzera)

PIZZA GLUTEN-FREE AMORE MIO

Alessandro Deflorian

Pizzeria Cagliostro

Massimo Rosso

(Tesero, Trento)

Pizzeria Cagliostro (Limburg)

Pizzeria Al Canton (Padova)


PROFUMI DEL MEDITERRANEO

Andrea Serricchio

Daniel Batista

Luca Frisardi

Il Torchio (Siena)

Daniel Batista (Quarteira, Portogallo)

Tennis Bistro'(Andria)

Stefano Pregnolato

Angelo Gabriele Coco

Leandro Pinto

(Kungsangen, Svezia)

(Santa Maria di Licodia, Catania)

Pizzaria Luzzo (Viana do Castelo, Portogallo)

TERRAFERMA

Walter Gonzalo Dacovich Gusto'(Buenos Aires)

CASTRUGGIUVANNI

Francesco Lomonte

Lucio Ferlito

(Andria)

Al Vicolo Pizza e Vino (Catania)


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LIQUORI, DISTILLATI E ROSOLI DELLA CAMPANIA

di Caterina Vianello

Poche regioni vantano una grande

varietà di liquori tradizionali e tipici come la Campania: questo primato è sicuramente frutto dell’ospitalità

degli abitanti della regione, dove è

tradizione accogliere l’ospite offrendogli un distillato prodotto in casa, ma

dipende anche dal notevole numero di prodotti agroalimentari e dalle loro

caratteristiche organolettiche uniche. La maggior parte dei liquori sono

prodotti in casa, con il metodo dell’infusione a freddo (rosoli, o ratafià) e se il limoncello è certamente il più noto, altri – minori – non sono da

meno. Ecco quindi un viaggio ad alta gradazione tra i liquori campani.

LIMONCELLO Protagonista indiscusso, il limoncello, prima ancora che dal procedimento di lavorazione deve la sua bontà alla speciale varietà di frutti coltivati, di due tipologie. La costiera amalfitana è infatti il luogo d’elezione della varietà “Costa d’Amalfi”, coltivata nei ripidi giardini terrazzati. Conosciuti anche come “sfusati amalfitani”, sono limoni dalla forma affusolata, dal profumo intenso e dalla buccia spessa. La costiera sorrentina è invece nota per il limone di Sorrento, dalla forma più rotonda e dalla buccia molto profumata. Entrambe le varietà si fregiano della denominazione IGP a conferma dell’unicità delle


101 loro caratteristiche. Il processo di produzione del limoncello inizia con la selezione dei limoni, che devono essere freschissimi, giunti al giusto grado di maturazione o leggermente acerbi, in modo tale che le bucce contengano un’alta concentrazione di oli per poter quindi sprigionare il massimo livello di aromaticità. Una volta sbucciati, le bucce vengono messe in infusione nell’alcol per circa una settimana: si aggiunge quindi sciroppo di zucchero e dopo un riposo di almeno un mese in bottiglia, il risultato è un liquore dolce, dal caratteristico colore giallo, con un grado alcolico compreso tra il 20% e il 32%, che va servito freddo, meglio se in bicchieri gelati. Consumato di solito dopo i pasti, può essere utilizzato anche per bagnare o aromatizzare dolci, macedonie e gelati. Sulle origini ci sono diverse ipotesi: alcuni ritengono che sia nato da una ricetta della famiglia Canale, che poi nel 1988 ha registrato il marchio “Limoncello”. Altri sostengono che il liquore fosse usato dai pescatori e dai contadini al mattino per combattere il freddo già ai tempi dell’invasione dei saraceni; altri ancora ipotizzano che la ricetta sia nata tra le mura di un monastero.

NANASSINO Un tempo offerto dalle famiglie benestanti in occasioni particolari e durante le festività, il nanassino è una vera e propria celebrazione dei fichi d’India che crescono spontaneamente sui pendii e sui costoni rocciosi nelle zone litorali della provincia di Salerno, in particolare nella costiera Amalfitana e in Cilento. La ricetta prevede che le bucce dei fichi maturi (meglio se raccolti verso la fine di agosto) siano messe in infusione, per circa 10-15 giorni in alcool a 95°. L’infuso deve quindi riposare e viene poi filtrato e diluito con sciroppo preparato con acqua e zucchero di canna. Il risultato è un liquore di colore giallo più o meno chiaro a seconda dei frutti utilizzati, che va consumato freddo.

NOCILLO O NOCINO Preparazione legata ad una data precisa, la vigilia del giorno di San Giovanni, il 23 giugno, il nocillo o nocino ha origini antiche. Le noci, ingrediente principale, vengono raccolte quando il gheriglio, protetto dal mallo verde e dal guscio morbido, è privo di gocce d’acqua al suo interno ed è invece ricco di oli essenziali; vengono quindi lasciate macerare in alcool per 30-40 giorni in bottiglie di vetro ben chiuse ed esposte al sole, scuotendole ogni tanto. Il composto ottenuto viene quindi filtrato e diluito a freddo con uno sciroppo preparato a parte con acqua e zucchero, e aromatizzato con chiodi di garofano e cannella. Prima di essere bevuto deve riposare per almeno due mesi. Ha colore scuro, sapore amaro e gradazione alcolica intorno ai 40°. E’ originario delle aree interne della regione, in particolare Irpinia e Sannio.

LIQUORE DI MANDARINO Diffuso nella zona dei Campi Flegrei e nelle isole di Procida ed Ischia, è ottenuto dalla macerazione delle bucce di mandarino, private della parte bianca amara, cui viene aggiunto sciroppo di zucchero. Ha un bel colore gialloarancio, ed un profumo intenso.

LIQUORE LAURINO DEL CASERTANO Ottenuto da foglie e bacche di alloro, ha origini antiche. Si prepara mettendo in infusione foglie e bacche di alloro in alcool per circa 7-8 giorni, esposte alla luce. Si aggiunge quindi al composto uno sciroppo con acqua e zucchero, facendo riposare il liquido per un giorno e poi versandolo nelle bottiglie. Ha sapore è dolce e aromatico, e colore verde intenso o brillante. In estate si serve ghiacciato e allungato con acqua.

LIQUORE FINOCCHIETTO Colore giallo paglierino e alte proprietà digestive, si prepara lasciando macerare in alcool per 15-20 giorni i semi secchi di finocchietto selvatico, aggiungendo poi uno sciroppo di acqua e zucchero. Non ha bisogno di riposo, ma si può consumare subito, preferibilmente freddo.

LIQUORE DI GELSE ROSSE Prodotto sin dal 1600 nelle zone interne della regione, specie nella zona dell’avellinese, si prepara lasciando macerare in alcool a 90° per circa 15 giorni le gelse campane. Dopo la macerazione, si aggiunge una soluzione di acqua e zucchero e si filtra. Si ottiene un digestivo dal sapore dolce e deciso, dal colore rosso rubino e con una gradazione alcolica di circa 30°.

IL LIQUORE AL TARTUFO NERO Prodotto tipico dell’area dell’Alta Valle del fiume Calore, in Provincia di Avellino, si ottiene dal tartufo di Bagnoli Irpino: viene preparato lasciando macerare i tartufi neri in alcool puro a 90° per circa 1 mese e aggiungendo, in seguito, una soluzione zuccherina. Ha colore marrone chiaro e sapore molto forte ed aromatico.


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CONCERTO Il nome trae origine alla miscela (concerto) di 15 tra erbe e spezie - tra cui liquirizia, finocchietto, chiodi di garofano, noce moscata, cannella, stella alpina e mentuccia - necessarie per la sua preparazione. Sono fatte macerare per quaranta giorni in alcool, quindi filtrate. Al liquido si aggiunge uno sciroppo preparato con acqua, orzo e caffè tostati e macinati, zucchero, bucce di arancia e limone, e viene lasciato bollire finché non si addensa. La ricetta si fa ricondurre ai monaci del convento di San Francesco di Tramonti. Dopo l’imbottigliamento, deve maturare almeno due mesi prima del consumo.

LIQUORE DI AMARENA Tipico delle zone interne della regione dove era più diffusa la coltivazione delle amarene, viene prodotto in due modi: utilizzando le foglie di amarena o i noccioli. Secondo la prima versione, si lasciano macerare cento foglie di amarena in un litro di vino bianco per circa 15-20 giorni. Si aggiunge quindi alcol e sciroppo di zucchero, fino a raggiungere la gradazione alcolica di circa 30°. Se si impiegano i noccioli, devono essere ben puliti ed immersi in alcool a 90°, e fatti macerare per 15-20 giorni. Si aggiunge quindi lo sciroppo preparato a parte.

NESPOLINO Diffuso nella zona dei Campi Flegrei e nelle isole di Procida ed Ischia, si ottiene dalla macerazione dei noccioli di nespole in alcool, con aggiunta di sciroppo di zucchero. Ha colore paglierino e profumo intenso.

LIQUORE DI MIRTILLO Diffuso nella zona della comunità montana “Penisola Amalfitana”, nel Salernitano, ha colore violaceo scuro, dato dalla macerazione in alcol delle bacche per circa 20 giorni. Si aggiunge quindi uno sciroppo di acqua e zucchero, che si aggiunge a freddo alle bacche macerate e schiacciate.

BEVANDE ANALCOLICHE, DISTALLATI, LIQUORI ACETO BALSAMICO DI FICO BIANCO DEL CILENTO ( CILENTO ) CIOCCOLATO AL LIMONCELLO ( PENISOLA SORRENTINO ) CONCERTO ( COSTIERA AMALFITANA )

CREMONCELLO ( COSTIERA AMALFITANA ) FRAGOLINO

LIMONCELLO ( CAPRI , COSTIERA AMALFITANA , COSTIERA SORRENTINA E PROCIDA ) LIQUORE AL TARTUFO NERO ( BAGNOLI IRPINO ) LIQUORE DI AMARENE

LIQUORE DI GELSE ROSSE ( PROVINCIA DI AVELLINO )

LIQUORE DI MADARINO DEI CAMPI FLEGREI ( POZZUOLI , BACOLI , MONTE DI PROCI DA , ISOLE DI PROCIDA ED ISCHIA )

LIQUORE DI MIRTILLO ( COSTIERA AMALFITANA ) LIQUORE FINOCCHIETTO

LIQUORE STREGA ( BENEVENTO )

MALACA ( GUARDIA SANFRAMONDI )

NANASSINO ( PROVINCIA DI SALERNO )

NESPOLINO (POZZUOLI, BACOLI, MONTE DI PROCIDA, ISOLE DI PROCIDA ED ISCHIA) NOCILLO ( TUTTA LA CAMPANIA ) RUCOLINO ( ISOLA D ' ISCHIA )

SCIROPPO DI ARANCIA BIONDA ( AGRO NOCERINO - SARNESE ) SIDRO DI MELA ANNURCA SIDRO DI MELA LIMONCELLA

SIDRO DI PERA DEL MATESE ( PRATA SANNITA )

VINO COTTO


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Pizza e Pasta Italiana

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pizza e pasta italiana settembre

LA BIRRA

2021

I piatti della tradizione napoletana

di Alfonso Del Forno


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incontrano la Birra

N

apoli ha una cucina che affonda le sue radici nella notte dei tempi, risalenti almeno ai romani e ai greci. Basti pensare ai ritrovamenti delle città sommerse dalla lava del Vesuvio, arrivate intatte a noi, come Pompei, dove c’è testimonianza delle modalità con cui preparavano i loro piatti gli abitanti e il modo in cui veniva consumato. Altro riferimento importante sono le cene luculliane, da sempre simbolo di ricchezza e abbondanza, organizzate da un Lucullo in quella zona di Napoli oggi occupata da Castel dell’Ovo. Le tante influenze straniere hanno arricchito la cucina napoletana, accentuando la sostanziale differenza tra la cucina nobiliare e quella popolare. Della cucina partenopea si scrive da tempo immemore e qui voglio riportare solo alcune delle ricette più note, abbinandole a birre artigianali rigorosamente regionali.

Ragù alla genovese Questo ragù è un classico della cucina napoletana, dove la cipolla è l’ingrediente principale, insieme alla carne di manzo e le spezie che completano la ricetta. La lunghissima cottura trasforma le cipolle in una sorta di crema che si fonde con i pezzetti di carne, amalgamati insieme in questo condimento che avvolge le candele spezzate, formato di pasta tradizionale per questo primo piatto. Il piatto risulta avere una tendenza dolce, con le note speziate che emergono sia al naso che al palato. In abbinamento scelgo Natavota Red di Kbirr, red strong ale di alta gradazione alcolica, che richiama in etichetta l’effige di San Gennaro. Una birra morbida al naso, che ricorda i sentori di frutta secca e spezie. Al sorso risulta essere dolce e rotonda, fino a chiudere in un finale secco e piacevole.

La lasagna napoletana Tipica del carnevale e delle giornate a esso legate, è una delle varianti rosse di questo piatto unico. Per l’abbondanza degli ingredienti utilizzati, la lasagna napoletana può essere considerata un piatto che esalta l’opulenza e la grandiosità della cucina partenopea, che affonda le sue radici nei secoli, quando anche i reali del Regno delle Due Sicilie ne erano ghiotti, a partire da Re Ferdinando. La ricchezza di questo piatto parte dalle sfoglie di pasta, rigorosamente fatte a mano e condite con un ragù napoletano tradizionale, di quelli che cuociono per diverse ore insieme a diversi tagli di carne. Questo ragù da solo basterebbe per rendere “importante” la lasagna, ma le massaie partenopee amano l’abbondanza e completano la ricetta con piccole polpettine di carne, preventivamente fritte, uova sode, fiordilatte, ricotta e formaggio pecorino. In pratica una vera esplosione di gusto e grassi, che non lascia indifferenti le papille gustative. Per apprezzare al meglio questa lasagna, è necessario fare un abbinamento corretto con una birra artigianale che abbia una complessità comparabile, un buon grado alcolico e che esalti le importanti materie prime del piatto. Tra le birre che hanno queste caratteristiche, la mia preferita è la Gairloch del Birrificio dell’Aspide, una Scotch Ale complessa, capace di esprimere note che ricordano la frutta secca, insieme a leggeri sentori tostati, che ben equilibrano la tendenza dolce della lasagna. Il buon grado alcolico contribuisce a pulire la bocca dai grassi presenti negli ingredienti della lasagna, contribuendo a equilibrare la bocca dopo aver mangiare un boccone di questo piatto.


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LA BIRRA

Baccalà alla napoletana

Spaghetti alla Nerano

Ricetta tipica partenopea, questa del baccalà alla Napoletana, che si presenta con una importante struttura al palato. Il filetto di baccalà viene prima fritto e poi passato nel sugo di pomodorini di collina, olive, capperi, aglio e origano. Il gusto è intenso e persistente, con le note speziate dell’origano che si avvertono in maniera preponderante, così come al tatto sono presenti untuosità e succulenza. La birra da abbinare deve essere tendenzialmente dolce, rotonda e con una buona secchezza finale, come la Malupina del Birrificio Incanto, Belgian Pale Ale caratterizzata dalla presenza del miele di castagno del Vesuvio, che rende morbida e rotonda la bevuta. Le note maltate al naso, che ricordano la frutta secca, sono presenti anche in bocca, dove c'è un buon equilibrio con i luppoli. In alternativa è possibile abbinare la Simum di Bella ‘Mbriana, una dark strong ale strutturata, che riesce a pulire la bocca dalla frittura grazie alla secchezza e al grado alcolico, mentre sposa la cottura col pomodoro con le note maltate che la contraddistinguono.

Il nome racconta già il luogo in cui nasce questo piatto estremamente intrigante, che nel tempo ha contaminato anche altri mondi, come quello della pizza. Le zucchine sono le protagoniste assolute di questa ricetta, insieme a burro, basilico e provolone del monaco, tutti uniti nella mantecatura degli spaghetti. Al gusto si presenta come un piatto a tendenza dolce, completato dalla untuosità delle zucchine fritte, la sapidità del provolone e la grassezza data dal burro. L’abbinamento naturale è con la Syrentum del Birrificio Sorrento, prodotta a due passi da Nerano, ma soprattutto caratterizzata dalle note sensoriali del territorio, estendibili anche al piatto di spaghetti. Dal punto di vista tattile, la secchezza della birra contribuisce alla pulizia del palato.


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Illustrazioni di Antonella Manenti

LA BIRRA

Salsiccia e friarielli Questo è uno dei piatti più diffusi tra quelli che utilizzano la carne di maiale. Consumato al piatto, nei panini, sulle pizze, nelle torte rustiche o in monoporzioni finger food, la salsiccia di maiale sembra essere fatta per essere consumata con i friarielli. Entrambi i prodotti prediligono la stagione invernale per dare il meglio di sé, quando il maiale è pronto per essere macellato al meglio e il friariello che esprime l’amaro giusto proprio quando le temperature raggiungono il punto più basso della stagione. Il piatto ha delle caratteristiche ben precise: la salsiccia ha tendenza dolce (con note speziate se realizzata con il finocchietto), i friarielli esprimono un amaro importante, il peperoncino piccantezza e il metodo di cottura porta in dote un’importante untuosità. Con queste premesse l’abbinamento potrebbe essere una vera sfida, ma in realtà si trasforma in un’interessante opportunità per dimostrare come la birra possa intraprendere strade diverse regalando la stessa piacevolezza. Nell’ipotesi di bilanciare l’amaro dei friarielli e la piccantezza del peperoncino, pulendo il palato dall’untuosità, ho scelto la Tramalti del birrificio Okorei, una scotch ale che si contraddistingue per la

sua base maltata che valorizza i sentori di caramello, frutta secca e frutti rossi. Al sorso regala un piacevole ingresso dolce, bilanciato ben presto dalle note tostate, con un gradevole e morbido amaro finale. Strada diversa è quella di valorizzare l’amaro dei friarielli e la piccantezza del peperoncino, sempre pulendo la bocca dall’untuosità. In tal caso la scelta interessante può essere l’Amaranta di Birrificio Ventitrè, American IPA che si presenta al naso con grande equilibrio, da cui emergono le note agrumate dei luppoli. Il sorso è pieno, con un amaro importante e una buona secchezza finale. Sempre sulla strada della valorizzazione del friariello e della persistenza gustativa del piatto, potremmo abbinare anche la Smoky Eye, birra affumicata di Lievito e Nuvole, una birra dalla lunga persistenza gusto olfattiva che gratifica il palato con questo piatto.


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Procida

2022 —

Capitale italiana della cultura


111 Giampiero Rorato specie nelle piccole città e nei borghi antichi, nelle vallate alpine, lungo l’Appennino e nelle due isole maggiori, e così anche nelle isole più piccole dove si respira a pieni polmoni la bellezza e Procida è un gioiello fra i più affascinanti, immerso in un mare di cobalto.

La storia

P

rocida è una scoperta e per capirla va vista non solo e non tanto come isola minore italiana, densamente abitata, amata dal turismo internazionale, ma come affascinante punto di riferimento all’interno del gruppo delle isole Flegree, ciascuna con tante cose da raccontare, anche le più piccole, come Nisida, davanti a Bagnoli, o all’ancor più minuscola Vivara, abitata al tempo dei Romani e

attualmente oasi naturalistica, legata da un ponte all’isola madre. E c’è un’altra isola in questo comparto di fronte a Napoli, Ischia, più lontana e più grande, ma è Procida che attira quest’anno la nostra attenzione in vista del 2022 nel quale sarà protagonista assoluta della cultura italiana e sarà anche una straordinaria e inimmaginabile scoperta per molti turisti sia italiani che esteri. L’Italia è bellissima ovunque,

Quest’isola si sta da tempo preparando ad un anno nel quale sarà la grande protagonista della cultura italiana ed offre fin da questa estate qualcosa di molto speciale che andrà crescendo e non si esaurirà il 31 dicembre del 2022, ma resterà e il nome, la bellezza, la storia, e il fascino di Procida continueranno ad attrarre dal mondo negli anni e nei decenni futuri un turismo d’élite, come elitaria è quest’isola di 3,7 km², 370 ettari; 16 chilometri di frastagliato perimetro, a soli 3,4 chilometri dalla terraferma. Si dice che Procida sia figlia di almeno quattro diversi vulcani e che le eruzioni siano avvenute tra 55.000 e 17.000 anni fa. Oggi quei vulcani sono completamente spenti e in gran parte sommersi e l’origine del suo nome si fa risalire all’arrivo nella vicina costa dei primi coloni greci, codificato poi dalla lingua latina, ma la verità vera è che Procida è figlia degli dei dell’Olimpo e per questo raccontata fin dall’antichità da molti miti. Questa piccola isola ha poi una sua caratteristica peculiare: sorge in quegli ardenti campi “flegrei” nei quali arrivarono gli antichi Greci, spintisi a fondare Cuma (lì vicino) dalla quale nacque poi Parthenope, Napoli. Quegli antichi ardimentosi coloni greci, già nell’8°-7° secolo a.C. navigando nel Mediterraneo, furono attratti dal canto malioso delle sirene che qui vi-

vevano tra le acque rese calde dalle fiamme dei vulcani che ancora caratterizzano lembi della vicina terraferma.

Procida 2022 Questi alcuni cenni della storia e della mitologia che avvolge Procida, ma veniamo ai tempi nostri, all’evento che caratterizzerà l’isola nel prossimo anno, quando sarà visitata per tutti i 12 mesi da artisti, uomini di cultura, viaggiatori curiosi provenienti da tutto il mondo. “La cultura non isola” è, infatti, lo slogan brillante e intelligente che ha accompagnato Procida a meritare il titolo di “capitale italiana della cultura 2022”. Colori, odori, sapori, suoni, immagini della realtà e della mente: la sfida di un turismo lento, come dovrebbe essere ovunque nei tanti luoghi magici italiani, a cominciare da Venezia e ancor più qui, in questa piccola isola della Campania. Attorno a quest’isola, a volte, c’è un’aria misteriosa, forse lasciata dalle mitiche battaglie fra gli dei e i giganti che tentarono di scalare l’Olimpo, quasi odore di zolfo che ci accompagna a volte da Capo Miseno, dove già si inizia a vedere l’isola, come un sogno che si sta avverando, un invito forte e ripetuto a raggiungerla presto.

La cucina Eccoci a Procida, e si vorrebbe visitarla tutta, scoprire d’attorno le rocce tornite dalle onde, sculture cesellate nel corso dei millenni dalla natura, coi faraglioni di Ciraccio e Ciracciello e poi fermarsi nelle spiagge, sostare nelle romantiche insenature, godere i luoghi della


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tipica vacanza italiana. E poi fermarsi ad assaporare una cucina legata al mare e agli orti locali, gustare un piatto di spaghetti con le canocchie alla procidana, o spaghetti col pesto di limoni, o paccheri con le seppie, o un bel pagello fragolino, o il coniglio al pomodoro e vino bianco. Come dolci, fra i più tipici, ci sono il casatiello procidano e la lingua di Procida (o di suocera). E questi piatti vengono abbinati prevalentemente a vini campani, in particolare Falanghina e Aglianico, due grandi vini che esaltano e valorizzano i piatti procidani, mentre coi dolci ci sono in regione ottimi passiti e vin santi. E non c’è solo questo: nei ristoranti e nelle trattorie di Procida c’è dell’altro, molto altro e tutto straordinario, quando esce dalle mani dei bravi cuochi locali.

Amata dagli scrittori E al di là della bellezza e dell’attrazione anche gastronomica di questa magica isola si sa bene che Procida ha meritato di conquistare un anno da protagonista e proprio un anno dedicato alla cultura. Perché la Procida più conosciuta e ammirata – oltre alla bellezza che s’espande da ogni angolo – è quella color pastello dei borghi di Marina Grande, Chiaiolella, Terra Murata e Corricella. Celebrati e valorizzati da Alphonse de Lamartine nel romanzo Graziella, da Elsa Morante nel capolavoro L’isola di Arturo e da Massimo Troisi nel suo ultimo film Il postino.

Mi fermo qui, lasciando ai lettori la voglia di tornare a Procida chi ha avuto la fortuna di esserci già stato, e di andare chi ancora non ha trascorso almeno un giorno in quest’angolo poetico, colorato, fascinoso del nostro Bel Paese, che è stato dichiarato a pieno titolo protagonista dell’anno della cultura 2022, un anno che gli abitanti di Procida e gli ospiti dell’isola ricorderanno a lungo.



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Grani del paradiso 19 di Giampiero Rorato

Dall’Africa all’Europa grazie ai portoghesi


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L

a pianta da cui deriva questa spezia si chiama melegueta (Aframomum melegueta), ed è originaria dell’Africa occidentale, bagnata dall’Oceano atlantico, soprattutto in Ghana, Liberia, Costa d’Avorio, Togo e Nigeria, dove prospera in libertà. È una pianta tropicale erbacea e perenne della famiglia dello zenzero. Cresce da un rizoma, con fusto a forma di canna, e raggiunge l’altezza di 1-2 metri; le foglie sono strette e un po’ lunghe, come quelle del bamboo (bambù) e produce dei fiori singoli, che si aprono alla base della pianta e assomigliano a gigli rosa che poi danno luogo a delle capsule ovoidali, marrone rossicce a forma di fichi che contengono circa 300 semi rossicci, in mezzo a polpa bianca gelatinosa. Il fiore e il rizoma profumano di zenzero. Della melegueta esistono diverse specie e sono conosciute come sostituti a buon mercato del cardamomo. Fra queste i grani del paradiso rappresentano la specie più interessante e pregiata. Spesso i grani del paradiso vengono confusi con il pepe meleguetta, anche a causa del nome simile, che è appunto una varietà di pepe anch’esso dell’Africa Occidentale. La spezia ha un aroma che ricorda la foresta, con sentori di agrumi e di erbe e si possono percepire aromi di cannella, chiodi di garofano e cardamomo.

Storia Questa spezia era sconosciuta in Europa, Italia compresa, fino dal Medioevo, quando i grani del paradiso insieme alle altre spezie (cannella, chiodi di garofano, e zenzero) arrivavano in Europa da delle carovane che attraversavano il deserto del Sahara, quindi dal Marocco arrivavano in Spagna e in Portogallo, mentre da Alessandria d’Egitto arrivavano le spezie orientali acquistate dalle Repubbliche marinare (Venezia, Genova, Pisa ed Amalfi) per venire poi vendute sia in Italia che in tutta Europa. In Italia nel Medioevo questa spezia viene citata in un documento del 1214, nel quale si descrive un torneo a Treviso (storicamente conosciuto come


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Gli impieghi Dopo secoli di fortunata presenza in Europa, lentamente i grani del paradiso sono quasi scomparsi, anche se possono sostituire il pepe in molte preparazioni gastronomiche. Troviamo invece questa spezie nella miscela marocchina chiamata ras el hanout e in quella tunisina chiamata qâlat daqqa ed è spesso aggiunta al vin brulé. A conferma del suo diffuso uso in Europa nei secoli passati si tramanda che la regina d’Inghilterra Elisabetta I (1533-1603) amasse aromatizzare la birra con grani del paradiso.

“Castello d’amore”), dove gentili Dame, che difendevano una fortezza, venivano attaccate da Cavalieri con lancio di fiori e spezie, tra le quali appunto l’aframomo (altro nome dei grani del paradiso). La sua produzione divenne così rilevante nei secoli XIV e XV, che la zona d’origine prese il nome di Costa dei Grani e Costa Melegueta. Sul posto la spezia era chiamata pepe melegueta, ma i mercanti portoghesi che la acquistavano direttamente sul posto per venderla in Europa, per renderla preziosa e guadagnare di più la chiamavano sementes-do-paraiso (semi del paradiso) o anche grãos-de-paraiso (grani del paradiso). In verità, già prima del XIII secolo, quando i portoghesi ne iniziarono il commercio, il “pepe melegueta” era commerciato da mercanti berberi, arabi ed ebrei che acquistavano le spezie o direttamente nella “Costa melegueta” nell’attuale Liberia o dai carovanieri tuareg e a dorso di cammello lo portavano fin nei porti del Nord Africa.



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il Food Cost:

come rendere più moderna l’analisi di tutti i costi

TERZA PARTE

Quali e quanti sono i costi che dovremmo effettivamente considerare

di Domenico Maria Jacobone, esperto e formatore in ambito ristorazione, digitalizzazione e food delivery.

di far emergere le voci ed una proiezione dei costi da stimare ed aggregare al conto economico del singolo piatto.

food cost?

Mediamente, in un’attività ristorativa possiamo valutare le seguenti voci di spesa oltre al semplice costo/prodotto.

Non è più corretto, viste

Personale di cucina, sala, pizzeria,

le connessioni nelle quali

delivery.

viviamo, che il food cost

Ogni risorsa all’interno del locale ha il suo valore, ma anche il suo costo: un costo che spesso ha un’incidenza che facilmente supera il 37% del fatturato e che merita la giusta attenzione.

nel nostro conteggio del

si debba necessariamente fermare alla materia prima o all’inclusione del costo del personale. Se volessimo fare una considerazione più ampia, sarebbe corretto frazionare l’intera mole dei costi diretti ed indiretti del nostro business che dovranno essere coperti dal valore del piatto sul menù. Seppur vero, questo approccio richiede tempo ed abnegazione ad una mission non sempre alla portata di tutti. In quest’ultimo articolo della trilogia cercherò

Potendo, sarebbe il caso di suddividere il costo dello stipendio lordo per i piatti che stimiamo di vendere in un anno, in modo da avere una base di lavoro concreta da aggiungere al solo costo base degli ingredienti.

In strutture soggette a picchi di lavoro settimanali o stagionali, bisognerà colmare le mancanze strutturali interne ed essere pronti anche a raddoppiare tutte le risorse!


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voci di spesa Commercialista

Affitto/Mutuo

Energia, acqua ed utenze

Amico (o nemico) di tutti i produttori di reddito, anche il commercialista ha la sua rilevante fetta nel nostro conto economico: attenzione a non tirare troppo al risparmio sulle sue competenze, un buon commercialista si potrebbe definire una risorsa indispensabile per trovare tutti gli escamotage per alleggerire la posizione fiscale dell’attività!

Quando si parla di energia, nella ristorazione possiamo veramente far riferimento ad un’amplissima gamma di prodotti e di consumi: elettricità, gas, legna…

sottovalutarne il cumulo a fine

Amico (o nemico) di tutti i In molte città d’Italia, ma anche nel mondo delle grandi metropoli, nonostante la crisi derivata dalla pandemia da Covid-19 abbia calmierato un po’ i prezzi, possiamo facilmente riscontrare una gara al rialzo per garantirsi quel determinato spazio nel mondo che il nostro concept richiede. Un’attività in una grande città dovrà far fronte a grandi costi, ma con la garanzia di flussi ampi e costanti, al contrario un’attività legata molto alla stagionalità dovrà ingegnarsi a coprire con il flusso estivo o invernale le eventuali carenze in altri periodi dell’anno.

anno, meglio avere un contratto

Purtroppo, i costi fissi di struttura

con la richiesta oraria, o meglio

mensile e sempre calibrato sulle

- se sottovalutati - diventano

ancora contratti a “pacchetto”,

proprie necessità.

potenzialmente pericolosi, se

cercando di evitare quelli classici

si scelgono le location non solo

a consumo.

con il cuore, ma anche con la

Come la materia prima, soprattutto parlando di pizzeria, anche la legna scelta avrà il suo peso per tipologia e qualità. Come quelli dell’energia, anche i consumi di acqua possono essere “ridotti” e spalmati in porzioni/giornaliere secondo lo stesso calcolo delle precedenti voci: singolarmente sono tutte cifre risibili, ma messe insieme compongono un costo che vi sorprenderà!

Il costo di un buon professionista è di qualche centinaio di euro al mese, ma attenzione a non

calcolatrice ed il raziocinio. Anche in questo caso sarà utile dividere il costo mensile nelle giornate lavorate e suddividerlo ancora per i piatti prodotti o stimati.

Ovviamente parliamo di contratti, soprattutto per l’energia elettrica, che spesso e volentieri hanno consumi ben superiori a quelli di piccoli artigiani e che bisogna valutare e soppesare per avere fasce di convenienza in linea


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pizza e pasta italiana settembre

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Ammortamento delle attrezzature

Costi vari

Tasse

Nei costi vari rientrano spese fisse e variabili afferenti agli ambiti più disparati:

Su questa voce ogni commento sarebbe superfluo, ma vanno calcolate e frazionate anche loro!

tasse per insegna e pubblicità,

Questa volta l’esercizio è

occupazione suolo pubblico,

apparentemente facile, ma nel

manutenzione apparati, sicurezza

momento in cui comincerete a

(estintori, etc), assicurazioni

frazionare tutti i costi annuali in

Mediamente per le attrezzature

legate all’attività (locale e conto

quote mensili e frazionandoli

da pizzeria si riesce a spendere

terzi), materiale di consumo vario,

ancora per giorno e, a voler

meno rispetto alla ristorazione

prodotti detergenti e sanitari,

lavorare finemente, dividendo il

più classica, ma sfido chiunque

pulizie e quanti altri ne vengono

costo giornaliero sulla media del

a stare sotto i 30-35000€ per le

in mente.

valore di battuta scontrino per

sole parti di laboratorio.

Attenzione a non sottovalutare anche queste voci, ancora più piccole e difficili da controllare costantemente, ma immaginate di spendere banalmente 0,20 cent in più per rotolo di carta rispetto a quanto avete preventivato ed a fine anno avrete nuovamente “perso” una cifra equivalente ad un mezzo per le consegne a domicilio!

singolo piatto, vi accorgerete di

Grande attenzione in fase di allestimento del locale sulle attrezzature! Non sempre è conveniente acquistare, ma talvolta può essere meglio scegliere un noleggio operativo: in Italia le attrezzature si portano in ammortamento in 5 anni, al contrario di quanto succede ad esempio in Germania con solo 3 anni.

Questa cifra andrà divisa per i cinque anni, per i dodici mesi di ogni anno, per i giorni lavorati e per i singoli piatti: anche per questo esempio non faremo un costo singolo rilevante, ma sarà da aggiungere al resto del conto.

quanto sia delicato ed a volte in “punta di forchetta” l’equilibrio economico delle nostre attività. A proposito di facilitazioni, un consiglio, utilizzate Excel in modo da avere un “registro elettronico” facilmente aggiornabile e sempre disponibile.



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Stage curricolare ed extra-curricolare dell’Avv. Manuela Viscardi www.carontelaw.com

Così come Giotto nella bottega del Cimabue, ancora oggi è possibile apprendere un’arte o un mestiere grazie al contratto di stage o tirocinio.

Questa possibilità è un’esperienza professionale di orientamento al lavoro, principalmente compiuta grazie ad un periodo di formazione e pratica lavorativa che però non rientra nella disciplina del rapporto di lavoro subordinato, pur sempre con la tutela sotto il profilo infortunistico. Queste esperienze permettono sia al lavoratore di poter acquisire maggiori capacità tecnico-pratiche direttamente sul posto di lavoro, sia al datore di lavoro di poter valutare le nuove potenziali leve per implementare il proprio organico. Per questo motivo, al termine di periodo di stage/tirocinio, il lavoratore viene assunto, sebbene non esista alcun obbligo relativo all’assunzione. Questo momento all’interno dell’azienda può anche avvenire durante il periodo di studio del lavoratore.

In questo caso si parlerà di stage “curricolare”, mentre si tratta di stage extracurricolare se successivo agli studi. In particolare, l’extracurricolare può essere di due tipi: formazione e orientamento per neolaureati e neodiplomati, da svolgersi entro i 12 mesi dal conseguimento del titolo di studio, oppure di inserimento/reinserimento lavorativo se prestato oltre tale termine.


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Particolare è il fatto che l’extracurricolare possa essere utilizzato a qualunque età, in qualsiasi settore professionale, da chiunque sia inoccupato o disoccupato e che abbia regolarmente attivato una dichiarazione di immediata disponibilità, ossia la “Did”, rivolgendosi poi a un ente promotore (scuola o altri istituti) che si occupa di seguire la regolarità del rapporto e la sua instaurazione. Una differenza importante tra i due stage si ritrova nel compenso:

mentre lo stage curricolare non prevede remunerazione obbligatoria a carico dell'azienda, lo stage extra-curricolare ha un compenso fisso che varia in base alla Regione dove viene espletato. Ad esempio, in Lombardia uno stage extracurricolare full-time non può essere inferiore ad € 500,00 e detto compenso può essere liberamente aumentato dall’azienda, senza che sia previsto il versamento dei contributi previdenziali, né del Tfr.

Inoltre, la durata di un tirocinio viene stabilita a seconda della normativa regionale di riferimento, per cui il minimo è di 2 mesi, mentre il massimo può essere di 6 o 12 mesi a seconda dei casi specifici (es. 24 mesi per soggetti diversamente abili). Attenzione perché anche nello stage va predisposto un piano di obiettivi competenze da raggiungere, affinché il rapporto possa svolgersi in maniera proficua per ambo le parti e, laddove sia stato soddisfacente per entrambi, si potrà valutare una diversa tipologia di contratto per proseguire insieme.


Ogni regina ha il suo scettro. Per i nostri 60 anni, ne abbiamo disegnati due.

I nostri 60 anni sono l’occasione per celebrare, ancora una volta, sua maestà la Regina Margherita. La foratura “a spiga” rende questa pala preziosa e le dona un pregio unico fancendola risaltare in mezzo a tutte le sue sorelle. Realizzata secondo i più alti standard professionali. Dedicata a chi crede che la pizza sia un’arte. Questa è la vera eccellenza italiana. Our 60th anniversary is the occasion to celebrate, once again, her majesty Queen Pizza Margherita. The ear shaped puncture make it precious and shout out from all the other ones. Realized following the highest professional standards. For those who believe pizza is a fine art. This is real Italian excellence. Designed by: Itamar Harari.

22-26 OTTOBRE / October 2021

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HOST MILANO:

IL MONDO HORECA RIPARTE DAL 22 AL 26 OTTOBRE A MILANO

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al 22 al 26 ottobre ed in contemporanea a Tuttofood, Host Milano sarà il punto di riferimento per gli operatori del mondo Horeca: una delle più importanti fiere al mondo del settore per l’equipment si rimette in gioco con oltre 800 eventi in sicurezza, il ritorno dello Smart Label Innovation Award e la presenza di più di 1000 espositori organizzati in tre macro aree tematiche: • • •

Ristorazione Professionale, Bakery, Pizza, Pasta; Caffè, Tea, Bar, Macchine caffè, Vending, Gelato, Pasticceria; Arredo, Tecnologia, Tavola

Grande protagonista il mondo della pizza e del bakery, che ha contribuito con coraggio e tenacia alla tenuta del settore e che ha avuto modo di fronteggiare negli ultimi mesi un’evoluzione rapidissima nell’approccio al lavoro. Host offrirà al professionista delle chiavi di lettura per comprendere ad esempio i cambiamenti in atto che hanno investito il ruolo del food delivery e dell’asporto, sia nelle nuove tecnologie a disposizione per la conservazione degli alimenti (sicuri, caldi e fragranti) sia per quelle destinate alla raccolta ordini, gestione delle comande e conseguentemente delle scorte, del food cost e delle rotazioni. Dai macchinari di ultima generazione per le preparazioni in cucina ed in pizzeria ai software gestionali, dalle piattaforme digitali ai nuovi materiali intelligenti: l’innovazione rappresenta oggi per il ristoratore una via effi-

cace e talvolta obbligata per migliorare le performance, standardizzare i processi e i prodotti ed incrementare le interazioni con propri clienti nonché ottimizzare quelle con i fornitori. Uno spunto di riflessione importante proviene dall’evoluzione dei forni per cucina ed anche, ultimamente, per pizzeria: grazie al sistema Internet of Things permettono di gestire funzioni complesse coniugando l’immediatezza d’uso. Il touch screen di questi forni permette di accedere in maniera sostanziale a contenuti dedicati e migliora l’organizzazione: dalla possibilità di salvare le impostazioni adatte al proprio lavoro all’organizzare e riordinare i propri menù e le proprie cotture in cartelle personali, dal mettere in rete il forno mediante collegamento wifi con pc o tablet al far comunicare anche più forni tra loro in modalità remoto. Gli stessi vantaggi si ottengono ad esempio anche con gli strumenti per la lievitazione controllata nell’arte bianca: poter impostare il supporto tecnologico secondo i parametri più adatti ai propri impasti libera energie e lucidità per il professionista, oltre a garantirgli una resa efficace e controllata oltre che dalla qualità costante.



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VENERDI 22 OTTOBRE

DOMENICA 24 OTTOBRE

Dalle ore 12:

Pizza senza glutine cooking show: tonda, in pala, in teglia. Un’alternativa consolidata in pizzeria per non arrendersi alle intolleranze alimentari.

Ore 15.30:

La redazione di Pizza e Pasta Italiana presenta: come strutturare il laboratorio senza glutine in pizzeria: la normativa, l’organizzazione del lavoro, le attrezzature dedicate.

SABATO 23 OTTOBRE Dalle ore 12:

Ritornano le grandi fiere internazionali e ritorna Pizza e Pasta Italiana. Nell’auspicio possa rappresentare un segnale definitivo di ripartenza in sicurezza dell’intero settore saremo presenti con un fitto calendario di appuntamenti. Vi aspettiamo!

La pizza Capitale: pizza in pala, in teglia, pinsa e focacce. Dai forni di Roma alle pizzerie di tutto il mondo: quali farine, che impasti, come cuocerle? Cooking show.

Ore 15.30:

La redazione di Pizza e Pasta Italiana presenta: Industria 4.0. Le nuove frontiere della tecnologia applicate alla ristorazione.

Il programma potrebbe subire variazioni. Consulta il sito www.pizzaepastaitaliana.it alla sezione Eventi ed i nostri social per rimanere aggiornato.

PIZZA E PASTA ITALIANA _ HOST 2021 PRESENTA

SLICES – PIZZA CULTURE FOR PROFESSIONALS

Dalle ore 12:

Non solo pizza! Pane, grissini, panini, dolci: la produzione artigianale in pizzeria dei panificati per una clientela sempre più esigente. Cooking show.

Ore 15.30

La redazione di Pizza e Pasta Italiana presenta: l’organizzazione del lavoro in pizzeria. Quanti e quali impasti in base al tipo di pizzeria? Come gestirli? Che tecnologie possono venirci in aiuto? Come programmare il lavoro per un’attività efficiente?

LUNEDÌ 25 OTTOBRE Dalle ore 12:

La pizza degustazione cooking show. Farine, impasti, ricettazione, tecniche di produzione e cottura, impiattamento.

Ore 15.30:

La redazione di Pizza e Pasta Italiana presenta: Focus Delivery & Take Away. Organizzazione del lavoro, produzione, gestione degli ordini, controllo dei costi, scelta degli strumenti di conservazione e consegna.

MARTEDÌ 26 OTTOBRE Dalle ore 12:

La pizza napoletana STG. Dove tutto è cominciato. Cooking show.



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Mantenimento ad alto


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