Pizza e Pasta Italiana - Aprile 2025

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Di Marco è una gamma completa di prodotti versatili al servizio dei professionisti della ristorazione: basi precotte con un impasto spianato artigianalmente, disponibile in diversi formati e modalità di conservazione, che lasciano spazio alla creatività dei professionisti. Una scelta pratica, per risultati di successo.

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Cerutti Inox p. 105

Conserve Italia p. 41

Cuppone p. 35

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Di Marco Corrado p. 2

Dr. Zanolli p. 11

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Ferrero p. 3

Fiera Milano - Host p. 109

Fiere Di Parma - Tuttofood p. 114

Gi Metal p. 31

Hds/Robo p. 27

Kuma Forni p. 101

Lactalis - Galbani (Big Srl) p. 116

Latteria Montanari p. 49

La Torrente p. 33

Lilly Codroipo p. 115

Linea Dori p. 95

Millberg p. 97

Molino Agugiaro p. 7

Scuola Italiana Pizzaioli Srl p. 91

Molino Bruno p. 103

Molino Dalla Giovanna p. 43

Molino Magri p. 85

Molino Naldoni p. 53

Molino Pasini p. 65

Molino Scoppettuolo p. 77

Forni Valoriani p. 9

Rinaldi Superforni p. 55

Sacar p. 47

Sanfelici Franco p. 67

Sitta p. 61

Industria Alimentare Tanagrina Srl p. 79

Velma Da Confermare p. 83

— Sommario —

di Antonio Puzzi

Antonella Mignacca

di Giampiero Rorato

storie di pizza

Borboni a Pontecagnano

di Noemi Caracciolo

storie di pizza

Enzo Coccia Il Condimento

della tradizione

di Giusy Ferraina

68

storie di pizza

Raffaele Pizzoferro

Pizzaiolo per il cambiamento

di Noemi Caracciolo

la birra Tre abbinamenti perfetti per tre pizze indimenticabili

di Alfonso Del Forno

80

Olio extravergine: qualità o prezzo?

di Massimiliano Bruno Gallo 86 salute La dieta mediterranea e le malattie cardiovascolari

di Marisa Cammarano

92 salute Lunga maturazione dell’impasto = digeribilità della pizza? Facciamo chiarezza scientifica!

di Marisa Cammarano 98 prodotti

Broccoli e carciofi, i re della primavera

di Cristina Vianello 106

In ricordo di Umberto Fornito

di Marisa Cammarano

110

la recensione del mese La recensione del mese

di Noemi Caracciolo

112

un libro al mese Il cinema in cucina

a cura della redazione

le aziende informano

Lilly Codroipo p. 26

Molino dalla Giovanna p. 42

Osservatorio Host p. 108

Scuola Italiana Pizzaioli p. 89

COLOPHON

Editoriale

Scritto con Claude 3.5, intelligenza artificiale generativa di Anthropic

Aprile 2035. Parma accoglie la 43esima edizione del Campionato Mondiale della Pizza, un appuntamento che ormai rappresenta molto più di una competizione: è un osservatorio globale sull'evoluzione di uno dei piatti più amati al mondo. Quest'anno il tema centrale è "Radici e Futuro", un concetto che sintetizza perfettamente l'essenza del Mondiale. Le squadre sono chiamate a presentare pizze che mantengano intatta l'anima della tradizione ma che al contempo rappresentino le sfide del XXI secolo: sostenibilità ambientale, accessibilità nutrizionale, tecnologia alimentare. L'Italia, paladina storica della pizza, porta un progetto che racconta una storia di resilienza e innovazione. La squadra nazionale presenta una pizza realizzata con un impasto di grani antichi recuperati dalle zone colpite dai cambiamenti climatici. Le postazioni di gara sembrano laboratori di ricerca più che spazi per cucinare. Forni a energia solare, bilance che analizzano istantaneamente la composizione nutrizionale degli ingredienti, sistemi di raffreddamento a zero emissioni. Ogni dettaglio è pensato per ridurre l'impatto ambientale. Gli ingredienti raccontano una geografia nuova del gusto. Si passa da farine prodotte con coltivazioni rigenerative a verdure provenienti da vertical farm urbane, da proteine alternative ottenute mediante fermentazione a formaggi creati attraverso innovative colture cellulari. La giuria del 2035 è un organismo complesso che supera il concetto tradizionale di valutazione. Siedono insieme maestri pizzaioli con oltre 40 anni di esperienza, chef stellati Michelin, nutrizionisti esperti in alimentazione sostenibile, ingegneri alimentari e rappresentanti UNESCO per la salvaguardia dei patrimoni culinari. Un algoritmo di intelligenza artificiale supporta il giudizio umano, analizzando parametri come l'equilibrio nutrizionale, l'impronta di carbonio, il bilanciamento degli ingredienti e il profilo sensoriale e di lievitazione. Il Mondiale della Pizza 2035 è un manifesto culturale. Non si misura più solo la bravura nel preparare un disco di pasta ma la capacità di rispettare l'ambiente, innovare mantenendo le radici, nutrire in modo consapevole e raccontare storie attraverso il cibo. L'impasto della squadra italiana utilizza un lievito madre sviluppato in collaborazione con l'Università di Napoli, recuperato da un ceppo antico conservato nella biblioteca dei lieviti. I pomodori provengono da un progetto di agricoltura rigenerativa in Campania, i formaggi da un consorzio di piccoli produttori che utilizzano tecniche di allevamento a impatto zero. Il Mondiale della Pizza 2035 a Parma non è solo una gara ma una celebrazione. Celebrazione della creatività umana, del rispetto per l'ambiente e della capacità di reinventare anche il più tradizionale dei cibi. La pizza è viva e il suo futuro è più emozionante che mai.

PIZZA E PASTA ITALIANA

Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura

Edito da PIZZA NEW S.p.A.

Autorizzazione Tribunale di Venezia n.1019 del 02/04/1990

Anno XXXVI - n.4 aprile 2025 - Repertorio ROC n. 5768

DIRETTORE EDITORIALE DIRETTORE ONORARIO

Massimo Puggina Giampiero Rorato

DIRETTORE RESPONSABILE

Antonio Puzzi

PUBBLICITÀ

Caterina Orlandi

REDAZIONE

Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 - E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

PROGETTO GRAFICO

Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi — Mediagraf lab

IN COPERTINA

illustrazione di Basak Saral

STAMPA MEDIAGRAF S.p.A.

Noventa Padovana (Pd)

COMITATO TECNICO E REDAZIONALE

Marisa Cammarano, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon.

AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI

Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.).

PER INFORMAZIONI, SOTTOSCRIVERE UN ABBONAMENTO O RICHIEDERE UN ARRETRATO:

TELEFONARE AL NUMERO 0421 212348 dal lun. al ven.: 10:00 – 12:00 / 15:00 – 17:00

INVIARE UN FAX A 0421 83178

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ITALIA Pizza e Pasta Italiana; U.S.A. Pizza Today, P.M.Q.

TEL 0421.83148 — FAX 0421.81007

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Vieni a scoprire tutte le novità delle farine LE 5 STAGIONI in anteprima al Campionato Mondiale della Pizza. Parma 8–10 aprile 2025

a cura della redazione

LA PINSA ROMANA CONQUISTA L’AMERICA!

L'inventore della Pinsa Romana è sempre più internazionale! Di Marco vola oltreoceano e apre Di Marco North America Corporation, portando l’eccellenza della vera Pinsa Romana nel cuore del bakery USA.

Un’espansione strategica che cavalca il boom della pinsa, sempre più amata sia nel canale Ho.Re. Ca. che GDO, soprattutto nei mercati che cercano innovazione, leggerezza e autenticità italiana. Versatile e sorprendente, ha già conquistato il suo spazio unico nei menù, ispirando gli chef con un impasto unico, perfetto dallo street food ai piatti gourmet: una versatilità eccezionale, degna di un Campionato dedicato! Parola di Di Marco.

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EXPOFORUM

2025: CRESCITA, INNOVAZIONE E GRANDI SFIDE

Organizzata da GL events Italia al Lingotto Fiere di Torino, Horeca Expoforum 2025 ha chiuso la sua seconda edizione con 13.000 visitatori e 200 brand, tra grandi marchi e realtà emergenti, confermandosi un appuntamento di riferimento per il settore. Ricco il programma di eventi, showcooking e competizioni, tra cui le selezioni italiane del Bocuse d’Or, vinte da Matteo Terranova (La Stua de Michil, Corvara in Badia), che ora punta alla finale mondiale di Lione 2027.

«Horeca Expoforum è un luogo di incontro dove innovazione e qualità si traducono in opportunità concrete di business – dichiara Gàbor Ganczer, AD di GL events Italia –. Per la prossima edizione, dal 15 al 17 marzo 2026, vogliamo offrire un’esperienza ancora più ricca e stimolante».

Forni Valoriani, da oltre 100 anni al vostro servizio

Gli eventi del mese

Destinazione Futuro

martedì 8

aprile

ore 10:45

TUTTA L’ITALIA,

L’ITALIA,

L’ITALIA (E NON SOLO)

Masterclass inaugurale presso la “home bakery” arena

Ai fuochi e ai forni: Will Grant (USA) e Ivan Pasquariello (Francia) con gli chef Agostino Coppola e Cristiano De Luca (FIC Fancia) e con la partecipazione de “La Parmigiana”.

Introduce Johnny Parker. Saluti di Massimo Puggina. Conduce Antonio Puzzi (Pizza e Pasta Italiana) con la partecipazione di Enrico Bonardo (Scuola Italiana Pizzaioli).

ore 15:00

STORIES (E REEL)

DI TUTTI I GIORNI

Cosa convince un giornalista a far parlare di te. Tavola rotonda.

Introduce Antonio Puzzi (direttore Pizza e Pasta Italiana). Coordina Marlena Buscemi (gastronoma). Interventi di: Giusy Ferraina (giornalista e fondatrice Identity comunicazione), Carlo Fumo (autore e regista Pizza Girls, RAI), Alberto Lupini (direttore Italia a Tavola), Stefano Valva (direttore responsabile Il Novelliere), Gloriamaria Paci (giornalista e Presidente Associazione Italiana Privacy), Enrico Bonardo (direttore marketing Scuola Italiana Pizzaioli).

ore 16:30

BIRRA & PIZZA

L’abbinamento perfetto

Un viaggio nel gusto alla scoperta delle birre del Birrificio Artigianale Napoletano, raccontate da Alfonso Del Forno (Pizza e Pasta Italiana), tra i maggiori esperti italiani di birra e specializzato in abbinamenti brassicolo-gastronomici.

mercoledì 9 aprile

ore 10:30

FAI TUTTI I GIORNI

LA PIZZA MA…

…forse non sai che…

Interventi di: Marisa Cammarano (Biologa Specialista in Scienza dell’alimentazione, Perfezionamento in Nutrizione Umana, Tecnico in Analisi sensoriale degli Alimenti e Bevande), Tiziano De Filippis (direttore tecnico Scuola Italiana Pizzaioli), Luca Gaccione (coordinatore didattico Scuola Italiana Pizzaioli), Michele Croccia (master istruttore Scuola Italiana Pizzaioli). Introduce Antonio Puzzi, direttore responsabile Pizza e Pasta Italiana. Coordina Marlena Buscemi (gastronoma)

Martedì 8 aprile ore 12:30

Mercoledì 9 aprile ore 12:00

Mercoledì 9 aprile ore 16:00

Giovedì 10 aprile ore 15:00

L’ARENA

Le interviste ai protagonisti del Campionato Mondiale della Pizza.

Se vuoi fare domande o se vuoi farti intervistare, prendi appuntamento con noi direttamente al Campionato o scrivi a redazione@pizzaepastaitaliana.it

ore 14:00

SENZA GLUTINE

BUONO PER TUTTI

Alla ricerca del gluten free da condividere

Interventi di: Marisa Cammarano (Biologa Specialista in Scienza dell’alimentazione, Perfezionamento in Nutrizione Umana, Tecnico in Analisi sensoriale degli Alimenti e Bevande), Romolo Verga (Demetra), Federico De Silvestri (Giudice Campionato mondiale della Pizza), Tiziano De Filippis (Scuola Italiana Pizzaioli). Introduce e coordina Alfonso Del Forno (Pizza e Pasta Italiana)

giovedì 10

aprile

ore 10:30

IL BUON PAESE

Prodotti e territorio per una pizza di qualità

Interventi di: Francesca Baldereschi (Slow Food), Giulia Zanni (pizzaiola), Enrico Bonardo (Scuola Italiana Pizzaioli). Introduce e coordina Antonio Puzzi (Pizza e Pasta Italiana)

ore 13:00

LA PIZZERIA

VIRTUOSA

Tre casi studio… tutti da premiare

Presentazione a cura del Centro Studi Food e Sostenibilità di Sef Consulting

Tre casi studio per raccontare il futuro della ristorazione tra inclusione, filiera e sostenibilità.

Per segnalare i tuoi eventi, scrivi a redazione@pizzaepastaitaliana.it

Gesto

LA TUTELA DELL’ARTE

DEL PIZZAIUOLO NAPOLETANO, PATRIMONIO DELL’UMANITÀ.

Intervista a Leandro Ventura, Direttore dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale – Ministero della Cultura

L’arte del pizzaiuolo napoletano è patrimonio immateriale dell’umanità. Ogni patrimonio Unesco, però, è soggetto a revisione periodica: gli Stati aderenti sono infatti tenuti a presentare un monitoraggio dei siti e dei beni iscritti nella “lista”. Tale pratica consente dunque di tenere sempre alta l’attenzione sul patrimonio, che deve essere costantemente gestito con cura e valorizzato. Tra le azioni più importanti, vi è quella di continuare a tenere vivo il rapporto della comunità di appartenenza con il bene oggetto di tutela. Questo compito è svolto in Italia dal Ministero della Cultura, che, per il patrimonio immateriale, dal 2007 si avvale dell’attività dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale.

DOPO

dopo gesto GESTO

Abbiamo chiesto a Leandro Ventura, che è il direttore di questa prestigiosa istituzione, di raccontarci il particolarissimo taglio impresso al progetto di valorizzazione dell’arte del pizzaiuolo napoletano intesa come forma “quotidiana” di arte coreutica, ossia come vera e propria “danza delle mani”.

Direttore, come nasce quest’idea di documentare il patrimonio immateriale

dell’arte del pizzaiuolo napoletano?

Nasce nell’ambito di un lavoro che stiamo facendo da anni sulla documentazione e la valorizzazione del patrimonio gastronomico italiano in generale attraverso il progetto del Geoportale della Cultura Alimentare, iniziato nel 2015. Un progetto che sta andando avanti con varie modalità. All’inizio era stata ideata questa formula di narrazione audiovisiva in collaborazione con l’Università di Scienze Gastronomiche di

Pollenzo: un video di 3-4 minuti in cui un testimone “racconta” un piatto ripercorrendone la storia e illustrandone la preparazione; poi si sono aperte nuove originali prospettive video-narrative, sia in collaborazione con la Società Giochi Antichi di Verona che attraverso l’apporto dell’etnomusicologo Francesco De Melis. Insieme a lui, e in collaborazione con Vincenzo Patierno che ci ha collegati con l’Associazione dei Pizzaiuoli Napoletani (APN), è nata questa “scommessa” di “leggere” e raccontare l’arte del pizzaiuolo come una forma a tutti gli effetti di arte coreutica e musicale, pensando appunto alle intense sonorità della preparazione e alla musicalità ritmica dei gesti.

Perché “arte coreutica”?

Perché è una vera danza del corpo, e delle mani, e delle dita, la complessa gestualità dei pizzaioli, e può essere a sua volta scandita e ritmata, come noi abbiamo fatto nel caso del trailer

di presentazione del progetto, da una colonna sonora originale corroborata dai suoni reali della preparazione e da evocazioni vocali napoletane che provengono dalle registrazioni di quel paesaggio sonoro campano che va dai mercati alle pizzerie. Il De Melis ha girato lo “short” nel suo stile “danzante”, con la “camera a mano”, filmando due bravissimi ed “energetici” protagonisti di quest’arte, nella pizzeria romana di un noto pizzaiuolo napoletano amato in tutto il mondo, nei pressi del Pantheon.

Il video è già stato

presentato in più occasioni, giusto?

Sì, è stato proiettato a Torino, nell’ambito di “Terra Madre”, a settembre 2024 e successivamente a Capaccio. La cosa interessante è che sia a “Terra Madre” che a Capaccio i rappresentanti delle due

associazioni di pizzaiuoli (“Verace Pizza” e “Pizzaiuoli Napoletani”) si son dichiarati perfettamente in linea e d’accordo sulla nostra modalità di racconto della loro “arte”, che è sì originale, ma è soprattutto “narrativa” in un senso sia creativo che documentale.

Come procederà il progetto?

Noi vorremmo che questo “trailer” fosse il punto di partenza per una documentazione audiovisuale più articolata, in cui si raccontasse tutto il ventaglio delle fasi del lavoro. Stiamo cercando i sostenitori per la realizzazione definitiva del progetto e qualcuno si è già candidato. Sembra che anche la Regione Campania sia entusiasta all’idea.

C’è qualche pizzaiolo che ha detto che le riprese che avete effettuato non rispecchiano il “vero modo di fare la pizza”?

No, a dire il vero, c’è qualche pizzaiolo che ha ammesso: “io non la faccio così, però quella che mostrate è la vera arte della pizza”, quindi è davvero bello che ci si identifichi nella nostra rappresentazione di quest’arte anche da punti di vista diversi, ma anche consapevoli.

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Tutto questo confluirà poi all’interno del Geoportale oppure diventerà un progetto a sé stante?

Diciamo che in questo momento è un progetto a sé stante, però dato che il Geoportale della Cultura Alimentare è uno spazio ove viene costantemente raccontata la tradizione della gastronomia italiana da moltissimi punti di vista, è chiaro che poi andrà a finire lì, creando forse una sezione apposita, magari arricchita da interviste a qualche pizzaiolo famoso. Mi interesserebbe anche documentare qualche pizzaiolo che lavora all’estero, per poter raccontare, ad esempio, come viene “sentita” e recepita davvero la pizza a New York.

GESTO

napoletano, quindi la pizza, possa essere non solo importante da preservare ma anche da raccontare attraverso lo strumento audiovisivo?

coniugare un prodotto (che ha chiaramente un valore anche commerciale) con quelle che sono le tradizioni antiche del ter ritorio e delle comunità.

Perché l’Istituto

Centrale per il Patrimonio

Immateriale, quindi il Ministero della Cultura, ritiene oggi che l’arte del pizzaiuolo

Non solo perché è un patrimonio UNESCO, quindi un patrimonio comunque riconosciuto a livello internazionale, ma proprio perché l’arte del pizzaiuolo ha un radicamento fortissimo in un territorio, quello napoletano, e si è diffusa in tutto il resto d’Italia e nel mondo, certo con differenze, variazioni, ma l’impasto della pizza è quello.

Ci sono prodotti diversificati, sulla base di quelle che sono le tradizioni, i piatti locali, le tipicità, la sperimentazione, ma tutto questo è ancor più interessante, perché rappresenta un modo di

L’UNESCO fa una verifica periodica sui patrimoni: cosa può fare la gente comune per aiutare a preservare questo patrimonio?

Bisogna raccontarlo alla gente, perché anche l’utente finale, il “fruitore della pizza” possa sen tirsi inorgoglito di contribuire a preservare con le sue scelte ali mentari un indiscusso “patrimo nio dell’umanità”.

IL CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA UN SUCCESSO

GLOBALE

NATO IN ITALIA

di Giampiero Rorato

Ricordo con esattezza quando, all’inizio degli anni ’90, a Caorle (Venezia), seduti attorno a un tavolo, un gruppo di pizzaioli veneti, friulani e romagnoli discuteva su come valorizzare al meglio la professione. Tra le varie proposte, fu accolta quella di un amante della pizza, Enrico Famà, il quale, con molto coraggio, propose di lanciare un “Campionato Mondiale della Pizza”.

L’idea, in un primo momento, sembrò troppo ambiziosa per poter essere realizzata ma, ragionandoci, si comprese subito il suo significato e il suo valore.

Un evento del genere avrebbe riunito ogni anno in Italia il maggior numero possibile di pizzaioli, dando maggiore visibilità sia al prodotto - la pizza - sia ai suoi autori - i pizzaioli - che, all’epoca, erano considerati una categoria di operatori alimentari di seconda classe. Inoltre, il Campionato avrebbe favorito uno spirito di corporazione tra i professionisti del settore, proprio in un periodo in cui le pizzerie stavano acquisendo una grande fama, sia nel Nord Italia che all’estero.

Il confronto tra pizzaioli – e questo era il vero senso di un Campionato Mondiale – era una garanzia di miglioramento qualitativo della pizza, perché in una competizione emergono in genere le pizze migliori: meglio preparate, meglio cotte, più gustose e naturalmente anche più belle da vedere.

Quando il Campionato prese vita a Meldola, in Romagna, si capì immediatamente che le gare tra pizzaioli rappresentavano un’attrazione imperdibile per molti. I vincitori potevano esporre nei propri locali grandi foto con i premi ricevuti e articoli di giornale, ottenendo così un importante ritorno d’immagine e un conseguente aumento della clientela. Già a Via-

reggio, con la presenza in giuria di ospiti internazionali, si percepì che l’interesse per questo evento andava oltre i confini nazionali, anche grazie alle prime, timide partecipazioni di pizzaioli di origine mediterranea.

l’evoluzione della pizza attraverso il campionato

Anno dopo anno, il Campionato Mondiale della Pizza ha raggiunto il suo massimo splendore, attirando un interesse sempre crescente da parte delle aziende collegate al settore: mugnai, produttori di forni, ingredienti per la farcitura, birrifici, fornitori di bevande e di pellet per forni a legna. Il fatto che il successo sia esploso tra Salsomaggiore e Parma – città che oggi ospita l’evento – è dimostrato dalla partecipazione di numerosi gruppi internazionali, dagli USA al Giappone.

Molti si sono chiesti: “Perché questo interesse internazionale?”. La risposta è nei fatti: ogni anno partecipano alle competizioni centinaia di pizzaioli provenienti da diverse scuole e Paesi, portando con sé differenti modi di preparare la

pizza, dagli impasti alle farciture, spesso espressione delle tradizioni culinarie del proprio territorio.

Uno degli aspetti più innovativi emersi nel corso degli anni riguarda la maturazione dell’impasto, oltre alle tecniche per mantenere l’elasticità della pasta senza comprometterne la struttura, come si può osservare nella spettacolare gara della “pizza più larga”. Senza entrare nel merito delle singole competizioni, resta un dato di fatto: il campionato mondiale della pizza è un vero e proprio laboratorio di innovazione, dove emergono tecniche e idee capaci di migliorare costantemente il prodotto. Se oggi la pizza è entrata a testa alta anche nella ristorazione più raffinata, è perché, pur essendo un piatto all’apparenza semplice, è in realtà il frutto di ricerca, sperimentazione e degustazioni, proprio come accade per i piatti d’autore dei grandi chef.

un evento che unisce

Infine, c’è un altro aspetto che rende questo evento ancora più speciale: la socialità. È straordinario vedere, durante le giornate del Campionato Mondiale, pizzaioli provenienti da ogni parte del mondo, orgogliosi della propria divisa e della bandiera nazionale ben in vista sulla giacca, discutere con colleghi di esperienze, idee e tecniche, magari con una birra in mano.

Durante questi incontri sono nate amicizie, collaborazioni e scambi culturali, che hanno permesso di costruire ponti tra Paesi diversi. Il Campionato Mondiale della Pizza non è solo una competizione:

è un simbolo di pace, amicizia e condivisione, valori di cui il mondo ha oggi più che mai bisogno.

Come è cambiata la storia del Senza Glutine

Speciale Campionato del Mondo

IL CAMPIONATO

MONDIALE DELLA PIZZA,

CHE SI TIENE OGNI

ANNO A PARMA, È UNA

DELLE COMPETIZIONI

PIÙ IMPORTANTI E

SEGUITE NEL SETTORE

DELLA RISTORAZIONE.

Tra le varie categorie, quella della “Pizza senza glutine” ha assunto negli ultimi anni un ruolo sempre più rilevante, grazie alla crescente domanda di prodotti di qualità per chi deve seguire un’alimentazione priva di glutine. L’edizione del 2024 ha visto trionfare il pizzaiolo Daniele Conte, che con la sua maestria e innovazione ha portato la pizza senza glutine a un livello superiore. Ma cosa cambia grazie a queste vittorie? Quali innovazioni portano nel settore e come influenzano la percezione della pizza senza glutine?

L’ascesa della pizza senza glutine

DA NECESSITÀ A ECCELLENZA GASTRONOMICA

Fino a pochi anni fa, la pizza senza glutine era spesso vista come un compromesso necessario per chi soffriva di celiachia o sensibilità al glutine. Le opzioni disponibili sul mercato erano limitate e spesso poco appetibili, caratterizzate da impasti fragili, asciutti e privi della tradizionale morbidezza ed elasticità della pizza classica. Tuttavia, con il crescere della domanda e l’evoluzione delle tecniche di panificazione, la pizza senza glutine ha subito una trasformazione radicale.

Le vittorie, come quella di Daniele Conte, al Campionato Mondiale della Pizza rappresentano una svolta significativa. Anni di ricerca e sperimentazione dimostrano che la pizza senza glutine può essere non solo sicura per chi ne ha bisogno, ma anche straordinariamente gustosa e strutturata al punto da competere con le migliori pizze tradizionali. Questo ha portato a una maggiore attenzione da parte dei ristoratori e del pubblico, dimostrando che la qualità non deve essere un’opzione, ma uno standard per tutti.

Innovazioni e tecniche all’avanguardia

LA SCIENZA DELL’IMPASTO

Uno degli aspetti più rilevanti del successo dei campioni del mondo della pizza senza glutine è l’innovazione nelle tecniche di impasto. La sfida principale di chi lavora con farine senza glutine è la mancanza della struttura fornita dal glutine, che nei tradizionali impasti permette di ottenere elasticità e tenuta. Per superare questo ostacolo, i migliori pizzaioli hanno iniziato a sperimentare con miscele di farine alternative, come riso, mais, grano saraceno, teff e quinoa, bilanciando ogni ingrediente per ottenere il massimo delle prestazioni.

In molte realtà, oggi esistono forni separati, piani di lavoro esclusivi e procedure rigorose per garantire la sicurezza dei clienti celiaci. Questo non solo ha migliorato la qualità dell’offerta, ma ha anche incrementato la fiducia da parte del pubblico. La pizza senza glutine non è più percepita come una “versione inferiore” della pizza classica, ma come una scelta di pari dignità, capace di soddisfare anche i palati più esigenti.

A questa sperimentazione si è aggiunto l’uso di tecniche avanzate, come la fermentazione prolungata, che migliora la digeribilità e il sapore dell’impasto, e l’impiego di agenti strutturanti naturali come la psyllium, lo xantano e la gomma di guar. Il risultato è una pizza senza glutine che, per consistenza e sapore, non ha nulla da invidiare a quella tradizionale.

Impatto sulla ristorazione

NUOVE OPPORTUNITÀ PER PIZZERIE E RISTORANTI

Sempre più pizzerie e ristoranti hanno compreso l’importanza di offrire opzioni senza glutine non solo come alternativa per i clienti celiaci, ma come parte integrante della loro proposta gastronomica. Questo ha portato a un aumento degli investimenti nella formazione del personale e nell’acquisto di attrezzature dedicate per evitare la contaminazione crociata.

UN FUTURO RADIOSO PER LA PIZZA SENZA GLUTINE

Il cambiamento è già in atto: le pizzerie stanno ampliando la loro offerta, i ristoratori stanno migliorando le loro competenze e i consumatori stanno diventando sempre più consapevoli della qualità disponibile. Se la tendenza continuerà in questa direzione, la pizza senza glutine diventerà sempre più una scelta gastronomica di eccellenza, capace di soddisfare tutti, indipendentemente dalle esigenze alimentari. E tutto questo, in parte, lo dobbiamo proprio ai campioni che hanno reso possibile questa rivoluzione.

Sensibilizzazione e consapevolezza

UN CAMBIAMENTO CULTURALE

La visibilità ottenuta dai campioni della pizza senza glutine ha anche avuto un impatto culturale significativo. Il loro successo ha contribuito a sfatare i pregiudizi secondo cui il senza glutine è sinonimo di “meno gusto” o “meno qualità”. Anzi, sempre più persone si avvicinano alla pizza senza glutine non per necessità, ma per pura curiosità, attratte dalla qualità del prodotto e dalla sua maggiore digeribilità.

Questa crescente consapevolezza ha portato anche i produttori di farine e ingredienti a migliorare le proprie proposte, sviluppando miscele sempre più performanti e naturali. Il risultato è un circolo virtuoso in cui l’innovazione nel settore della pizza senza glutine continua a evolversi, offrendo prodotti sempre più all’altezza delle aspettative.

L’evoluzione dell’arte del pizzaiolo con Lilly Codroipo

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Dal 1982, Lilly Codroipo è sinonimo di qualità e innovazione negli utensili professionali per pizzerie. Fondata da Renato Margarit a Codroipo (Friuli Venezia Giulia), l’azienda ha rivoluzionato il settore con pale e accessori pensati per migliorare efficienza, sicurezza e durata.

Oggi, guidata da Elena, Erica e Matteo, Lilly Codroipo continua a innovare, unendo tradizione artigianale e ricerca tecnologica. Le pale non sono semplici strumenti, ma estensioni delle mani del pizzaiolo: progettate per ridurre lo stress fisico e migliorare la performance.

Tra le ultime novità spicca la pala ergonomica Arena, con una curvatura brevettata che abbassa la presa di 5-15 cm, riducendo lo sforzo sulla spalla e migliorando la postura. Leggera, resistente e progettata per garantire precisione nei movimenti, Arena è il perfetto equilibrio tra agilità e robustezza.

Scegliere strumenti Lilly Codroipo significa investire nel vero Made in Italy, dove tradizione e innovazione si incontrano per valorizzare ogni gesto.

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Da oltre 80 anni il tuo talento in cucina

Robo è l’alleato prezioso e affidabile per i professionisti della ristorazione e, con oltre 600 prodotti, è distribuito su tutto il territorio nazionale e in 80 Paesi esteri. La mission di Robo è scoprire, selezionare e conservare i migliori ingredienti al mondo: materie prime eccellenti, ricerca continua di proposte innovative, disponibilità di prodotti in ogni stagione, assistenza e formazione continua al cliente. Una storia di qualità e tradizione che dura da oltre 80 anni e che oggi conferisce al brand l’attestato di Marchio Storico.

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UN GAS DALL'OLIO? OGGI SI

PUÒ

di Domenico Maria Jacobone

La Rinascita Verde degli Scarti

dell’Olivo: Un’Antica

Tradizione Incontra l’Innovazione

I momenti che scandiscono il rituale dell’olivicoltura pugliese portano con sé echi di un passato remoto, avvolti in una dimensione quasi liturgica che trascende il semplice atto agricolo. Percorrendo la strada che, come un nastro, collega Andria a Barletta, il viaggiatore viene accolto da un paesaggio dipinto dalle forze della natura: una distesa ondulata di ulivi secolari che declina dolcemente verso l’orizzonte, dove terra e mare si fondono in un abbraccio primordiale.

Questi patriarchi vegetali, con i loro tronchi nodosi plasmati da secoli di venti adriatici, si ergono come custodi di una memoria collettiva che affonda le radici nel tempo. Le loro forme contorte raccontano storie di generazioni di agricoltori che hanno trovato in queste piante non solo nutrimento ma un vero e proprio fulcro attorno al quale intere comunità hanno costruito la propria identità culturale. Nei mesi che preludono all’autunno, il paesaggio si trasforma in una sinfonia cromatica dove il verde argenteo del fogliame gioca con la luce del sole creando riflessi cangianti che

mutano col passare delle ore. È un quadro vivente che muta con le stagioni: dalla fioritura primaverile, quasi impercettibile nella sua delicatezza, alla maturazione dei frutti che, con l’avanzare dell’estate, tingono le chiome di sfumature che vanno dal verde profondo al nero bluastro, testimonianza visiva di quel processo alchemico che trasformerà le drupe in oro liquido.

In questo teatro naturale, dove ogni elemento sembra disposto secondo un disegno ancestrale, un’azienda italiana ha compiuto ciò che appare come un atto di profonda riconciliazione con la saggezza antica: ha trasformato la sansa – quel residuo pastoso che rimane dopo l’estrazione dell’olio, considerato per secoli un semplice scarto – in una preziosa fonte di energia rinnovabile. Un gesto che non rappresenta solo un’innovazione tecnologica ma un ritorno consapevole a quella filosofia del “non spreco” che ha sempre caratterizzato la civiltà contadina mediterranea.

Nella terra di Federico II, dove l’olivo è più di una coltura – è cultura – questo nuovo capitolo della millenaria storia dell’olivicoltura pugliese riconnette passato e futuro in un dialogo fecondo. I frantoi, luoghi di aggregazione e socialità durante il periodo della spremitura, luoghi dove il tempo sembrava sospeso tra vapori odorosi e il rumore ritmico delle macine, diventano oggi laboratori di sostenibilità, incarnando quella capacità tutta mediterranea di rinnovarsi rimanendo fedeli alle proprie radici.

Così, mentre le ombre degli ulivi si allungano sul terreno rossastro della Murgia, segnando il passaggio del tempo con la stessa cadenza immutabile di secoli fa, BTS Biogas, pioniere nel campo della digestione anaerobica, ha recentemente depositato una domanda di brevetto internazionale presso l’Ufficio Europeo dei Brevetti per un sistema rivoluzionario che permette qualcosa fino a oggi ritenuto impossibile: ottenere biogas utilizzando esclusivamente la sansa di olive, quel residuo pastoso che permane dopo l’estrazione dell’oro verde.

Dalla tradizione nel riciclo della sansa una nuova circolarità energetica

“La valorizzazione della sansa rappresenta il compimento di un antico adagio della cultura contadina mediterranea: ‘Dell’oliva non si butta via niente’,” spiega Sergio Peverini, storico dell’agricoltura mediterranea. “Già nell’antichità, la sansa veniva utilizzata come combustibile nei bracieri domestici o come nutrimento per il terreno. Oggi, grazie alla tecnologia, questo principio ancestrale di economia circolare trova una nuova, sorprendente applicazione”.

Questa innovazione, battezzata con il nome evocativo di PhenolTech, nasce dall’incontro tra la sapienza scientifica contemporanea e un’esigenza antica quanto la pratica stessa della spremitura delle olive. La sansa, che in Italia genera circa 700.000 tonnellate di materiale organico annualmente, ha sempre rappresentato una problematica per i frantoi, un residuo da smaltire, talvolta con difficoltà. Oggi, grazie a questa tecnologia, quello stesso materiale diventa protagonista di un ciclo virtuoso, incarnando perfettamente i principi dell’economia circolare tanto cara alla tradizione contadina italiana, dove nulla veniva mai sprecato.

Come ha sottolineato Maria Luisa Ambrosino, direttrice dell’Osservatorio sulle Filiere Agroalimentari Sostenibili: “La sansa di olive contiene ancora circa l’8% di olio e numerosi composti bioattivi che è un peccato sprecare. La sua valorizzazione energetica rappresenta non solo un vantaggio economico per i produttori, ma un imperativo etico per un settore che vuole dirsi realmente sostenibile.”

Un laboratorio di sostenibilità in terra pugliese

Il cuore pulsante di questa rivoluzione si trova ad Andria, terra di ulivi secolari e tradizioni olearie profondamente radicate. Qui, il Gruppo Agresti, custode di un’eredità frantoiana che si tramanda da tre generazioni, ha abbracciato la sfida di valorizzare in chiave sostenibile la propria sansa, dando vita al primo impianto in Europa alimentato al 100% con questo materiale organico.

“Quando abbiamo iniziato questo percorso, molti esperti del settore ci guardavano con scetticismo”, racconta Giovanni Agresti, titolare del frantoio. “La sansa è sempre stata considerata un materiale difficile da trattare, per via della sua acidità e della presenza di polifenoli che inibiscono i processi fermentativi. Per noi, però, rappresentava una risorsa troppo preziosa per essere semplicemente smaltita. Ogni anno produciamo circa 18.000 tonnellate di sansa, un tesoro che attendeva solo di essere valorizzato nel modo giusto.”

La magia di questa trasformazione risiede nella capacità di domare i polifenoli, quelle stesse sostanze che conferiscono all’olio d’oliva le sue proprietà benefiche ma che, nella sansa non trattata, ostacolerebbero il processo di digestione anaerobica. Come un sapiente alchimista, il sistema PhenolTech insuffla aria dal basso di una pre-vasca, ossidando queste molecole e trasformando un ostacolo in opportunità.

Federica Moretti, biologa responsabile del METANlab di BTS Biogas, descrive il processo con entusiasmo: “Ciò che rende unico il nostro sistema è la capacità di trasformare i polifenoli da nemici ad alleati. Attraverso un processo di ossidazione controllata, modifichiamo la struttura di queste molecole, rendendole non solo innocue per i batteri responsabili della digestione anaerobica, ma addirittura utili per accelerare la produzione di metano. È come trasformare un veleno in medicina.”

Un ciclo virtuoso che nutre la terra

Il risultato di questa sapiente manipolazione è sorprendente: l’impianto pugliese genera in media 4.284.000 kWh elettrici l’anno, funzionando per circa 8.580 ore. Ma la bellezza di questo processo circolare non si esaurisce nella produzione energetica. Il digestato

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risultante viene reimpiegato come prezioso fertilizzante organico nei terreni di coltivazione dell’olivo e in un bio-orto, chiudendo un cerchio perfetto che riconnette l’uomo alla terra in un dialogo rispettoso e fecondo.

“Il digestato derivante dalla sansa è un fertilizzante straordinario”, afferma Paolo Battistel, agronomo specializzato in olivicoltura biologica. “Ricco di sostanza organica stabilizzata e nutrienti prontamente disponibili, restituisce al terreno esattamente ciò che l’olivo ha sottratto per produrre i suoi frutti. Gli olivi concimati con questo

digestato mostrano una maggiore resistenza agli stress idrici e una produzione più regolare nel tempo. È la perfetta espressione di ciò che in agronomia chiamiamo “economia circolare della fertilità”. I benefici di questo approccio sono tangibili anche dal punto di vista economico. “Dall’introduzione del digestato nei nostri oliveti, abbiamo praticamente azzerato i costi di concimazione”, conferma Agresti. “Ma il vantaggio maggiore è nell’incremento qualitativo: gli oli provenienti da questi terreni mostrano un profilo organolettico più ricco e complesso, con note aromatiche più persistenti”.

Prospettive future e applicazioni innovative

Come sottolinea Franco Lusuriello, CEO di BTS Biogas, questa innovazione risponde a due esigenze fondamentali del settore agroalimentare italiano: contribuire alla decarbonizzazione attraverso la produzione di energia sostenibile e valorizzare sottoprodotti che altrimenti sarebbero considerati scarti.

“Vogliamo rivoluzionare il concetto stesso di scarto nell’industria agroalimentare”, dichiara Lusuriello. “La tecnologia PhenolTech dimostra che, con l’approccio giusto, ciò che oggi consideriamo un problema può diventare una risorsa preziosa. La sansa è solo l’inizio: stiamo già sperimentando applicazioni su altri sottoprodotti ‘difficili’ come i residui della produzione vinicola e casearia”.

il buon pomodoro italiano

“Gli tisti della pizza”.

Ogni mese, ci lasciamo sorprendere da dodici straordinarie creazioni dei nostri 'Artisti della Pizza'. Per aprile, vi presentiamo la magnifica 'Margherita 2.0', ideata dal talentuoso pizzaiolo Tommaso Lastra. Un perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione, dove i sapori autentici incontrano un tocco di raffinatezza pensata per chi ama sperimentare nuove sfumature di gusto. Questa reinterpretazione della classica Margherita conquisterà te e i tuoi commensali con la sua semplicità e bontà senza tempo.

Laura Castellucci, responsabile del settore Bioeconomia di Legambiente, vede in questa innovazione un modello da replicare: “Il caso della sansa dimostra come la transizione ecologica possa rappresentare un’opportunità di sviluppo per le aree rurali. Trasformare un problema di smaltimento in una fonte di energia rinnovabile e fertilità significa creare valore economico, ambientale e sociale.

È questo il modello di sviluppo che dovremmo perseguire per il futuro delle nostre campagne”. Attualmente, il sistema viene utilizzato unicamente nell’impianto di Andria ma le potenzialità di applicazione sono vastissime, estendendosi potenzialmente a qualsiasi sottoprodotto con sostanze che potrebbero inibire il processo di digestione.

Secondo Antonio Felice, analista del mercato delle energie rinnovabili: “Se questa tecnologia venisse applicata a tutte le sanse prodotte in Italia, potremmo generare circa 490 GWh di energia elettrica all’anno, sufficienti a soddisfare il fabbisogno di circa 180.000 famiglie. Considerando che l’Italia è solo il secondo produttore mondiale di olio d’oliva, dopo la Spagna, il potenziale globale è ancora più impressionante”.

L’essenza della cultura mediterranea

In questo processo innovativo ritroviamo l’essenza stessa della cultura mediterranea: l’abilità di trasformare la scarsità in abbondanza, lo scarto in risorsa, in un ciclo perpetuo che intreccia passato e futuro, tradizione e innovazione.

Il professor Emanuele Fontana, antropologo delle culture mediterranee, offre una riflessione illuminante: “Nell’olivo e nel suo ciclo produttivo si rispecchia l’anima stessa delle popolazioni mediterranee. La capacità di valorizzare ogni componente di questa pianta sacra – dal frutto al legno, dalle foglie fino agli scarti di lavorazione – racconta di una saggezza ancestrale che ha permesso a queste culture di prosperare in ambienti spesso difficili. Oggi, tecnologie come PhenolTech non fanno che recuperare, in chiave contemporanea, questa antica sapienza”. Un racconto che ci ricorda come, nelle nostre radici agricole, si celino spesso le soluzioni più eleganti alle sfide contemporanee. Come ha suggestivamente scritto il poeta andaluso Antonio Machado, grande cantore dell’olivo:

“Gli olivi carichi di saggezza piantati dai nostri antenati continuano a insegnarci l’arte di trasformare la luce in vita, la pietra in pane, lo scarto in nutrimento.

In questo ciclo eterno risiede il segreto della nostra civiltà”.

Il primo forno elettrico a platea rotante

Il più versatile forno elettrico touch screen sovrapponibile

DISE GNA RE

LA RISTO RAZIONE

Dalla cucina alla sala, passando per la pizzeria

La ristorazione vive un periodo di grande trasformazione, con un elevato tasso di apertura e chiusura dei locali. Ferran Adrià ha sollevato questo tema sul palco di “Identità Golose” qualche settimana fa. Secondo lo chef catalano, il settore è privo di una visione economica solida e questo porta a una gestione inefficace e a un alto tasso di fallimento. Molti imprenditori si concentrano sull’idea di essere innovatori ma, senza una strategia concreta e strumenti di misurazione adeguati, il rischio di insuccesso è elevato.

Nel mondo della ristorazione, il desiderio di sentirsi “inventori” spesso supera la reale capacità di implementare l’innovazione stessa in modo efficace. Sentirsi inventori può essere stimolante, ma la vera sfida rimane fare le cose fatte bene. Per trovare un equilibrio tra visione, gestione e qualità del servizio, la chiave sta nel comprendere il mercato, ottimizzare i processi e creare esperienze memorabili per i clienti.

di Antonella Mignacca fondatrice dello studio di consulenza gastronomica Into The Food.

Per contatti: antonella@intothefood.eu

Nello studio che ho fondato ci occupiamo di “food design”, seguiamo aziende del mondo food, appunto, che vogliono farsi accompagnare nel loro progetto di impresa. Da qualche anno, il primo passo con il cliente è lavorare con workshop partecipati per far emergere più chiaramente bisogni, obiettivi, necessità. Quello che spesso emerge è che anche quando le imprese sono pronte al cambiamento, spesso mancano di una chiara consapevolezza sugli obiettivi aziendali. Molti ristoratori non dispongono degli strumenti necessari per misurare le proprie performance e valutare l’efficacia delle loro strategie.

Il Food Design è una disciplina che unisce progettazione e alimentazione per migliorare l’esperienza del cibo in tutte le sue forme. Non si tratta solo di estetica ma di funzionalità, sostenibilità ed emozioni. Il cibo diventa un oggetto di design, influenzando la presentazione, il consumo e l’interazione con il cliente. Dalla creazione di nuovi piatti alla progettazione degli spazi e dei servizi, il Food Design è uno strumento utile alla ristorazione contemporanea perché offre soluzioni concrete, aiutando a definire un’identità chiara, a migliorare l’esperienza dell’utente e a ottimizzare prodotti e operazioni interne.

SALA: L’ESPERIENZA DELL’UTENTE E LE NECESSITÀ DELLA RISTORAZIONE

L’esperienza del cliente in sala è tanto importante quanto la qualità del cibo. Negli ultimi anni, si è discusso molto sull’ottimizzazione della gestione dei tavoli, con alcune realtà che impongono tempi limite per la permanenza. Tuttavia, il vero problema non è la durata del pasto, ma rendere il tempo trascorso al ristorante un’esperienza appagante.

L’impatto della pandemia ha trasformato radicalmente le abitudini di consumo: se da un lato si è diffuso il food delivery, dall’altro si è rafforzata la necessità di vivere il ristorante come un momento di esperienza, di soddisfazione personale e di benessere. Mangiare fuori casa non è più solo una questione di necessità o comodità ma diventa un’occasione per nutrire la mente e il corpo, per staccare dalla routine

e concedersi un piacere che va oltre il semplice consumo del cibo. Inoltre, il ristorante risponde a un’esigenza sociale sempre più forte. Le abitazioni moderne, soprattutto nelle grandi città, sono spesso più piccole e meno adatte ad accogliere amici e parenti. Molti giovani, inoltre, vivono in spazi condivisi o non hanno una casa propria, rendendo il ristorante il luogo ideale per incontrarsi, condividere momenti speciali e godersi uno spazio che a casa non si ha.

La ristorazione deve quindi ripensare il ruolo della sala, creando ambienti che favoriscano la convivialità, senza sacrificare efficienza e qualità del servizio.

RIPENSARE LA PIZZA: INNOVAZIONE, ESPERIENZA E NUOVI FORMAT DI CONSUMO

La pizza è un prodotto con un enorme potenziale di innovazione. Lo storytelling di una pizzeria non dovrebbe limitarsi alla qualità degli ingredienti o alle tecniche di impasto ma dovrebbe costruire una narrazione più ampia. Il Food Design applicato alla pizza significa ripensare la presentazione, la fruizione e la comunicazione del prodotto. La mise en place gioca un ruolo chiave: servire una pizza su supporti innovativi o proporre esperienze di degustazione diversificate può cambiare completamente la percezione del cliente. Con il calo dei consumi da parte dei giovani sotto i venticinque anni, le pizzerie sono un modello che più può rispondere ai cambiamenti e che potrebbe, per loro potenziale, sviluppare format nuovi e innovazioni di prodotto.

L’idea è sperimentare nuove modalità di consumo, uscendo dai classici schemi del ristorante tradizionale. La pizza, nata come cibo di strada, può essere reinterpretata in contesti più dinamici e moderni, offrendo esperienze sensoriali diverse e sorprendenti.

IL DIGITALE IN CUCINA: EFFICIENZA, SOSTENIBILITÀ E PERSONALIZZAZIONE

Il digitale può rivoluzionare la cucina, non solo come strumento di marketing ma come parte integrante di un ecosistema di strumenti interconnessi. Il sito internet, i software gestionali, le piattaforme di prenotazione e i social media non devono essere elementi isolati ma componenti di un sistema digitale integrato che ottimizza la produzione, riduce gli sprechi e migliora l’interazione con il cliente.

Dal punto di vista della sostenibilità, la digitalizzazione consente di monitorare il consumo degli ingredienti, ottimizzare gli acquisti e ridurre gli sprechi, favorendo una gestione più responsabile delle risorse.

L’analisi dei dati provenienti dai gestionali di cucina e dalle prenotazioni aiuta a prevedere la domanda con maggiore precisione, adattando la produzione e riducendo gli eccessi, con un impatto positivo sia sull’ambiente che sulla redditività.

Sul piano dell’efficienza, un sistema digitale ben organizzato semplifica la gestione operativa.

Software integrati tra cucina, sala e fornitori permettono di automatizzare ordini, gestire stock e aggiornare menu in tempo reale, garantendo un flusso di lavoro più fluido e una riduzione dei costi operativi.

L’integrazione tra i diversi strumenti digitali facilita inoltre il controllo del food cost, migliorando la gestione economica dell’intero processo produttivo.

Per quanto riguarda l’esperienza del cliente, il digitale offre nuove possibilità di personalizzazione e interazione. Un sito web evoluto potrebbe consentire ai clienti di personalizzare i propri piatti oppure prenotare esperienze gastronomiche esclusive, per finalità di marketing o per ottimizzare acquisti e sprechi. I social media e le app possono diventare strumenti di dialogo diretto con il pubblico, raccogliendo feedback in tempo reale e creando un senso di comunità attorno alla cucina del ristorante.

L’integrazione tra tecnologia e cucina non è solo un'opzione, ma una necessità per una ristorazione moderna, capace di migliorare la sostenibilità operativa, l’efficienza gestionale e il coinvolgimento del cliente, adattandosi in modo dinamico ai cambiamenti del mercato.

LE AZIENDE INFORMANO

Uniqua Viola, la Purple Edition da grano naturalmente pigmentato

Molino Dallagiovanna celebra i 10 anni della linea Uniqua con la Purple Edition, la nuova farina integrale di grano tenero con germe di grano, ottenuta dalla macinazione di grani naturalmente pigmentati e lavati. Ricca di fibre e antiossidanti, è di media forza, ideale per pani rustici, focacce, pizze a media lievitazione, frolle, cakes e croissant dal gusto connotato e deciso e dal colore purpureo e violaceo. Disponibile in sacchi da 10 kg, pratici e facili da gestire e stoccare.

MOLINO DALLAGIOVANNA

G.R.V SRL

Località Pilastro 2

Gragnano Trebbiense (PC) Ecommerce: www.shopdallagiovanna.it

Uniqua Viola fa parte della linea Uniqua: 8 farine multiuso pensate per rispondere al desiderio di gusto e benessere del consumatore, da utilizzare singolarmente o da miscelare fra loro creando nuove ricette e nuovi colori del gusto. Uniqua rispecchia i sapori a tutto tondo di una volta, quando una era la farina e tanti i modi per utilizzarla. Come allora, mantiene inalterati tutti i componenti del chicco di grano, i macronutrienti e il germe.

Il nome nasce dalla fusione delle parole “Unica” e “Acqua”: Unica perché ogni farina della linea è multiuso e permette quindi di realizzare tutte le preparazioni dal pane alla pasta, dalla pizza alla pasticceria; Acqua per l’importanza che ricopre nel processo produttivo in Molino Dallagiovanna. Comune denominatore e punto di forza di tutte le farine dell’azienda molitoria piacentina è infatti il lavaggio a immersione del grano, che permette di ottenere un grano pulito, libero da tutte le impurità che lo ricoprono come terra, sassi, polvere e pronto per assorbire la giusta quantità d’acqua, che lo rende più morbido e pronto per la molitura.

Oltre alla Purple Edition, la linea include le farine di Tipo 1 Blu, Gialla, Bianca di forza decrescente, la Rossa 100% integrale, la Verde Tritordeum, cereale innovativo, incrocio naturale tra orzo selvatico e grano duro e le due referenze Magenta e Arancio di Tipo 2.

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Pizza e (è) arte

prodotti audiovisivi che valorizzano l’immaginario del pasto più

cult del mondo

di Stefano Valva, direttore responsabile de “Il Novelliere”

C’è un collegamento meccanico ma allo stesso tempo metafisico, tra la pizza e le arti visive. Se si proietta la mente al cinema, per esempio, la scatola che avvolge le bobine di una pellicola non ha soltanto la forma di una pizza ma, nel gergo, viene definita proprio pizza. Sembra un dato scontato ma è anche curioso, perché è come se la pizza e il cinema fossero collegati già attraverso l’essenza della fruizione.

Nel panorama narrativo, la pizza è presente nelle arti visive dai primordi del cinematografo. Già l’universo dei Lumière, e soprattutto il cinema napoletano nell’era del muto, raffigurando i contesti popolari (i film inizialmente erano documentari), si soffermavano sulla gastronomia, anche sulla pizza, per mostrare tramite immagini in movimento usi e costumi dei popoli. Evitando un excursus che richiederebbe una saggistica ad hoc, ecco cinque casi dove la pizza diviene fenomeno sociale, narrativo, estetico, dentro e fuori lo schermo dei prodotti mediali.

l’oro di napoli

(1954)

Nel film a episodi diretto da Vittorio De Sica, nello specifico in quello dal titolo “Pizze a credito”, il personaggio interpretato dalla splendida Sophia Loren – che gestisce col marito una pizzeria d’asporto nel rione Materdei – fa la pizze fritte, le quali hanno valore totalizzante, in primis all’interno della narrazione: vige nell’estetica dei quartieri napoletani, perché il luogo dove viene prodotta è praticamente in strada, il pasto influisce sugli odori e sull’iconografia della città; diviene poi un escamotage, perché il personaggio dell’amante riporta indietro l’anello utilizzando la scusa di averlo trovato all’interno di una pizza; infine, è collegata al tema della corporeità femminile, perché la pre-

senza scenica della Loren si avvalora attraverso la purezza della creazione della pizza. De Sica unisce estetica dell’arte con quella del cibo, intrecciandole armonicamente per mostrare la bellezza eterna di Napoli.

tartarughe ninja alla riscossa

(1990)

In uno dei tanti film dedicati alle famose tartarughe – primo capitolo della trilogia degli anni ’90 – la pizza acquisisce valore terapeutico, come un momento catartico di rigenerazione (un mix tra momento benessere e prodotto per le energie in stile “Braccio di ferro” con gli spinaci), e lo è ovviamente in quasi tutti i pro-

dotti sui celebri mutanti. La pizza è iniettata nella psiche dei personaggi: si intende, quella tipicamente americana, sottile e gigantesca, da dividere. Proprio su quest’ultimo aspetto, il pasto rappresenta anche un momento di condivisione e socialità, dove i fratelli non solo passano del tempo insieme ma, alle volte, attraverso la pizza riescono a riappacificarsi dopo momenti di incomprensione.

breaking bad ✱ (2008 – 2013)

Nella pluripremiata serie di Vince Gilligan, la pizza teoricamente non fa parte né della narrazione, né è un pasto pressoché routinario. Tuttavia, caratterizza un frame che è nell’immaginario tra i più celebri del prodotto televisivo. Nel secondo episodio della terza stagione, dal titolo “Cavallo senza nome”, Walther White sta rientrando a casa con la classica pizza formato famiglia. Quando scopre che la moglie lo ha chiuso fuori perché ha scoperto le bugie sulla sua misteriosa attività, egli scaraventa in aria la pizza, che magicamente si appoggia – senza sfaldarsi – sul tetto della casa. La pizza rappresenta in tal momento l’ira, l’inizio della decadenza morale e sociale del protagonista, divenendo anche fenomeno sociale: Dopo la fine della serie, la casa diventa una delle location più assaltate dai fan.

miseria e nobiltà

✱ (1954)

L’iconico film di Mario Mattoli, tratto dalla grande opera teatrale di Eduardo Scarpetta, con protagonista l’indimenticabile Totò, è conosciuto principalmente per la sequenza degli spaghetti: il gesto di metterli nella tasca della giacca, è fortemente comico e sociale, di un’immensa potenza visiva. Tuttavia, c’è una scena, almeno oralmente abbastanza famosa, dove Felice Sciosciammocca manda il figlio

Peppeniello a ordinare le “pizzelle”, ogni volta che si presenta un potenziale cliente. Un desiderio latente che non si esaudisce mai. Il primo pensiero come pasto dopo un possibile guadagno giornaliero è la pizza, nel mezzo delle strade partenopee adiacenti al Teatro San Carlo. Oltretutto, la pizza ha nel film una funzione narrativa, quasi da totem, perché la momentanea separazione tra il padre e il figlio avviene proprio perché un’importante lettera da consegnare si è sporcata col sugo della pizza (seppur ciò avvenga fuori campo).

Forno con alimentazione elettrica, dalle dimensioni contenute, concepito per la cottura di 1 o 2 pizze da 33 cm

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Forni a tunnel con tappeto di cottura in refrattario. Montato su ruote e configurabile per ogni esigenza. Disponibile anche con tecnologia Industria 4 0

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V

pizza

licorice pizza

✱ (2021)

Il titolo del film di Paul Thomas Anderson, che torna nella Los Angeles degli Anni ’70 per la terza volta dopo “Vizio di forma” (2014) e “Boogie Nights” (1997), racchiude tutto, perché in realtà la pizza non è presente all’interno dell’opera, né visivamente, né viene menzionata in alcun modo. Eppure, essa è all’origine del titolo e dell’ambientazione della pellicola come in una matrioska.

“Licorice Pizza” era il nome di una nota catena californiana di negozi di dischi, la quale si chiamava così perché aveva come logo un vinile fumante, che appariva come una pizza appena sfornata. Naturalmente il diktat sta nella forma, che sembra un “vizio” come nel citato film di matrice pynchoniana, dato che il vinile – così come la scatola per la conservazione delle pellicole –ha la forma di una pizza.

la pizza non soltanto come prodotto culinario, ma anche come elemento topografico nella società capitalista.

storie di pizza

MAGO DELI IMPASTI ALESSIO ROVETTA

IL
di Giusy Ferraina

Lo hanno definito “l’alchimista” e anche “mago degli impasti”. Ha una naturale propensione verso i lievitati, a cui ha sempre dedicato i suoi studi, una passione che è cresciuta nel tempo e ha delineato la sua carriera di pizzaiolo.

Stiamo parlando di Alessio Rovetta, bergamasco, classe 1983, che si avvicina alla pizza più per esigenza che per amore durante l’adolescenza, per poi innamorarsi sul serio e perdutamente di questo mestiere. A 20 anni ha aperto la sua pizzeria “7 Ponti” a Carobbio degli Angeli e da allora non ha mai smesso né di impastare e né di studiare e ricercare tra lieviti, farine e materie prime.

Il suo è un percorso da autodidatta, fatto di disciplina e precisione; poi, nel 2013 decide di frequentare l’Università della Pizza e inizia a interessarsi sempre di più agli impasti e i prodotti d’eccellenza. Le sue pizzerie sono state dei veri propri hub sperimentali, come lui stesso li definisce, dove provare e trovare la direzione giusta, che a quanto pare è quella su cui continua a viaggiare con il vento in poppa.

Nel 2016 trasferisce la pizzeria “7 Ponti” a Cenate Sopra (Bg) e oggi è responsabile dello sviluppo & qualità delle pizze gourmet e dei lievitati salati presso “DaV Pizza & Barbecue”, che fa capo a “Da Vittorio”, 3 stelle Michelin a Brusaporto, vicino a Bergamo, dei fratelli Cerea. Qui Rovetta è impegnato sulla produzione e la ricerca ma anche su consulenze, nuove aperture e tanta formazione. Una crescita continua che sottolinea come impegno e dedizione, sommati alla passione, portano sempre dei grandi risultati: “Ho dedicato tutta la mia vita alla panificazione e allo studio dei lievitati. Cerco sempre di migliorarmi e di esprimere la mia identità attraverso ciò che creo.

La pizza per me è vita, un modo di essere, l’espressione del mio carattere”, ha confidato Alessio nella nostra intervista.

Alessio ti hanno definito il mago dei lieviti e degli impasti, come ti sei avvicinato a questo mondo? Ti aspettavi di diventare così bravo?

Mi sono avvicinato al mondo della pizza grazie ad un forte senso di indipendenza. I miei genitori non mi hanno mai fatto mancare assolutamente nulla, vero è che

per le cose “superflue”, se le avessi volute, avrei dovuto guadagnarmele (e aggiungo anche per fortuna!). Così, mi sono ritrovato a lavorare dietro il banco di una pizzeria e devo dire che mi faceva stare bene; godere dei piccoli frutti del mio lavoro mi regalava una profonda soddisfazione. Se ci ripenso, all’epoca forse solo il calcio mi appassionava più della pizza. Il mio percorso inizia in questo modo a 16 anni e a 20 ho aperto la mia prima pizzeria. E confesso che ai tempi di “7 Ponti” a Carobbio degli Angeli non avevo mai fatto un impasto in vita mia, avevo solo lavorato dietro a un banco. E oggi sono qui. Di certo non me

lo aspettavo, probabilmente era nel Dna. Quello di cui sono certo è che ho sempre preso come esempio mio padre, un vero talento e una mentalità vincente tesa al miglioramento continuo. Mi sono messo a studiare e non mi sono più fermato.

Cosa ti affascina della lievitazione e degli impasti?

Gli impasti sono vivi, sensibili. Ogni singolo dettaglio, ogni singola scelta nelle varie fasi fa la differenza e determina il risultato finale. Niente può essere trascurato, tutto è tremendamente decisivo e per questo, a mio avviso, anche affascinante.

Quanti tipi di impasto fai e quanti tipi di lievito usi? C’è qualcuno che ha la tua preferenza o senti più vicino al tuo stile?

Mi diletto con molteplici tecniche, così come con diversi tipi di lievito: madre, di birra, lievitazione mista; ovviamente, dipende dal prodotto e dai risultati che voglio ottenere. Negli ultimi anni, per esempio, ho sviluppato una profonda ricerca sull’utilizzo della segale e sulle sue molteplici caratteristiche, per me fantastiche. Per esempio, al “Dav Milano” abbiamo una serie di prodotti in un gioco di consistenze

e con 4 impasti: si parte con la mia visione della napoletana, un prodotto che inizia la cottura a 500 gradi e termina per 40 secondi a 280 gradi per una doppia cottura (cosa che ho iniziato a fare già all’epoca di “7 ponti”). Poi, ho studiato un impasto col gel di segale fermentato per 24 ore prima di essere inserito nell’impasto “napoletano alla Rovetta” a cui segue una lievitazione dalle 48 alle 96 ore e anche oltre. Un gioco che faccio da anni è prendere questo impasto e ottenere, grazie ad una gestione e cottura completamente differente, la mia pala alla romana. Poi, c’è anche un padellino dove il gel di segale domina e infine si arriva al quarto prodotto che è il pane al lievito madre a base integrale e farro.

Cos’è per Alessio Rovetta la pizza?

Per me la pizza e i lievitati in genere sono passione, adrenalina, creatività, scienza, chimica. Insomma, sono cultura e allo stesso tempo vita ed emozione.

Come deve essere una pizza?

Fatela come volete ma fatela con cura e coerenza, in linea con ciò che siete e con il messaggio che volete trasmettere. Deve rispecchiare il luogo in cui nasce, il vostro locale e il pubblico a cui vi rivolgete. Metteteci passione, non fatela solo per farla.

UN SACCO BIO.

A Farinaria, la linea di farine 100% biologiche, Molino Naldoni non ha dedicato solo un marchio ma un intero molino, quello di Marzeno di Brisighella tra i colli della Romagna, per garantire la purezza del prodotto biologico senza contaminazioni. Un’accurata selezione dei migliori grani biologici certificati, 100% italiani a km zero e una macinazione senza l’aggiunta di enzimi o additivi chimici permettono di ottenere farine dal valore organolettico e dallo standard salutistico elevatissimi.

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La tua pizza preferita?

La mia pizza preferita? Senza dubbio quella che ho fatto 22 anni fa con la mia famiglia. È la pizza che ha segnato il destino di tutti noi, nel bene e nel male e che, al di là del risultato, ha per me un valore immenso. Gliene sarò sempre riconoscente.

Non essendo figlio d’arte e avendo imparato da autodidatta, quel giorno dovevo preparare una Margherita per un cliente, un collega di mio padre. Intorno a me, mamma, nonna, nonno e fratelli osservavano con apprensione ogni mio gesto. Ci ho provato quattro volte e solo alla quarta ci sono riuscito. Ammetto che avevo paura ma in quel momento ho capito che ero nel posto giusto.

“7 Ponti” ieri e oggi “DaVittorio”, dove sei il pizza chef di un ristorante stellato. Secondo te possono convivere la pizza e il fine dining? Qual è il loro giusto punto d’incontro?

Per me, il passaggio dalla “7 Ponti” a “Da Vittorio” è stato naturale, senza alcuna difficoltà. Questo perché la pizza qui è proposta con assoluto rispetto, senza distinzioni o discriminazioni ma con pari dignità rispetto agli altri piatti. Da noi, la pizza può

essere servita come portata unica, come elemento di una degustazione più ampia o in un percorso dedicato esclusivamente alle pizze. Crediamo profondamente nei lievitati, nella convivialità che la pizza porta con sé e nel suo legame con la cucina. Proprio per questo, presto apriremo un locale a Brusaporto interamente basato su questo concetto. Ci tengo a sottolineare che la pizza non deve essere un semplice riempitivo o un’esca per attirare più clienti ma protagonista. Bisogna crederci, amarla, appassionarsi.

Il business? Quello arriva dopo, come naturale conseguenza.Il nostro punto d’incontro è l’amore per l’eccellenza per la qualità e per i lievitati. Da sempre mi impegno per sviluppare un ampio ventaglio di competenze e questo mi permette di essere incisivo in ogni ambito di “Da Vittorio” e in tutte le sue realtà. Ricerco l’eccellenza per renderla replicabile con criterio, oltre a creare amo, infatti, trasmettere e vedere i miei lavori replicati dai ragazzi, qui “Da Vittorio”.

Che direzione ha preso il mondo della pizza secondo te?

Parliamoci chiaro: la pizza è amata da sempre e oggi più che mai. È un prodotto che si può declinare in mille modi e può avere diversi livelli di qualità. Secondo me rappresenta il futuro.

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I BORBONI A PONTECAGNANO

di Noemi Caracciolo

«Siamo inseparabili, come quei pappagallini che non riescono a stare lontani l’uno dall’altro. Ci compensiamo molto e spesso scherziamo dicendo che il nostro rapporto è come quello di marito e moglie, senza però sapere chi fa il marito e chi la moglie!».

Così inizia il racconto dell’inseparabile duo formato da Valerio Iessi, classe ‘81’ originario della penisola sorrentina e Daniele Ferrara, classe ‘85’ di Cava dei Tirreni. I due, dei quali l’uno si occupa della sala e dei topping e l’altro del bancone, si sono conosciuti durante un corso di formazione da istruttori di Diego Vitagliano e, dopo un percorso itinerante, hanno deciso di fermarsi, dando vita - nell’agosto 2018 - alla pizzeria “I Borboni”, oggi gestita insieme al manager della ristorazione Adriano Romano, unitosi al progetto nel 2020. «Adriano ha portato equilibrio alla nostra squadra. Noi siamo molto artistici, a volte un po’ disordinati ma lui è un ottimo moderatore. Ci ha aiutati a stabilire una struttura più organizzata», racconta Valerio.

Ho conosciuto i protagonisti di questa storia una sera a cena, durante la quale ho avuto modo di provare tanti sapori autentici e allo stesso tempo ricercati.

La proposta di Valerio e Daniele prevede non soltanto un menù che cambia ogni 90 giorni ma una molteplicità di impasti ben studiati e molto particolari:

«La nostra pizza unisce la tradizione napoletana con alcune caratteristiche salernitane. La nostra filosofia è semplice, vogliamo che le nostre pizze siano riconoscibili. Ce ne sono alcune ispirate ai ricordi d’infanzia, come i sapori della cucina di mamma e nonna e ogni piatto racconta una storia e porta con sé una parte di noi».

Ho assaggiato un menù degustazione partito da un antipasto sfizioso e saporito, tra cui la frittatina di maccheroni “U Mami”, un assoluto di funghi, salsiccia e guanciale croccante; un arancino di riso ai tre caci e pepe, servito con pere saltate con burro e zucchero e il “Mussilol ‘e Zucchero”,

una polpetta di baccalà mantecato al latte con mandorle, provola fusa, papaccella napoletana e polvere di olive nere. Per passare poi alle pizze, tutte buonissime, ma delle quali una in particolare mi ha colpita:

la “Vapo Crock”, un impasto senza acqua ma con il siero del latte di bufala a km. 0 fornito dal caseificio dirimpettaio Giuseppe Morese, del quale abbiamo assaggiato i deliziosi prodotti durante una visita guidata. Un’ode alla leggerezza.

«È difficile assegnare dei ruoli specifici», racconta Daniele e continua: «Entrambi sappiamo fare la pizza ma Valerio ha preso in mano la gestione della sala, dell’accoglienza e della progettazione, con l’aiuto di Adriano, che si occupa dei numeri. Questa è la nostra triade perfetta». Il collega afferma: «Devo ammettere che Daniele è più bravo a colorare la sua figura professionale, si dedica con passione all’impasto, come un vecchio orologiaio che regola ogni dettaglio con precisione. Io sono più avvezzo alla sala, al rapporto diretto con il cliente, che credo sia qualcosa di speciale. Accogliere un cliente con calore, è la base su cui costruire tutto: un piatto, una pizza, un bicchiere di vino».

Una pizza “reale”, autentica e sempre attuale, una ricerca fortemente radicata nel territorio, che valorizza Presìdi Slow Food, denominazioni di origine protetta, produttori attenti e ingredienti genuini. Un’attenzione particolare agli impasti: proposte proteiche, vegane e le nuove sperimentazioni, capaci di interpretare al meglio la duplice accezione di tradizione e innovazione.

«Ho iniziato a fare la pizza da piccolo, osservando i movimenti del pizzaiolo che lavorava nella pizzeria di mio padre. Non ho ricevuto un insegnamento formale, ma registravo ogni gesto, tanto che la mia prima pizza uscì perfetta al primo tentativo. Da quel momento, ho cominciato a fare pratica e, dopo anni di gavetta nei locali, ho preso la decisione di lasciare la scuola per dedicarmi interamente alla pizza. Mio padre mi mise di fronte a una scelta e non ebbi dubbi», mi racconta Daniele pieno di passione, prima di passare a spiegarmi gli impasti.

L’impasto della pizza contemporanea è realizzato con un prefermento (“a modo loro”) con farina 0 con germe di grano, un’idratazione al 75% e circa 24/30 ore di maturazione,

presentata nel menù “Stanza d’inverno” nelle versioni Riccio Campano, con scarola riccia alla brace, provola affumicata, tartare di manzo, senape al miele, blu di bufala e nocciole; Sinfonia di Bufala, una quattro formaggi con granella di nocciola tostata e confettura di mandarino e Ngazzate Nire, con broccolo spigarello e nella quale spicca il piccante della nduja calabra.

La “Double Crock” invece, oltre alla tecnica di cottura diversa, ha un altro tipo di impasto, più croccante, realizzato con una miscela di farina multicereali e un’idratazione all’85%.

Qui spiccano la Monzu, con la genovese e la Raù, con ragù napoletano, provola e cioccolato fondente.

Stessa dinamica per la Proteica ma con una farina con proteine vegetali (di soia) e multicereali (interi e non macinati),

della quale spicca la Heatness, farcita con robiola, misticanza, granella di nocciola IGP, zest di agrumi, cipolla rossa caramellata e olive taggiasche. «Dal punto di vista del prodotto, abbiamo sempre puntato sull’innovazione, senza però tradire la

tradizione. Abbiamo introdotto pizze con condimenti cucinati, un’idea nuova per la zona di Salerno, dove all’epoca dominava uno stile più classico. All’inizio, le persone erano scettiche ma, con il tempo, abbiamo guadagnato la loro fiducia. Ora possiamo permetterci di osare con abbinamenti creativi, mantenendo comunque un forte legame con i sapori tradizionali» e, in effetti, nell’assaggio di Marenna, tra le proposte “forno e forno” – che vuole rievocare la merenda delle nonne – sembra di tornare indietro nel tempo, con stracciata di bufala, melanzane sott’olio, Provolone del Monaco, papaccella napoletana in agrodolce e capocollo cilentano.

In ultimo, ma non per “bontà”, tra le proposte “fritte e al forno” spicca la Carulì, una pizza iconica, antagonista della Margherita, dedicata alla regina Carolina con pomodoro lampadina cotto a fuoco lento, basilico in crema, stracciatella di bufala e parmigiano a scaglie. Carolina era la moglie di Ferdinando di Borbone, famiglia alla quale Valerio e Daniele hanno dedicato la loro pizzeria. Durante il loro regno, la cucina napoletana visse un periodo di grande splendore, con piatti come il sartù di riso e la genovese. I Borbone riconobbero l’importanza del cibo e dei suoi artefici. La pizza subì una trasformazione significativa grazie a Ferdinando I di Borbone, appassionato di questo piatto. Inizialmente considerata un cibo povero, divenne popolare a corte quando il re fece costruire un forno a legna a Capodimonte e invitò il miglior pizzaiolo della città. Questo gesto contribuì a elevare il prestigio della pizza. Come sottolineato dal menu de I Borboni: “Chi l’ha detto che la pizza è nata nel 1889? I Borboni di Napoli la mangiavano già da un secolo!” La frase sfata il mito comune, evidenziando che la pizza faceva già parte della tradizione del Regno dei Borbone ben prima dell’associazione con la regina Margherita.

E, dopo questa pillola di storia, evidenzio che i dolci sono preparati in parte in casa e in parte affidati ad una pasticceria storica di Salerno, Romolo.

«Crediamo che l’ospitalità faccia la differenza. Offrire un’esperienza completa, fatta di accoglienza, buon cibo e attenzione ai dettagli, è il nostro obiettivo. Questo è ciò che ci distingue e che speriamo continui a farci crescere nel tempo». In conclusione, la proposta de “I Borboni” risulta essere ricca di richiami al passato e slanci verso il domani, frutto di un’attenzione scrupolosa a texture e consistenze.

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IL CONDIMENTO DELLA TRADIZIONE ENZO COCCIA

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di Giusy Ferraina

“Non sono un artista. I musicisti, gli scultori, i pittori lo sono. Sono un artigiano al servizio di una delle attività più antiche di Napoli, un pizzajuolo. Un pizzaiolo con un’identità, un cervello e un’anima”.

Così Enzo Coccia si presenta e, nonostante i riconoscimenti e l’essere un punto di riferimento della pizza, della sua storia e della sua evoluzione, lui ama definirsi artigiano e “pizzajuolo”, come recita la tradizione napoletana.

La pizza lo ha conquistato fin da piccolo e alla pizza ha dedicato tutto sé stesso, un amore sconfinato, che è diventato anche studio, ricerca, difesa e voglia di far crescere questo piatto così iconico nel mondo. La sua è una vera e propria missione e lo si capisce quando fonda l’Associazione Pizzaiuoli Napoletani, contribuendo alla registrazione del marchio STG (Specialità Tradizionale Garantita) presso il Ministero delle Politiche Agricole e collabora con l’Università di Napoli “Federico II” alla certificazione di qualità UNI della Pizza Napoletana. E non si limita solo a questo, perché Enzo Coccia la pizza la insegna, soprattutto all’estero. Il nostro pizzajuolo è infatti formatore e docente per numerosi corsi

con l’obiettivo di diffondere sempre più la cultura della pizza napoletana secondo tradizione e, in particolare, secondo disciplinare. Insomma, un vero ambasciatore: non c’è termine più adeguato a poterlo definire.

Perché piace tanto la pizza di Coccia e perché è diventato così celebre a Napoli, in Italia e all’estero?

C’è un dualismo evidente nel suo lavoro, un attaccamento e tutela della tradizione e

una visione moderna di essa. L’intuizione intelligente di Enzo Coccia è stata proprio combinare nel menù della sua pizzeria “La Notizia” il repertorio classico della tradizione, la riscoperta di pizze e gusti antichi, come ha fatto con la Mastunicola – a base di strutto, pecorino e pepe – affiancata a proposte gourmet che esaltano le eccellenze campane, elevando la pizza da semplice cibo popolare a vera eccellenza gastronomica. Sulla pizza, il maestro Coccia traduce la sua visione del territorio campano, a cui è legato ma anche un’attenta ricerca e un altrettanto attento utilizzo di materie prime importanti e molto espres-

sive come l’olio extravergine d’oliva o il vino per il pairing. A lui va il merito, dunque, di aver ampliato la visione di pizzaioli e “pizza lovers” sulla pizza, che si impreziosisce con nuovi ingredienti (prediligendo solo i migliori), diventa creativa ma ancor di più diventa di gran qualità. Questa idea di pizza travalica le porte de “La Notizia” e arriva da per tutto, a Capri e a Roma con i locali “Vico, pizza & Wine”, ed è proprio qui che indica anche la strada di un servizio sempre più raffinato e che sottolinea quel dualismo prima citato, tra la popolarità della pizza e un format che guarda all’alta ristorazione, ma senza snaturare le sue creazioni. E, non ultimo, la sua idea di pizza viaggia con lui, tramite le sue parole e i suoi gesti nei vari continenti, dove gio-

vani pizzaioli sono desiderosi e curiosi di imparare l’arte della pizza napoletana. Per conoscere nell’intimo il suo rapporto con la pizza, gli abbiamo fatto qualche domanda

Maestro coccia, cos’è per lei la pizza napoletana?

La pizza napoletana rappresenta una fotografia della città di Napoli che si evolve nel corso del tempo. È la storia, la cultura, la tradizione e l’arte del pizzajuolo napoletano.

E la tradizione nella pizza? dove e come si deve rispettare?

È il rispetto delle regole tramandateci dai nostri antenati pizzajuoli che noi, eredi di questa grande tradizione, dobbiamo preservare e valorizzare.

Lei è stato l’innovatore dei condimenti per la pizza, tra coloro che hanno inaugurato il filone delle pizze gourmet. Cosa l’ha portato a rompere con gli schemi classici?

Credo fondamentalmente che un prodotto del popolo come la pizza napoletana possa essere farcito con prodotti di qualità, prima della Campania e poi dell’Italia intera. Un esempio: una pizza bianca ben lievitata, che rappresenta il primo esempio di prodotto popolare prima dell’avvento del pomodoro, può essere farcita con una grande mozzarella di bufala affumicata (provola), tartufo bianco d’Alba e Parmigiano Reggiano invecchiato 48 mesi.

Da ieri a oggi, questo aspetto com’è cambiato?

Negli ultimi 20 anni, la qualità della pizza in Italia si è elevata nella sua massima espressione; certamente bisogna migliorare il servizio in sala e gli abbinamenti, in particolar modo con birre artigianali e vini del territorio italiano

L’incontro con la cucina e topping sempre più creativi come sta cambiando il mondo della pizzeria e la sua visione?

L’apporto della cucina in pizzeria è un aspetto rilevante ma non fondamentale. Preferisco che il pizzajuolo sia il protagonista di questa rappresentazione.

Nel suo percorso professionale c’è “Vico Pizza & Wine” a Capri e Roma (da poco lasciato per altri impegni, ndr), cosa pensa di questo abbinamento e qual è il suo abbinamento pizza-vino preferito?

Storicamente, da documenti risalenti alla metà dell’800, la pizza è sempre stata accompagnata con il vino. Non è una novità. Diciamo che può essere un’innovazione riproporre questo abbinamento. Il mio abbinamento preferito dipende dalla struttura della pizza che deve risultare in equilibrio con il vino selezionato.

Ci racconta la sua pizza preferita e quella che un cliente deve provare assolutamente?

Non ho una pizza preferita, dipende dal mio stato d’animo e anche dalla fame del momento. Ai clienti consiglio sempre un percorso degustazione per alternare, in modo diverso, vari gusti.

storie di pizza

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RAFFAELE PIZZOFERRO

PIZZAIOLO PER IL CAMBIAMENTO

di Noemi Caracciolo

“Alla Lampara” è una storica pizzeria di Udine, oggi gestita da Raffaele Pizzoferro e da sua sorella Fulvia. L’approccio dei Pizzoferro si inserisce nel progetto promosso da “Agugiaro & Figna”, che coinvolge i pizzaioli più attenti alla sostenibilità e alla qualità, incoraggiando un uso consapevole delle materie prime, il rispetto della stagionalità e, di conseguenza, dell’ambiente. Ed è proprio in questo contesto che Raffaele si distingue come un “Pizzaiolo per il cambiamento” (nome del progetto di cui sopra) capace di trasformare il suo locale senza tradire l’eredità familiare, portandolo a essere un punto di riferimento in Friuli-Venezia Giulia e oltre.

L’attività affonda le sue radici nel 1972 ma è nel 1997, con un cambio di sede, che la pizzeria iniziò a evolversi. Mentre Fulvia era già coinvolta nell’attività, Raffaele aveva altre aspirazioni e sogni ma, col tempo, anche lui iniziò a farsi strada nel mondo dell’arte bianca, soprattutto da quando il loro papà cominciò a stare poco bene. Finché Raffaele entrò a far parte stabilmente dell’azienda.

Inizialmente, il controllo decisionale rimaneva nelle mani dei genitori ma, con il passare degli anni – intorno al 2010 – la responsabilità passò definitivamente ai due fratelli. I quali, dopo anni di routine, si resero conto che seguire la stessa strada li avrebbe portati a uno stallo, rischiando persino la chiusura del locale. Fu così che nacque l’idea di reinventarsi, mantenendo però intatto il tratto distintivo della pizzeria di famiglia: una pizza autentica, servita in un ambiente caldo e familiare, dove il cliente si sente davvero a casa e non deve andare di fretta.

Questo rinnovamento ha portato a sperimentazioni innovative, dalla ricerca di nuovi impasti e farine, all’accostamento di birre e pizze, sempre seguendo la filosofia del “qualità prima del prezzo”. Oggi, “Alla Lampara” è entrata nella Guida di “Identità

Golose” e nella Guida “Pizzerie d’Italia” del Gambero Rosso: riconoscimenti prestigiosi, nonostante i quali Raffaele resta umile e con la testa sulle spalle. Raffaele, come avete fatto a mantenere l’eredità familiare, pur evolvendovi così tanto? Il filo conduttore è sempre lo stesso, semplicemente il prodotto che proponiamo in pizzeria si è aggiornato con il tempo. Magari è una cosa che a qualcuno non piace, però la nostra pizza non è un prodotto statico: non è una pizza napoletana, non è una pizza italiana, è la pizza de “Alla Lampara”. Adesso il cornicione è leggermente più basso, perché strizza un po’ l’occhio alla pizza napoletana. Non c’è niente di esagerato e niente di estremo, non è un prodotto pedissequamente uguale a se stesso.

È un prodotto che ha il suo tratto distintivo, le sue caratteristiche, le sue peculiarità ma che cerca di adattarsi al mondo che cambia.

Quanto è cambiato rispetto agli anni scorsi?

L’impasto è rimasto lo stesso. Utilizziamo una farina di tipo 1. In questo periodo, abbiamo deciso di smettere di fare blend di farine. Ho trovato una farina che mi piace e con cui, soprattutto, i clienti sono soddisfatti, perché poi è il cliente ad avere l’ultima parola.

Noi possiamo proporre il nostro tipo di pizza ma se alla clientela non piace allora stiamo sbagliando qualcosa; se alla clientela piace, allora va bene. Facciamo una lievitazione che va intorno alle 20 - 24 ore, a seconda del giorno della settimana.

E, a proposito di cambiamento, tu sei un “Pizzaiolo per il cambiamento”, appunto: che vuol dire per te?

Partiamo dal fatto che, forse, lo siamo sempre stati, nel senso che abbiamo sposato il progetto di “Agugiaro & Figna” ma la filosofia ce l’avevamo già dentro di noi. Vuol dire stare attenti a quello che proponiamo ai nostri clienti, sia in termini di impasto sia in termini di topping, a fare meno spreco possibile e a utilizzare meno plastica, ad essere un po’ più attenti all’ambiente che ci circonda, tenerlo in considerazione. Questa è sempre stata la nostra linea.

È chiaro che negli ultimi anni il tema della sostenibilità e dell’attenzione green è diventato più centrale. Il fatto di unirci al progetto è stata una normale conseguenza. A gennaio è uscito il nuovo menù della pizzeria, che rappresenta un cambio importante per noi, nel senso che abbiamo smesso di usare tutti quei prodotti vegetali che non sono più stagionali.

Tutta quella linea di prodotti che comunque trovi, ma che sono di serra, non sono più utilizzati.

Devo dire che la risposta della clientela è stata buona. Ma resta il fatto che non siamo così rigidi.

Per esempio?

La “Spaccanapoli” è la nostra pizza più venduta dopo la Margherita, una pizza molto semplice ma molto saporita, con una base di pomodoro e fiordilatte, melanzane al forno, capperi, olive, aglio, salame piccante e, in uscita, pomodoro secco. Avevamo pensato di togliere le melanzane da questa pizza ma poi la sommossa sarebbe stata popolare e quindi va bene fare l’eccezione e continuare a proporla in quella maniera (ridiamo, ndr).

E, se ti dovessi immaginare il futuro della pizza fra dieci anni, cosa cambierebbe di più secondo te?

Non so, al di là delle tecniche di impasto – che evolvono continuamente – secondo me ci sarà sempre più una netta distinzione tra la pizza di qualità e la pizza “non di qualità”. Non solo per il tipo di prodotto ma anche per l’ambiente, il clima e l’offerta food and beverage a 360°; una direzione sempre più verso il ristorante, dove il cliente non è considerato solo un numero.

Ad esempio, noi in pizzeria non facciamo doppi turni. Se il cliente prenota per le 20:30, sa che alle 19:30 il tavolo è già suo e, se vuole fermarsi tutta la sera, rimane tranquillamente. Certo, alcuni tavoli vengono riassegnati ma non sempre. L’idea è che l’esperienza complessiva rimanga rilassata e piacevole.

E, se ti dovessi immaginare il futuro della pizza fra dieci anni, cosa cambierebbe di più secondo te?

Allora, ce ne sono due, completamente differenti. Una è una pizza leggermente piccante, agrodolce, la “’Nduja e Miele”: ha una base di crema di pomodoro arrosto, fiordilatte, ‘nduja e, quando esce dal forno, foglioline di menta, polvere di olive e miele friulano.

L’altra è completamente diversa, la “Nero a metà”: l’impasto viene steso nella crusca, dando un effetto rustico e, a fine cottura, si percepisce un leggero profumo di popcorn tostato; il topping prevede una base di fiordilatte con cavolo nero saltato, briciole di castagne, fettine di lardo che si sciolgono a contatto col calore e un’emulsione di aglio nero. Questa pizza è davvero di carattere e chi l’ha assaggiata ne è rimasto stupito. Insomma, sono due tipologie di pizze: la “nduja e miele” non è prettamente stagionale, mentre la “Nero a metà” andrà in letargo con il nuovo menù che uscirà ai primi di maggio.

C’è un ingrediente della zona che hai scoperto negli ultimi anni e che ti ha particolarmente sorpreso, tanto da riutilizzarlo sicuramente e a prescindere?

La cipolla di Cavasso, molto dolce e per la quale abbiamo preso ispirazione dalle “4 consistenze” di Martucci. Ora che ci penso, nel menù attuale non l’abbiamo riproposta. Ma lo faremo.

Se dovessi descrivere la tua idea di pizza perfetta in tre parole, quali sceglieresti? Golosa, accattivante e sana. “Golosa”, perché deve far venire voglia di mangiarla anche fuori dai pasti; “accattivante”, perché deve farti venire voglia di mangiarla solo a guardarla. Dopotutto, anche l’occhio vuole la sua parte. E infine, “sana” in termini proprio di ingredienti, anche in virtù della situazione personale di mia figlia, che è diabetica. Questo per me dovrebbe essere il focus di una campagna nazionale.

Quando un cliente, un bambino o una persona diabetica, si avvicina al banco e chiede “quanto pesa la sua pallina?” oppure “quanta idratazione ha l’impasto?”, non è per rubare il segreto della ricetta ma per fare un calcolo utile per chi, ad esempio, deve dosare l’insulina.

Se dico a mia moglie: “in questa pallina di pizza che pesa 250 grammi ci ho messo il 68% di acqua”, lei può fare il calcolo dei carboidrati in base alla farina presente.

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Molti pensano che chiedere queste informazioni significhi voler conoscere il “segreto” ma, in realtà, è un’informazione utile, soprattutto se venisse sostenuta da una campagna che rendesse il locale più accessibile anche alle persone diabetiche. Perché – credimi – ci sono tante famiglie che hanno rinunciato alla pizza per questo problema. È un servizio che costa veramente niente. Certo, non vuol dire che non ci sia un rialzo glicemico, perché dipende anche dai condimenti ma in modo diverso. In sostanza, se ci fosse una campagna in tal senso, tante persone diabetiche si riavvicinerebbero alla pizzeria perché ora, in molti casi, non ci possono andare.

Proponimi un’altra pizza, sempre che rientri nel nuovo menù, che assolutamente devo assaggiare.

Ti proporrei la “Ripiegata dell’inverno” (che d’estate diventerà la “Ripiegata d’estate”): il classico calzone ripieno di scarola, capperi, acciughe e olive. In pratica, invece di chiudere il calzone e creare una camera di vapore, lo lasciamo aperto, così nella prima fase di cottura il vapore esce e la scarola si ammorbidisce, rimanendo comunque croccante. È simpatica da mangiare! Anche se la scarola, in Friuli-Venezia Giulia, generalmente viene mangiata cruda. È semplice: la scarola la mettiamo cruda,

in modo da avere una doppia consistenza e l’abbinamento classico con capperi, acciughe e olive funziona molto bene. Altrimenti ti direi la “Verdure d’inverno”: cavolo nero, cavolfiore, radicchio di Treviso, funghi e cubetti di zucca.

In ultimo, ma non per ultimo, cosa si prova a essere nella Guida di “Identità Golose” e nella Guida “Pizzerie d’Italia” del Gambero Rosso?

Ci siamo entrati quest’anno. Sono belle soddisfazioni, sono arrivate in due momenti differenti e, ovviamente, ne siamo molto contenti e ci riempie di orgoglio. Anche se non le abbiamo festeggiate come avremmo dovuto, per varie dinamiche. Sarebbe stato bello farlo in maniera più eclatante ma, col senno di poi, c’è sempre tempo per festeggiare!

LA BIRRA

perfetti abbinamenti per Birra:tre tre

pizze indimenticabili

Il connubio tra pizza e birra è un grande classico della gastronomia, un’abitudine che ha radici profonde e che, negli ultimi anni, ha raggiunto nuove vette di qualità grazie alla diffusione della birra artigianale. Se un tempo le birre disponibili nelle pizzerie erano perlopiù industriali e proposte senza una logica di abbinamento, oggi le possibilità di scelta sono infinite. Ogni stile birrario offre profili aromatici unici, capaci di esaltare e bilanciare i sapori della pizza, trasformando un semplice pasto in un’esperienza sensoriale completa.

Sempre più pizzaioli stanno esplorando questa nuova frontiera del gusto, selezionando birre artigianali da affiancare alle loro creazioni. Il risultato? Carte delle birre studiate nei minimi dettagli, con abbinamenti pensati per valorizzare le caratteristiche organolettiche di ogni ingrediente. Per capire meglio come nasce un perfetto matrimonio tra pizza e birra, abbiamo chiesto a tre maestri pizzaioli campani di raccontarci la loro pizza del cuore, quella che mangerebbero ogni giorno, e abbiamo individuato lo stile birrario più adatto per accompagnarla.

1. La Futura di Marinara e una

Belgian Strong Ale

Francesco Martucci, maestro pizzaiolo de I Masanielli a Caserta, da anni realizza una pizza diventata una vera e propria icona: la Futuro di Marinara. Questa pizza, che nasce da un lungo studio sulla tecnica di cottura, prevede tre fasi: 100°C a vapore, 180°C fritta e 400°C al forno. Il risultato è una base dalla texture unica, croccante fuori e soffice dentro, che esalta alla perfezione il condimento: crema di pomodoro arrosto, capperi di Salina, olive Caiazzane, origano d’Ischia, alici di Trapani e pesto di aglio orsino. Un mix di sapori intensi, in cui la sapidità e l’aromaticità giocano un ruolo chiave.

L’abbinamento ideale per questa pizza è una Belgian Strong Ale, uno stile birrario caratterizzato da una struttura corposa e un buon tenore alcolico. La sua dolcezza iniziale bilancia la sapidità degli ingredienti, mentre la secchezza finale e il tenore alcolico aiutano a pulire la bocca

2. La Margherita e una Witbier

Ciro Salvo, pizzaiolo di 50 Kalò a Napoli, è noto per un grande classico: la Margherita. Nonostante la sua apparente semplicità, questa pizza rappresenta una sfida continua per i pizzaioli, perché ogni ingrediente deve essere in perfetto equilibrio. Il pomodoro San Marzano DOP offre una piacevole e accennata tendenza dolce, il fiordilatte dona una leggera tendenza acida senza risultare troppo grasso e l’olio extravergine d’oliva aggiunge un tocco di aromaticità.

Per valorizzare questa armonia di sapori, la birra perfetta è una Witbier, birra bianca di tradizione belga. Questo stile si distingue per la sua freschezza, con note agrumate e speziate che si sposano perfettamente con la dolcezza del pomodoro. Il frumento presente nella ricetta regala una leggera acidità, che aiuta a ripulire la bocca dalla leggera grassezza del fiordilatte e dell’olio. Il risultato è un abbinamento fresco, equilibrato e incredibilmente beverino.

L’Oro d’Irpinia: la tradizione che diventa eccellenza

Dalla terra irpina nasce L’Oro d’Irpinia, la prima farina 100% locale, pensata per esaltare il gusto autentico della vera pizza napoletana. Frutto di una filiera corta che unisce produttori e trasformatori, questa farina rappresenta il perfetto equilibrio tra innovazione e tradizione, garantendo impasti altamente performanti e dalle eccezionali qualità tecnologiche

Una selezione esclusiva di grani irpini, coltivati con cura e passione, per offrire ai maestri pizzaioli un ingrediente di eccellenza, capace di trasformare ogni pizza in un’opera d’arte.

Gino Sorbillo, erede di una storica famiglia di pizzaioli napoletani, realizza una delle pizze più rappresentative della tradizione napoletana: la Fritta Completa di Zia Esterina Sorbillo. Questa pizza fritta è un vero tripudio di sapori e consistenze: il ripieno cremoso di ricotta di bufala e provola affumicata si fonde con il sapore intenso dei cicoli campani e dei pomodori biologici, mentre l’involucro dorato e croccante aggiunge una nota di piacevole untuosità. Per bilanciare questa esplosione di gusto, l’abbinamento perfetto è con una Bock. Questo stile birrario, con il suo corpo morbido e le sue note caramellate e leggermente tostate, esalta la dolcezza della ricotta e della provola, bilanciando al contempo la sapidità dei cicoli. Il tenore alcolico medio-alto aiuta a detergere il palato dall’untuosità della frittura, garantendo un’esperienza gustativa appagante e bilanciata.

Un nuovo approccio all’abbinamento pizza e birra

L’era in cui la birra veniva scelta casualmente per accompagnare la pizza è ormai superata. Oggi, grazie alla diffusione delle birre artigianali e alla crescente attenzione verso gli abbinamenti gastronomici, è possibile creare esperienze sensoriali uniche.

Che si tratti di una pizza classica come la Margherita, di una creazione innovativa come la Futuro di Marinara o di una specialità tradizionale come la Pizza Fritta, lo stile birrario giusto può fare la differenza, esaltando i sapori e bilanciando le componenti aromatiche e strutturali.

L’importante è scegliere con cura, lasciandosi guidare dalla qualità e dalla ricerca dell’equilibrio perfetto. Perché, in fondo, una pizza indimenticabile merita una birra all’altezza della sua bontà.

Olio extravergine: qualità o prezzo?

di Massimiliano Bruno Gallo

Quante volte sentiamo dire da chef e pizzaioli: “L’olio evo? Non lo uso perché costa troppo”; oppure “Lo uso solo per condire”; o, ancora “L’olio evo per friggere? No, è pesante e non ci rientro con le spese, meglio quello di arachidi”.

Puntualmente, a seguito della mia risposta a queste affermazioni, le convinzioni citate sopra, che sembrano tanto solide, vengono smontate.

Perché non basta confrontare il prezzo di un olio evo di alta qualità con uno di arachidi per arrivare alla conclusione che “conviene” acquistare il secondo.

In questo articolo vedremo quali sono i fattori che influenzano il prezzo dell’olio e perché è più conveniente acquistare un olio evo di alta qualità e non un prodotto industriale.

• Le attività agronomiche: la potatura e i trattamenti vari che può subire l’ulivo, come il controllo degli infestanti, eventuali concimazioni e così via;

Quali sono i fattori che determinano il prezzo di un olio?

Esistono diversi elementi che influenzano il prezzo finale di un olio, ecco i principali:

• La materia prima: la manodopera che serve per raccogliere le olive, il carburante per azionare i macchinari e la qualità delle olive; più le olive sono raccolte verdi, maggiore sarà la qualità e minore sarà la resa, di conseguenza i costi aumenteranno;

• Gli impianti: se l’azienda possiede un frantoio proprio, sicuramente avrà acquistato degli impianti che andranno ammortizzati nel tempo;

• La lavorazione: tutte le spese legate alla fase di estrazione, chiaramente sono minori se l’azienda possiede un frantoio proprio ma sono più alte se l’azienda si appoggia ad un frantoio “terzo”;

• I costi legati al packaging: quindi la bottiglia, il tappo, l’etichetta, etc.;

• I costi legati alla comunicazione del prodotto e dell’azienda.

Ci sono poi altri costi legati al personale, all’affitto eventuale dei terreni e ad altri fattori che però non tratteremo perché troppo specifici.

Quindi quanto costa un olio di qualità?

Non si può rispondere in modo preciso a questa domanda. A me è capitato di assaggiare degli ottimi oli venduti a 13€ al litro e dei pessimi oli venduti a 20€ al litro. Se poi pensiamo che, al supermercato, un olio industriale venduto come extravergine non lo si paga meno di 10€ al litro, è chiaro che la fascia di prezzo è decisamente un fattore relativo. Mi sento di dire però che un “buon” olio non può costare meno di 12€ al litro.

Ha senso utilizzare un olio per cucinare e uno per condire?

Dal mio punto di vista, ha molto senso avere un olio che viene utilizzato per le “basi” in cucina e uno o più oli che vengono utilizzati per condire, perché più costosi e più espressivi dal punto di vista gustativo: l’importante è che siano entrambi di qualità.

Quanto costa cucinare con un olio evo di qualità?

Costa meno di quello che pensi! Vediamo insieme il perché…

Supponiamo di avere un ottimo olio extravergine di oliva

che abbiamo pagato 20€ al litro e un olio extravergine di oliva industriale che abbiamo pagato 12€ al litro. Con una bottiglia da circa mezzo litro, potremmo fare circa 80 abbinamenti sulle nostre pizze (6,25g. di olio per ciascuna pizza).

L’incidenza in termini di costi per l’olio di qualità è di 0,125 centesimi a pizza; quella, invece, per l’olio di oliva industriale è di 0,075 centesimi, quindi circa 5 centesimi di differenza.

Premesso che, probabilmente, il maestro pizzaiolo tenderà ad utilizzare più quantità di prodotto sulla sua pizza nel caso dell’olio industriale (perché privo di odori e aromi), la qualità complessiva del suo prodotto non può valere così poco, cioè solo 5 centesimi!

Utilizzare quindi un ottimo olio evo sulle proprie pizze, correttamente abbinato e correttamente raccontato sia sul menu che dall’operatore di sala, non solo aumenta la qualità complessiva del prodotto, ma ne giustificherà un prezzo eventualmente superiore.

Se poi si propone al cliente un percorso di abbinamento oliopizza con un sovrapprezzo di 1€, l’utile che ne verrà fuori sarà circa di 70€ ogni bottiglia da mezzo litro.

Azione improponibile con un olio industriale.

Ricapitolando…

Scegliere uno o più oli di qualità da abbinare alle proprie pizze è un’azione intelligente e conveniente, sia in termini economici che qualitativi e aumenta il valore della pizzeria; l’importante è proporlo nel modo e, quindi, con uno storytelling di livello che è conseguenza di una formazione adeguata del personale di cucina e di sala e attraverso una visione aziendale incentrata alla qualità in tutti i suoi aspetti.

Quindi, alla domanda se preferire qualità o prezzo nella scelta dell’olio extravergine, la risposta non può che essere: qualità e prezzo!

La dieta mediterranea e le malattie cardiovascolari

L'alimentazione ideale per prevenire e curare le malattie cardiovascolari, è quella di tipo mediterraneo. Infatti, la dieta mediterranea ha dimostrato in tutti gli studi di avere effetto positivo sul cuore e sui vasi: rispetto agli altri regimi dietetici, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e, anche quando queste si verificano, ne diminuisce il rischio di peggioramento. Altri tipi di dieta, infatti, possono avere alcuni vantaggi nell'immediato (controllo del peso) ma possono alla lunga aggravare, invece che migliorare, una situazione cardiovascolare. Diversi studi, in effetti, dimostrano l’efficacia della Dieta Mediterranea nel miglioramento dei parametri clinici e nella riduzione del rischio di complicanze cardio metaboliche. L’effetto protettivo di tale regime dietetico è dovuto all’apporto elevato di fibre, al basso contenuto di grassi saturi e alle proprietà nutraceutiche di molti alimenti inclusi nella dieta stessa.

Tra questi, l’olio extravergine di oliva è tra i più studiati grazie ai suoi numerosi benefici sul sistema cardiovascolare.

Una sezione importante delle linee guida sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari nella pratica clinica dell’European Society of Cardiology aggiornate nel 2021, è dedicata agli effetti di specifici nutrienti e categorie di alimenti sul sistema cardiovascolare, e sulle frequenze di assunzione raccomandate in una dieta sana e bilanciata.  Tali raccomandazioni sono in linea con quelle previste dalla Dieta Mediterranea.

- Le raccomandazioni dietetiche dovrebbero sempre tenere conto delle abitudini alimentari locali; tuttavia, andrebbe promosso l'interesse per le scelte alimentari sane di altre culture.

- Si dovrebbe puntare al consumo di un'ampia varietà di alimenti, ponendo attenzione alla quantità di calorie assunte per prevenire sovrappeso e obesità.

- Il consumo di frutta, verdura, legumi, noci, pesce, cibi integrali a base di cereali dovrebbe essere incoraggiato.

- L’attenzione alla qualità dei grassi utilizzati è tra i fondamenti sia del modello mediterraneo che delle raccomandazioni. Gli alimenti ricchi di acidi grassi trans dovrebbero essere totalmente evitati; i cibi ricchi di acidi grassi saturi (oli tropicali, carne grassa o trasformata, dolci, panna, burro e formaggio normale) dovrebbero essere sostituiti con gli alimenti di cui sopra e con grassi monoinsaturi (olio extra vergine di oliva) e polinsaturi (oli vegetali non tropicali), al fine di mantenere l'assunzione di acidi grassi saturi inferiore al 10% (inferiore al 7% se in presenza di valori elevati di colesterolo plasmatico). Importanti risultati sono stati ottenuti in uno studio condotto su soggetti ad alto rischio di malattie cardiovascolari, in cui è stato confrontato un regime dietetico mediterraneo integrato con olio extravergine di oliva o con noci rispetto ad una dieta di controllo a basso contenuto di grassi.

In entrambi i gruppi che avevano seguito la dieta mediterranea si è assistito, dopo 4,8 anni di follow-up, ad una riduzione più marcata del tasso di eventi cardiovascolari e dello sviluppo di sindrome metabolica, rispetto al gruppo di controllo. I numerosi composti bioattivi contenuti nell’olio extravergine di oliva, quali oleuropeina, pinoresinolo, idrossitirosolo e tirosolo, sembrano essere responsabili della modulazione di alcuni marcatori di infiammazione come la proteina C-reattiva, IL-6 e quelli relativi alla funzione endoteliale.

Inoltre, i polifenoli dell’olio extravergine di oliva sono in grado di ridurre l’espressione di geni che producono molecole pro-infiammatorie quali MCP-1 e CAT. Inoltre, sia in soggetti sani che in pazienti con dislipidemia, è stato osservato un miglioramento sia per quanto riguarda la pressione arteriosa che i livelli di colesterolo sierico, con la riduzione di LDL colesterolo e l’aumento di HDL colesterolo.

- L'assunzione di sale deve essere ridotta a meno di 5 g/die, evitando il sale da cucina, limitando il sale durante la cottura e scegliendo cibi non salati freschi o congelati; molti alimenti trasformati e pronti, compreso il pane, sono ricchi di sale.

- A chi beve alcolici va consigliata moderazione (meno di 10 g/die, sia per gli uomini che per le donne), mentre i soggetti con ipertrigliceridemia dovrebbero evitare l’alcol. La Dieta mediterranea consiglia un consumo moderato di vino rosso, in quanto ne riconosce proprietà benefiche dovute principalmente alla presenza di composti polifenolici ad azione antiossidante. Tuttavia un eccessivo consumo di alcol è associato a un rischio più elevato di ictus, malattia coronarica, insufficienza cardiaca e berne oltre il limite raccomandato riduce l’aspettativa di vita.

- L'assunzione di bevande e alimenti con zuccheri aggiunti deve essere scoraggiata, soprattutto nelle persone in sovrappeso, con ipertrigliceridemia, sindrome metabolica o diabete.

DAL TALENTO ALLA COMPETENZA: PERCHÉ LA FORMAZIONE È IL

FUTURO DELLA PIZZA

di Enrico Bonardo, Direttore commerciale e marketing di Scuola Italiana Pizzaioli

Nel mondo della pizza, la passione, la tradizione e la creatività sono spesso celebrate come gli ingredienti principali del successo. Tuttavia, se da un lato l’estro e l’esperienza sul campo sono fondamentali, dall’altro l’alta percentuale d’improvvisazione può trasformarsi in un limite per il settore. Oggi più che mai, la figura del pizzaiolo non può prescindere da una formazione solida e continua, perché la qualità del prodotto finale dipende non solo dalla scelta delle materie prime, ma anche dalla conoscenza approfondita dei processi di lavorazione, dalle tecniche di fermentazione e maturazione dell’impasto fino alla gestione ottimale della farcitura e cottura. L’evoluzione del settore richiede infatti una specializzazione sempre più marcata. Le sfide del futuro, dalla sostenibilità ambientale alla gestione economica del laboratorio, impongono agli operatori una preparazione che vada oltre il semplice saper stendere un impasto o condire una pizza. Saper selezionare farine adeguate, gestire i costi energetici, ottimizzare gli sprechi e padroneggiare le tecnologie più avanzate sono oggi competenze imprescindibili per chi vuole distinguersi in un mercato sempre più competitivo. In questo scenario, la formazione non è solo un valore aggiunto, ma una necessità per garantire qualità, efficienza e competitività. Investire nella crescita professionale significa non solo migliorare il prodotto, ma anche valorizzare il mestiere del pizzaiolo, rendendolo sempre più una figura di riferimento nella ristorazione contemporanea. Chi lavora con la pizza non può più affidarsi al fato: è il momento di alzare l’asticella e riconoscere che, per affrontare il futuro, servono conoscenze, metodo e aggiornamento costante. La pizza è cultura, tecnica e ricerca. E solo chi saprà coniugare tradizione e innovazione, talento e formazione, potrà davvero fare la differenza.

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- L'attività fisica dovrebbe essere favorita, mirando ad un regolare esercizio fisico quotidiano di almeno 30 minuti.

- L'uso e l'esposizione ai prodotti del tabacco dovrebbero essere evitati.

Altro punto cardine è il consumo giornaliero di frutta, verdura e cereali integrali, e solo un consumo occasionale di alimenti derivati da farine raffinate o contenenti zuccheri aggiunti, quali dolci e bevande zuccherate, per prevenire lo sviluppo di diabete e insulino-resistenza. Le linee guida si rifanno al modello mediterraneo anche per quanto riguarda il consumo di carne, suggerendo una riduzione del consumo soprattutto di carni rosse e lavorate. L’apporto di proteine dovrebbe, infatti, derivare per lo più da alimenti vegetali, quali legumi e frutta secca. Diminuendo il consumo di carni lavorate, inoltre, viene ridotto anche l’apporto di sale con la dieta, e di conseguenza il rischio di ipertensione. È stato dimostrato che l’aderenza a questo regime dietetico è inversamente correlata alla mortalità per cardiopatia e a un minor rischio di infarto miocardico, bypass coronarico e altre malattie cardiovascolari.

La Dieta Mediterranea è il modello alimentare più indicato nella prevenzione di malattie cardiovascolari, neurodegenerative e oncologiche. Ciò è dovuto non solo alla qualità e alle proprietà nutraceutiche degli alimenti che la caratterizzano, ma al concetto che non si tratta semplicemente di un regime dietetico ma di uno stile di vita. Purtroppo, la maggiore disponibilità e varietà di cibo ha modificato e scavalcato il modello originario della Dieta Mediterranea. Una maggiore sensibilizzazione e informazione a partire dalle fasce più giovani della popolazione, potrebbe diffondere nuovamente i principi della Dieta Mediterranea, attuando un importante intervento di prevenzione di numerose malattie.

Lunga maturazione dell’impasto =

Innanzitutto, che cos’è la lievitazione? E, quindi, che cos'è la maturazione?

La lievitazione, per definizione, è il processo attraverso il quale un impasto, solitamente a base di farina ed acqua, aumenta di volume grazie alla produzione di gas, principalmente anidride carbonica. Questo avviene grazie all'azione di lieviti o agenti lievitanti, che fermentano gli zuccheri presenti nell'impasto. Durante la lievitazione, il gas prodotto si intrappola nella rete di glutine dell'impasto, facendolo gonfiare, rendendolo, così, soffice e leggero. È un passaggio fondamentale nella preparazione di pane, pizza e molti altri prodotti da forno.

La maturazione (termine improprio), dell'impasto, invece per definizione, è un processo nella panificazione che consente di migliorare le caratteristiche organolettiche e strutturali di un impasto. Durante la maturazione, l'impasto riposa e subisce una serie di cambiamenti chimici e fisici e la trasformazione degli amidi in zuccheri semplici avviene principalmente solo a carico dell'amido danneggiato, che è più suscettibile, durante l’impastamento, a temperatura ambiente, all'azione degli enzimi come le amilasi.

L'amido intatto, che costituisce la maggior parte della farina, NON subisce una significativa scomposizione durante la maturazione a temperatura ambiente. In questo tempo, quindi, gli enzimi presenti nella farina iniziano a scomporre gli amidi danneggiati in zuccheri più semplici, mentre le proteine del glutine si sviluppano, conferendo all'impasto una migliore elasticità e tenuta. Quindi, per essere precisi, la scomposizione degli amidi in zuccheri semplici durante la maturazione è limitata e riguarda principalmente solo l'amido danneggiato, che può essere presente a causa del processo di macinazione della farina.

Questi zuccheri semplici sono, poi, utilizzati dai lieviti durante la fermentazione. La maturazione, a seconda della tipologia di farina che si usa, migliora quindi, la consistenza e la struttura dei panificati, ma contribuisce anche a sviluppare sapori più complessi ed aromatici grazie ai metaboliti che si formano durante la fermentazione. In ragione del concetto di scientificità, è doveroso sottolineare che il termine "maturazione" è utilizzato in modo impreciso in contesti come quello della pizza. In realtà, quando si parla di impasto per pizza, è più corretto riferirsi alla "fermentazione prolungata" dell'impasto.

La fermentazione, dunque, è il processo in cui i lieviti ed i batteri presenti nell'impasto trasformano gli zuccheri in anidride carbonica, alcol ed altri metaboliti, contribuendo a sviluppare la struttura ed il sapore dell'impasto. Una fermentazione prolungata consente una maggiore complessità dei sapori, mentre la maturazione è un termine più generale che può riferirsi a vari processi di sviluppo dei cibi.

Quindi, per una comunicazione più precisa e tecnica, a mio avviso, è preferibile utilizzare "fermentazione prolungata" quando si parla dell'impasto della pizza.

Ed invece la digeribilità, cos'è?

La digeribilità è un termine che si riferisce alla capacità di un alimento di essere scomposto ed assimilato dal sistema digestivo. In ambito medico e nutrizionale, la digeribilità di un alimento dipende da diversi fattori, tra cui la sua composizione chimica, la presenza di nutrienti, la struttura fisica ed il modo in cui è stato preparato e cucinato.

Alimenti con alta digeribilità sono quelli che vengono facilmente degradati dagli enzimi digestivi ed assorbiti dall'organismo, fornendo così energia e nutrienti in modo efficace. Al contrario, alimenti con bassa digeribilità possono richiedere più tempo e sforzo per essere digeriti, e possono portare a problemi digestivi oppure ad una minore assimilazione di nutrienti. La digeribilità, dunque, si riferisce alla facilità con cui un alimento può essere scomposto ed assorbito dal nostro organismo durante il processo di digestione. In altre parole, un alimento è più digeribile se i suoi nutrienti come carboidrati, proteine, grassi, possono essere rapidamente ed efficacemente scissi in molecole più piccole, che il nostro corpo può assorbire e utilizzare.

La digeribilità dipende da diversi fattori, tra cui:

Composizione chimica dell'alimento: Alcuni alimenti sono più facili da digerire di altri. Ad esempio, gli alimenti ricchi di fibre come verdure e cereali integrali possono essere più difficili da digerire rispetto a quelli privi di fibre, poiché le fibre non vengono digerite completamente dal nostro organismo.

Trattamento dell'alimento: I processi di cottura, fermentazione o raffinazione possono influire sulla digeribilità di un alimento.

Per esempio, la cottura dei legumi rende le proteine più accessibili e la digestione più facile, mentre l'amido diventa più digeribile una volta gelatinizzato e, ciò accade durante la cottura.

Presenza di antinutrienti: Alcuni alimenti contengono sostanze che possono interferire con la digestione, come i fitati nei cereali integrali oppure i tannini in alcuni vegetali. Questi composti possono legarsi ai minerali e ridurre la loro biodisponibilità, rendendo l'alimento meno digeribile.

Struttura fisica dell'alimento: La forma e la consistenza dell'alimento influenzano anche la sua digeribilità.

Ad esempio, cibi più morbidi o finemente tritati sono generalmente più facili da digerire rispetto a quelli più duri o fibrosi.

Salute del sistema digestivo: La digeribilità dipende, soprattutto, dal funzionamento del nostro sistema digestivo. Se una persona ha problemi digestivi (intolleranze alimentari, malattie gastrointestinali, disbiosi intestinali, ecc.), potrebbe avere difficoltà a digerire alcuni alimenti.

In sintesi, la digeribilità di un alimento rappresenta quanto efficacemente il nostro corpo è in grado di scomporlo e assorbirne i nutrienti. Alimenti più digeribili forniscono energia e nutrienti più rapidamente, mentre quelli meno digeribili possono richiedere più tempo e risorse per essere completamente processati dal nostro organismo.

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In sintesi, "digerire" è il processo con cui il corpo trasforma il cibo che ingeriamo in componenti che può utilizzare per alimentare il nostro organismo e mantenerlo sano.

Riportando il concetto di digeribilità sull’impasto, sapendo che la farina contiene il 70 -75 % di amido e il 15% di proteine, andiamo a valutare cosa accade alla struttura amidacea piuttosto che a quella proteica. Il fatto che, ovunque, da tutti, viene riportato che aumentando le ore di maturazione provoca un miglioramento nella digeribilità dell’impasto

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è un concetto che, purtroppo, NON trova riscontro scientifico.

LLa digeribilità ben poco a che fare con la maturazione, se non in minima parte. Per rigor di logica, facciamo degli esempi per chiarire il concetto. Quando mangiamo una torta, fatta ovviamente con farina, acqua e lievito, qualcuno dice mai che l’impasto non è maturato e quindi non è digeribile? O che bisogna lasciarlo in frigo per 72 ore? Od ancora qualcuno si lamenta mai di quando mangia una piadina che non è né lievitata, né tantomeno maturata che non riesce a digerirla? Od ancora quando si mangia un piatto di pasta che non è né lievitata né maturata si sente dire che non è digeribile? Lo stesso discorso vale per la focaccia di Recco. La sensazione di digeribilità o meno dipende da numerosi fattori, prima tra tutti la quantità che si mangia, la qualità e, non in ultimo, la modalità di cottura

a Linea Dori nasce nel 1950, fondata da Cesare Dori. Ha una storia romantica che profuma di pane e di legno, che affonda le sue origini in una piccola bottega artigiana nel centro storico Roma, dove ogni pezzo veniva realizzato a mano con legni selezionati e stagionati. Fabio Dori, figlio di Cesare, amando il lavoro del padre, ha portato avanti la sua piccola bottega trasformandola in un’azienda. La Linea Dori, ad oggi, è leader nella progettazione e produzione di attrezzature professionali per panifici e pizzerie. Tali attrezzature, apprezzate in tutto il mondo per loro unicità, robustezza e funzionalità, vengono costruite con macchinari all’avanguardia nel rispetto di antiche tecniche di lavorazione, usando legnami che provengono da foreste ecosostenibili con programmi di rimboschimento. I suoi prodotti in legno vengono

realizzati esclusivamente con legnami non trattati chimicamente e la lavorazione viene effettuata senza l’uso di colle, o qualsiasi altro prodotto nocivo che venga a contatto con gli alimenti. I prodotti dedicati all’infornamento sono accompagnati da certificato di idoneità. Inoltre, tutti gli articoli destinati ad entrare in contatto con gli alimenti sono lavabili a mano, grazie alla finitura alimentare certificata con cui vengono trattati. La Linea Dori 3000 srl è in costante aggiornamento per tutte le esigenze degli operatori dell’Arte Bianca garantendo il massimo della professionalità con un prodotto certificato e idoneo alle normative vigenti, GMP e ISO9001. La sua missione è quella di migliorarsi sempre e di portare nel futuro la sua tradizione Made in Italy attraverso l’impegno della terza generazione, Fabiola e Camilla Dori.

CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA

Infatti, è proprio la cottura uno degli aspetti fondamentali da considerare rispetto alla digeribilità perché è proprio in cottura che cambia la conformazione dei granuli di amido dallo stato sol allo stato gel ed è proprio in questo stadio che gli enzimi ovvero le amilasi che abbiamo nel nostro sistema digerente possono attaccare, quindi digerire l’amido che è gelatinizzato. La struttura compatta dell’amido è impenetrabile, se non in piccolissima parte dagli enzimi fin quando non si raggiunge la temperatura di 60-70 °C, dove avviene la gelatinizzazione ovvero la scomposizione delle catene di amilosio ed amilopectina.

In nome di quella piccolissima parte di amido trasformato in zuccheri semplici, non possiamo parlare di aumento di digeribilità della pizza!

Discorso, simile, complesso e complicato vale, anche, quando si parla di tempo di "maturazione" in base alla forza della farina. Si rimanda, però, la discussione nelle opportune sedi lavorative e di formazione.

Dunque, cosa è successo?

Perché tanta confusione?

Possiamo ipotizzare che quello che è accaduto è che il cibo, il mondo food, negli ultimi anni ha avuto un picco di notorietà clamoroso, sono iniziati, infatti, i programmi più disparati in TV ed i social che vanno a mille hanno ancor di più amplificato questo fenomeno.

Ed è proprio in questo scenario che anche il mondo pizza è stato tirato in ballo, il quale, però, contrariamente al mondo cucina, non era ancora pronto a sostenere questa notorietà anche dal punto di vista scientifico e delle competenze. I prodotti da forno, il pane, i lievitati,

la pizza per antonomasia sono stati da sempre prodotti del popolo, il cibo comune delle persone, un cibo a cui nessuno chiedeva esigenze particolari ma che di punto in bianco è andato alla ribalta ed è diventato dei e da vip.

Il problema è che gli operatori del campo, le cui competenze dal punto di vista chimico, fisico, scientifico erano e sono rimaste marginali perché semplicemente non erano richieste ed anche perché erano “mestieri” che si apprendevano sul campo, facendo esperienza. Però, visto il momento di notorietà,

vista la richiesta incredibile da parte delle persone e dei media, sono subito esplose mode, dicerie, luoghi comuni di ogni tipo che, però, spesso, si traducono in fake news. Qualcuno addirittura si è addentrato a costruire con molta fantasia tabelle dalle quali si desume il tempo necessario per arrivare ad una giusta maturazione in base alle caratteristiche reologiche di una farina. Fortunatamente, poco a poco stiamo entrando nella fase di approfondimento sia scientifico che di competenze, grazie anche alle Scuole di Alta Formazione specifiche del settore che si avvalgono di professionisti che possono, appunto, con i propri contributi conoscitivi, contribuire alla crescita professionale, con dovizie di particolari scientifici, di tutti gli operatori del mondo della pizza. La mia non vuole essere una critica, anzi direi che era ora che se ne parlasse, a testimonianza del fatto di come il mondo dell’Arte bianca è estremamente attento sia alle tendenze, alle innovazioni, agli aggiornamenti del mercato che alla salute del consumatore nonché alla divulgazione corretta dell’informazione scientifica vera, non figlia del business e marketing aziendale, senza dimenticare che non a caso l'arte del pizzajuolo napoletano è stata riconosciuta patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco.

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Broccoli e carciofi, i re della primavera

Appartenenti alla famiglia della Brassica oleracea, i broccoli sono una delle verdure più versatili in cucina e, se certamente due sono gli esponenti della famiglia a rubare la scena, ci sono altre tipologie che meritano di essere conosciute e assaggiate. Bisogna però partire dai due più illustri rappresentanti: il broccolo ramoso e quello romanesco. Del primo, il nome è intuitivo e si deve alle infiorescenze laterali, che una volta tagliate diventano protagonisti di una serie di piatti golosissimi, in grado di attraversare da nord a sud tutta l’Italia. Il secondo, il

romanesco, non necessita nemmeno di presentazioni: questo capolavoro di matematica e geometria (chi vuole fare bella figura può citare Fibonacci, il matematico che individuò la sezione aurea: proprio la sezione aurea e la forma piramidale e a frattale del broccolo sono un esempio della genialità della natura) ha consistenza inconfondibile e sapore dolce, per una versatilità che ci fa dimenticare la sua appartenenza alla famiglia delle verdure. Ora che le due primedonne sono state menzionate, vale la pena fare un viaggio regionale per conoscere altre varietà.

Broccolo fiolaro di Creazzo

Tipico del Veneto, è un Pat della Provincia di Vicenza, coltivato sulle colline che sorgono intorno a Creazzo. Deve il nome alla presenza, lungo il fusto, di infiorescenze che in dialetto sono chiamate fioi ovvero figli. Si raccoglie da novembre a febbraio e la coltivazione risale agli antichi romani: già Catone il Vecchio ne parla, riconoscendo alla pianta proprietà medicamentose. Pare addirittura che Goethe nel 1786 ebbe modo di ammirarne delle ceste, rimanendone colpito. Nel 1800 secolo ne erano coltivate 150.000 piante ma, progressivamente, si è assistito a una contrazione della produzione. Negli ultimi decenni è ricomparso sulle tavole dei vicentini, visto anche l’interesse dei ristoratori.

Broccolo di Custoza

Presidio Slow Food del Veneto, è broccoletto molto particolare: ha dimensioni mediopiccole con foglia lunga, espansa e sottile, una nervatura centrale non filamentosa e rami laterali appena abbozzati. La peculiarità sta nel fatto che sviluppa un piccolo cuore centrale di foglie: al momento della raccolta si eliminano solo le foglie basali grossolane e con 5 cespi (secondo la tradizione locale) si confezionano i mazzi pronti per la vendita. Si mangia tutto il cespo compresa la costola: il gusto è inconfondibile, molto delicato e leggermente dolce.

Broccolo di Torbole

Siamo in Trentino-Alto Adige e la possibilità di avere dei broccoli anche a pochi chilometri dalle montagne innevate si deve a due fattori: la vicinanza del lago di Garda e il Pelèr, vento proveniente del Nord-Est, che crea un microclima ideale negli orti di Torbole e Linfano, sulla sponda trentina. Un abbinamento che consente un lieve innalzamento della temperatura sufficiente a evitare la formazione di brina. Il broccolo di Torbole ha un’infiorescenza simile ad una palla, di colore giallognolo. Il broccolo, o meglio, “la brocola”, come dicono da quelle parti, è piccola: circa 400-500 gr di peso, anche se si possono mangiare pure le foglie più interne.

Broccolo aprilatico di Paternopoli

Presidio Slow Food della Campania. Il territorio di Paternopoli è da secoli legato alla tradizione delle coltivazioni orticole legata alla fertilità del suolo derivante dalle numerose sorgenti d’acqua. La qualità degli ortaggi superava i confini regionali per arrivare fino a Roma.

L’aprilatico è broccolo primaverile dal colore verde scuro intenso e cime croccanti da crude, che diventano succose e gradevoli dopo la cottura. La raccolta avviene a primavera: la pianta, però, deve aver sviluppato uno scapo fiorale abbastanza grande che viene tagliato in modo da permettere la crescita dei ricacci a lato. Ad essere raccolte sono proprio queste cimette laterali, che devono essere prese quando ancora il fiore è chiuso. La raccolta è manuale, prendendo gli scapi e parte delle foglie, le più tenere e formando dei mazzi. È un ottimo ingrediente per primi piatti di pasta fatta in casa, per il pancotto o come semplice contorno abbinato alla carne di maiale.

Mùgnulo

Andiamo in Campania, Puglia e Abruzzo per un ortaggio chiamato anche “cavolo povero” che è di fatto un cavolo broccolo anche se molto simile alla cima di rapa. Presenta infatti un’infiorescenza molto più piccola e meno compatta mentre i fiori sono di colore bianco, più grandi rispetto a quelli del cavolo broccolo. La raccolta inizia in un periodo compreso fra la metà di novembre e marzo/aprile: si tagliano le infiorescenze che si formano, prelevando le “spuntature”. In Campania, dove la Regione ha inserito il mugnulo nell’elenco dei Pat, si coltiva nelle provincie di Napoli e Caserta; in Abruzzo a Pettorano sul Gizio, in provincia dell’Aquila e, in Puglia, è il Salento con Lecce a rappresentare la terra d’elezione.

Si consuma la parte costituita dell’infiorescenza con una porzione di stelo, sul quale ci sono le foglie tenere che si mangiano ugualmente: il sapore è dolciastro e l’aroma inconfondibile.

Le denominazioni dialettali sono un campionario: mùgnulu (Galatina), spuntature leccesi (Lecce), còvulu povareddhu o pezzenti (Alessano), càulu paesanu (Diso), còvulu scattunaru o brocculeddhi (Tricase), pezzenteddhi (Martano), càulu a campanella (Alezio). Nella cucina popolare leccese sono molte le ricette tradizionali che lo vedono protagonista, su tutti la “massa e cauli”, una minestra molto saporita tipica della città di Otranto. e la “trya cu li mùgnuli”, una specie di tagliatella fatta da acqua e farina.

Sparacello

Si tratta di una varietà tipica sicilianapalermitana. Ha colore verde intenso, con grana grossolana e sapore dolciastro. La sua caratteristica principale è la rusticità. La pianta, in genere più alta rispetto alle altre varietà di cavolo broccoli, produce un elevato numero di ricacci laterali a scapito dell’infiorescenza principale. Eccellenza agroalimentare italiana moltiplicata in decine di varietà locali è il carciofo. L’Italia ne detiene il primato mondiale quanto a produzione e le zone di maggior coltivazione sono la Sicilia, la Sardegna e la Puglia. Derivato dal cardo selvatico, il carciofo è originario dal Vicino Oriente ed è stato introdotto in Italia dagli Arabi, al Centro-Sud e dai Veneziani per le coltivazioni presenti in laguna. Il nome ha origini arabe: si chiama harsûfa, poi in spagnolo alcachofa e, poi, appunto, carciofo. Le varietà che si coltivano in Italia possono essere classificate, in base alle caratteristiche agronomicocommerciali, in due grandi gruppi: uno autunnale, la cui produzione si estende in primavera fino a maggio, dopo una stasi invernale ed uno primaverile, da febbraio-marzo fino a maggio-giugno, coltivato nelle aree costiere dell’Italia centro-settentrionale. Tra le più di 90 varietà di carciofo coltivate nel mondo si distinguono le varietà spinose da quelle inermi, cioè senza spine. Qui di seguito ecco una carrellata regionale.

Carciofo Violetto di Sant'Erasmo

Prodotto di eccellenza dell’isola che viene da sempre considerata l’orto di VeneziaSant’Erasmo - il carciofo Violetto esprime tutta la ricchezza organolettica lagunare in una dolcezza ed in un sapore assolutamente peculiari. Tenero, carnoso, poco spinoso (meno di tutti gli altri carciofi italiani), di forma allungata, ha brattee di color violetto cupo che racchiudono un cuore dal gusto inconfondibile. I primi carciofi, raccolti all’inizio di aprile si chiamano castraure e sono il frutto apicale della pianta, che viene raccolto per primo per permettere lo sviluppo di altri 18-20 carciofi laterali. Rarità richiestissima, le castraure hanno un gusto originale leggermente amarognolo e sono molto versatili in cucina, oltre che dall’inestimabile valore organolettico.

Carciofo Brindisino IGP

Eccellenza pugliese nota sin dalla prima metà del 1700 (nel 1773 l’Abate Vincenzo Corrado, di Oria, riporta una quindicina di ricette in cui è presente), il carciofo brindisino si distingue per la particolare tenerezza e sapidità dei capolini, legate alla quantità di potassio presente nel terreno e alla conformazione tufacea del litorale adriatico.

Ha brattee compatte, carnose e tenere e un sapore dolce che lo rendono apprezzato anche per il consumo crudo. La zona di produzione comprende i comuni di Brindisi, Cellino San Marco, Mesagne, San Donaci, San Pietro Vernotico, Torchiarolo, San Vito dei Normanni e Carovigno. La raccolta inizia dal 1° novembre e termina il 30 maggio dell’anno successivo, secondo disciplinare.

Carciofo di Paestum

Prodotto in molti comuni della provincia di Salerno, proviene dal gruppo dei carciofi di tipo Romanesco, ma ne differisce per precocità: è infatti presente sul mercato già dal mese di febbraio. Ha capolini teneri e delicati, così come le brattee. Tondo, compatto e senza spine, ha pezzatura grossa, forma sub-sferica e sapore gradevole. Da documenti statistici del Regno di Napoli, si scopre che il carciofo era presente in zona sin dal XIX secolo: è tuttavia attorno agli anni ’30 del ‘900 che lo sviluppo della coltura si fa più significativo, in seguito alle opere di bonifica e di trasformazione agraria. In cucina è ghiottissimo sia trasformato in crema che come ripieno di pasticci.

Carciofo

Romanesco IGP

È la mammola, uno dei tipi più noti tra le varietà italiane. Ha forma sferica, compatta ed è privo di spine: le brattee esterne hanno colore verde con sfumature violette. Si raccoglie da febbraio a maggio e viene prodotto nelle provincie di Viterbo, Roma e Latina (i comuni sono Montalto di Castro, Canino, Tarquinia, Allumiere, Tolfa, Civitavecchia, Santa Marinella, Campagnano, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino, Roma, Lariano, Sezze, Priverno, Sermoneta, Pontinia).

A ogni creazione il suo momento.

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Cinque farine, cinque tempi di lievitazione, un’unica missione: trasformare ogni impasto in un capolavoro di gusto.

Conosciuto sin da epoca romana, il Romanesco si è adattato alle condizioni pedoclimatiche laziali aiutato anche dalle caratteristiche ottimali dei terreni dove viene coltivato. In cucina, è diventato uno degli ingredienti principe della cucina tipica romana: sicuramente il piatto che ne celebra al meglio carnosità e sapore sono i carciofi alla Giudia, di origine ebraica.

Carciofo Violetto di Toscana

Colore violetto e forma ovoidale, ha foglie molto scure all’esterno e quasi bianche all’interno. È una particolarità che trova corrispondenza anche nella consistenza delle brattee, molto dure e coriacee quelle esterne, decisamente tenere quelle interne. Nonostante sia apprezzato oltre i confini regionali, nel corso del tempo la superficie coltivata a carciofo violetto è diminuita.

Carciofo Spinoso di Sardegna DOP

Sapore gradevole, equilibrio tra amarognolo e dolciastro, colore verde con ampie sfumature violetto-brunastre, polpa tenera e brattee strettamente pressate le une alle altre: sono le caratteristiche del carciofo Spinoso di Sardegna. Prodotto in alcuni comuni delle province di Cagliari, CarboniaIglesias, Medio Campidano, Oristano, Nuoro, Ogliastra, Sassari, Olbia-Tempio è presente sull’isola da secoli. Testimonianze scritte si ritrovano già nella seconda metà del XVIII secolo mentre è con i primi decenni del ‘900 che il carciofo dell’isola vive il passaggio fondamentale da autoconsumo a sguardo verso i mercati nazionali e internazionali, che determinano la sua notorietà anche fuori dalla Sardegna. La raccolta va dal 1° settembre al 31 maggio. In cucina, è tradizionale la cottura in umido, in olio evo, aglio, prezzemolo e timo. Arricchisce poi piatti di carni, ovine e caprine, minestre asciutte e di riso e zuppe. Ottimo, infine, sott’olio.

Carciofo spinoso di Albenga

Noto anche come il violetto spinoso della Liguria, vede il suo habitat ideale nei terreni collinari o pianeggianti, dal clima mite; non sopporta gli sbalzi di temperatura, che compromettono la nascita dei frutti. Si raccoglie da inizio novembre fino a fine maggio. Ha capolino con forma conica, foglie esterne acquerellate di verde scuro con sfumature violacee e spine giallastre. Rispetto al sardo è meno fibroso e ha sapore più delicato: estremamente tenere, croccanti e dolci le foglie, che lo fanno apprezzare ancor più se consumato crudo.

Carciofo spinoso di Menfi

Se ne ha notizia dall’‘800, quando il terreno dedicato si estendeva al tempo dal fiume Carboj all’attuale Riserva naturale Foce del Belìce, territorio fertilissimo. È una varietà autunnale, dalle brattee verdi con sfumature violette. La sua particolarità sono le grandi spine dorate per le quali in passato era conosciuto anche con il nome di “spinello”. Aromatico, croccante e delicato è molto ricercato per la cottura alla brace e per la produzione di sott’oli, caponate e paté. La raccolta va dalla fine di novembre fino alla fine di aprile: la data che chiude la stagione è tradizionalmente è il primo maggio, quando i menfitani si ritrovano in campagna per arrostire gli ultimi carciofi rimasti su braci di potature di olivo o olivo.

IN RICORDO DI

UMBERTO FORNITO

Umberto, questo è stato l’ultimo tuo post, quello dedicato al nostro amatissimo Campionato, poi il nulla.

Purtroppo quest’anno non ho potuto fare la solita telefonata e sentire la tua amicale esclamazione “Dottoressaaa..che piacere!” per metterci d’accordo su dove e a che ora vederci per salire a Parma.

Era diventato un bel rito sia il nostro viaggio per Parma nella tua auto che profumava di pastiera e sfogliatelle appena sfornate, sia condividerle con il gruppo di amici giudici, in albergo dopo aver finito gli ultimi preparativi per le gare: per questo ogni anno facevi davvero di tutto per non mancare a quell’appuntamento e non deludere nessuno.

Eravamo felici di raccontarci e tu mi aggiornavi sulla miriade di vicissitudini del mondo Pizza che erano accadute in un anno, sui tuoi viaggi a Las Vegas, in ogni parte d’Italia, mi parlavi di tantissime manifestazioni a cui partecipavi, dove emergeva sempre il tuo ruolo di supporto per i più giovani che si affacciavano a quest’arte, dove esprimevi la tua esperienza aiutando i concorrenti, in veste di giudice ai forni, a superare i momenti di emozione e puntualmente mi aggiornavi, anche, sull’ennesimo tuo riconoscimento… li avevi tutti! fino ad arrivare ad essere Cavaliere…ne parlavi con tanto orgoglio e fierezza. Lo stesso orgoglio che ti ha spinto a raggiungere con tanti sacrifici le vette dei campioni. Sei una grande perdita per il mondo pizza. Ci hai lasciati, creando sgomento in tutte le persone che ti conoscevano…il mondo.

Si dice di te:

“Il grande maestro pizzaiolo ha dato lustro a Frattamaggiore sua terra natale, alla Campania sua amata regione ed all’Italia intera, con la conquista di numerosi trofei nel campo di gare, tornei e campionati dedicati alla pizza sia in campo nazionale che internazionale e mondiale, portandolo ad essere il super campione a Las Vegas.

“Fornito, era benvoluto da tutti per le sue indiscusse capacità professionali, ma era anche tanto noto a tutti ed amato da tutti per essere sempre stato un vero galantuomo, una persona veramente per bene, con un grande cuore, pronto a prodigarsi per tutti, un vero, sincero e caro amico di tanti.”

“Nella sua vita ha portato sempre nel cuore la pizza e l’arte che appresa dai suoi genitori, era pronto a trasmettere ai giovani con la volontà ed il desiderio che quest’arte potesse continuare nei secoli.”

“ Fornito, nonostante i tanti titoli di campione mondiale vinti in varie categorie di pizza che avrebbero potuto appagarlo nei suoi desideri, ha continuato a scendere in campo per gareggiare e sfidarsi con altri campioni con la sola finalità di confrontarsi per migliorarsi e far migliorare” .

“Negli ultimi tempi, il maestro Umberto è stato sempre chiamato, con grande interesse da parte di organizzatori di importanti campionati di pizza, al fine dell’avere in giuria una persona veramente qualificata ed assolutamente imparziale, in merito al giudizio espresso nei confronti dei concorrenti in gara.”

“Sempre con il sorriso sulle labbra, lo riconoscevi subito Umberto Fornito. Decano dei Maestri pizzaioli, quelli veri di un tempo ormai alle spalle, capace di insegnare a frotte di giovani con semplicità.”

“Persona e personaggio, che non è facile esserlo in un sol colpo, con le sue mise stravaganti ma solari perché c’era un nuovo giorno da vivere e da raccontare.”

Nello scrivere questo articolo non riesco a convincermi come si debba essere costretti, ora, a darti l’ultimo saluto, anche se, sicuramente, ti farà piacere che si parli di te perché dicevi sempre “ io ci credo a queste cose”.

Lo faccio con un motto che recitavi spesso:

“adda passà a nuttat, finché c’è vita c’è speranza, altrimenti ci sta l'aereo pronto per andare più lontano”.

Ti ricorderemo sempre con il tuo sorriso, con la voglia di fare, di proporre, con quello spirito pieno di energia e solarità. La vita, imprevedibile e bizzarra, ti ha voluto tra gli angeli…..anzi troverai amici come Tony Losito, Abramo, Elmo, Carlo che ti daranno un altro titolo: Presidente del Campionato Celeste della Pizza 2025.

CIAO UMBÈ.

PIZZA E PASTA: IL 2025, ANNO DI HOST MILANO,

SEGNA L’EVOLUZIONE FRA TRADIZIONE E NUOVE TENDENZE

Dalla cottura geotermica agli impasti arricchiti con alghe e novel food, il 2025 si preannuncia come un anno di sperimentazione senza precedenti per il mondo della pizza e della pasta. Mentre cresce la ricerca di ingredienti funzionali per impasti più nutrienti e sostenibili, le nuove tecnologie di cottura puntano a ridurre il consumo energetico, con forni che sfruttano fonti di calore alternative e sistemi di recupero termico. Questo il 2025 della pizza e della pasta che emerge dalle analisi dell’Osservatorio di Host 2025.

Secondo Coldiretti, il consumo pro capite di pasta in Italia ha raggiunto i 23,5 kg annui, mentre a livello globale si registra una crescita del 2,5% l’anno, con gli Stati Uniti e la Germania tra i mercati in più rapida espansione. Nel settore della pizza, invece, dati di Cna Agroalimentare confermano che il comparto vale oltre 15 miliardi di euro, con un aumento delle varianti ad alta idratazione e lunghe maturazioni.

Un mondo, quello della pizza, in cui la sperimentazione è sempre più spinta: con farine evolute, fermentazioni innovative e topping ispirati alla cucina fine dining. Tecnologie come i forni a controllo digitale permettono di ottenere una cottura precisa e uniforme, garantendo al contempo una maggiore sostenibilità nei processi produttivi.

Quali le tendenze chiave del 2025? Secondo l’Osservatorio, in pizzeria si assisterà a una crescita nell’utilizzo di impasti fermentati con lieviti naturali per una maggiore digeribilità e fragranza. Nella pasta, invece, prenderanno piede le varietà a base di legumi e cereali alternativi, per rispondere alla crescente domanda di prodotti proteici e gluten-free.

A Host 2025, dal 17 al 21 ottobre a Fiera Milano - Rho, il mondo della pizza e della pasta sarà nuovamente sotto i riflettori con rinnovato MIPPP – Milano Pane Pizza Pasta. Il format che vede quest’anno la partnership con il Consorzio SIPAN, offrirà una vetrina esclusiva sulle migliori innovazioni di settore, con dimostrazioni live, talk e show-cooking. Tra gli appuntamenti da non perdere, il Panettone World Championship 2025 e con gli show-cooking di A.P.Pa.Fre.Associazione Produttori Pasta Fresca della Piccola e Media Impresa.

Così Andrea Gaibazzi, Presidente del Consorzio SIPAN, riassume le tre ragioni principali per cui i professionisti dell’Arte Bianca non possono perdersi MIPPP e Host 2025: “Il ritorno dell’Italia al centro della scena internazionale delle manifestazioni bakery, la possibilità di esplorare nuove ibridazioni e tendenze di mercato, e l’opportunità di approfondire tematiche normative e stili di consumo. In sintesi, Host 2025 non sarà solo una vetrina per le tecnologie e i prodotti più avanzati, ma anche un forum per scambiare idee e definire il futuro del settore”

HOST 2025, ORGANIZZATA

DA FIERA MILANO, SI TERRÀ A FIERA MILANO – RHO

DAL 17 AL 21 OTTOBRE.

Per informazioni aggiornate: host. fieramilano.it; @HostMilano.

fieramilano 17-21

OTTOBRE 2025

La recensione del mese

Per segnalazioni, potete scrivere all’indirizzo redazione@pizzaepastaitaliana.it

Il commento del locale

La recensione

“Locale curato ed accogliente. Servizio attento e cortese. Menù di assoluta qualità con piatti tradizionali rivisitati. Tutto ci ha lasciato a bocca aperta. Non ultima la pastiera al bicchiere. Giusto rapporto qualità/prezzo. Ci torneremo di sicuro. Consigliato”.

Recensione lasciata su Tripadvisor nel mese di marzo 2025, per il ristorante “La Riviera di Parthenope – dal 2017”, Napoli.

a cura di N.C.

“Le nostre tradizioni indossano un nuovo vestito, le proponiamo in chiave moderna ma senza cambiare i sapori. Uno dei piatti che rivisitiamo è il baccalà in cassuola, che tradizionalmente viene prima fritto e poi passato in padella con un sughetto di pomodorino fresco, olive e capperi. In chiave moderna lo riproponiamo semplicemente cambiando le consistenze. Il baccalà lo friggiamo ma panato nel panko, così da aumentare la croccantezza, facciamo una crema di pomodorini e aggiungiamo paté di olive e polvere di capperi. C’è l’innovazione ma senza fondamentalmente cambiare nulla. I sapori restano gli stessi, li percepiamo tutti, semplicemente dando una nuova forma. Tradizione è ricordare i profumi nelle case delle nostre madri e nonne quando cucinavano”, commenta Lisa Esposito, chef e proprietaria de “La Riviera di Parthenope”.

La nostra riflessione

Un concetto chiaro: modernizzare senza snaturare. Si può innovare rispettando la memoria del piatto, senza perdere i profumi e i sapori che lo rendono speciale. Il suo approccio è una sintesi tra passato e presente, dove la sperimentazione non stravolge, ma esalta ciò che già funziona.

"Tradizione" e "innovazione": negli ultimi anni non si parla d’altro. Nella recensione scelta per questo mese, si parla di “piatti tradizionali rivisitati” e la domanda sorge spontanea: fino a che punto si può considerare autentico un piatto reinterpretato?

"Tradizione" viene dal latino tradere, che significa "consegnare". Si tratta di tramandare, di generazione in generazione, il sapere che ci è stato dato, nel caso specifico: i piatti che ci riportano a momenti vissuti, a ricordi familiari e legami profondi. Dietro a ognuno di essi, si nascondono storie che affondano nelle radici di una cultura. “Gastronomicamente” parlando, è proprio questo il punto: trasmettere le ricette che raccontano chi siamo. È come se ogni piatto fosse un filo che collega il passato al presente, con un sapore che sa di casa, di ricordi, di nonne che impastano a mano o di sughi che cuociono lentamente, ore e ore, sul fuoco. Nella cucina napoletana, che vive di pietanze forti e radicate, per esempio, ogni ricetta è un piccolo pezzo di memoria, come “salsicce e friarielli”, la pizza, la classica zuppa di cozze o lo spaghetto con le vongole.

Eppure, la cucina è in continua trasformazione. Non possiamo fermare l’evoluzione dei gusti, delle tecniche e degli ingredienti. È qui che entra in gioco la creatività, una forza che spinge a guardare oltre e a proporre nuove versioni dei classici. Anche perché, nel mondo della ristorazione, è fondamentale distinguersi.

Solo che – ahimè – troppo spesso si sfocia nell’esagerazione. La domanda è: fino a che punto possiamo spingerci senza snaturare ciò che stiamo reinterpretando? È giusto innovare, come in tutte le cose, ma senza alterare troppo le radici di un piatto. La vera sfida sta nell’adattare i grandi classici al presente, mantenendo viva la loro identità. La nostra identità.

Prendiamo, ad esempio, un piatto come il baccalà: una preparazione che racconta il mare e la ricchezza dei sapori mediterranei. R ivisitarlo può essere interessante ma non possiamo certo trasformarlo in qualcosa di totalmente diverso. Cosa direbbe la nonna dell’aria o della spuma di baccalà?

Sicuramente non cose belle.

Sarebbe come dire che la friggitrice ad aria è una friggitrice per davvero.

L’innovazione, piuttosto, la si può mostrare nella presentazione, nell’eleganza, nel gioco di consistenze ma senza mai dimenticare ciò che rende speciale un piatto. Proprio come ha fatto la chef Lisa Esposito, con il suo baccalà in cassuola. Lo ha semplicemente esaltato, rendendolo più attuale e raffinato senza perdere l’essenza della ricetta originale. Le reinterpretazioni possono essere affascinanti ma c'è sempre il rischio di travolgere tutto con troppa sperimentazione, cancellando il senso originario del piatto. Se è vero che la cucina è in costante evoluzione, è altrettanto vero che non possiamo dimenticare da dove veniamo.

Insomma, il cambiamento è necessario, i tempi e i gusti evolvono, ma deve avvenire con rispetto. Non si tratta di stravolgere la storia ma di accentuarne la bellezza, renderla più interessante per le nuove generazioni. È quello che fanno chef come Lisa Esposito, trovando il modo di rendere la tradizione più attuale e accessibile, senza mai intaccarne l’anima. Perché la tradizione è ciò che ci fa sentire a casa, quella che racconta una storia e – come ogni storia – ha bisogno di essere rispettata, anche quando scegliamo di darle una nuova voce.

Citando Marino Niola, antropologo e giornalista: “La cucina ha una narrazione secolare alle spalle” e questo vale per ogni quartiere, città e paese nel mondo. “Per conoscere a fondo una città, bisogna mangiarla”, dice. Mai frase fu più vera. La cucina, pur evolvendosi, deve continuare a raccontare le sue radici: solo così potremo davvero comprendere la storia di ogni piatto, di ogni città, di ogni tradizione.

Il cinema in cucina

Ricette per chi ama i grandi film

Giulia Ceirano, 33 anni, è originaria di un piccolo paese in provincia di Cuneo. Ha una Laurea in Antropologia e Sociologia conseguita tra Torino e Parigi e un Master in storytelling alla Scuola Holden. Oggi è un’autrice e una content creator che si occupa di realtà a impatto sociale e ambientale positivo.

Viola Bartoli, illustratrice, un solo anno in meno di Giulia, vive e lavora tra Pesaro e Bologna. È dal loro incontro che nasce “Il cinema in cucina”.

Il libro celebra il legame inscindibile tra cibo e cinema, un viaggio unico tra le cucine dei film più iconici e i piatti che li hanno resi indimenticabili.

Se avete amato il comfort food di Kevin in “Mamma ho perso l’aereo” o siete fan sfegatat* del raffinato potage parmentier in “Julie & Julia”, magari accompagnato dal cocktail di Drugo ne “Il grande Lebowski”, sicuramente questo è il libro che fa per voi. La vostra cucina (e, soprattutto, quella dei vostri ristoranti), avrà infatti la possibilità di far vivere a voi e ai vostri ospiti il sogno di trovarsi un set cinematografico.

Tra aneddoti, curiosità storiche e fun fact legati ai film, ogni pagina è una finestra su storie memorabili e sapori straordinari.

Il libro non è, dunque, solo un invito a rivivere le emozioni di grandi pellicole attraverso il cibo ma anche un’ispirazione per nuove ricette: antipasti, primi e secondi piatti, dolci, cocktail, panini e qualche idea per la colazione; qui potrete trovare tutto quello che serve per una tavola piena di grandi storie.

Ogni ricetta si apre con una citazione dal film a cui il piatto è ispirato, accompagnata dalle illustrazioni di Viola Bartoli, che ha dato una forma tutta nuova ad alcuni dei fotogrammi più iconici della storia del cinema, immagini evocative che catturano la magia delle scene culinarie più famose del grande schermo.

I testi di Giulia Ceirano, delle vere e proprie pillole di antropologia e scienze sociali, regalano degli assaggi del film di cui è protagonista il piatto, attraverso curiosità dal set, pillole di

Quasi sempre, il cibo ha saputo essere simbolo, assumendo la forma di un’attenzione silenziosa, di una frase non pronunciata, di un amore finito o di uno che sta per iniziare.

Una lunga tavola apparecchiata diventa un’occasione di confronto familiare; una ricetta ben riuscita diventa il segno di una vita che può andare per il verso giusto; il cocktail al bancone di un albergo si trasforma in un’intima chiacchierata tra amici, mentre un piatto preparato con rancore diventa strumento di violenza e preludio di un futuro pericoloso.

A metà strada tra una guida culinaria e un omaggio alla settima arte, il libro propone 30 ricette cinematografiche, tutte da ripetere, più volte, come quando si gira la scena di un film.

Editore: Hoppipolla Edizioni

Prezzo di copertina: 25 euro

Pagine: 148

Anno di edizione: 2024

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