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Nella pancia del mostro Russell Means

Nella pancia del mostro

Russell Means

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Quello che segue è il testo del discorso che Russell Means (1939-2012), figura centrale dell'American Indian Movement, pronunciò il 20 settembre 1977 all'ONU di Ginevra, durante la prima conferenza internazionale che questo organismo dedicò ai problemi dei popoli indigeni. L'iniziativa, che si svolse dal 20 al 22 settembre, segnò una svolta radicale nella politica delle Nazioni Unite, fino ad allora sorde ai problemi indigeni.

9 Siamo venuti qui come un unico popolo per dirvi ancora una volta che da quando le nostre terre sono state invase noi abbiamo mostrato al mondo il rispetto reciproco che ci unisce. E oggi siamo ancora qui, come un solo popolo, per mostrare quel rispetto reciproco. Comunque io parlo a nome di un popolo che vive nella pancia del mostro. Questo mostro si chiama Stati Uniti d'America, e tutti i paesi dell'emisfero occidentale gravitano nella sua orbita. Non vengo a porgere l'altra guancia, perché la mia gente è stanca di porgere l'altra guancia. L'abbiamo fatto per quasi 500 anni, e oggi, a Ginevra, abbiamo per la prima volta la possibilità di far sentire la nostra voce a tutto il mondo.

Vogliamo parlare di diritti umani. Il presidente degli Stati Uniti, per farvi capire quanto è razzista, è capace di parlare di diritti umani quando la mia gente è sottoposta a un genocidio, non soltanto negli Stati Uniti, ma in tutto l'emisfero occidentale. Un genocidio pianificato dai governi. Abbiamo portato un'ampia documentazione che lo dimostra. Venticinque anni fa le Nazioni Unite hanno ospitato una conferenza sui diritti umani, e oggi, venticinque anni dopo, non è cambiato niente. Il mondo continua a parlare dell'America latina, del Sudafrica (all'epoca ancora soggetto all'apartheid, ndt), del Mediterraneo, insomma degli stessi problemi di sempre. La differenza è una sola. Venticinque anni fa quelli che venivano chiamati popoli tribali, come ora chiamano noi, i popoli tribali africani si rivolsero alle Nazioni Unite. Sono passati venticinque anni. L'unica cosa che è cambiata da allora è che ora qui ci sono altre tribù, stavolta provenienti dall'emisfero occidentale. E oggi ci rivolgiamo per la prima volta alla comunità internazionale, e continueremo a farlo, perché ci aiuti non soltanto a fermare lo stupro della nostra Madre Terra, ma anche a fermare il genocidio del nostro popolo. Un popolo che ha dei diritti ben precisi fissati dai trattati. I trattati che il Canada e gli Stati Uniti hanno concluso insieme alle nazioni indiane.

Gli Stati Uniti sono uno stato criminale e le sue multinazionali condizionano la politica estera di tutto il pianeta. La sola cosa che le muove è la logica del profitto immediato, come possono confermare i Dene, come può confermare il mio popolo (Lakota, ndt), come sanno bene i popoli indigeni dell'America centrale e meridionale. Sappiamo tutti che negli ultimi quattro anni le multinazionali dell'Europa occidentale hanno decuplicato i propri investimenti nell'emisfero occidentale. Abbiamo anche le prove dei legami occulti fra la CIA e le multinazionali che operano in Brasile, Ecuador, Perù, Colombia e Venezuela. Perché ormai tutti sanno che i grandi affari dei prossimi anni li faranno sfruttando queste terre.

Voi avrete sentito parlare della nostra spiritualità e del rispetto che abbiamo per ogni forma di vita, perché ci sentiamo strettamente legati, siamo una cosa sola. Bene, lasciate che mi esprima col linguaggio dell'uomo bianco. Anziché chiedervi di rispettare la vita, vi chiediamo di rispettare il capitale. Considerate le risorse naturali un capitale. Non consideratele più come un profitto da ottenere immediatamente, perché se continuerete a vedere i nostri fratelli e la nostra sacra terra come fonti di profitto finirete per consumare tutte le risorse non rinnovabili di questo pianeta. Il petrolio, l'uranio, il carbone e il legname sono una ricchezza. E se le considerate una ricchezza forse potrete pensare al futuro. Perché capirete che questo enorme capitale sta per essere dilapidato dalle multinazionali e dal mostro.

Dal 20 al 23 settembre 1977 la sede europea dell'ONU, situata a Ginevra, ospita la prima conferenza internazionale sui popoli indigeni, dedicata alle Americhe. Si tratta di un evento che segna una svolta epocale. Le Nazioni Unite, nate nel 1945, non solo non hanno mai prestato la minima attenzione ai problemi dei popoli indigeni, ma hanno spesso tenuto un comportamento ambiguo che ha favorito i loro oppressori. Basti pensare al suo silenzio acquiescente sull'invasione del Tibet (1950), sulla deportazione degli Inuit canadesi (1953-1960), sul genocidio del Biafra (1967-1970) e sul referendum truccato col quale l'Indonesia si è impadronita di Papua Occidentale (1969). Per i popoli indigeni, quindi, la conferenza di Ginevra segna l'ingresso nella politica internazionale. All'iniziativa partecipano circa 60 popoli provenienti da ogni parte del continente americano. Fra le molte organizzazioni indigene spicca l'International Indian Treaty Council, nato da una costola del celebre American Indian Movement per dare respiro mondiale alle lotte amerindiane. Sono presenti anche alcuni studiosi e un osservatore dell'OLP. La conferenza è la prima tappa di un lungo cammino che dà ai popoli indigeni del pianeta un peso politico insperato. Lo attestano le varie iniziative degli anni successivi: il Gruppo di lavoro sui popoli indigeni, che il 13 settembre 2007 approva la Dichiarazione universale dei diritti dei popoli indigeni; l'anno internazionale dei popoli indigeni (1992); i due decenni dedicati al tema (1995-2004 e 2005-2014); l'anno internazionale delle lingue indigene (2019). Nel 2000 nasce il Forum permanente dell'ONU, composto da 16 membri, otto nominati dai governi e otto scelti dalle organizzazioni indigene.

Giovanna Marconi

Da sinistra: il numero speciale della rivista Akwesasne Notes dedicato alla conferenza di Ginevra; le delegazioni amerindiane mentre fanno il loro ingresso nella sede delle Nazioni Unite.

10 Noi sappiamo che gli Stati Uniti e gli altri paesi dell'emisfero occidentale non possono permettersi di parlare alle nazioni indigene, perché se lo facessero sarebbero costretti ad ammettere che le disprezzano.

Io sono venuto qui per parlare anche di un'altra cosa: la nostra liberazione. La liberazione dei popoli indigeni dell'emisfero occidentale e il loro diritto di unirsi alla famiglia delle nazioni. Soltanto ai popoli rossi viene negato il diritto di far parte della comunità internazionale: tutti gli altri, bianchi, neri, bruni e gialli, sono presenti in un modo o nell'altro. Finora non abbiamo mai avuto nessuno che parlasse per noi. Come ha detto qualcuno, "Il potere di un paese si misura con l'oppressione che impone alla sua gente". Bene, noi non siamo più disposti a tollerare questo mostro. Ormai dovremmo aver capito che abbiamo bisogno del sostegno della comunità internazionale. E se lo avremo, forse fra 25 anni aiuteremo altri popoli indigeni a realizzare la liberazione alla quale aspiriamo oggi. Grazie.

Sono un indiano d'America, non un nativo americano

Rifiuto il termine nativo americano (Native American). È un termine generico usato dal governo per definire i popoli indigeni oppressi dagli Stati Uniti: abitanti delle Samoa americane, Micronesiani, Aleuti, Hawaiiani e quelli detti Eschimesi, che in realtà sono gli Upik e gli Inupiat. E ovviamente gli Indiani d'America. Preferisco indiano d'America (American Indian) perché conosco le sue origini. Il termine indiano viene da due parole spagnole, en dio, che significano letteralmente in Dio. Un'altra cosa che ci distingue è che siamo l'unico gruppo etnico degli Stati Uniti con un chiaro riferimento al continente americano. A una conferenza che si tenne all'ONU nel 1977 abbiamo deciso di usare il termine Indiani d'America. Siamo stati soggiogati come Indiani d'America, colonizzati come Indiani d'America e riconquisteremo la libertà come Indiani d'America. Poi ci chiameremo come vorremo. Non permetterò a nessun governo di decidere come mi chiamo. Oltretutto, chiunque sia nato in America è un "nativo americano".

Russell Means

Russell Means parla al Senato degli Stati Uniti (1989)

Bibliografia Banks D., Erdoes R., Ojibwa Warrior: Dennis Banks and the Rise of the American Indian Movement, University of Oklahoma Press, Norman (OK) 2005. Means R., Wolf M. J., Where White Men Fear to Tread: The Autobiography of Russell Means, Saint Martin's Griffin, New York (NY) 1996. Stripes J., "A strategy of resistance: The 'actorvism' of Russell Means from Plymouth Rock to the Disney Studios", Wicazo Sa Review, XIV, 1, Spring 1999, pp. 87-101.

Tornerò sotto forma di fulmine... quindi, se vivrete più di me e vedrete un fulmine che avrà colpito la Casa Bianca, saprete chi è stato. Russell Means