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Stranieri nella propria terra Giovanna Marconi

Stranieri nella propria terra

Giovanna Marconi

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La Cina odierna è molto diversa da quella maoista che riscuoteva ampi consensi e dure condanne nella seconda metà del secolo scorso. L'adesione all'economia di mercato ha trasformato il paese asiatico in un colosso economico di dimensioni planetarie. La necessità di convivere con questo nuovo attore ha ridotto al minimo l'attenzione per le sue violazioni dei diritti individuali e collettivi, che restano comunque la norma.

Un caso esemplare è quello degli Uiguri, una minoranza turcomanna di religione isla mica che conta circa 11.000.000 di persone e si concentra prevalentemente nello Xinjang. Situata nel nordovest del paese, questa è la maggiore divisione amministrativa della Cina (1.660.000 kmq, tre volte la Francia). Secondo le ultime stime, gli Uiguri costituiscono il 46% dei 24.000.000 che vivono nella regione, seguiti a ruota dagli Han (i cinesi propriamente detti), che toccano il 40%. Altre minoranze uigure vivono nel resto della Cina e nei paesi vicini (Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan), per un totale di circa 1.500.000.

Due secoli di resistenza La dinastia Ming invase la terra degli Uiguri nel 1759, ma si scontrò con una strenua resistenza che durò oltre un secolo. Gli invasori furono cacciati, ma pochi anni dopo riguadagnarono il territorio e lo ribattezzarono Xinjiang, che significa appunto "territorio riconquistato". Nel 1884 la regione fu annessa ufficialmente. Ma le ribellioni continuarono, fino a quando gli Uiguri riuscirono a formare una propria repubblica, il Turkestan Orientale. Questo nome verrà utilizzato fino ai nostri giorni per esprimere l'aspirazione all'indipendenza. Ma il nuovo stato ebbe vita breve e la regione tornò sotto il dominio cinese. Nel 1955, in seguito al nuovo assetto del paese voluto da Mao Zedong, lo Xinjiang venne dotato di un'autonomia formale. Da allora gli Uiguri non hanno mai smesso di lottare: alcuni per una vera autonomia, altri per l'indipendenza.

La questione uigura all'inizio del ventunesimo secolo La minoranza islamica è tuttora oggetto di una repressi one feroce. La questione viene analizzata in modo dettagliato da Sean Roberts nel libro The War on the Uyghurs: China's Internal Campaign against a Muslim Minority (Princeton University Press, 2020).

Negli ultimi anni gli Uiguri hanno guadagnato una certa visibilità mediatica, ma purtroppo la loro causa stenta a trovare un concreto sostegno internazionale. I motivi sono tanti, ma tre meritano particolare attenzione. Il primo è di natura economica: come si diceva sopra, il fatto che la Cina sia diventata un partner commerciale molto appetibile riduce al minimo la possibilità che qualsiasi governo si schieri apertamente dalla parte degli Uiguri. Tanto è vero che anche la questione tibetana, un tempo oggetto di molta attenzione, non genera più le prese di posizione che erano abituali fino a pochi anni fa. Il secondo motivo è di natura religiosa: il fatto che gli Uiguri siano in larga prevalenza musulmani si scontra con la crescente islamofobia, alimentando ulteriormente la possibilità di etichettarli come "terroristi" e "separatisti".

Il terzo motivo è di natura politica. La guerra al terrorismo lanciata dagli Stati Uniti dopo l'11 settembre 2001 è stata velocemente sottoscritta da molti paesi, inclusa la Cina, per poter inasprire la repressione delle minoranze e dei dissidenti in genere. Pechino ha potuto così varare misure più repressive nei confronti dei popoli tibetani, dei Mongoli e degli Uiguri. Per quanto riguarda in particolare questi ultimi, nel novembre del 2019 il New York Times ha pubblicato una parte dei cosiddetti Xinjiang Papers, un documento segreto dove il governo cinese espone un piano di detenzione di massa della minoranza uigura. Questo conferma i rapporti di molte ONG, che denunciano da

tempo l'esistenza di "campi di rieducazione" dove sono internati almeno 1.500.000 uiguri.

Recentemente la grave condizione della minoranza ha ricevuto un segnale d'attenzione importante. Il 24 ottobre 2019 il Premio Sakharov per i diritti umani, ideato dal Parlamento europeo, è stato conferito all'economista uiguro Ilham Tohti. Perseguitato dal regime comunista, che lo tiene in carcere con l'accusa infondata di "separatismo", Tohti non ha potuto ritirare il premio, che è stato consegnato alla figlia Jewher.

Fratelli turcomanni Il mondo culturale turcomanno comprende circa 170 milioni di persone e si compone di molti popoli, in larga prevalenza musulmani sunniti. Oltre ai Turchi, che costituiscono circa un terzo, include fra gli altri azeri, hazara, tartari e appunto uiguri. La Turchia, che per ovvi motivi occupa un ruolo dominante, ha promosso il Consiglio di cooperazione dei paesi turcofoni, al quale aderiscono Azerbaigian, Kazakhstan e Kirghizistan. Inoltre segue con attenzione le minoranze turcofone dei paesi europei, come quella stanziata in Bulgaria e i Gagausi della Moldavia. In teoria, quindi, anche la grave condizione degli Uiguri dovrebbe essere oggetto di interessene per Ankara.

In effetti era stato così per lungo tempo, ma col passare degli anni l'atteggiamento del governo turco nei loro confronti ha subito un mutamento radicale. Nel 2009, quando la minoranza turcomanna organizzò grandi proteste contro la repressione del potere centrale, Erdogan non esitò a parlare di "genocidio" ed esortò Pechino a "risolvere il problema dei diritti umani e punire i colpevoli". Questa presa di posizione venne accolta con fastidio e determinò un momentaneo raffreddamento dei rapporti fra i due paesi. Il pres idente turco usò parole meno forti nel 2015, ma ribadì che il problema "dei nostri fratelli dello Xinjang" restava oggetto di attenzione costante.

Nel 2019 l'atteggiamento di Erdogan ha subito una svolta netta. In luglio, durante una visita a Pechino, il presidente turco ha evitato qualsiasi riferimento alla repressione degli Uiguri, ancora detenuti in grande quantità con l'accusa di "terrorismo" e "separatismo". Non solo, ma ha detto che i due paesi avevano "la stessa visione del futuro". Le associazioni uigure, prima fra tutte il World Uyghur Congress, hanno criticato duramente il consolidamento dell'intesa sino-turca. Questo cambiamento è dovuto all'intensificarsi dei rapporti commerciali fra Turchia e Cina. Nel 2000 il volume totale di affari superava di poco il miliardo di dollari, mentre nel 2009 sfiorava gli 11 miliardi e nel 2017 i 27. Oggi Pechino è il primo partner commerciale di Ankara per le importazioni.

Ben diverso l'esempio di solidarietà proveniente dal mondo del calcio. Nel dicembre dello scorso anno Mesut Özil, centrocampista turco-tedesco dell'Arsenal, ha condannato su Twitter e su Instagram le misure repressive che Pechino adotta contro gli Uiguri: "(In Cina) si brucia il Corano, si chiudono le moschee e le scuole religiose, gli studiosi di teologia sono stati uccisi ad uno ad uno. Nonostante tutto questo, gli altri musulmani non dicono niente". Evidentemente il calciatore si riferiva all'atteggiamento tiepido della comunità islamica internazionale, che in genere ha sempre evitato di schierarsi dalla parte degli Uiguri. La dirigenza della squadra londinese ha preso le distanze da Özil dichiarando che le parole del calciatore riflettevano soltanto le sue opinioni personali. Ben più dura, ovviamente, è stata la reazione cinese: l'emittente pubblica CCTV non ha trasmesso la partita Arsenal-Manchester City del 15 dicembre 2019. Il comportamento del calciatore, comunque, non deve essere considerato un caso isolato, dato che imponenti manifestazioni di solidarietà con gli Uiguri si sono tenute più volte a Istanbul.

Bibliografia Kadeer R., Cavenius A., La guerriera gentile. Una donna in lotta contro il regime cinese, Corbaccio, Milano 2009. Paoluzi M. L., Nazionalismo e Islam. Lo Xinjiang tra tensioni etniche e problemi economico-politici, Aracne, Roma 2011. Rogers R. A., The Struggles for Human Rights in Xinjiang, The Other Press, Petaling Jaya 2019.