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Il ritorno dei due santi e una mostra da ricordare
Andrea Salani
Inizia un giorno qualunque del 1488 la storia delle due pale d’altare realizzate da Vincenzo di Bertone Civitali. Quando i Frati Agostiniani della Chiesa di San Frediano in Lucca commissionano a Matteo Civitali, scultore già celebre all’epoca, e al nipote – Vincenzo stesso – la decorazione pittorica di un altare pensile per la navata maggiore della chiesa. A Matteo spetta il compito di decorare una statua raffigurante San Frediano già esi-
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Le opere della Fondazione in un’esposizione arricchita dalle due tavole di Vincenzo Civitali
stente, mentre a Vincenzo vengono richiesti due pannelli per affiancarla con le figure di San Vincenzo e Santo Stefano e una lunetta da sovrapporre con San Lorenzo in gloria. Il contratto in nostro possesso descrive infatti in maniera puntuale la committenza di questi due «santi Levìti», ovvero appartenenti alla tribù israelitica di Levi, tra i quali venivano scelti i ministri del tempio. Una storia che parte da lontano, a Lucca, e approda nuovamente a Lucca nel corso del 2021, quando le due pitture vengono individuate in un’asta a New York e acquistate dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, che le riconduce ‘in patria’ per farne il perno centrale di una nuova mostra.
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Sì perché sono loro le protagoniste principali dell’esposizione Bellezza. Appartenenza. Identità che la Fondazione allestisce per il secondo anno consecutivo in occasione della manifestazione nazionale «Invito a palazzo». tutte nuove opere entrate a far parte della collezione dell’ente per la prima volta visibili al grande pubblico in una location inedita: la Sala dell’Affresco del Complesso di San Micheletto.
Ma andiamo con ordine. La mostra è organizzata infatti per aree tematiche e presenta il meglio dei recenti acquisti che la Fondazione perfeziona al fine di creare un ampio corpus di opere di autori lucchesi o di ambito lucchese, cercando, come nel caso dei Civitali, di ricondurre ‘a casa’ capolavori dispersi o finiti in collezioni lontane a causa delle infinite peripezie cui i manufatti d’arte sono da sempre soggetti.
LE AREE TEMATICHE La sezione dedicata alla «Religione» si apre con una sgargiante Maria Maddalena che rinuncia alle vanità di Antonio Franchi, datata 1687. Questa tela, in cui il personaggio biblico è liberamente interpretato come una nobildonna, vede il tema religioso proposto in chiave mondana, figlia dei numerosi incarichi che all’epoca vedevano l’artista, lucchese di successo alla corte medicea, diviso tra la ritrattistica ufficiale e gli argomenti mitologici. C’è poi il Sant’Agostino allo scrittoio di pietro paolini, in cui l’autore ha probabilmente trasposto le fattezze di un membro della famiglia
1. Vincenzo di Bertone Civitali, San Vincenzo di Saragozza 2. Vincenzo di Bertone Civitali, Santo Stefano 3-6. Immagini dell’allestimento nella Sala dell’Affresco

4 pellegrini di Borgo a Mozzano, per secoli proprietaria del quadro. Bella e realistica è infatti questa figura che appare da uno sfondo di monolitica oscurità, attraversata da una diagonale dorata che dall’angolo sinistro sale attraverso uno stupefacente piviale sino alla bellissima mitria. delizioso bozzetto, di seguito, la piccola tavola con La Vergine presenta il Bambino a sant’Anna che Stefano tofanelli probabilmente sottopose ai Buonvisi prima di realizzare la pala di soggetto analogo custodita nella cappella di famiglia nella Chiesa di San Frediano in Lucca, che introduce la grande tela di girolamo Scaglia. Qui il pittore più ‘delicato’ del seicento lucchese propone una Giuditta e Oloferne con l’ancella Abra su tre piani di luce. L’eroina biblica – quasi mitologica ed esempio di civica resistenza – giuditta è incontrastata protagonista; quasi oscurata l’ancella a destra e di fatto ‘nascosto’ lo scabroso involto che contiene la testa del tiranno assiro oloferne, conquistatore del suo regno. due opere del paolini rappresentano il tema del «Mito»: il primo, con evidente mano della bottega, è un Cupido che forgia le frecce, il secondo un commovente Cupido dormiente in cui si riconosce tutta la delicatezza del suo tocco e la capacità di rendere i dettagli protagonisti dell’opera senza intaccare la visione d’insieme. Bellissima infatti l’impeccabile geometria dorata della faretra che cattura l’occhio assieme al manto rossastro, anch’esso impreziosito dalle bordature auree. Un Cupido languido e sorridente, seppur nel sonno, contrasta con la parte più oscura della tela: il fondo neutro, le ali nere e l’inquietante sfera di pietra. Nell’area dedicata al «Ritratto» tre tele. L’immancabile pompeo girolamo Batoni con un Ritratto di gentiluomo non firmato, ma certamente batoniano anche solo per l’evidente e consueta capacità empatica con cui il pittore rende la fisiognomica dei soggetti, colti nella loro più intima e dignitosa intensità, che possiamo cercare scrutando quegli occhi vivi e formidabili che a loro volta ci osservano.

Luigi de Servi è qui rappresentato con un curioso Autoritratto in cui si raffigura con alle spalle un quadro di famiglia che lo vede nuovamente protagonista. Ma d’altra parte questo è solo uno degli oltre venti autoritratti che l’artista realizzò, sempre caratterizzati da una tela pastosa in cui emerge la sua figura solenne. Conclude la sezione un altro girolamo Scaglia che propone un, ovviamente postumo, Ritratto di Matteo Civitali, particolarmente incisivo e tagliente, con un volto intenso che emerge dall’oscurità e rivolge uno sguardo deciso e al contempo languido verso lo spettatore. Ancora un Luigi de Servi nella parte dedicata alla «Storia» con Il presidente Wilson firma i ‘Quattordici Punti’ in vista del trattato di pace della prima guerra mondiale. Ieratico ritratto del presidente americano in cui la vicenda storica si fonde con la dimensione onirica che sullo sfondo si concretizza in una visione apocalittica: una madre, solida e risoluta, emerge da uno scenario di devastazione, quasi a imporre al presidente l’imperativo morale di agire.
I CIvITALI In fondo alla sala, una scenografia azzurra crea una separazione. oltre c’è la sezione principale della mostra. Le due pale sono lì, accompagnate dalla celebre Madonna del latte di Matteo, composte secondo una disposizione che, per quanto possibile, riproduce l’originale rapporto di distanze. I pannelli, infatti, nell’idea dei committenti, dovevano contornare la statua di San Frediano ‘rinnovata’ dall’intervento di Matteo Civitali. Il tutto in un altarolo pensile impreziosito da cornici dorate: un trittico con lunetta superiore alternato da colonne ioniche di cui immaginiamo la composizione grazie ad un disegno settecentesco proveniente dall’Archivio dell’opera di San Frediano. I documenti ce lo presentano collocato sopra il capitello della navata centrale di fronte all’affresco cuspidato che raffigura proprio il martirio dei tre santi levìti, Stefano, Vincenzo e Lo-

7. Vincenzo di Bertone Civitali, San Vincenzo di Saragozza, particolare 8. disegno dell’altare dei Santi Levìti risalente al XVIII secolo. Archivio dell’opera di San Frediano, 8. foglio privo di collocazione archivistica (per gentile concessione pacini Fazzi editore)

renzo. Collocazione curiosa che trova ragion d’essere quale memento, in ricordo della disposizione dell’antica basilica – sostituita dall’attuale San Frediano a partire dal 1112 –che il vescovo Frediano dedicò proprio a San Vincenzo. L’affresco altro non è infatti che la riproduzione di quello che un tempo decorava la controfacciata del precedente edificio, che sorgeva esattamente in quel punto. entrambi i santi presentano una vistosa tonsura, bellissime dalmatiche rosse con motivi floreali, il libro con le Sacre Scritture e la palma, indizio inequivocabile del martirio. Accolte nelle rispettive absidi a conchiglia, le due figure stanno erette: Santo Stefano è facilmente riconoscibile per la presenza delle pietre, sulla testa e sulla spalla, che alludono alla lapidazione con la quale divenne primo martire cristiano, mentre San Vincenzo non presenta elementi distintivi particolari, neppure la ‘consueta’ macina da mulino. Non a caso infatti la sua immagine ha subito differenti interventi nel corso dei secoli. Ritoc-

7 chi talvolta invasivi, che addirittura lo ‘dotarono’ di una graticola, oggi non più presente, che lo qualificava come San Lorenzo. Lo stile è fatto di simmetria e variazioni. Vincenzo conduce in maniera coerente la propria creazione proponendo due figure all’apparenza estremamente simili, esigenza dovuta al loro ruolo di compendi di un elemento centrale, ma differenziate da tanti piccoli dettagli che impreziosiscono le tavole. La posizione dei piedi, il modo di tenere il libro e la palma, sino ad una leggera variazione nell’inclinazione dello sguardo. Nella solidità e plasticità scultorea dei due santi riconosciamo l’apprendistato che Vincenzo stava compiendo presso lo zio Matteo, ma molte sono le suggestioni mutuate dall’ambiente lucchese del secondo Quattrocento: in particolare la pittura corposa e al contempo nitida, quasi luminosa, ci conduce a Baldassarre di Biagio, che fu per Lucca un importante tramite con le grandi novità della Firenze umanistica.

8 Vincenzo di Bertone visse infatti in un contesto di passaggio, in cui mantenne sempre una sua originalità, rimanendo fedele ad una linea autoctona, sull’esempio dello zio, scarsamente attratto dalla maniera di ghirlandaio e Filippo Lippi che si faceva strada anche nelle province toscane. Quella per San Frediano nel 1488 è la prima commissione a noi nota per Vincenzo, maturata nell’ambiente della bottega dello zio Matteo di cui fu ovviamente allievo. Sino al riconoscimento dei due santi levìti, il corpus –esiguo – di manufatti in nostro possesso li limitava ad una produzione di statue riferibili alla parte finale della sua carriera. di qui l’enorme importanza dell’assegnazione a Vincenzo di queste due opere, che finalmente dà forma, luce e colore alle abilità sinora sconosciute di un pittore lucchese.
Foto Lucio ghilardi