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L’auto elettrica ci lascerà a piedi? L’abbandono del motore endotermico secondo alcune stime metterà a rischio 501 mila posti di lavoro. Senza contare che un modello full electric arriva a costare anche il doppio rispetto a un’auto tradizionale di Marco Scotti
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ir Winston Churchill, uno che di cambiamenti se ne intendeva, amava ripetere che «non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare». E il mondo dell’automotive in questo momento si trova di fronte a un cambiamento. Anzi, una fase disruptive perché viene messo in dubbio il paradigma stesso del motore: non più termico, come avvenuto negli ultimi 120 anni, ma elettrico. Ma c’è un enorme fossato che separa le “vecchie” metropoli tutte smog e rumori molesti dai nuovi agglomerati urbani in cui tutto si muove senza danneggiare l’ambiente: è la transizione. Secondo Clepa, l’associazione che rappresenta le aziende di fornitori, entro il 2040 sono a rischio 501 mila posti di lavoro a causa della transizione all’elettrico, solo parzialmente compensato da 226mila nuove occupazioni, con un saldo negativo di 275mila persone “a spasso”. L’Italia sarebbe la seconda nazione più colpita in Europa, con 74mila posti di lavoro in bilico. E sul futuro del motore elettrico (un affare da 70 miliardi di euro, sempre secondo Clepa) pesa l’incertezza delle batterie e del rischio di ritrovarsi ancora più dipendenti dalla Cina, come già avviene per i semiconduttori. L’Unione Europea ha già individuato quale
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debba essere il percorso obbligato per passare dai motori termici a quelli elettrici: addio alle auto alimentate a benzina e a diesel a partire dal 2035. Ma già ora chi ha un veicolo a gasolio si accorge di quanto è complesso poterlo impiegare in città. Perché l’Europa ha scelto di colpire in particolar modo il diesel? La risposta più semplice è che inquina in misura maggiore rispetto al benzina. Questo perché, a fronte di minori emissioni di CO2, ha un maggiore impatto sia sulle polveri sottili (Pm10) sia per l’ossido di azoto. Tant’è che NEL CASO DEI MOTORI EURO 6 LA QUANTITÀ DI PARTICOLATO EMESSA È IDENTICA PER DIESEL E BENZINA MA IL PRIMO VIENE DEMONIZZATO
a Milano già ora è vietato l’accesso delle auto diesel Euro 0,1,2,3,4 tra le 8.30 e le 18.30 a partire da gennaio di quest’anno. E dal 1° ottobre del 2022 anche ai veicoli a gasolio Euro 5. Si tratta di automobili messe in vendita tra il 2009 e il 2014. Se si considera che mediamente il 60% delle auto in Italia ha oltre gli 11,5 anni (fonte Aci) si capisce bene che si ric ia i occare una fe a ignifica i a ell intero parco circolante. Ma davvero il diesel inquina più del benzina? Inizialmente sì, perché i livelli di ossido
FABRIZIO RICCI, PARTNER KPMG
di azoto erano tripli e perché il particolato emesso era decisamente superiore. Gli ultimi standard (e in particolare l’Euro 6, obbligatorio dal 1° settembre del 2015) ha però ridotto di molto la distanza e oggi la quantità di particolato emessa è identica per diesel e benzina e l’ossido di azoto di poco superiore per il gasolio. Il problema, e non di poco conto, è che le case automobilistiche – Volkswagen su tutte con il “dieselgate” ma non fu certo l’unica – hanno provveduto ad aumentare i dubbi e le perplessità intorno al gasolio. Secondo i dati presentati da Acea nell’area Ue, nel periodo gennaio-dicembre ci sono state 11,8 milioni di immatricolazioni, in calo dell’1,5% rispetto al 2020. Le auto a benzina sono diminuite del 17,4% e quelle diesel addirittura del 33,1%, mentre le autovetture ad alimentazione full electric e ibrida sono cresciute del 59,7%. «A vedere le prime stime sull’anno appena concluso – spiega a Economy Fabrizio Ricci, partner di Kpmg ed esperto di automotive – si tratta sicuramente di un anno molto complesso per l’industria automobilistica. C’è stato un ulteriore calo delle vendite, la pandemia continua a farsi sentire e in più scarseggiano i semiconduttori. La crisi ha portato, in Italia, all’apertura di diversi tavoli di crisi, i più eclatanti dei quali sono la Marelli e la Bosch