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SARÒ FRANCO

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numeri di posti che vuole aprire, compatibili quindi con la propria dotazione di spazi, docenti e di domanda per quei posti». Il cambio del meccanismo di selezione dei candidati ai corsi di laurea a numero chiuso, tra i quali Medicina, già a partire dal 2022 e in modo più deciso dal 2023 previsto dalla Commissione Istruzione della Camera a metà febbraio garantirà sì un aumento del numero delle ammissioni ai corsi a Medicina, ma solo del 10%, che dovrebbero passare da 14.500 a oltre 15mila già dal prossimo anno. Quanto al test, ci saranno meno cultura generale e più materie tecniche. Anche gli infermieri scarseggiano: il loro numero è nettamente inferiore alla media europea e oggi ne mancano più di 60 mila, quasi 27 mila al nord, circa 13 mila al centro e 23.500 al sud e nelle isole. Servirebbe 1 infermiere ogni 6 pazienti, la media è 1 ogni 9,5 pazienti, con punte locali di 1 ogni 17-18 assistiti. «Il rapporto con il numero di medici» aggiunge Foresti «è di 1:1, mentre nella maggior parte dei Paesi Ocse è di 1:4. Il fatto è che li paghiamo poco e li utilizziamo male. Bisognerebbe invece creare dei team con una suddivisione dei compiti maggiormente spostata dal lato medico a quello delle professioni sanitarie, come tra oculista e ortottista, o tra fisiatra e fisioterapista. Oggi invece tutto viene fatto dal medico, che dovrebbe solo organizzare, coordinare e occuparsi delle diagnosi complesse. Invece, in scarsità di risorse umane, facciamo come i capponi di Renzo». Per fortuna che c'è il Pnrr, con il potenziamento e la creazione di strutture e presidi territoriali, il rafforzamento dell’assistenza domiciliare (per raggiungere però solo il 10 % degli over 5), la telemedicina... O no? «Il Servizio sanitario nazionale andrà sempre più verso la cura dei malati e l'abbandono dei sani. E il Pnrr non ci salverà: sono solo soldi a investimento, mentre la sanità ha bisogno di spesa corrente. Abbiamo 5 anni per diventare superefficienti, perché poi ci taglieranno i viveri. Ma sappiamo benissimo che questa logica, nel sistema italiano, non funziona».

Facciamo bene i conti

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Con un sistema sanitario sbilanciato sempre di più verso la cura dei malati, il valore - non solo economico - della prevenzione aumenta esponenzialmente. «La diagnostica in vitro influenza circa il 70% di tutto il processo decisionale clinico, ma rappresenta oggi solamente circa l'1,2%4 della spesa sanitaria complessiva in Italia», spiega a Economy Francesco Saverio Mennini, professore di Economia sanitaria, nonché direttore dell'Eehta Ceis dell'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Per tradurre il valore di una tecnologia sanitaria in elemento economico, lo strumento è quello dell'Health technology assessment (Hta): «Grazie all'Hta riusciamo portare dinanzi al decisore evidenze in maniera tale che sia in grado di adottare tutti i provvedimenti del caso»,

LUCA FORESTI

Piani welfare “a misura d’uomo” una nuo a sf a per le azien e

di Francesco Bruno*

«Le imprese ottengono risultati migliori quando sono consapevoli del loro ruolo all’interno della società e agiscono nell’interesse dei loro dipendenti, clienti, comunità e azionisti»: è questo uno dei passaggi-chiave della lettera che Larry Fink, amministratore delegato di Blackrock, ha di recente indirizzato ai ceodi tutto il mondo. Una conferma ulteriore della crescente importanza della “S” di “Societal” all’interno dei criteri Esg, dove spesso il focus è quasi esclusivamente sulla pur fondamentale e urgente “E” di “Environmental”. In quest’ottica, uno dei più importanti insegnamenti appresi negli ultimi due anni riguarda la centralità delle persone. In uno scenario ancora caratterizzato dall’incertezza, la salute e il benessere della forza lavoro rappresentano un asset strategico e sempre più centrale per le imprese, che devono saper valutare un approccio integrato volto all’ottimizzazione dei parametri della Workforce Health. Diversi studi dimostrano infatti come azioni concrete in tale direzione trovino immediato riscontro in un minore impatto del ricorso alle cure mediche, con un conseguente effetto positivo sulla valutazione dell’asset aziendale primario: le persone. Valutazione che deve basarsi su metriche in grado di misurare parametri come assenteismo, produttività, capacità di at-

ABBIAMO 5 ANNI PER DIVENTARE SUPEREFFICIENTI, PERCHÉ POI CI TAGLIERANNO I VIVERI

chiarisce Mennini. «L'Hta si concentra specificamente sul valore aggiunto di una tecnologia sanitaria rispetto ad altre tecnologie in termini di efficacia sicurezza ma anche di sostenibilità economico organizzativa». Vale anche per la spesa farmaceutica, gravata dal sistema dei tetti di spesa che, sottolinea Mennini «venne adottato perché la spesa farmaceutica era fuori controllo, ma dopo due anni si sarebbe dovuto abbandonare». E invece è ancora la regola. «Sulla spesa farmaceutica servono regole chiare e condivise, che siano in grado di coniugare gli aspetti differenti che caratterizzano la sanità e che superino la logica dei "silos". I tempi sono maturi: il sistema deve dotarsi di una visione che superi la mera logica del breve periodo e del prezzo, guardando alle sfide che lo attendono nel medio e lungo termine. È necessaria una revisione importante del meccanismo dei tetti. La ripartizione regionale del finanziamento annuale non dovrebbe determinarsi attraverso una suddivisione a priori dello stanziamento, bensì attraverso un meccanismo di rimborso della spesa effettivamente sostenuta, in analogia con quanto già oggi effettuato nel caso dei farmaci innovativi. Questo approccio risolverebbe diverse criticità: inappropriatezza di tetti di convenzionata e acquisti diretti identici in tutte le regioni, notevole semplificazione nella gestione economica dei farmaci in caso di mobilità inter-regionale di pazienti, semplice riconoscimento di fattori che possono concorrere ad un’inattesa evoluzione della spesa farmaceutica», conclude Mennini. «Se oggi avessimo il tetto dell’assistenza farmaceutica complessivamente fissato nel 2008 del 16,4% (14% territoriale più 2,4% ospedaliera), anziché l’attuale 14,85%, lo sfondamento certificato dall’Aifa nel 2020 di 1,2 miliardi di euro si trasformerebbe in un avanzo rispetto al finanziamento di circa 640 milioni di euro. E quand’anche considerassimo una spesa farmaceutica comprensiva dei farmaci innovativi che accedono ai fondi farmaci innovativi (pur senza incrementare parallelamente il finanziamento di 500 + 500 milioni di euro), lo sfondamento sarebbe pari a un importo simbolico di circa 71 milioni di euro, ben distante dagli sfondamenti di spesa osservati negli ultimi anni». Intanto, a proposito di farmaci innovativi, forse più per amore della burocrazia che del portafogli si mettono in piedi procedure ingarbugliate come quella per il Paxlovid di Pfizer, che va assunto entro tre, massimo cinque giorni dalla comparsa dei sintomi, dopodiché diventa inutile. Peccato che ci vogliano due giorni per avere l'esito del tampone, dopodiché bisogna riuscire a farselo prescrivere dal medico di base - ammesso di riuscire a ottener udienza in tempo utile - il quale dovrà a sua volta contattare il reparto di malattie infettive ell o e ale c e u finalmen e rescrivere e somministrare il farmaco.

L'AUTORE, FRANCESCO BRUNO

trarre talenti e mantenerli in organico: valori fondamentali per sostenere le politiche di sostenibilità interna. L’effetto di queste buone pratiche è positivo sia per l’azienda che per i lavoratori, per i quali è oggi sempre più importante lavorare in realtà che tengano in primo piano politiche di health e well-being. Lo dichiara il 61% degli intervistati nel nuovo report Health on Demand: i beneft che i dipendenti vogliono di Mercer Marsh Benefts. Il 49% di essi preferisce operare là dove il datore di lavoro si prende cura della salute e del benessere fnanziario di tutti i propri dipendenti, mentre il 36% guarda con favore alle organizzazioni che tengano nella dovuta considerazione tematiche di equità sociale e di protezione dell’ambiente. Le aziende lungimiranti hanno dato dimostrazione di comprendere in maniera concreta il legame tra benessere, esperienza dei dipendenti e prestazioni aziendali complessive. Mettere al centro le persone” non deve quindi più essere solamente una dichiarazione di intenti, ma un impegno reale e foriero di un vero e proprio cambio di paradigma. Ripensare il proprio welfare aziendale come frutto di una visione olistica del benessere delle proprie persone, modellandolo sulle necessità del singolo e offrendo alla forza lavoro dei piani di beneft così disegnati potrà fare la differenza e creare un vantaggio competitivo negli anni a venire.

*Head of Employee Health & Benefts, Marsh Italia

«RIPARTIAMO DA PREVENZIONE E RETI DI PROSSIMITÀ»

Il sottosegretario Pierpaolo Sileri racconta i due anni passati al Ministero della Salute a gestire l'emergenza: «La pandemia ha riacceso il faro sulla necessità di investire nella sanità pubblica. Usiamo bene i fondi Pnrr»

di Francesco Condoluci

CI TIENE A DEFINIRSI UN CHIRURGO PRESTATO "PRO TEMPORE" ALLA POLITICA E SI PROFESSA "FELICE" ALL'IDEA DI TORNARE UN GIORNO IN SALA OPERATORIA. IN EFFETTI, PIERPAOLO SILERI - 49 ANNI, ROMANO, ELETTO IN SENATO PER LA PRIMA VOLTA NEL 2018 IN QUOTA M5S - DEL POLITICO DI PROFESSIONE HA DAVVERO POCO. Di certo non la tendenza a rifugiarsi nel “politichese” per sfuggire alle responsabilità, come tanti suoi colleghi. Lui, da uomo di governo, in questi due anni di pandemia, ci ha sempre messo la faccia.

Viceministro alla Salute prima con Conte, sottosegretario oggi con Draghi. Due governi diversi, stesso ministro, Roberto Speranza. Trovi le differenze.

Nell’impegno a contrastare l’emergenza sanitaria non c’è stata soluzione di continuità. Se vi sono state differenze, sono unicamente relative alle diverse fasi della pandemia che i due governi si sono trovati ad affrontare. Aver mantenuto stabilità dell’azione di governo, almeno nell’ambito del Ministero della Salute, è stato sicuramente positivo per non rischiare di incorrere in battute d’arresto nella strategia di contrasto al virus.

La trasferta a Wuhan a febbraio 2020. Il Covid. L’approccio iniziale da "tecnico". Le minacce subite. Poi le prese di posizione plateali contro i no-vax di questi mesi. Quanto l’ha cambiato la pandemia?

Penso abbia impartito grandi lezioni a tutti. La prima cosa che abbiamo im ara o c e u o ci c e fino a due anni fa poteva apparire scontato nello scorrere delle nostre vite – lavoro, scuola, vacanze, viaggi – non lo era. In questi anni ho cercato di portare la mia competenza di tecnico della sanità per contribuire ad orientare le scelte di salute pubblica, con l’obiettivo di preservare e migliorare un sistema sanitario che, forse non lo ricordiamo mai abbastanza, è uno dei più importanti patrimoni che le generazioni precedenti ci hanno lasciato. E che forse da oggi non daremo più per scontato

Ora sono due anni esatti dallo scoppio della pandemia. I libri di storia in futuro scriveranno di “un prima” e un “dopo Covid”...

La pandemia è certamente un evento epocale, ad ogni livello: una tragedia collettiva che ci ha fatto riscoprire, purtroppo al costo di tante morti, valori di civismo e di coesione sociale che pensavamo da tempo sopiti. La risposta degli italiani alla pandemia, prima con la disciplinata adesione al lockdown ed alle misure di contenimento, poi con il successo della campagna vaccinale, ci ha confermato che la nostra comunità si riconosce profondamente nei valori di solidarietà e giustizia che animano la nostra Costituzione. Da chirurgo prestato “pro tempore” alla politica, penso che la pandemia ci abbia fatto riscoprire l’importanza del senso di responsabilità e di bene comune attorno a cui

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