> AUTOMOTIVE IL FOOTPRINT HA UN PREZZO. ANZI, DUE Toyota, che pareva stare alla larga dall’elettrico puro, ha cambiato idea. Ma il tema della disponibilità di energia rinnovabile resta. Ce ne parla il numero uno del marchio in Italia, Luigi Ksawery Lucà di Franco Oppedisano I GIAPPONESI SONO STRANI. E HANNO UN GRANDE DIFETTO: HANNO DIFFICOLTÀ A DIRE LE BUGIE. Per questo Akio Toyoda, il numero
uno di Toyota, lo scorso anno aveva stupito il mondo sottolineando, più volte, come l’avvento della mobilità elettrica avrebbe dovuto fare i conti con problemi di approvvigionamento di energia, acuito le differenze sociali e creato problemi di mobilità. «Le auto elettriche sono sopravvalutate» diceva il presidente di Toyota, salvo poi annunciare il lancio di 30 vetture 100% elettriche nei prossimi otto anni, un nuovo marchio, bZ, a zero emissioni e investimento per oltre 60 miliardi di euro. Una contraddizione che abbiamo chiesto di spiegare a Luigi Ksawery Lucà, che da oltre quindici anni lavora per la casa giapponese e da gennaio 2021 è amministratore delegato di Toyota Motor Italia. State andando verso le zero emissioni per decreto o per convinzione? Dal 2015, subito dopo la conferenza di Parigi sul clima, abbiamo preso un impegno molto chiaro sulle zero emissioni in tutto il ciclo dalla produzione alla distribuzione, all’utilizzo. L’obiettivo è sempre stato lì e oggi lo perseguiamo attraverso due tecnologie: l’idrogeno e l’elettrico. E le parole di Toyoda? Il problema che a più riprese ha sollevato il presidente è la velocità con cui si va verso questa transizione. Devono essere prima soddisfatte delle condizioni che possono essere riassunte in tre punti. Il primo punto è quello della accessibilità. Il cliente deve vedere soddisfatta la propria esigenza di mobilità. Il nostro claim è “Mobility for all” e nel momento in cui una vettura costa il 20, 30, 40% in più rispetto a quello che è il costo di un’auto con motore a combu-
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stione impediamo a una fetta importante di popolazione di accedere alla mobilità a zero emissioni. Il secondo punto è avere a disposizione una infrastruttura, una rete di distribuzione dell’energia che possa permettere di ricaricare rapidamente e ovunque la propria vettura per garantire la libertà di movimento che è nel nostro Dna. Il terzo punto è una domanda. La faccia e proverò a rispondere io. C’è abbastanza energia verde e rinnovabile per alimentare questa mobilità a zero emissioni sia per l’idrogeno che per l’elettrico? La risposta, la sappiamo tutti, è “no”. Noi promoviamo l’idrogeno, ma ci rendiamo perfettamente conto che oggi la stragrande maggioranza è prodotta da fonti fossili. Quando verrà prodotto con energia rinnovabile, sarà la soluzione più interessante. Oggi non ci siamo ancora. Anche nell’elettrico, se ricarichiamo la vettura in Germania viene usata una percentuale importante di energia prodotta dalle centrali a carbone. Poi c’è un’altra considerazione da fare. Quale? Questa situazione varia di luogo in luogo, da nazione a nazione. Toyota è presente ovunque, è una delle aziende che ha il footprint più esteso tra le case automobilistiche. Probabilmente è il nostro punto di forza perché riusciamo ad assorbire gli choc dei mercati locali grazie al fatto di essere presenti in varie aree del mondo. Oggi realisticamente nella steppa siberiana o in un deserto del Medio Oriente non esistono infrastrutture per poter ricaricare l’auto. Chi dice di fare la Dakar a zero emissione ha messo un motore termico per ricaricare le batterie. Prendere un impegno e dire che nel 2030 saremo a zero emissioni nella steppa siberiana o nel deserto saudita vuol dire mentire a se stessi.
LUIGI KSAWERY LUCÀ
PROMUOVIAMO L’IDROGENO ANCHE SE SAPPIAMO CHE È PRODOTTO DA FONTI FOSSILI È quello che stanno facendo più o meno tutti… Akio Toyoda non se l’è sentita di dire una cosa che non è vera. Prendiamo l’impegno di farlo nelle zone dove sarà possibile. Se dovesse passare il Fit 55 - il pacchetto climatico della Commissione europea che avanza le proposte