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COACHING LA LEADERSHIP SECONDO VELASCO

LA LEADERSHIP SECONDO VELASCO

I consigli dell’allenatore di volley per assumere un ruolo autorevole quando serve come nel caso delle assemblee condominiali. Primo, essere equilibrati. Secondo, capire le difficoltà. Terzo...

di Mirella Stigliano

AMilano, poche settimane fa, l’allenatore di volley più forte di tutti i tempi, Julio Velasco, ha incantato la platea e mi ha spinto a riflettere su come il condominio sia, in effetti, una palestra formidabile per la leadership. Non solo nel rapporto tra amministratore e collaboratori di studio, ma anche, e soprattutto, nella gestione delle dinamiche assembleari. Inizia la caccia alle similitudini tra sport e universo condominio e la sorpresa non può essere maggiore: non occorrono kryptonite o super poteri per essere o diventare un leader. Per farlo capire Velasco frantuma con nonchalance tre miti.

Nessun segreto Il primo mito è che la leadership sia legata in qualche modo, in qualunque modo, a una informazione segreta. Tutt’altro. Velasco ci tiene a distinguere l’informazione dalla conoscenza: la cultura è ciò che rimane dopo che hai dimenticato l’informazione. Quando non ricordi più da chi l’hai presa vuol dire che l’hai fatta tua. Si è passati dal sapere al saper fare. E un leader deve sempre saper fare. Il secondo mito che per Velasco è incomprensibile è quell’insieme di frasi fatte del tipo «volere è potere» e «se vuoi, puoi». Nulla di più irrealistico. È invece corretto dire «se vuoi, puoi andare oltre e superare i tuoi limiti». Il leader, a volte, deve avere il coraggio di spingere i suoi giocatori «in pasto ai coccodrilli», proprio per credere maggiormente in se stessi. Il terzo mito da sfatare è che per essere un bravo allenatore devi essere stato un bravo giocatore. Tutto il contrario. Per essere un allenatore devi uccidere il giocatore che è in te. Fintantoché il focus è su te stesso non riesci a vedere oltre. Questo è ciò che distingue l’allenatore dal manager il quale, per contro, deve essere contemporaneamente sia giocatore che allenatore. Ma Velasco va oltre, molto oltre. Un leader che non sa delegare non è un buon leader. Bisogna avere la consapevolezza di non sapere perché solo i mediocri sono convinti di sapere tutto e hanno la presunzione di non dover delegare.

Il fattore qb Ma, insomma, c’è una ricetta segreta per essere leader? Di segreto non c’è nulla tranne il fattore qb. Come ogni ricetta che si rispetti, nella gestione di un gruppo, la differenza la fa il quanto basta. A volte devi spingere sull’acceleratore, altre frenare per non rischiare la ribellione. E quando ti manca un ingrediente importante? Improvvisare: l’intuizione è una maestra formidabile. Il vero feedback non è giudicare gli altri ma giudicare se stessi. Che cosa non deve fare un leader? Velasco è un fiume in piena. Un leader non deve mai sminuire la squadra, né confondere autostima con egocentrismo né critica con giudizio. La critica è sul fatto, il giudizio è sulla persona. La presunzione di conoscere sempre il motivo di un errore non è concessa, e davanti a una difficoltà non dire mai «è facile, che ci vuole!». Facile per chi? L’effetto boomerang è disastroso. Più giusto dire «non sai farlo, ancora», perché la parola ancora indica il preludio a un cambiamento positivo. Non ripetere mai le stesse cose con le stesse identiche parole. Se non le hai capite la prima volta, perché dovresti capirle la seconda, la terza e la centesima? Il leader deve riuscire a individuare le leve da manovrare sempre così diverse, sempre così soggettive.

Un però di troppo Non accettare mai «sì, sì ho capito però…», perché il però è micidiale e preclude il processo di apprendimento. Se lo sai, perché non lo fai? La lista dei mai e poi mai è davvero lunga, ma la curiosità è massima quando Velasco afferma che un leader non deve mai confondere come allenare una donna e un uomo. La differenza tra i due sessi è notevole. L’uomo deve fare cose, la donna deve fare cose fatte bene. Gli uomini hanno un rapporto con l’errore migliore rispetto alla donna. Fa sorridere quando Velasco afferma che forse è l’unico vantaggio competitivo che è rimasto agli uomini. Davanti a una difJulio Velasco

ficoltà gli uomini si buttano, ci provano e considerano l’errore parte del rischio. Cosi facendo lo mettono alle spalle con più facilità. La donna, no. Detesta essere impreparata e, quando sbaglia, pensa che tutto l’universo stia guardando e giudicando il suo errore. L’allenatore non deve mai riprendere con aggressività una donna, perché per quanto vorrà rimproverarla, non sarà mai nulla rispetto a quanto lei rimprovera se stessa. Alla donna va sempre dato un feedback positivo ridimensionando l’errore, perché ha un senso di autocritica micidiale e se si alza la voce le emozioni prendono il sopravvento con il rischio del blocco totale. La donna non piange mai per debolezza, ma lo fa quando perde il controllo. L’universo femminile è la rivoluzione più riuscita degli ultimi decenni.

Trasmettere sensazioni Superato il campo minato della differenza tra i due sessi, l’attenzione si focalizza su che cosa deve sempre fare un leader. Saper ascoltare, convincere e trasmettere la sensazione di cambiamento. Chi è l’artefice del cambiamento? Letteralmente colui che non comprende le abitudini fine a se stesse e non si stanca mai di combatterle. Non accetta alibi e luoghi comuni, esclusivo territorio dei perdenti. Il leader deve essere autentico perché se non lo è, nessuno lo riconoscerà come tale. Per esserlo occorre avere uno stile di leadership congruo con la propria personalità e non atteggiarsi a quello che non si è. L’autorevolezza, la saggezza, la concretezza e il carisma sono indispensabili per indicare la direzione e fissare gli obiettivi sempre e comunque misurabili, tangibili e verificabili. Un leader deve tirare fuori il meglio da ciascuno e per farlo deve saper dire «bravo, hai centrato l’obiettivo». Deve sempre individuare le priorità che non è cosi diverso dal fare la valigia in un volo della Ryanair: se è troppo grande o pesante, la paghi cara. Per il leader l’ottimismo è una missione, come lo è creare un clima di partecipazione. Deve sposare un metodo e uno schema e rendere entrambi espliciti e condivisi. L’errore si supera, la mancanza di volontà nel mettersi in discussione, no. C’è un prezzo da pagare per essere leader? La solitudine. Mister Velasco, la leadership non sarà roba da supereroi, ma grazie lo stesso per esserlo stato per la generazione di fenomeni e continuare ad esserlo per tutti noi.

Mirella Stigliano Amministratrice e scrittrice di libri in materia di condominio. Formatrice e docente in corsi base e aggiornamento periodico per amministratori

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