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FORUM SE C’È L’URGENZA C’È IL RIMBORSO

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La sentenza della Cassazione sulla legittimità del rimborso delle spese anticipate per i lavori

di Umberto Anitori

SE C’È L’URGENZA C’È IL RIMBORSO

Interessante sentenza della III sezione della Corte di Cassazione. La Corte, infatti, ha accolto il ricorso presentato da un condomino avverso alla sentenza della Corte d’Appello di Brescia. Quest’ultima, pur riconoscendo la non ripetibilità delle spese a causa della non provata urgenza degli interventi eseguiti, aveva condannato il condomino, a titolo di indebito arricchimento, a rimborsare a un altro proprietario dello stesso stabile la quota parte delle spese da quest’ultimo anticipate per lavori di ripristino della copertura condominiale. La Corte ha confermato il principio generale, secondo il quale «l’azione di arricchimento senza causa non può rappresentare uno strumento per aggirare divieti di rimborsi o di indennizzi posti dalla legge; mentre, nel

caso di specie (nel quale le opere sono state ritenute non urgenti), opinando diversamente, si finirebbe con l’ammettere l’iniziativa non autorizzata del singolo condomino nell’amministrazione del Condominio». In definitiva, è ribadita la legittimità (come di recente ha stabilito la Sez. 2, sent. n. 20528 del 30/08/2017, Rv. 645234- 01) secondo la quale al condomino, al quale non sia riconosciuto il diritto al rimborso delle spese sostenute per la gestione delle parti comuni, per carenza del presupposto di urgenza (come richiesto dall’articolo 1134 del Codice civile) non spetta neppure il rimedio sussidiario dell’azione di arricchimento senza causa. Questa azione, infatti, non può essere messa in atto in presenza di un divieto legale di esercitare azioni tipiche in assenza dei relativi presupposti. Ma anche perché (nel caso in cui la spesa, per quanto non urgente, sia necessaria) il condomino interessato ha facoltà di agire perché sia sostenuta, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1133 del Codice civile (con ricorso all’assemblea) e 1137 e 1105 (con ricorso all’autorità giudiziaria). Con conseguente non attuazione dell’azione ex articolo 2041 del Codice civile per difetto del carattere della sussidiarietà. «Ne consegue che, assorbito l’ulteriore motivo del ricorso principale (concernente le spese), la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, ex articolo 382 comma 3 Codice di procedura civile, in quanto l’azione di arricchimento senza causa non poteva per l’appunto essere proposta».

L’AMMINISTRATORE È OBBLIGATO AD AMMINISTRARE

Molto clamore ha destato l’ordinanza 24920/2017 delle VI sezione della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso di un condominio avverso alla sentenza della Corte d’Appello di Perugia, che riformando la sentenza del Tribunale di Terni aveva ritenuto l’amministratore esente da responsabilità contrattuali. Infatti, la Suprema Corte ha puntualizzato che l’amministratore «nell’esercizio delle funzioni assume la veste del mandatario e, pertanto, è gravato dall’obbligo di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia a norma dell’articolo 1710 Codice civile. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha accertato, con apprezzamento in fatto, che l’amministratore nel periodo 2005/2006 aveva più volte sollecitato, anche per iscritto, i condomini morosi al versamento delle quote condominiali, avendo egli la facoltà e non l’obbligo di ricorrere all’emissione di un decreto ingiuntivo nei riguardi dei condomini morosi. La deduzione appare corretta perché l’articolo 63 disposizioni attuative del Codice civile non prevede un obbligo,

ma solo una facoltà di agire in via monitoria contro i condomini morosi (può ottenere decreto di ingiunzione...) e, pertanto, non merita censura la decisione impugnata laddove ha escluso la violazione dell’obbligo di diligenza da parte dell’amministratore per essersi comunque attivato nella raccolta dei fondi, avendo comunque messo in mora gli inadempienti.

L’ESPROPRIO? SI PAGA

Interessantissima ordinanza della I sezione della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso presentato dal comune di Aosta. Il comune chiedeva la cancellazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino che aveva condannato la stessa amministrazione a risarcire un condominio al quale aveva espropriato un’area di 173 metri quadri di terreno già adibiti a parcheggio condominiale. E non solo dell’importo equivalente al valore intrinseco del terreno, ma anche del danno arrecato all’immobile nelle sue parti commerciali, che non disponendo più dell’area di parcheggio, a giudizio della Corte torinese, risultavano svalutate del 10% rispetto all’originario. Infatti, i giudici di Cassazione con la loro decisione hanno confermato «il diritto del Condominio a vedere indennizzata la perdita della proprietà comune sotto il duplice profilo del valore dell’area espropriata e della perdita di valore della parte di proprietà residua».

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