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Una comunità a rischio desertificazione —

Rocco Scotellaro questo 19 aprile avrebbe compiuto cento anni. Poeta della lotta contadina e sindaco di Tricarico a 23 anni, è il simbolo di una generazione, quella dei ventenni, che ha segnato la storia lucana nelle sue pieghe più difficili. Aveva poco più di vent’anni anche Carmine Crocco, simbolo del brigantaggio postunitario, e ventenni erano gli insorti che liberarono Matera, prima città nel Mezzogiorno, dall’occupazione nazifascista. Ma ventenni sono anche i lucani che nel 2003 animarono le proteste che costrinsero il governo Berlusconi ad una clamorosa retromarcia sulla scelta di Scanzano come sede del deposito nazionale di rifiuti nucleari.

C’è da preoccuparsi, quindi, se oggi sono proprio i ventenni in Basilicata ad alzare bandiera bianca. A dare l’allarme è il Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno 2022: oltre 2mila giovani nel 2020 hanno abbandonato la Basilicata e di questi oltre la metà laureati. Per capire davvero questo dato ne occorrono altri due: nello stesso anno le nascite registrate in regione sono state 3.500, mentre i decessi 6.700. Sempli- ficando possiamo dire che ogni sei lucani che muoiono nascono tre bambini. Dei tre, una volta laureati, due abbandonano per sempre la Basilicata, mentre uno soltanto decide di restare a viverci. Neanche i migranti restano: la popolazione straniera in Basilicata nel 2020 è scesa a 22mila residenti, segnando una diminuzione del 2,5% rispetto all’anno precedente. Si assiste dunque ad un lento processo di desertificazione in una regione che siamo abituati a descrivere come piccola, ma che non lo è: in Basilicata può entrare due volte il territorio della Liguria, solo che in Liguria vive il triplo della popolazione residente in Basilicata. Una regione che è spesso descritta come povera, ma non lo è: il Pil pro capite lucano è il più alto delle regioni del Sud con un tasso di crescita del 7,7%, il maggiore in Italia, primato condiviso con la regione Lombardia (Istat 2022, dati 2021).

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Verrebbe allora spontaneo immaginare la Basilicata come uno spazioso resort per le terze età, ma anche qui i numeri smentiscono le aspettative. Secondo l’Aire è in crescita anche il numero di over 60 che lasciano la Basilicata, per raggiungere i propri figli trasferitisi altrove, o alla ricerca di migliore assistenza sanitaria. La Basilicata si è classificata nel 2022 al penultimo posto tra le regioni italiane per efficacia e capacità di risposta del sistema di welfare e all’ultimo con riferimento agli indicatori di spesa. Penultimo posto per la Basilicata anche nel punteggio relativo ai Livelli essenziali di assisten- za (Gimbe 2020) e all’ultimo posto per assistenza in strutture residenziali (Agenas 2021): ogni mille over 65 in Basilicata c’è soltanto 1,4 posto letto equivalente, a fronte dei 6,4 pugliesi e dei 10,2 calabresi, senza considerare la media nazionale di 16 posti letto.

Terzo settore, fu primavera

«Il Terzo settore ha vissuto una bellissima primavera in Basilicata, che oggi evidentemente è in crisi», a certificarlo è

Giuseppe Salluce, portavoce del Forum del Terzo Settore in regione. «La Basilicata è stata la prima regione ad attuare la 328/00 sui servizi sociali, tra le prime a recepire la 381/91 sulla cooperazione sociale, così come la legge sul volontariato: in quegli anni la visione pubblica si integrava con la spinta che veniva dal basso, da quello che adesso chiamiamo Terzo settore. Siamo stati locomotiva del Sud. Oggi quell’intesa non esiste più: non c’è più neanche un dipartimento per il welfare in Basilicata, mancano gli interlocutori istituzionali. I giovani vanno via perché non vedono un progetto per la nostra terra: non possiamo chiedere ai nostri figli di fare gli eroi».

Esempio plastico della difficile interlocuzione tra ente pubblico e Terzo settore viene offerto da Sviluppo Basilicata, incaricata dalla Regione di gestire il Fondo Microcredito finanziato con risorse del Fondo Sociale Europeo 2014-2020. La misura destinata al sostegno del Terzo settore prevede una

Siamo stati la locomotiva del Sud. Oggi invece non c’è più neanche un dipartimento per il welfare. Mancano perfino gli interlocutori istituzionali dotazione iniziale di dieci milioni di euro, ma al 31 dicembre 2022 erano stati erogati poco meno di 400mila euro. Le risorse non mancano e a confermarlo è lo stesso assessore regionale alla salute e alle politiche sociali, Francesco Fanelli. «Anche ad inizio 2023 abbiamo istituito bandi e avvisi pubblici in sostegno delle organizzazioni del Terzo settore, con il chiaro intento di sostenere, attraverso sostanziosi contributi economici le attività da questi svolte durante il difficile periodo della pandemia e allo stesso tempo, per incentivare nuovi progetti a rilevanza locale, consapevoli» dice Fanelli, «che il Terzo settore rappresenta un motore importante dell’economia lucana». Anche l’associazionismo in Basilicata restituisce l’idea di un passato glorioso, ma che fatica a ritrovare uno slancio: nel censimento delle istituzioni non profit, l’Istat mette la Basilicata in vetta alle regioni del Sud per numero di enti non profit in proporzione al numero di abitanti, ma ben sotto la media per numero di persone impegnate in ogni realtà; la Puglia, ad esempio, ha in proporzione il 20% di istituzioni in meno, ma che riescono a coinvolgere quasi il 25% di persone in più. Un associazionismo del piccolo è bello? «Ci sono tan- te associazioni in Basilicata, il numero è cresciuto considerevolmente almeno fino al 2017» a rispondere è Gianleo Iosca del Centro Servizi al Volontariato Basilicata «si costituiscono piccoli nuclei all’interno dei quali la fiducia e la reciprocità è elevata, mentre l’apertura verso l’esterno è difficile: dei microcosmi che diventano gelosi e a volte diffidenti verso il territorio».

La risacca di Matera 2019

Sono passati solo quattro anni dallo tsunami Matera Capitale Europea della Cultura 2019, un’onda che ha travolto la storia della regione e l’immagine della Basilicata nel mondo. Eppure, nel panorama del Terzo settore ne sopravvive a stento il ricordo. L’esperienza non è nata negli uffici di promozione turistica regionali, o da una cordata di imprenditori illuminati, ma ha trovato i suoi natali proprio in uno dei tanti volti del Terzo settore che sfugge a rappresentanze e federazioni: inizialmente un gruppo di giovani, poi un’associazione, infine una fondazione, ha incontrato subito il coraggio e l’intuizione di amministratori e istituzioni capaci di scommettere su quella visione.

Tra gli impatti di Matera 2019 sul territorio lucano, pubblicati sul sito ufficiale, manca una lettura sull’indotto “sociale” generato dal programma culturale europeo. Ci viene in aiuto l’Istat che nel 2016 (anno in cui partiva la macchina Mate - ra 2019) incoronava la Basilicata come la regione d’Italia con la più alta crescita in termini percentuali sia del numero di realtà non profit (+8,8%) sia di occupati nel settore (+9,5%). Di tutt’altro tenore la lettura che viene invece dall’ultimo censimento delle istituzioni non profit pubblicato ad ottobre 2022 (dati 2020). Il non profit in Basilicata è fermo, mentre diminuisce il numero degli operatori impiegati, in controtendenza con le altre regioni del Sud che invece registrano una crescita sia del numero delle istituzioni non profit (+1,7%) sia dei dipendenti impiegati nel settore (+2,1%).

Qual è l’eredità di Matera 2019 per la Basilicata? Il turismo, l’unico settore in crescita. Le presenze turistiche nel 2022 hanno infatti toccato di nuovo i numeri record del 2019: non soltanto la coda lunga di un evento che va consumando le sue ricadute, ma l’evidenza di un settore che ha saputo capitalizzare la spinta offerta da Matera 2019 e rispondere al violento stop imposto dalla pandemia.

Nel 2022 i flussi di turisti in regione sono cresciuti del 14,7% rispetto all’anno precedente e nel 2023 si stima un’ulteriore crescita del 4,6% (Demoskopika.it).

Non resta traccia, invece, delle preziose sperimentazioni che avevano coinvolto il Terzo settore sul binomio cultura e sociale. Terminati i fondi europei sembra essersi fermato tutto, e quel poco che con fatica resiste e continua a crescere nei territori (festival di arte pubblica, esperienze di teatro sociale, musei imprese sociali), non trova riconoscimento nelle rappresentanze classiche del Terzo settore.

Profezia Policoro dove sei finita?

Negli ultimi dieci anni il Progetto voluto dalla Chiesa italiana ha generato solo piccolissime ditte individuali orientate all’auto-impiego

È nato in Basilicata nel 1996 ed è il principale progetto della chiesa italiana che tenta di dare una risposta concreta al problema della disoccupazione. Il Progetto Policoro tiene ancora oggi nel suo nome il ricordo della città lucana che ospitò la sua nascita, per ribadire la centralità del Sud e il coraggio di alcuni suoi vescovi che provarono a scommettere concretamente sui giovani, mettendo a loro disposizione beni immobili, borse di studio e reti professionali. A quelle importanti dosi di fiducia da parte dei vescovi, i giovani meridionali risposero con generosità e creatività.

È utile, a 27 anni dal primo Policoro, misurare l’impatto di questo progetto nella sua regione d’origine, perché (con le dovute scale) è rappresentativo di quello che è successo a tutto il mondo cooperativistico lucano. Nei primi dieci anni, tra il 1997 e il 2007, sono nate in Basilicata 8 cooperative sociali — Gesti Concreti del Progetto Policoro — che oggi generano un fatturato aggregato di 10 milioni di euro, impiegando 320 dipendenti. Nei cinque anni successivi il Progetto Policoro ha contribuito alla nascita di sole altre due cooperative sociali, che oggi faticano a raggiungere insieme i 100mila euro di fatturato, impiegando 13 persone. Negli ultimi dieci anni, invece, hanno visto la luce con il Policoro solo poche e piccolissime ditte individuali, per lo più esperienze di auto-impiego.

È già finita la spinta profetica della Chiesa che tanto ha contribuito alla crescita del Terzo settore? «La Chiesa continua a essere punto di riferimento in Basilicata, grazie ai suoi vescovi è voce libera, capace di abitare i “crocicchi della storia”, ma è innegabile che una spinta propulsiva si sia esaurita», commenta Michele Plati, presidente Federsolidarietà Basilicata e responsabile Alleanza Cooperative Sociali, l’esperienza più grande nata in Basilicata con il Progetto Policoro «il periodo degli “anni ruggenti” della cooperazione sociale è coinciso con il blocco del turn-over nelle pubbliche amministrazioni: parecchi profili professionali non avevano molte alternative. In quel contesto i vescovi sono stati attenti a creare le condizioni per far nascere nuove iniziative d’impresa».

«La situazione non è dissimile a quello che sta accadendo alla cooperazione sociale in Basilicata», aggiunge Plati «stiamo pagando il conto di una grande tendenza al fai-da-te nelle relazioni e nelle filiere». Per avere una misura della tendenza più ampia si guardi alla sola Federsolidarietà, che ha il mag- gior numero di cooperative, ben 91: solo 6 anni fa ne contava 118, che sviluppavano un fatturato di quasi 90 milioni di euro, a fronte degli attuali 43 milioni. «La pandemia da Covid-19 ha colpito duramente il Terzo settore», certifica l’assessore Fanelli «gli enti impegnati nella protezione civile, nella sanità o nel trasporto medico sono stati catapultati in prima linea, altri invece che hanno dovuto all’improvviso sospendere le proprie attività. Molte realtà hanno visto ridotto il proprio bilancio».

Uno sforzo importante quello della cooperazione sociale nelle aree interne, sopportato anche dai lavoratori. «Uno dei problemi più presenti in questo settore è la diffusione del tempo parziale involontario, i doveri sono full time, i diritti con part-time» dice con uno slogan efficace Vito Maragno della Cgil Funzione Pubblica «gli stipendi non sono sufficienti a superare lo stato di povertà e il lavoro per assurdo inchioda la famiglia in una situazione di povertà».

Comune più grande

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