NUMERO 51 . gen2023 . Dall’incrociarsi delle strade nascono le piazze

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ДЕТИ

(BAMBINI)

DALL’INCROCIARSI

DELLE STRADE NASCONO LE PIAZZE

Viviamo in un mondo di identità virtuale, con molti contatti e sempre meno relazioni interpersonali reali.

Le comunicazioni virtuali come le email ed i social network possono ingannare il cervello.

Infatti i nostri circuiti sociali sono stati progettati per interagire con la ricchezza informativa che caratterizza i rapporti vis-a-vis dai quali riusciamo a cogliere in modo istantaneo gran parte delle componenti emozionali implicite.

Le comunicazioni intermediate dalla tecnologia - invece - privano il nostro cervello di queste componenti e ciò può portare ad una comprensione errata o a scatenare reazioni impulsive e ingiustificate.

Percorri la tua strada e sbocca in una piazza dove finalmente puoi incontrare altre persone in cerca anch’esse di un po’ di calore umano.

N.51
GENNAIO 2023

PROGETTO

Invitiamo i nostri lettori a passeggiare insieme a noi nel bosco della complessità e della positività. Vedremo come la Ricerca - scientifica, sociopolitica, culturale, etica, economica e produttiva, insieme all’Innovazione - tecnologica, di metodo, di comportamento, di processo, di

prodotto, cambia la nostra vita. Vedremo come l’innovazione creativa concorra, giorno dopo giorno, alla costruzione di nuovi modelli di relazione economica, sociale, produttiva e organizzativa procedendo instancabilmente, in parallelo, alla distruzione di quelli precedenti.

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PERCORSO

Un appuntamento mensile. Brevi articoli monotematici che rimandano ad approfondimenti, per chi desidera; repertori iconografici scelti in virtù di criteri estetici; l’impegno di affrontare e di interpretare in modo semplice, ma non semplicistico, la complessità; il piacere della scoperta, dello scambio e della relazione positiva con i nostri Lettori.

Benvenuti a bordo!

Il Comitato di Redazione:

Fabrizio Favini

Edoardo Boncinelli

Roberto Cingolani

Enrico Giovannini

Gianni Ferrario

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FABRIZIO FAVINI

GUIDO VISCONTI

Esperto di innovazione del comportamento Dichiariamo guerra alle fake news

Professore di Fisica del Sistema Terra

La scienza informa, il cittadino interpreta

ANDREA MONTUSCHI

Employee Experience Strategist di Qualtrics Italia

La motivazione professionale nel 2023

GUIDO STRATTA

Direttore People and Organization del Gruppo ENEL

Il potere di essere umani

INDICE 18 06 14 10
Autori pg. 22 Manifesto pg. 28
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Dichiariamo guerra alle fake news

FABRIZIO FAVINI APPROFONDISCI
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DALL’INCROCIARSI DELLE STRADE NASCONO LE PIAZZE

L’escalation della disinformazione – sempre esistita, ma ora esplosa grazie alla planetaria diffusione dei contenuti digitali –  ci sta portando verso un nuovo concetto di realtà in cui non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che io credo sia vero.

Le piattaforme di informazione online, preoccupate per le loro credibilità e reputazione, tentano costantemente di combattere questo fenomeno. Eppure noi esseri umani sembriamo essere geneticamente programmati per cadere nella trappola delle  fake news quando questi elaborati si inseriscono nella nostra mente intercettandone e manipolandone alcune caratteristiche.

Per spiegare come mai nessuno può dirsi immune dal contagio delle fake news, parliamo di bias cognitivi, ossia processi che ci portano a vedere la realtà che ci circonda in modo parziale, generalizzato, superficiale. La nostra attitudine a credere alle fake news in tal caso nasce e cresce in noi.

È consigliabile approfondire questo argomento per acquisire consapevolezza sul nostro comportamento.

Esistono vari tipi di bias, vediamo i principali.

Il bias di conferma è la tendenza a cercare prove a sostegno di nostre credenze che non intendiamo mettere in discussione. Una volta che ci facciamo un’idea su di un argomento o su una persona, diventa

molto difficile modificarla, anche qualora l’informazione di riferimento dovesse rivelarsi errata. Accade anche il processo opposto: adottiamo una serie di operazioni logiche per giustificare quell’informazione che si è rivelata non corretta.

Due esempi, molto attuali: i no-wax e i terrapiattisti.

Il bias retrospettivo è la tendenza a ricostruire il passato in modo da renderlo compatibile con esperienze e certezze attuali. Esempio di bias retrospettivo è quando, dopo una catastrofe, tutti pensano di sapere come e perché si è verificata, identificando con precisone i responsabili dell’evento.

Il bias autogiustificativo consiste nella tendenza a razionalizzare le decisioni a posteriori per convincerci che ciò che abbiamo fatto è la cosa migliore che potevamo fare. Una volta presa la decisione, analizziamo meticolosamente i dati del

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contesto scartando tutti quelli che la contraddicono in modo che sopravvivano solo le prove a sostegno del nostro agire. Questo comportamento è particolarmente caratteristico di soloni, esperti ed opinionisti, notoriamente poco inclini ad ammettere di essersi sbagliati. Il mondo della politica è pieno di bias autogiustificativi; è ricorrente e significativo il fatto che, sull’onda della propaganda, gli elettori di due partiti diversi traggano conclusioni spesso opposte partendo dalle stesse identiche informazioni.

Con il bias di attribuzione tendiamo ad attribuire a nostre credenze ed azioni cause diverse da quelle attribuibili ad altri. Quante volte, di fronte al successo di una persona, ne abbiamo attribuito il motivo alla fortuna, alle conoscenze giuste, ad una circostanza occasionale ed irripetibile?

Questa tendenza serve anche a giustificare qualche nostra inadeguatezza che ci ha impedito di essere noi la persona di successo.

Con il bias della negatività tendiamo a prestare maggiore attenzione e dare più peso a eventi, credenze ed informazioni negative, omettendo di considerare le buone notizie. Siamo istintivamente inclini a dare ascolto a notizie ed istanze negative, pessimistiche, gravide di conseguenze pesanti e penalizzanti. Nel nostro cervello si attiva una sorta di “automatismo della sofferenza”, uno “sconfittismo” che ci fa vedere nero, al punto di indurci a giudicare in maniera negativa anche le cose belle che ci capitano (“Quando percepisco una preoccupazione non me la lascio scappare!”).

Bias da ancoraggio: tendiamo a ritenere il primo spezzone di una informazione che incontriamo come il più probabile e verosimile. Questo è un altro elemento che spiega l’importanza della vitalità di una fake

news: deve essere la prima ad arrivare alle persone se vogliamo che la nostra campagna di notizie false abbia successo.

Bias da overinformazione: non è un bias di per sé, ma una condizione tipica della nostra Società che ci impedisce un corretto ragionamento basato su dati oggettivi, e che potenzia tutti i bias che abbiamo visto fino ad ora.

Il bombardamento delle informazioni a cui siamo sottoposti tutti i giorni causa un sovraccarico cognitivo che porta la nostra mente a difendersi rifugiandosi in strategie di risparmio energetico. Ad esempio leggiamo solamente i titoli senza approfondire, pensando di ricavare abbastanza informazioni già da quelli. Siamo portati anche a prendere delle persone come riferimento, e a fidarci di quanto riferito da loro senza verificare, abbracciando i bias appena descritti. Tutto questo fino a quando la persona, stanca e affaticata, non getta la spugna e riconsidera le news dubbie e non verificate portando come giustificazione il non ho avuto il tempo di verificare.

Sherlock Holmes - dalla penna del suo creatore Arthur Conan Doyle - maestro delle capacità percettiva e della logica, dice: “ Per me è essenziale non avere mai pregiudizi e seguire docilmente i fatti ovunque vogliano portarmi”.

In effetti, come Holmes, noi dobbiamo evitare la trappola dell’investigatore: piegare i fatti in modo che si adeguino alle nostre supposizioni. In buona sostanza, evitare di adeguare i fatti alle teorie, bensì adeguare le teorie ai fatti. Se portata all’estremo, questa deviazione è diagnosticabile come paranoia.

La vigile e consapevole percezione del celebre

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detective è una capacità superiore; consiste nel riuscire in quelle attività che richiedono un’attenzione attiva ed intensamente investigativa. In buona sostanza si tratta di ascoltare e guardare per raccogliere non ciò che è evidente, bensì ciò che è concretamente significativo agli effetti del risultato-target.

Aggiunge David Shapiro, poeta americano: “Alcune persone non ignorano una parte delle informazioni ma le esaminano con uno straordinario pregiudizio, scartando ciò che non si attaglia alle loro congetture bensì scegliendo ciò che le conferma”.

Come abbiamo visto, le fake news possono godere di un terreno di coltura pressoché illimitato. L’unico antidoto alla loro proliferazione è lo sviluppo ed il costante consolidamento di un adeguato livello di autoconsapevolezza.

NB: Fake news e invasione dell’Ucraina: impennata di siti di disinformazione.

Secondo NewsGuard in poche settimane sono più che raddoppiati (250) i canali attraverso cui diffondere false notizie nonostante le contromisure adottate da Governi e Leader politici. Obiettivo: orientare la popolazione ma anche fare soldi. Quasi la metà delle iniziative genera introiti grazie alla pubblicità – CORCOM 9/9/2022

PS. Per redigere questo articolo mi sono ispirato ad uno scritto di Ivan Ferrero, psicologo delle nuove tecnologie. A lui i miei ringraziamenti.

Fabrizio Favini

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La scienza informa, il cittadino interpreta

GUIDO VICONTI APPROFONDISCI 2/4
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Il mio amico sismologo Robert Geller, emerito all’università di Tokio, mi ha mandato tempo fa un lavoro dal titolo The trouble with the supply-side model of science che potremmo tradurre con “Il problema con il modello supply side della scienza”. Prima d’inoltrarci nella discussione vale la pena di spendere due parole sul termine supply-side. Viene da una teoria economica che nasce negli anni 70 secondo la quale l’economia può essere sostenuta grazie ad uno stimolo alla produzione di beni di consumo favorita da una riduzione delle tasse e da una riduzione dei regolamenti. In pratica la supply-side economics è uno dei cavalli di battaglia delle ideologie conservatrici (per non dire di destra) e i suoi risultati - quando viene applicata - sono abbastanza controversi.

L’articolo in questione di Naomi Oreskesprofessore ad Harvard di cui abbiamo già parlato - interpreta questo modello in modo leggermente diverso. Secondo Oreskes la supply-side science è un modello che assume che il lavoro degli scienziati è quello di fornire informazioni che i governi e i cittadini possono usare per prendere decisioni.

Quindi compito degli scienziati è quello di fornire informazioni chiare ed accurate e di alta qualità. Il problema di questo modello è che negli ultimi decenni i governi e i cittadini hanno rigettato alcuni risultati importanti scientificamente provati sui cambiamenti climatici, sulla biologia dell’evoluzione, sull’efficacia e sicurezza dei vaccini e su altre questioni ancora. La cosa singolare è che questo rifiuto non è basato sul fatto che le conclusioni scientifiche siano deboli o incerte o ancora da verificare ma piuttosto sulle possibili conseguenze di quelle conclusioni scientifiche.

Ad esempio la gente non accetta le teorie di Darwin sull’evoluzione perché pensa

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che questo implichi la non esistenza di Dio. Oppure, siccome la teoria darwiniana sostiene che le mutazioni avvengono casualmente, questo dà un significato aleatorio alla nostra esistenza. In altri casi (come quello dei vaccini) il problema è fondamentalmente quello della disinformazione. Ci sono poi dei casi in cui la disinformazione è sostenuta da potenti lobby. Questo è il caso del fumo o dei cambiamenti climatici. Nel primo caso sono i produttori di tabacco e nel secondo sono i grandi imperi dei combustibili fossili. Qualche anno fa la stessa Oreskes insieme a Erik Conway ha scritto il libro (pubblicato in Italia nel 2019) Mercanti di dubbi. Come un manipolo di scienziati ha nascosto la verità, dal fumo al riscaldamento globale, in cui si riportavano appunto gli esempi del tabacco e dell’iper consumo dei combustibili fossili.

È sotto gli occhi di tutti il problema dei no vax. A questa situazione si rimedia andando ad analizzare le cause; prima di tutto la principale che è l’ignoranza scientifica. Infatti una delle premesse della supply-side science è quella che il pubblico comprenda quello che dicono gli scienziati. Quanta gente ricorda le nozioni di chimica che ha imparato a scuola? Siamo affascinati dalle trasmissioni TV sulla scienza ma quanti effettivamente le comprendono?

Un altro problema è che spesso la scienza riporta notizie che la gente non gradisce, ad esempio sulle conseguenze dei cambiamenti climatici. Ancor più scivoloso diventa tutto ciò che interferisce con la politica o con la religione. Ancora per molta gente il problema scienza-religione è esemplificato dalla vignetta di Jack Ziegler sul New Yorker che mostra un dito gigantesco che sbuca dalle nuvole che si infila in un telescopio. Scienza e religione appartengono a realtà diverse e le cui relazioni implicano importanti questioni filosofiche.

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Un grosso aiuto per comprendere e non respingere o ignorare le raccomandazioni scientifiche può arrivare dalle scienze sociali, che si occupano dello studio della società e delle relazioni degli individui con essa. Questo è particolarmente vero quando (come nel caso dei vaccini) si ha a che fare con problemi di sanità pubblica. Come dice Naomi Oreskes, possiamo avere i migliori vaccini e la migliore scienza ma tutto ciò è inutile se la gente la ignora o addirittura la rifiuta.

Il ruolo della scuola è essenziale nel far capire che la scienza non riguarda solo i grandi problemi della fisica ma che è necessaria per meglio comprendere fenomeni apparentemente meno affascinanti ma forse più importanti come la virologia e i cambiamenti climatici. La divulgazione scientifica, che è tanto popolare in TV, va fatta sfrondandola dalla retorica che spesso l’accompagna circa la purezza e intoccabilità della scienza. Questo perché sovente le forze in campo, tra le conclusioni utili della scienza e la disinformazione eterodiretta, sono assai diverse. Sul problema del tabacco e del riscaldamento globale le multinazionali

del fumo e dei combustibili fossili mettono in campo notizie volutamente false con campagne condotte con tali risorse finanziarie che la scienza ufficiale non può permettersi.

Diverse sono le obiezioni che possono essere fatte alle argomentazioni della Oreskes, e una di queste riguarda proprio i vaccini. Pensiamo infatti alle ripetute occasioni in cui si è parlato inutilmente di rinunciare ai brevetti in modo che quanto la ricerca scientifica aveva scoperto fosse messo a disposizione dei Paesi più poveri.

Tra l’altro esiste una differenza fra evidenza scientifica ed evidenza sperimentale. La prima implica un aspetto fondamentalmente di dati statistici mentre la seconda fa riferimento a risultati sperimentali che non sono quasi mai bianchi o neri ma sono piuttosto grigi. Tipico è il problema delle onde gravitazionali che si mostrano nei dati ma la cui interpretazione serve soprattutto alle carriere scientifiche. Tipico anche in questo caso il problema del riscaldamento globale che indubbiamente esiste ma nessuno sa a che livello di precisone e soprattutto quando le previsioni interagiscono con problemi economici e con stili di vita e abitudini sociali.

È qui il caso di riportare la conclusione di un vecchio articolo di Richard Lewontin che recensiva un libro di Carl Sagan: “….Coscienziosi e ammirevoli divulgatori della Scienza come Carl usano sia la retorica che la loro cultura per formare le idee delle masse perché credono, come l’evangelista Giovanni, che la verità ti farà libero. Ma essi sbagliano. Non è la verità che ti fa libero, è il possesso del potere per scoprire la verità. Il nostro dilemma, è che non sappiamo come procurarci quel potere”.

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La motivazione professionale nel 2023

ANDREA MONTUSCHI

il concetto di “engagement”, che arrivò solo nel 1990) sono di due tipi:

La seconda metà del secolo scorso vide la pubblicazione dell’importante teoria dei fattori igienici e motivanti di Frederick Herzberg (1923 – 2000), secondo la quale i fattori che influenzano la felicità professionale (al tempo non esisteva ancora

• I fattori igienici: sono quelli che possono ridurre l’insoddisfazione, ma che, una volta superata una certa soglia (appunto detta “igienica”) perdono potenza. In altre parole: un investimento su questi fattori, quando sono a un livello basso, dà un ritorno molto sensibile, superiore all’investimento. Viceversa, investire su di essi quando sono già oltre la sufficienza dà scarsi risultati. I fattori igienici tendono ad essere relativi al contesto in cui lavoriamo, ad aspetti come la sicurezza e la retribuzione.

• I fattori motivanti appagano invece bisogni superiori e sono poco utili se

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voglio ridurre l’infelicità, ma sono molto efficaci nell’aumentare la motivazione. Sono fattori motivanti le prospettive di carriera, l’autonomia, la realizzazione personale.

Se la motivazione fosse una casa che stiamo costruendo, dovremmo quindi prima porre delle solide fondamenta (i fattori igienici), per poi passare al design e alla scelta dell’arredamento (i fattori motivanti): senza aver sistemato le fondamenta, è completamente inutile pensare al divano del salotto.

Il modello di Herzberg potrebbe ricordare l’altrettanto famosa teoria dei bisogni di Abraham Maslow (1908 – 1970) e in effetti i due modelli sono molto coerenti:

DELLE

Per semplificare, potremmo immaginare questo grafico, in un’ipotetica azienda. La spezzata rossa, che rappresenta la retribuzione, è molto elastica quando ci troviamo sotto la soglia minima accettabile (qui posta al valore 0 dell’asse delle ordinate), ma reagisce pochissimo (= non è elastica) sopra la soglia minima. La spezzata delle prospettive di carriera è l’opposto: massima elasticità sopra lo 0, bassissima sotto.

Questo discorso è importante, quando parliamo di motivazione professionale, poiché c’è un’altra variabile da introdurre e che cambia le carte in tavola: il contesto socio-economico.

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I modelli di Herzberg e di Maslow sono stati creati nel secolo scorso e, pur reggendo ancora benissimo dal punto di vista concettuale, necessitano di aggiornamenti poiché il mondo in cui vanno calati è cambiato e continua a mutare.

Prendiamo l’esempio della sicurezza del posto di lavoro, un classico fattore igienico nel modello di Herzberg e alla base della piramide di Maslow. Sebbene non sia divenuto improvvisamente un puro fattore motivante, la pandemia degli ultimi anni ha spostato in alto l’asticella del livello minimo accettabile (igienico): se prima bastava “non rischiare di farsi male al lavoro”, con la pandemia il concetto di sicurezza ha incorporato anche “non ammalarsi” e poi, nelle fasi successive, ha contribuito a creare una variabile che Herzberg non aveva mai considerato: quella della flessibilità (smartworking, per intenderci).

La flessibilità è diventata uno degli argomenti di discussione in ogni colloquio di selezione e al livello minimo è un fattore igienico (“almeno uno o due giorni a settimana di smartworking”, se no non se ne parla); al livello alto diventa anche quasi un fattore motivante (“flessibilità totale, senza regole e vincoli”).

Fra qualche anno, quando la flessibilità non sarà più una novità e sarà data per scontata, immagino che il suo potere motivazionale scemerà e lo smartworking si accomoderà nella casella dei fattori igienici, insieme alla sicurezza.

Andiamo a vedere questi modelli nel contesto attuale: Qualtrics ha appena pubblicato i nuovi “Global Trends 2023” (29 mila rispondenti in 27 Paesi. Il report si può scaricare gratuitamente qui), e analizzandone i principali risultati possiamo notare come le teorie di Herzberg e di

Maslow funzionino ancora piuttosto bene, seppur con gli accorgimenti dovuti a recenti accadimenti (pandemia, guerra, crisi energetica…).

1. Si cercano certezze e sicurezza del posto di lavoro: come sempre, quando il contesto socio-economico diventa incerto, questo fattore igienico acquisisce più importanza. Un elemento che trasmette sicurezza è lo stipendio: se la mia azienda ci garantisce livelli retributivi adeguati, evidentemente gode di buona salute. In effetti, i rispondenti che ritengono di essere pagati in modo equo affermano di voler restare nella propria azienda a lungo (+13% rispetto agli altri rispondenti).

2. Le persone vogliono riappropriarsi della propria vita: la pandemia ha chiesto sacrifici a tutti e oggi i lavoratori vogliono recuperare qualità di vita. Ciò significa orari di lavoro accettabili e flessibilità. Il work-life balance è un altro fattore igienico che oggi si trova mediamente sotto la soglia minima ed è dunque in quell’area nella quale ogni miglioramento genera grandi impatti positivi. A conferma di ciò, i rispondenti che affermano di godere di un buon bilanciamento tra vita professionale e privata hanno risultati nettamente superiori alla media mondiale su engagement (+23%), intenzione di restare in azienda (+18%) e inclusione (+20%). Inoltre, il 63% di chi sente di lavorare in modo bilanciato afferma di essere disposto a dare più del dovuto alla propria azienda. Se guardiamo invece il gruppo di chi si lamenta del proprio work-life balance, questa percentuale crolla al 29%. In pratica, le persone ci stanno dicendo “se mi consenti di lavorare meglio - e meno - io ti darò molto di più”.

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3. La tecnologia e i processi inefficienti sono la principale fonte di stress: si tratta di un nuovo, classico esempio di fattore igienico: quando funzionano bene, i processi interni e la tecnologia sono quasi invisibili e poco impattanti sulla motivazione, ma possono danneggiare moltissimo la serenità al lavoro quando si trovano sotto la soglia minima, come sta accadendo a sempre più persone (la percezione di avere tecnologia che aiuta la produttività è solo al 63% nel mondo ed è in calo di 5 punti percentuali rispetto all’anno precedente). Coerentemente con la teoria di Herzberg, anche nella ricerca di Qualtrics questi fattori sono emersi come i principali fattori di stress per le persone.

4. Il senso del lavoro e i valori sono sempre più importanti: l’abbiamo già visto durante il fenomeno della Great Resignation, quando milioni di persone

nel mondo hanno deciso di abbandonare il proprio lavoro, pur non avendo alternative, per mancanza di purpose, di qualcosa di più di uno stipendio e di una carriera. Se oggi la Great Resignation è stata sostituita dal Quiet Quitting (cioè dal fare solo lo stretto indispensabile richiesto dall’azienda), è perché questo tema del significato del nostro lavoro è rimasto importante, pur non sfociando più così spesso in dimissioni volontarie. Anche in questo caso, i dati sono molto chiari e i rispondenti che lavorano in un’azienda con valori condivisi e davvero vissuti ottengono livelli di engagement e di intenzione di restare superiori alla media (+27% e +23%, rispettivamente) e sono meno a rischio di burnout (-17%).

Volendo affiancare i risultati della ricerca di Qualtrics ai modelli utilizzati in questo articolo, il risultato potrebbe essere questo:

È dunque necessario che le aziende si occupino prima dei fattori igienici, garantendo alle proprie persone un impiego sicuro, senza stress e che garantisca loro un buon work-life balance, per poi focalizzarsi anche sui valori, dando un senso concreto e visibile al lavoro e contribuendo così alla realizzazione professionale e personale dei propri collaboratori.

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Il potere di essere umani 4

GUIDO STRATTA

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L’esperienza della pandemia ha completamente rovesciato i paradigmi del mondo del lavoro, incidendo in maniera significativa su organizzazione del lavoro, comportamenti manageriali e concetto stesso di leadership. In parte è cambiato il contesto di mercato, ma ciò che rende questo momento unico e senza precedenti è la presa di coscienza da parte degli individui delle loro aspettative, dei loro desideri, in breve del loro “essere umani”.

Il distanziamento sociale e il lavoro da remoto hanno imposto una profonda riflessione sul ruolo e sull’importanza delle relazioni e del contatto fisico, rendendo il luogo di lavoro un luogo di espressione della propria individualità, dove stringere legami autentici e dove poter esprimere passioni e talenti. Rispetto al passato, in cui il modello prevalente era fortemente gerarchico e improntato sul comando e controllo, a seguito dell’esperienza della pandemia sta prendendo piede un paradigma diverso e innovativo, in cui la cooperazione e la collaborazione risultano più efficaci, oltre che più virtuose, rispetto ad individualismo e competizione estrema.

Sembra finito il tempo dell’”io” e iniziato il tempo del “noi”, della generosità, dell’economia della cura e non del solo profitto, dell’inclusione non solo formale ma emotiva e sincera. Il presupposto di questa rivoluzione emotiva è la consapevolezza che se una persona sta bene con se stessa, nel contesto familiare e relazionale in cui è inserita, e fa quello che più la appassiona, lavorerà meglio ottenendo risultati duraturi e sostenibili, in un circolo virtuoso che porterà benefici individuali e collettivi. La leadership cessa di essere imposizione dall’alto di un unico modello accettabile, ma diviene gentile, ovvero rivolta all’altro e alla squadra, senza escludere o giudicare ma accogliendo gli spunti e i contributi di tutti, creando un meccanismo empatico che consenta la costruzione di un ambiente di lavoro in cui motivazione e benessere generino produttività e sostenibilità.

I leader non sono dunque controllori ma coach che si dedicano a potenziare colleghi e membri del team, per sincero interesse ma anche perché se tutti sono soddisfatti e potenziati lavorano meglio. La capacità di creare un vuoto al centro, che possa

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essere colmato da chiunque proponga idee di valore indipendentemente da ruolo e posizione, diviene la vera caratteristica distintiva dei leader. In questo contesto, che si fonda sul riconoscimento del valore

inestimabile dell’essere umano, vulnerabilità ed errori diventano punti di forza da accogliere e mettere a fattor comune e non da giudicare negativamente. L’esperienza della pandemia ha accelerato un processo in corso da molti anni di allontanamento da modelli gerarchici e direttivi verso paradigmi organizzativi fluidi e destrutturati, più in linea con il contesto attuale estremamente volatile.

Fiducia, responsabilità e partecipazione stanno prendendo il posto di controllo, burocrazia e gerarchia, sul presupposto che ogni essere umano è unico e che il luogo di lavoro deve essere un ambito di espressione di tale unicità. Questo processo è andato di pari passo, durante la pandemia, con il crescente timore di poter perdere un bene primario, la salute. Il combinato di questi due fenomeni ha esteso l’idea di benessere fino a confini e tematiche impensabili qualche anno fa. Il wellbeing oggi è un

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concetto olistico, che abbraccia l’equilibrio tra vita privata e lavoro, la salute fisica e psicologica, il benessere familiare e sociale, fino ad incidere sulla motivazione intrinseca dell’essere umano e sulle sue passioni profonde.

La stessa definizione di inclusione viene ripensata ed espansa. Il presupposto della gentilezza è l’accoglienza dell’altro, e l’inclusione ne è un valore fondante così come l’autenticità e l’empatia. Si sta finalmente assistendo ad una inclusione non solo formale ma emotiva, che non lascia nessuno indietro e valorizza l’individuo in quanto tale. Le aziende che hanno colto l’essenzialità di questa rivoluzione stanno traducendo queste tematiche in azioni concrete, adottando un approccio sistemico volto a valorizzare la diversità in quanto unicità. L’impatto sul mercato del lavoro è stato dirompente, poiché le organizzazioni

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si sono trovate a dover far fronte a fenomeni di disengagement inaspettati. Chi non era soddisfatto della propria occupazione, poiché non la trovava in linea con le proprie inclinazioni, non si sentiva accolto o era sottoposto a livelli di stress eccessivi, non ha esitato ad abbandonarla, o a ridurre al minimo il proprio coinvolgimento. Le aziende più consapevoli hanno capito che per contrastare questi episodi l’unica via possibile è promuovere modelli di leadership innovativi e sfidanti, mettendo da parte lo status quo a favore di meccanismi pionieristici: dedicarsi all’ascolto delle persone per intercettarne i bisogni, coltivarne le passioni, prendersi cura della loro vita emotiva e relazionale, creando un rapporto di fiducia reciproca che favorisce le persone, le organizzazioni e l’intero ecosistema.

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AUTORI

Nel mondo del management consulting da 45 anni, è consulente esperto di innovazione del comportamento, facilitatore e formatore per lo sviluppo del talento in Azienda. Migliora il rendimento del capitale umano

FABRIZIO FAVINI

favorendo la crescita di soddisfazione, motivazione, selfengagement, produttività.

Utilizza le neuroscienze per favorire l’acquisizione delle competenze sociali indispensabili

a modificare i comportamenti non più funzionali alla crescita sia dell’Individuo che dell’Azienda.

Oltre a numerosi articoli, ha pubblicato i seguenti libri: La Vendita di Relazione

(Sole 24ORE); La vendita fa per te (Sole 24ORE); Scuotiamo l’Italia (Franco Angeli); Comportamenti aziendali ad elevata produttività –Integrazione tra stili di management e neuroscienze (gueriniNext).

Editore di rivoluzionepositiva. com, Magazine On Line orientato al nuovo Umanesimo d’Impresa per la sostenibilità sociale, economica ed ambientale dell’Impresa stessa.

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È professore emerito all’Università dell’Aquila e membro dell’Accademia Nazio-nale dei Lincei. Ha ricevuto una Fulbright Fellowship (1968–69) dall’Università del Maryland; una NATO Fellowship, Department of

GUIDO VISCONTI

Meteorology, MIT, USA, (1976, 1977) e una NATO Senior Fellowship, National Center for Atmospheric Research, USA (1986–1987). È stato membro del Intergovernmental Panel for Climatic Change (IPCC) e

della International Ozone Commission (WMO). Nella sua lunga carriera è stato Principal Investigator UARS Correlative Measurements Program (NASA) and Atmospheric Effects of Supersonic Airplane (AESA, NASA). Nel 2001 ha

fondato il centro di eccellenza sulla previsione di eventi meteorologici severi (CETEMPS). È autore di oltre 140 pubblicazioni e numerosi libri fra testi universi-tari e di divulgazione. I più recenti sono con la casa editrice

Springer, Fundamentals of Physics and Chemistry of the Atmosphere, Second Edition, (2016), Problems, Philosophy and Politics of Climate Science, (2018), Fluid dynamics (2020) e Climate, Planetary and Evolutionary Sciences (2021).

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AUTORI

Andrea si è occupato per 25 anni di progetti di ascolto dei Collaboratori e di miglioramento dell’engagement in

ANDREA MONTUSCHI

Italia e all’estero.

Oggi ricopre il ruolo di Employee Experience Strategist in Qualtrics, la

società leader mondiale nel settore dell’Experience Management.

È costantemente

presente come speaker nel circuito delle conferenze HR e da anni collabora come guest professor presso la Rome

Business School, la European School of Economics, l’Università di Pisa e il Master di Fior di Risorse.

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Ricopre il ruolo di Direttore People and Organization del Gruppo Enel dal 1° ottobre 2020.

Precedentemente è stato Responsabile People Development and Senior Executives Business Partner. È entrato nel

GUIDO STRATTA

Gruppo Enel nel 2003, ricoprendo diversi incarichi nell’area HRO, fino ad essere nominato Responsabile Human Resources di Enel Green Power nel 2008. Successivamente, è stato nominato Amministratore

Delegato di Enel. SI e poi di 3SUN, società del Gruppo per lo sviluppo e commercializzazione di soluzioni di generazione distribuita in ambito solare e di efficienza energetica. La sua carriera professionale è iniziata nel 1988

presso il Gruppo Italgas, dove ha ricoperto diversi ruoli, tra cui Responsabile per le Relazioni Industriali e Compensation; nel 2001, è entrato a far parte del Gruppo Wind occupandosi tra le altre attività anche di Relazioni

Industriali e Sviluppo e Gestione.

Si è laureato con lode in giurisprudenza presso l’Università di Torino e ha ottenuto un master con lode in biologia marina presso l’Università Politecnica delle Marche.

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Autoritratto Van Gogh 1889

img: wikipedia
DIDA
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MANIFESTO

Perché Rivoluzione Positiva?

Un nuovo Magazine On Line: informazione, conoscenza, saggezza.

Con l’enorme disponibilità di informazioni, resa possibile dalla tecnologia, la nostra vita è diventata molto più veloce e molto più distratta. Abbiamo creato i

presupposti per cui il nostro cervello è meno preciso, fatica di più a concentrarsi. Perdiamo il focus attentivo sui problemi, divaghiamo mentalmente, siamo intermittenti e discontinui nel nostro

modo di pensare e, quindi, nel nostro comportamento.

Siamo passanti frettolosi e distratti la cui soglia di attenzione dura 8 secondi; siamo meno concentrati dei pesci

rossi che arrivano a 9, ci dicono gli esperti. Siamo diventati bulimici di informazioni, emozioni, immagini, collegamenti, suoni. Divoriamo il tutto in superficie senza gustare, approfondire, riflettere.

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STUDIO BETTINARDI BOVINA DOTTORI

COMMERCIALISTI E REVISORI CONTABILI

STUDIO BETTINARDI BOVINA Dottori Commercialisti e Revisori Contabili Galleria Unione, 1 - 20122 MILANO, ITALIA Tel: +39 02 805 804 210 - Fax: +39 02 936 602 65 Via Bacchini Delle Palme, 1 - 37016 GARDA, ITALIA Tel: +39 04 562 703 11 studio@studiobettinardibovina.it

Oggi chi non si ferma a guardare non vede; chi non si ferma a pensare non pensa.

Riscopriamo allora il piacere - o la necessitàdi riflettere, di pensare,

di soffermarci per capire meglio dove stiamo andando per essere più consapevoli del nostro tempo, complesso e complicato, e del nostro ruolo, umano, sociale e professionale.

Se condividete queste nostre riflessioni, siete invitati a partecipare ad una iniziativa virtuosa resa possibile dalla combinazione dei saperi e delle esperienze umane e professionali

di un manipolo di Pensatori Positivi, profondi, competenti e sensibili interpreti del nostro tempo, che hanno deciso di contribuire a questo Progetto. Ad essi si

uniscono autorevoli Testimoni Positivi. A tutti loro il nostro grazie! di cuore.

Il Comitato di Redazione: Fabrizio Favini Edoardo Boncinelli Roberto Cingolani Enrico Giovannini Gianni Ferrario

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DEDICHIAMO UN MOMENTO DI ATTENZIONE

AI NOSTRI BAMBINI: “LE PIÙ BELLE CREATURE DEL PIANETA”

(Fabrizio Favini, nonno)

• Se i bambini vivono con le critiche, imparano a condannare.

• Se i bambini vivono con l’ostilità, imparano a contrastare.

• Se i bambini vivono con la paura, imparano a essere apprensivi.

• Se i bambini vivono con il ridicolo, imparano a essere timidi.

• Se i bambini vivono con la gelosia, imparano a provare invidia.

• Se i bambini vivono con la vergogna, imparano a sentirsi colpevoli.

• Se i bambini vivono con la pietà, imparano a commiserare.

• Se i bambini vivono con l’incoraggiamento, imparano a essere sicuri di sè.

• Se i bambini vivono con la tolleranza, imparano a essere pazienti.

• Se i bambini vivono con la lode, imparano ad apprezzare.

• Se i bambini vivono con l’accettazione, imparano ad amare.

• Se i bambini vivono con l’approvazione, imparano a piacersi.

• Se i bambini vivono con il riconoscimento, imparano che è bene avere un obiettivo.

• Se i bambini vivono con la condivisione, imparano a essere generosi.

• Se i bambini vivono con l’onestà, imparano a essere sinceri.

• Se i bambini vivono con la correttezza, imparano cos’è la giustizia.

• Se i bambini vivono con la gentilezza e la considerazione, imparano il rispetto.

• Se i bambini vivono con la sicurezza, imparano ad avere fiducia in se stessi.

• Se i bambini vivono con la benevolenza, imparano che il mondo è un bel posto in cui vivere.

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