ДЕТИ (BAMBINI)

Il mondo intorno a noi è diventato molto complesso. E la reazione generale, molto istintiva e spontanea, è quella dei tradizionalisti e dei conservatori che tendono a trattare la complessità come una disfunzione, una malattia dei tempi che corriamo. Il rimedio, la ricetta? Il ritorno al passato, la nostalgia della tradizione, il rifiuto della situazione attuale, la fiera opposizione ad un mondo irriconoscibile. E se non si riesce
a far fronte a questa realtà, tanto peggio per la realtà! Ovviamente non è questa la strada che porta ad una soluzione accettabile e sostenibile. Abbiamo bisogno di formule di vita che aprano a scenari più sereni e vivibili. Dobbiamo riscoprire l’arte di vivere il quotidiano con entusiasmo, con solidarietà, con un po’ di umiltà e di riconoscenza nei confronti di un pianeta che ci ospita e di cui non siamo mai stati i
padroni, né mai lo saremo. Non dobbiamo lasciar spazio all’incertezza, che rischia di trasformarsi in angoscia. L’incertezza si combatte con una prospettiva di futuro, il nostro futuro a dimensione umana.
E, come ebbe a dire un saggio, fosse pure il giorno del giudizio, chi ha un seme lo pianti!
Fabrizio FaviniCon la pubblicazione del presente numero il Magazine rivoluzionepositiva compie 4 anni!. Questo piccolo sereno compleanno lo dedico a tutti gli 83 Personaggi che mi hanno lusingato con il loro contributo di saggezza, conoscenza, qualità.
Invitiamo i nostri lettori a passeggiare insieme a noi nel bosco della complessità e della positività. Vedremo come la Ricerca - scientifica, sociopolitica, culturale, etica, economica e produttiva, insieme all’Innovazione - tecnologica, di metodo, di comportamento, di processo, di prodotto, cambia
la nostra vita.Vedremo come l’innovazione creativa concorra, giorno dopo giorno, alla costruzione di nuovi modelli di relazione economica, sociale, produttiva e organizzativa procedendo instancabilmente, in parallelo, alla distruzione di quelli precedenti.
Un appuntamento mensile.
Brevi articoli monotematici che rimandano ad approfondimenti, per chi desidera; repertori iconografici scelti in virtù di criteri estetici; l’impegno di affrontare e di interpretare in modo semplice, ma non semplicistico, la complessità; il piacere della scoperta, dello scambio e della relazione positiva con i nostri Lettori.
Benvenuti a bordo!
Fabrizio Favini
Edoardo Boncinelli
Roberto Cingolani
Enrico Giovannini
Gianni Ferrario
Esperto di innovazione del comportamento
Perché la gente crede alle credenze?
Formatrice alla mediazione per la risoluzione dei conflitti
Mediazione, come fermare le liti prima che finiscano in tribunale
Professore di robotica, scienziato, saggistico
I robot del XXI secolo
Medico-chirurgo, professore, ricercatore, divulgatore scientifico
Il peso del bicchiere d’acqua
Autori pg. 24 Manifesto pg. 30
La nostra mente è una macchina associativa tesa a cercare ordine, simmetria e nessi causa-effetto - rifuggendo, quindi, dal caos - secondo schemi mentali ereditati dai nostri antenati preistorici, impegnati a sopravvivere in un mondo scandito da dinamiche di fuga e di predazione.
Falsi collegamenti, analogie automatiche, errate associazioni sono esempi di ragionamenti viziati da errori logici che, inevitabilmente, condizionano i nostri comportamenti.
Autoinganni, gabbie mentali, alibi, credenze, giustificazioni di comodo, realtà manipolate popolano quotidianamente la nostra vita.
Come facciamo a distinguere la Verità che vorremmo dalla Verità vera?
La risposta è la Scienza; viviamo nell’età della scienza, nella quale le nostre convinzioni dovrebbero essere fondate su prove inattaccabili.
Ma allora, perché tanta gente è pronta a credere a cose che quasi tutti gli scienziati ritengono incredibili?
Ippocrate ebbe a dire: Ci sono nei fatti due cose: scienza ed opinione. La prima genera conoscenza, la seconda ignoranza.
Nel
sondaggio domandando a 2.303 americani adulti, per ciascuna delle seguenti categorie, di indicare in cosa essi credevano. Ecco i risultati:
• Miracoli: 76%
• Paradiso: 75% - i mormoni al 95%
• Angeli: 72%
• Diavolo: 60%
• Sopravvivenza dell’anima dopo la morte: 71%
• Teoria Evoluzionista di Charles Darwin: 45% (sic!).
Angeli e Diavolo battono la Teoria Evoluzionista!
Questa situazione è dovuta almeno in parte al modo in cui la scienza viene
tradizionalmente insegnata nelle scuole: gli studenti imparano a COSA pensare ma non COME pensare!
Ma il problema, ancora più profondo, è legato al fatto che la maggior parte delle nostre credenze più radicate è immune agli strumenti educativi, specie per chi non è disposto a prendere atto delle prove che le contraddicono.(*)
Una volta costruite le nostre credenze, le difendiamo e le giustifichiamo tramite una vasta gamma di teorizzazioni intellettuali, argomentazioni persuasive e spiegazioni razionali.
Prima arrivano le credenze, poi le spiegazioni.
“Ogni uomo è una creatura dell’epoca in cui vive; solo pochi sono in grado di elevarsi al di sopra delle idee del loro tempo” (Voltaire).
Il pensiero e il comportamento di noi umani hanno quasi sempre cause davvero molteplici, e le credenze non fanno di certo eccezione.
Anche le esperienze paranormali sono illusioni generate dal cervello. Alterazioni minime nella chimica e nell’attività elettrica cerebrale possono causare potenti allucinazioni che sembrano assolutamente reali. 400 anni fa il paranormale comprendeva ciò che oggi è in gran parte diventata scienza. Il paranormale scompare appena sottoposto al vaglio del metodo scientifico.
Comunicazione con i morti. A parlare con i morti siamo bravi tutti; il problema è convincerli a rispondere.
I monisti affermano che corpo ed anima sono un tutt’uno e che la morte del corpo coincide con la scomparsa dell’anima.
Secondo i duisti, invece, corpo ed anima sono entità distinte, e l’anima continua a vivere quando il corpo smette di esistere.
Che cosa avviene quando uno muore? È quello che nel 1907 cercò di scoprire Dancan MacDougall, un fisico del Massachussets che ebbe l’idea di pesare 6 pazienti moribondi prima e dopo il decesso. Egli riscontrò una differenza media di peso di 21 grammi. Ciò
alimentò la leggenda sul peso dell’anima.
Secondo quanto riporta Michael Shermerstorico della scienza americano - al mondo esistono circa 10mila religioni diverse, ciascuna ulteriormente suddivisibile (i cristiani possono essere ripartiti in circa 34mila differenti confessioni).
A fronte di ciò l’Uomo ha creato circa 1.000 divinità: quante probabilità ci sono che Yahweh sia l’unico vero dio mentre Amon Ra, Afrodite, Baal, Zeus, Brahma, Iside, Shiva, Thor, Vishnu, Odino e gli altri 989 siano falsi dei?
Il pronunciamento su Dio più famoso è quello di Einstein: “Credo nel Dio che si rivela nell’armonioso ordine della natura, non in un Dio che si cura dei destini e delle azioni umane”.
In linea di massima per i cattolici la religione è un istituto sociale sviluppato per rafforzare la coesione di un gruppo; si traduce in un meccanismo culturale e comportamentale nato per incoraggiare l’altruismo e la propensione alla collaborazione e allo scambio tra i membri della comunità.
Naturalmente esistono enormi differenze tra religione e religione: certe società, per esempio le teocrazie islamiche, credono che un eccesso di eguaglianza, libertà, ricchezza e prosperità porti alla decadenza e alla dissolutezza. Infatti la democrazia è proibita nell’Islam. D’altronde democrazia deriva dal greco, demos e kratos, ossia governo del popolo.
Nell’Islam non è il popolo a governare, è Allah.
È ormai tempo di liberarci del nostro retaggio storico per riconoscere la scienza come lo strumento migliore mai ideato per cercare di capire come funziona il mondo.
Ci sono voluti 10mila anni per passare dal carro all’aereo, ma solo 66 anni per passare dall’aereo allo sbarco sulla Luna. La legge di Moore sul raddoppio delle prestazioni del computer ogni 18 mesi è sempre più valida; anzi oggi i mesi si sono ridotti a meno di 10.
Cristoforo Colombo avvistò la terra esattamente nel punto in cui i suoi calcoli gli dicevano che avrebbe trovato le Indie: ecco perché chiamò indiani la popolazione locale.
Nel 1609 Galileo Galilei riuscì a dimostrare che la Terra non era al centro di tutto: era finalmente la conferma della teoria di Copernico che si contrapponeva a quella di Tolomeo.
Nel 1616 Galileo ebbe il permesso dalla Chiesa di adottare il sistema copernicano come mero strumento matematico per calcolare le orbite dei pianeti ma, parallelamente, fu diffidato dallo spacciare come vero il sistema eliocentrico. Ciononostante nel 1632 Galileo pubblicò la sua opera Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo che si dimostrò un attacco alla fisica aristotelica e al primato, allora vigente, dell’autorità sulla scienza e sull’osservazione.
Nel 1633 papa Urbano VIII ordinò a Galileo di comparire davanti al tribunale
dell’inquisizione romana dove lo scienziato fu giudicato reo di eresia. La corte pertanto lo condannò “al carcere formale ad arbitrio nostro” obbligando l’anziano scienziato all’abiura.
Incredibilmente la sua opera rimase nell’Indice dei libri proibiti della Chiesa cattolica fino al 1835 e soltanto nel 1992 (dopo ben 359 anni!) papa Giovanni Paolo II riabilitò Galileo.
La rivoluzione scientifica cominciò ad opporsi alla Chiesa cattolica e alla sua totale dipendenza dalle sacre scritture (in latino), interpretate dalle autorità ecclesiastiche con straordinaria rigidità. Questo portò alla riforma protestante: secondo Martin Lutero chiunque poteva leggere la Bibbia in lingua volgare, chiunque poteva entrare in contatto diretto con Dio senza l’intermediazione di un sacerdote.
La scienza è, per definizione, scetticismo. (**) Lo deve essere perché la maggior parte delle asserzioni formulate dall’Uomo si rivela infondata. Il metodo scientifico è il miglior strumento mai elaborato per distinguere tra schemi veri e schemi falsi, tra realtà e fantasia, tra fatti concreti e fandonie. Infatti l’esperienza insegna che ciò che la gente dice di saper fare non coincide necessariamente con ciò che sa fare davvero.
Fabrizio Favini
(*) Non dimentichiamoci che in Italia i terrapiattisti sono il 5,8% della popolazione adulta.
(**) Il dubbio è la prima forma di conoscenza (Cartesio).
banalità», spiega Maria Martello. «Servono decreti attuativi capaci di volare alto per un sistema equilibrato e sostenibile, per una nuova ecologia dei rapporti che porti con sé un approccio filosofico e umanistico nella gestione della lite, prima che questa finisca nelle aule giudiziarie. Perché la riforma sia veramente tale, la mediazione deve acquisire un valore e un ruolo nuovo. È un discorso urgente di civiltà, dove tutti siamo chiamati in causa per fare la nostra parte, nessuno può tirarsi fuori.
A colloquio con Maria Martello, autrice del nuovo libro Una giustizia alta e altra. La mediazione nella vostra vita e nei Tribunali.
Si tratta di un testo che aiuta a risolvere la conflittualità, per insegnanti, educatori, manager e per ciascuno di noi; si fonda sulla convinzione che la sentenza chiude il conflitto ma non lo risolve, la mediazione sì. «La mediazione non può diventare una giustizia negata. È un percorso con una sua dignità. Da trent’anni mi sembra di essere una voce che grida nel deserto. Io lotto per una giustizia colta, elevata, di un uomo che è andato oltre la logica dell’homo homini lupus e sa ascoltare l’altro, sa cooperare con l’altro, non soltanto competere. Tutto questo fa bene alla Giustizia e, di conseguenza, fa evolvere anche la Società. L’Italia ha 1.200 condanne dalla Corte di Strasburgo per ritardi nei processi. Sono dati obiettivi che devono portarci a migliorare la Giustizia. La riforma è necessaria».
«Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo (…) » scriveva, con un profetico senso di immortalità e attualità, Salvatore Quasimodo. La mediazione del conflitto è al centro della riforma della Giustizia, ma «non può essere tradita dalla
Bisogna formare i mediatori, che devono essere persone di alto profilo e qualità, anche morali. Mediatore si è, non lo si fa. Penso a una donna rimasta vedova a trentasette anni, e che rimase tale per tutta la vita. Nonostante fosse vedova nella società arcaica, era riuscita ad acquisire un ruolo, che le era riconosciuto nel Paese, di mediatore dei conflitti. Era la mia nonna paterna. Questo per dire che la figura del mediatore è di grande profilo, grande esperienza e grande maturità. Però bisogna anche capire che è prioritario formare l’essere umano a diventare tale.
Dalle nuove idee sulla Giustizia passa la crescita della nostra Società, tutta. Al contempo deve risvegliarsi il senso di responsabilità in ciascuno di noi, dobbiamo assumerci la responsabilità di costruire una buona Giustizia». Ma l’Uomo del nostro tempo quanto è cambiato? È ancora fatto solo di istinti, pulsioni, sentimenti, egoismo o c’è in lui il germe futurista dell’Uomo Nuovo, di quel Cristo morto e risorto per l’Uomo? Esiste una giustizia consensuale, riparativa e umanistica efficace? Che non trasferisca negli altri le proprie responsabilità, che non pretenda di cambiare le strutture ma cambi prima di tutto la coscienza dell’Uomo, che lo impegni in una risposta personale e
comunitaria? È davvero possibile comporre la lite prima di arrivare in giudizio? Abbiamo a disposizione strumenti efficaci, formatori altrettanto efficaci, una legge che riconosce pari dignità e nobiltà di quella processuale all’attività di mediazione?
Nel 2011 l’allora Ministro della Giustizia incominciò a introdurre la mediazione come pratica obbligatoria. Un passo avanti, certo. Ma la mediazione non può essere relegata a un ruolo meramente deflattivo o abortisce sul nascere. Serve un tiro più alto.
Maria Martello nel suo libro ci stimola alla riflessione, non a quella spicciola che poco conta, ma a quella che sa mettere le ali all’Uomo per farlo volare, in un volo dettato non dall’istinto, che porterebbe le sue ali di cera a sciogliersi troppo vicino al sole, ma dalla consapevolezza di sé.
«Quando deleghiamo al giudice stiamo in qualche modo perdendo il senso di responsabilità rispetto agli eventi della nostra vita. Diventare adulti non è un fatto di età, ma di capacità di prendersi delle responsabilità per quello che ci accade e trovare delle soluzioni. È il principio di fondo della mediazione», sottolinea Maria Martello, che tratta questi temi dalla fine degli anni ’90, quando ancora non se ne occupava nessuno. «A livello sociale è un’educazione fortissima perché guida le persone a non delegare. Con la riforma, da una parte bisogna migliorare l’esistente, quindi intervenire sul rito processuale, sull’organizzazione dell’apparato giudiziario. Ma non possiamo fermarci qui, il diritto evolve come evolve l’essere umano. Oggi dobbiamo riflettere, come faccio nel libro, sul senso nuovo del giudicare. C’è una Giustizia altra per risolvere la conflittualità, che risponde veramente, e non come la precedente, ai bisogni dell’essere umano e che deve essere introdotta nell’apparato giudiziario con la stessa nobiltà e cura che
rivendichiamo all’attuale sistema giudiziario.
La sentenza chiude il conflitto ma non lo risolve; invece la mediazione sì, e ci riesce grazie ad accordi che stanno bene ad entrambe le parti perché li hanno scelti liberamente con l’aiuto del mediatore. Con la mediazione si scava dietro i problemi oggettivi, si indaga la sfera soggettiva legata al vissuto dei contendenti e alla base del loro conflitto. Questa giustizia altra è una giustizia che molto può piacere alle persone frustrate che hanno tentato tutte le strade possibili pur di trovare un accordo con la persona con cui stavano litigando, ma senza riuscirci, con la conseguenza che la lite ha avuto una escalation ed è divenuta contenzioso. Questo ha caricato di disperazione la persona che ce l’ha messa tutta per andare d’accordo con la controparte».
C’è differenza tra punire e riparare. Tra giudicare e comprendere. Dostoevskij diceva che «non c’è niente di più facile che condannare, niente di più difficile che capire». Le sentenze soddisfano il nostro bisogno più profondo? «Giudicare è una delle qualità più radicate nelle persone. L’ascolto non giudicante, l’accettazione del punto di vista diverso dal proprio sono ancora una conquista lontana. Giudicare è una licenza infantile che mi fa pensare che il mio piccolo punto di vista possa essere il metro per giudicare gli altri punti di vista. Bisogna interrogarsi in cosa differisca il nostro diritto attuale dalla legge del taglione. Oggi chi subisce il torto non può farsi giustizia da solo come in passato ma interviene un organo terzo che lo fa per lui. In che modo, però, lo fa? Il diritto evolve, l’Uomo evolve per accogliere nuove forme più rispondenti al futuro che vogliamo costruire. Un futuro dove il diritto non sia solo retributivo ma realmente riparativo. Questa è la finalità della mediazione, che
è una giustizia riparativa. Nella mediazione non si parla “a” ma “con”. Questo porta a un dialogo rigenerativo fra i due litiganti. Oggi la mediazione è residuale, perché all’inizio del suo percorso, ma io mi auguro che questa nuova logica nel terzo millennio prenda il posto della logica del taglione».
Nel libro non manca la dedica alla guardasigilli Marta Cartabia: «Sta restituendo la nobiltà che alla mediazione era stata tolta quando era stata strumentalizzata solo per fini deflattivi. Abbiamo avuto il coraggio di introdurre una modalità altra che dà un senso nuovo al giudicare e può diventare un modello virtuoso, positivo da utilizzare nelle nostre relazioni quotidiane. Adesso serve che l’impegno attuativo non tradisca la sostanza della mediazione. Tanti negli anni si sono innamorati della mediazione per poi tradirla. Non buttiamola alle ortiche solo perché noi non ne siamo all’altezza. Dobbiamo, invece, elevarci per essere all’altezza dei suoi principi. Guai ad abbassarli al nostro livello, avremmo fallito».
L’intervista a Maria Martello è a cura di Francesca Fiocchi ed è stata pubblicata su Famiglia Cristiana del 22/7/22.
Gli straordinari progressi compiuti dalla robotica negli ultimi 60 anni hanno visto gli automi industriali - confinati in spazi lontani dall’uomo - trasformarsi in cobot, robot collaborativi che lavorano fianco a fianco con l’Operatore oppure dotati di autonomia per spostarsi e lavorare anche in presenza di incertezza e variabilità dell’ambiente.
Si dà forma a un nuovo e soprattutto sicuro regime di condivisione di spazi e compiti grazie al fatto che i robot sono realizzati in materiali leggeri, spesso sono muniti di articolazioni elastiche e soprattutto di sensori che rilevano in anticipo le collisioni per evitare danni all’uomo. I robot, dunque, da macchine statiche e ripetitive diventano agenti autonomi e mobili, con capacità di apprendimento e adeguamento all’ambiente. Non solo menti e sensori come nell’AI - Intelligenza Artificiale - con
cui spesso la robotica viene erroneamente identificata, ma anche corpi meccanici in grado di intervenire nel mondo reale che può essere un ambiente umano (per i robot sociali), una strada cittadina (per un veicolo a guida autonoma), una casa di cura o un ospedale (per un robot che si occupa di assistenza o di vita assistita), o un luogo di lavoro (per un robot compagno di lavoro).
Nel mettere in relazione il mondo digitale con quello fisico attraverso lo sviluppo del cosiddetto phygital twin, la robotica è destinata a diventare la tecnologia trainante per una intera nuova generazione di dispositivi autonomi che, attraverso la capacità di apprendimento, potranno interagire con l’ambiente esterno.
In questo senso si spiega il neologismo tecnologie dell’interazione (InterAction
Technologies, IAT) introdotto per spiegare come robotica e macchine intelligenti rappresentino il futuro di quelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) che oggi si fermano alla raccolta ed elaborazione di dati, ma che dispiegheranno tutte le loro potenzialità solo quando potranno essere usate per intervenire fisicamente sull’ambiente e sulle persone, per modificare il primo e assistere le seconde con la capacità di percepire e agire nel mondo fisico in tempo reale.
Questo passaggio sarà possibile grazie a una tecnologia sempre più intuitiva, che permetterà alle persone di utilizzare i robot con la stessa facilità con cui oggi utilizziamo i comuni device; ciò grazie al miglioramento della sensoristica e della capacità di elaborazione delle informazioni, che consentirà ai robot di
migliorare la conoscenza dell’ambiente circostante e grazie agli sviluppi del 5G, che permetteranno connessioni wireless rapide e a latenze costanti (quindi prevedibili).
Grazie al 5G, i robot saranno in grado di essere collegati a persone e macchine in tempo reale, sia a livello locale sia a livello globale. L’Internet of Things (IoT) sarà quindi superato dall’Internet of Skills (IoS), un Internet tattile per consentire un’esperienza fisica da remoto attraverso dispositivi tattili che si coniughino con le skills, le abilità per esempio dell’Operatore di droni o del Chirurgo alle prese con un intervento eseguito tramite un sistema robotico a distanza.
Il nuovo paradigma di compenetrazione tra fisico e digitale ridisegna in modo straordinario non solo l’ambito industriale
ma promette di incidere anche in altri ambiti di applicazione: agroalimentare, medicosanitario, mobilità urbana, ambienti ostili o poco strutturati.
Si comprende, quindi, come la robotica sarà tra le protagoniste della quinta rivoluzione industriale e guiderà la trasformazione delle tecnologie della comunicazione - ora in grado soltanto di raccogliere ed elaborare i dati dall’ambiente - verso le tecnologie dell’interazione dove i dispositivi autonomi saranno in grado di intervenire sull’ambiente esterno e relazionarsi con l’Uomo con ricadute sociali, culturali e antropologiche.
La ricerca nell’ambito della human robot interaction si occupa dell’interazione e della comunicazione uomo macchina con riferimento soprattutto a robot umanoidi. L’obiettivo è quello di realizzare robot che possano essere accettati in modo naturale in campi quali l’assistenza ai disabili, l’educazione, i giochi, i servizi di consulenza
in cui la comunicazione empatica è fondamentale e non può prescindere da un corpo antropomorfo e da un linguaggio credibile.
Un robot progettato in collaborazione con artisti, designer e architetti può essere tanto armonioso e bello quanto una macchina biologica. Quella dell’estetica è una sfida importante poiché è evidente come un robot destinato a condividere lo spazio con gli esseri umani debba essere esteticamente apprezzabile, oltre che sicuro e affidabile. Ciò significa che le sue forme devono seguire i criteri estetici di base che sottendono alla coesistenza civile e all’esistenza umana stessa: simmetria, armonia, bellezza. In questo scenario dovrebbe essere chiaro il ruolo chiave del design rispetto alle tecnologie robotiche nel loro diventare parte della nostra vita quotidiana e nel modificarle essenzialmente secondo modalità responsabili e benefiche. Sono i designer che danno forma alle interfacce
tra uomini e macchine e, di conseguenza, potranno contribuire a rendere i robot tanto diffusi quanto i computer, gli smartphone, i tablet.
Quanto descritto appartiene a una dimensione futura verso cui la ricerca si sta dirigendo a partire da una contaminazione di saperi non solo scientifici ma anche umanistici. La promessa di pervasività dei robot e delle macchine intelligenti nella nostra Società solleva una vasta gamma di problemi etici e di dilemmi morali che rimandano all’impatto sul mercato del lavoro, sulla psicologia delle persone, sull’ambiente, al digital divide tra regioni ricche e povere del mondo, alla vulnerabilità umana e al problema della dipendenza dalla tecnologia, intesa come dipendenza personale o dipendenza sociale.
La vocazione tecnica dell’Uomo non solo lo potenzia ma lo espone a rischi e pericoli. Per tale motivo, i cittadini utenti devono essere
adeguatamente informati sulle opportunità e sui limiti di ogni nuova tecnologia per maturare una riflessione critica ponderata e non polarizzata tra speranze utopistiche, accettazione passiva e paure irrazionali lontane dalla realtà e da un corretto e sereno dibattito in seno alla Società.
Bruno Siciliano.
Ringrazio Daniela Passariello per la preziosa collaborazione.
Siete troppo stressati? Avete preoccupazioni di salute, familiari o lavorative? C’è un pensiero fisso che vi attanaglia e vi fa perdere il sonno? Pensateci, ma non troppo! Sembra essere questo il senso della breve ma significativa storiella, che circola sul web, raccontata da Brian Weiss, psichiatra e professore di Psicologia all’Università di Berkley. Un giorno il professore si presenta a lezione con un bicchiere d’acqua tra le mani e, tra lo stupore e la sorpresa generale, domanda ai suoi studenti: “Secondo voi quanto pesa questo bicchiere d’acqua?”. Qualcuno prova a rispondere: 200, 300, 400 grammi, le risposte sono le più diverse e stravaganti. “Il peso assoluto del bicchiere d’acqua”, li interrompe il professore, “è del tutto irrilevante. Ciò che conta davvero è per quanto tempo lo tenete sollevato!”. E aggiunge: “Sollevatelo per un minuto, e non avrete problemi. Sollevatelo per un’ora e il braccio vi farà male. Sollevatelo per un’intera giornata e il braccio vi si paralizzerà! In nessun caso, il peso del bicchiere è cambiato. Eppure, più il tempo passa, più il bicchiere vi sembrerà pesante”. Tutto questo per dire che lo stress e le
preoccupazioni sono come il bicchiere d’acqua tenuto sollevato: piccole o grandi che siano, ciò che conta è il tempo che dedichiamo loro. Se ad esse dedichiamo il tempo minimo indispensabile, la nostra mente non ne risentirà. Se, invece, ci pensiamo più volte durante la giornata, la nostra mente comincerà a essere stanca e inquieta.
Se, infine, pensiamo continuamente alle nostre preoccupazioni, la nostra mente si paralizzerà”. In sintesi, secondo Weiss, per ritrovare la serenità è utile e fondamentale imparare a lasciar andare stress e preoccupazioni, dedicando loro un tempo trascurabile e concentrandosi solo su desideri e progetti. In definitiva, a mettere giù il bicchiere d’acqua! Quella del professor Weiss è una riflessione non certo banale, sul peso delle preoccupazioni e delle angosce che assediano la nostra esistenza quotidiana. Ciò che conta davvero non è il numero di eventi che possono condizionare le nostre scelte, ma il modo in cui le leggiamo e le interpretiamo. In altre parole, non sono i contenuti cognitivi a generare emozioni come ansia e tristezza, quanto il tempo che
vi dedichiamo. Proprio come un bicchiere d’acqua che, sebbene scarsamente pieno, metterà a dura prova la nostra resistenza muscolare se lo terremo sollevato per ore.
La sua è un’utile metafora per i nostri tempi, che ripropone un’evidenza nota da sempre, ma troppo spesso ignorata. Cioè che l’ansia, proprio come la paura, è una reazione fisiologica di difesa o di attacco dell’organismo a eventi esterni percepiti come pericolosi. Entrambi rappresentano meccanismi adattivo-evolutivi (finemente regolati), indispensabili per la sopravvivenza della nostra specie.
La fuga o la difesa rappresentano armi a nostra disposizione per identificare situazioni potenzialmente pericolose; anche se queste, come tali, in relazione alla loro funzione specifica, devono essere istantanee, in grado di innescare azioni tempestive e risolutive di fronte a insidie e pericoli.
Al contrario, le condizioni d’ansia e preoccupazione finiscono per occupare un
posto diverso, trasformandosi nell’oggetto più visitato dai pensieri, così presenti nel vissuto da impedire un normale svolgimento dei nostri compiti durante le nostre giornate. Questo non vuol dire che sia necessario lasciarsi andare agli eventi del mondo che ci circonda: vuol dire diventare consapevoli che i fatti sono anche espressione dei significati e delle interpretazioni che noi assegniamo loro. La chiave di volta è nel concentrarsi su ciò che si può e si deve fare, più che su quel che non si vuole che accada.
Nella sua essenza questa storiella tocca un punto fondamentale: chi più chi meno, tutti noi abbiamo delle preoccupazioni, ma quello che fa la differenza sulla qualità della nostra vita sono il tempo e le energie mentali che dedichiamo loro. Più tempo cediamo alle preoccupazioni e ai pensieri stressanti e più di conseguenza il peso che grava sulla nostra mente sarà insopportabile. Non lasciamoci andare a pensieri negativi e catastrofici e non lasciamoci abbattere dalle preoccupazioni. Cerchiamo di non concedere troppo spazio a tutto questo per evitare di sentirci schiacciati da questa pressione!
Maurizio BifulcoNel mondo del management consulting da 45 anni, è consulente esperto di innovazione del comportamento, facilitatore e formatore per lo sviluppo del talento in Azienda. Migliora il rendimento del capitale umano
favorendo la crescita di soddisfazione, motivazione, selfengagement, produttività. Utilizza le neuroscienze per favorire l’acquisizione delle competenze sociali indispensabili
a modificare i comportamenti non più funzionali alla crescita sia dell’Individuo che dell’Azienda.
Oltre a numerosi articoli, ha pubblicato i seguenti libri: La Vendita di Relazione
(Sole 24ORE); La vendita fa per te (Sole 24ORE); Scuotiamo l’Italia (Franco Angeli); Comportamenti aziendali ad elevata produttività –Integrazione tra stili di management e neuroscienze (gueriniNext).
Editore di rivoluzionepositiva. com, Magazine On Line orientato al nuovo Umanesimo d’Impresa per la sostenibilità sociale, economica ed ambientale dell’Impresa stessa.
Formatrice alla Mediazione per la risoluzione dei conflitti secondo il modello umanisticofilosofico da
lei ideato, ha insegnato Psicologia dei rapporti interpersonali presso l’Università Cà Foscari. Già Giudice
onorario presso il Tribunale per i minorenni e la Corte d’Appello di Milano, è autrice dei volumi: Costruire relazioni
intelligenti, San Paolo editore; La formazione del mediatore, UTET; Mediatore di successo, Giuffrè; L’arte del mediatore dei con itti,
Giuffrè; Educare con SENSO senza disSENSO, Franco Angeli.
È professore di robotica all’Università di Napoli Federico II dove coordina PRISMA Lab, il Laboratorio di Progetti di Robotica Industriale e di Servizio, Meccatronica e Automazione. Nel
2016 ha fondato ICAROS, il Centro Interdipartimentale di Ricerca in Chirurgia Robotica. È professore onorario all’Università di Óbuda (Budapest) da cui ha ricevuto la cattedra intitolata a Rudolf Kálmán. Fellow
delle associazioni scientifiche IEEE, ASME, IFAC, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti internazionali, fra cui il prestigioso Engelberger Robotics Award for Education nel 2022. Ha tenuto più di 150 letture
invitate a convegni internazionali e presso istituzioni estere; ha pubblicato più di 300 articoli e 19 libri. Il suo libro “Robotics” è tra i testi più adottati nelle università del mondo. Al suo gruppo di ricerca negli ultimi 15 anni
sono stati finanziati 25 progetti europei per un totale di oltre 18 milioni di euro e fra questi un Advanced Grant da parte del Consiglio Europeo della Ricerca.
Medico-chirurgo, professore Ordinario di Patologia
generale e Storia della Medicina presso l’Università di Napoli Federico II, già Presidente della Facoltà di Farmacia
e di Medicina dell’Università di Salerno. Nella sua carriera ha svolto attività di ricerca per diversi anni negli USA presso il prestigioso National Institute of Health
(NIH) di Bethesda, MD. È autore di oltre 250 pubblicazioni scientifiche sulle più prestigiose riviste internazionali. È tra i migliori 100.000 scienziati al mondo e inserito nella
graduatoria dei Top Italian Scientists nel mondo.
Si occupa attivamente di informazione e divulgazione scientifica attraverso una intensa e
ventennale attività giornalistica, di educazione medica e di promozione della ricerca scientifica mediante la scrittura di diversi libri.
Un nuovo Magazine On Line: informazione, conoscenza, saggezza.
Con l’enorme disponibilità di informazioni, resa possibile dalla tecnologia, la nostra vita è diventata molto più veloce e molto più distratta. Abbiamo creato i presupposti
per cui il nostro cervello è meno preciso, fatica di più a concentrarsi. Perdiamo il focus attentivo sui problemi, divaghiamo mentalmente, siamo intermittenti e discontinui nel nostro
modo di pensare e, quindi, nel nostro comportamento.
Siamo passanti frettolosi e distratti la cui soglia di attenzione dura 8 secondi; siamo
meno concentrati dei pesci rossi che arrivano a 9, ci dicono gli esperti. Siamo diventati bulimici di informazioni, emozioni, immagini, collegamenti, suoni. Divoriamo il tutto
in superficie senza gustare, approfondire, riflettere.
Oggi chi non si ferma a guardare non vede; chi non si ferma a pensare non pensa.
Riscopriamo allora il piacere - o la necessità - di riflettere, di pensare, di soffermarci per capire meglio dove stiamo andando per essere più consapevoli del nostro tempo, complesso
e complicato, e del nostro ruolo, umano, sociale e professionale.
Se condividete queste nostre riflessioni, siete invitati a partecipare ad una iniziativa
virtuosa resa possibile dalla combinazione dei saperi e delle esperienze umane e professionali di un manipolo di Pensatori Positivi, profondi, competenti e sensibili interpreti del nostro
tempo, che hanno deciso di contribuire a questo Progetto. Ad essi si uniscono autorevoli Testimoni Positivi. A tutti loro il nostro grazie! di cuore.
Progetti per l’innovazione del comportamento mobile 335.6052212 info@rivoluzionepositiva.com
Tamberlow
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Rifondare i modelli culturali che educhino all’eccellenza del rapporto interpersonale, sia umano che professionale. Sviluppare un codice comportamentale che diventi un riferimento concreto ed illuminante per tutti coloro che intendono migliorare sensibilità, profondità e qualità del proprio modo di relazionarsi in Famiglia, nella Società, nel Business.
L’universo del comportamento umano è uno dei pochi settori in cui si continua ad operare sulla scorta di informazioni e modelli culturali in buona parte obsoleti.
Se pensiamo all’Azienda, spesso i processi di supporto al business danno risultati deludenti perché gestiscono le nuove opportunità di mercato con vecchi atteggiamenti e comportamenti.
Se ci riferiamo alla nostra vita sociale di tutti i giorni, chi di noi non ha mai avvertito l’esigenza di un rapporto meno superficiale e formale, più reciprocamente consapevole e, quindi, più tollerante e soddisfacente?
Spendere un po’ del nostro tempo nello sviluppare intelligenza sociale non potrebbe rivelarsi un investimento umano ad elevata profittabilità?
Riflettere effettivamente sul pensiero di Leone Tolstoi - “Tutti pensano a cambiare l’Umanità e nessuno pensa a cambiare se stesso” - non potrebbe essere l’inizio di una risorgimento culturale dagli effetti straordinariamente
benèfici per tutti? Sanare l’inettitudine e l’inutilità dei rapporti interpersonali ipocriti, quelli di cui nessuno di noi conserva un ricordo, non potrebbe migliorare la nostra gratificazione sociale ed il nostro stile di vita?
Ora, dopo oltre 100 anni di EXPO internazionali dedicati al prodotto e al suo commercioiniziative pregevoli perché hanno contribuito a diffondere benessere e prosperità - non sarebbe ora di dedicarne uno all’Uomo ed alle sue enormi potenzialità inespresse contribuendo così a rendere più vivibile il nostro Paese?
Lettore di rivoluzionepositiva, hai qualche idea da proporci?
Ottobre 2022