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FRANCO VALSECCHI CHIUSURA DEL CONVEGNO
Questo nostro Convegno obbedisce a un intento ben definito, si prefigge una sua determinata linea da seguire. Giovanni Spadolini ne ha tracciato magistralmente le direttive, nell'aprire i nostri lavori: fare, direi, il punto della navigazione, della fortunosa navigazione intrapresa dalla ricerca e dalla critica · storica nei riguardi di un passato che, a quarant'anni di distanza, non si presenta ancora sotto una prospettiva storica, si muove ancora nelle agitate acque della polemica o dell'apologia. Se noi ripercorriamo il cammino della storiografia sull'8 settembre, assistiamo si a un progressivo processo di emancipazione dalle originarie posizioni di battaglia; ma è un processo lento, graduale (qualche gradino capita talora di scenderlo, anzichè di salirlo) e spesso non privo di contraddizioni. Furono, dapprima, le testimonianze di chi aveva recitato una parte in quel che era successo e sentiva, a cose fatte, il bisogno di difendersi o di accusare, col pretesto di un contributo alla ricerca della verità. Anche se, con l'andar degli anni, il tono si smorza, resta pur sempre il peccato d'origine, una tesi da sostenere, una causa da difend~re, una accusa da avanzare. Con la ripresa di studi in occasione del ventennale dell'armistizio, i segni di una svolta verso un'indagine obbediente ai criteri della ricerca storica e non agli impulsi della passione politica, si manifestano in piena evidenza. Basti citare ad esempio il volume del generale Ettore Musco, edito da Garzanti nel 1963, dal titolo «La verità sull'8 settembre». Un'opera che, si può dire, ha segnato una tappa, nella storiografia sull'8 settembre: nutrita di una solida documentazione, condotta con impeccabile rigore di metodo, costituisce un valido punto di riferimento a chi voglia segnare la rotta di questa fortunosa navigazione.
E come tale, ho ritenuto opportuno ricordarla. Perchè queste m~e brevi, succinte note non pretendono nemmeno lontanamente di tracciare un sia pur sommario schizzo di storia della storiografia in argomento; si propongono semplicemente di segnalare alcuni punti di riferimento che possono apparire particolarmente significativi. Ad esempio, l'ultima, in ordine di tempo (risale, a quanto mi risulta, a pochi mesi fa), la più recente delle opere in argomento, una brillante sintesi, una penetrante diagnosi, che ha già raccolto numerosi consensi: «L'Italia si arrende: la tragedia dell'8 settembre». Autore, Domenico Bartoli .
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Una speciale attenzione merita l'ampio lavoro di Joseph Schroder, dedicato, appunto, a «L'uscita dell'Italia dalla seconda guerra mondiale, 1943» (Jtaliens Kriegsaustritt 1943, Gottingen 1969) che fa parte della Collana di studi e documenti per la storia della seconda guerra mondiale, a cura dell'Arbeitskreis fur Wehrforschung di Stoccarda. Un'ampia ricostruzione della vicenda dell'armistizio, condotta con rigore di metodo su di una solida base di ricerca, una vera miniera di dati e di documenti, che ha come centro di gravità il problema dell ' alleanza italo-tedesca; filo conduttore «le contromisure tedesche nello spazio italiano» («die deutsche Gegenmassnahmen im italienischen Raum», come dice il sottotitolo stesso del volume), con particolare riguardo ai due noti piani per il controllo militare «dello spazio italiano», il piano Alarich e il piano Achse, accuratamente elaborati in anticipo.
Ho sottolineato quest'ultima pubblicazione, perchè occupa un posto di primo piano nella «letteratura dell'atgomento», per la ricchezza dei dati, la complessità dell'impostazione. Il fatto poi che graviti sui rapporti con la Germania, le conferisce un particolare carattere e un particolare interesse. A questo proposito, valga segnalare l'opera parallela dell'austriaco . Kar1 Stahlpfarrer, sulle operazioni militari tedesche nelle Prealpi e sulle coste adriatiche («Die Operationszonen «Alpen Vorland» und «Adriatischen Kusten», Wien, 1969), che, del lavoro dello Schroder, costituisce una opportuna integrazione anche nei riguardi di un sensibilmente diverso angolo visuale.
Di fatto, sin dall'inizio della guerra, grava, sull 'alleanza fra l'Ita lia fascista e la Germania nazista, l'ipoteca di una situazione incerta ed ambigua. I vistosi successi riportati dalle armi tedesche avevano suscitato in Mussolini, a conti fatti, più allarme che compiacimento. Quel che lo spinge a scendere in campo non è la solidarietà, ma la rivalità con l'alleato. E qui, valga ricordare una di quelle battute clandestine, espressione, autentica espressione di un'opinione pubblica che non poteva esprimersi altrimenti: «Mussolini si è attaccato alla coda del toro per non pigliar le cornate».
Una battuta che implica, se non un giudizio, certo uno stato d'animo verso l ' alleato tedesco: un senso di pericolo, data la sproporzione delle forze. Una singolare alleanza. All'insofferenza degli italiani risponde la diffidenza dei tedeschi, la loro sfiducia nell'efficienza dell'alleato, i loro dubbi sulla sua fedeltà.
L'Italia costituisce una pedina troppo importante, nella partita che si gioca in Europa, per non prendere le debite precauzioni. Vien preparato, in vista di possibili, prevedibili co mplicazioni, un piano di emergenza, il «piano Alarico»: un piano ben definito, sistematicamente concepito, secondo i canoni della Grundlichkeit germanica, di quel consequenziario andare fino in fondo che caratterizza la mentalità germanica. L'alleata Italia si tramuta in una specie di «sorvegliato speciale». ' Sopravviene il 25 luglio, la caduta, l'arresto di Mussolini. La macchina del piano Alarico si mette in moto; si provvede a un consistente aumento della «guarnigione» tedesca in Italia, a progressivi invii di truppe dalla Germania, in modo da tener sotto controllo quello che resta pur sempre un alleato, tanto più che agli interrogativi della politica italiana vengono ad aggiungersi quelli di uno sbarco anglo-americano, preludio di una «campagna d'Italia» che segnerebbe l'apertura di un nuovo fronte. All'annunzio dell'armistizio, 1'8 settembre, la risposta è immediata: occupazione dell'Italia Settentrionale, dell'Emilia, d elle Marche, occupazione formale che v eniva a sancire l'oc- cupazione di fatto già in atto dopo il 25 luglio: gli occupanti a ss umono il potere, le forze armate italiane residenti in loco son costrette alla resa. Il 9 settembre, all'indomani dell'annunzio dell'armistizio, si procede, da parte germanica, a un massiccio attacco a Roma; segue, il giorno dopo, l'occupazione. Il 12 settembre, liberazione di Mussolini; undici giorni dopo, il 23 settembre, a Salò, dove si era rifugiato Mussolini, proclamazione del nuovo Stato fascista, la Repubblica Sociale Italiana. Tirando le somme, lo Schroder viene alla conclusione che, a conti fatti, per la politica germanica, si può parlare di un successo, sia pure, come egli stesso lo chiama, un successo negativo, in quanto che la situazione italiana non era più quella di prima: l'alleato d'oggi, la repubblica di Salò, comprende nel suo territorio solo una parte della penisola; dal!' altra parte, nel Sud, il governo del re, il regno del Sud, base e campo di manovra degli eserciti inglese e americani per la loro «campagna d'Italia».
Certo è che, dato e concesso, se si vuole, questo successo negativo nei riguardi della Germania, non si può certo dire altrettanto per l'Italia, divenuta campo di battaglia, divisa in due fronti nemici in una spietata guerra civile. Da una parte, l'Italia che combatte sotto la bandi era della democrazia, a fianco delle Potenze dell'Occidente; dall'altra, l'Italia che combatte sotto la bandiera di un fascismo sopravvissuto a se stesso, al rimorchio della Germania nazista.
La «repubblichina» di Salò ... Si tratta, per c:;_hi vi parla, di un'esperienza vissuta: ero, in quegli anni, professore all'Università di Pavia. Permettete che, per un breve momento, al relatore subentri il testimone. La sensazione della fragilità del1'edificio dietro la facciata della retorica celebrativa ufficiale , era ormai un dato acquisito nell'opinione corrente. All'Università, le cariche accademiche portavano come etichetta d'obbligo la qualifica fascista, a cominciare dal rettore. Ma cosa si nascondeva sotto quell'ostentata etichetta? Al più, l'opportunismo di chi vuol coprire una carica, e si adatta a una qualifica che considera puramente formale. Mi recai un giorno dal rettore «fascista», dietro incarico del CL~, per parlargli di alcune misure nei riguardi sia dei professori che degli studenti, che apparivano vessatorie e inopportune. «Vengo - esordii con una certa enfasi -a nome dell'al tra sponda». E lui, di botto: «ma qual'è l'altra sponda? Quale delle due è l'altra sp onda? Confesso che non ci capisco più niente». Ancora una vo ita, una prova del vuoto che si nascondeva sotto alla cortina del conformism o ufficiale.
Abbiamo già avuto occasione di rifarci ad una di quelle battute clandestine, co me autentica testimonianza di uno stato d'animo che non aveva nulla a che fare con l'ostentato ottimismo del regime. Una ne vorrei ricordare , una pregnante battuta che ria ssu meva drasticamente la paradossale sit uazion e nella quale si trovavano gli italiani nella «repubb li china»: «Se perdiamo siamo perdenti, se vinciamo siamo perduti». * * *
Sarei ritornato volentieri sull'argomento «Germania», se avessi avuto la possib ilità di discuterne con l'amico P eterse n, al quale era stata affidata, appunto, la relazione su «l 'armistizio e il Reich». Non si poteva fare scelta migliore. Collaboratore, da anni ormai , di quella vera e propria fucina di studiosi che è l'Istit uto Storico Germanico di Roma, è uno dei più quotat i conoscitori del periodo in questione, al quale ha dedicato importanti studi; vorrei ricordare, ai fini che qui ci interessano, il suo lavoro: «Hitle r e Musso lini: la difficile alleanza». Purtroppo, è stato tratt enuto a Roma da perentori impegni, e non è qui fra noi .
Me ne dispiace. L'argomento Germania rientra nel «d ialogo dei massimi problemi», per il no stro convegno; il non aver potuto se ntire un esperto come Petersen ha ap ert o, senza dubbio, una lacuna. « II dialogo dei ma ss imi problemi» ... Il problema dell 'alleato viene ad allinearsi, a livello parallelo, col pro- blema del nemico. Le prime avances italiane all' Inghilterra e all'America, le accoglienze che trovano, le trattative che ne conseguono, i risultati che ne derivano. Romain Rainero, in un suo saggio introduttivo, al titolo «L'armistizio di settembre» ha aggiunto un sottotitolo ch'è già, di per sè, un programma: «Inizia un dialogo fra sordi: aspirazioni italiane e irrigidimento alleato a Cassi bile e a Malta».
Le aspirazioni italiane ... I negoziatori italiani partivano da un a premessa: che la richiesta di armistizio non fosse da considerare una resa nel senso letterale della parola. La guerra che l'Italia stava combattendo era una guerra fascista intrapresa da Mussolini al seguito di Hitler. Ora che si era riusciti a togliere di mezzo Mussolini, non aveva senso continuare a combattere a fianco di un alleato che diveniva necessariamente un nemico, contro un nemico che era il naturale alleato.
Con questo animo, l'Italia di Badoglio aveva intavolato le trattative. Ma si era trovata di fronte a quello ch e Rainero chiama «l'irrigidimento alleato». A Londra come a Washington, i politici hanno una loro linea da segu ir e, e non intendono scendere ad atteggiamenti che giud icano di compromesso; i militari, a lor volta, non intendono deflettere dalla loro linea, vinco larsi ad impegni: la resa del vinto non può essere che resa senza condizioni.
La relazione di David Ellwood ci ha fornito un ben definito quadro della situazione, per quanto riguarda la Gran Bretagna. Putroppo, Elena Aga Rossi si è trovata nell'impossibilità di assolvere al co mpito parallelo, per quanto riguarda gli Stati Uniti. Una sensibile lacuna, tanto più sensibile , in quanto il parallelo fra le due politiche avrebbe portato a chiarire un elemento tutt'altro che trascurabile, il «gioco delle parti».
Il problema è stato affrontato nella relazione introduttiva di Ennio di Nolfo su l 'a nnun z io dell'armisti z io in Italia. Per Lond ra la que st ione italiana rientra nell'ambito tradizione della sua politica estera. È Londra che tiene il campo, nel condurre le trattative, nello stab ilir e le condizioni, nel procedere alla loro esecuzione. Al realismo imperial e di Londra fa riscontro l'idealismo di Washington, l'intonazione messianica di stampo wilsoniano, l'America come custo de e campion e dell'idea demo cratica nel mondo, secondo la tradizione ormai acquisita della politica statunitense. Il che implica una alternativa fra intransigenza e comprensio ne, ben distinta dal realismo britannico .
In ghilter ra , Stati Uniti ... A completare il panorama internazionale, era in progetto, anzi in programma una relazione su «L'armistizio e la France libre»: i contatti, i rapporti, ipourparlers del nuovo Governo italiano con la Francia libera. Era stato designato come relatore Pierre Milza; ma della sua relazione non pervenne traccia al Co nve gno. Resisto alla tentazione di entrare in argomento; è un capitolo a sé, che ci porterebbe troppo lontano, in queste succinte note concl u sive.
Quello di cui ci stiamo occupa nd o ora è il vero e proprio regolamento dei cont i con gli avversari in campo, il «dialogo fra so r di», di cui parlava Rainero. Di fron t e all'atteggiamento britannico e americano, si manifesta, da parte italiana, un disorie ntamento sempre più palese, un c rescendo di incert ezza, di equivoci, che si riflette, dal tavolo delle trattative, su quanti hanno in mano, in Italia, le leve di manovra. Quella che si potrebbe chiamare « l 'organizzazio ne della sc onfitta», le misure da prendere, gli ordini da impartire a norma d'armistizio, si riso lve in un seguito di provvedimenti improvvisati, imbastiti sul momento, senza effettivo coord inam ento .
Con tutte le conseg uenze che ne derivano. La relazione di Massimo Mazzetti s u «L 'armistizio, la situazion e militare e la strateg ia generale», que lla del co lonn ello Bertinaria su «Gli armistizi del settemb re 1943. Comando Supremo ed esercito» hanno su scitato, l'avete visto, le più accese disc uss i oni. Si sono susseguite le più vio lente req ui sitorie contro il comportamento n el vertice delle forze armate, la loro inca paci tà di adottare una linea di co ndotta coerente e cons egu en te, nell'esecuzione delle misure che i comand i eran r iusciti ad adottare. Non rientra nei mie i compiti, qui, di recitare la parte del pubblico mini stero; e nemmeno quella dell'avvocato difen sore. Solo una constatazione di fatto; la difficoltà di muoversi nel caos, gli insormontabili ostacoli, gli indissolubili vincoli di una situazione precaria e confusa che bloccava ogni libertà di movimento. Una co nstatazione di fatto, alla quale si accompagna tuttavia, una alt rettan to valida cons id erazione: n ell'assenza di un preordinato disegno , di ben definite lin ee direttive , il ricor so more italico, alle occasionali vie d'uscita che le sin go le situazioni potevano di volta in volta offrire. A differ enza dei tedeschi, con i loro elaborat i piani, ai quali fa ceva seguito, in caso d 'emerg enza, una sistematica esecu zio ne. Corse, in proposito, una battuta non priva di sapore: «I tedeschi sono stati, a l solito, troppo pesan ti nel provvedere ai fatti lo ro. E gli italiani, al solito, troppo leggeri».
Pesante, in compenso , fu il costo dell'op erazione armi stizio per gli italiani. Abbiam o fatto cenno a quello che er a costata a lle forze armate italiane l'occupazione tedesca del sette nt ri one d'Italia. La Marina e l'aeronautica pagaro no anch'esse il loro pre zz o. Ma un buon numero di navi e di aerei riuscirono a raggiungere le linee alleate, sia pure attraverso fortu n ose vicende. La relazione dell'ammiraglio G. Galuppini s ulla Marina, e quella del colonnello Casolini sull'Aeronautica seg uono passo passo questa odissea, ad un tempo, dell'uomo di studio e dell'uomo di mestiere, sen za cedere alle tentazioni di una faci le retorica celebrativa, nè a quelle di una non meno facile reto r ica in quisitoria .
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Ma non s ono solta nto i militari, su l ba nco degli accusati. Gli errori, le colpe dei militari, risalgono, sovente, più in a lto, a chi dà gli ordini, non a chi li riceve , ai detentori, o ai titolari (non sempre le due ca tegorie coincidono), del potere.
Quest' Itali a, confinata, ormai, al Sud, questo «regno del Sud» , si presenta, nelle trattative d'armisti zio con gli antichi nemici, come un interlocutore, se non legittimo, legale. Il filo conduttore della penetrante relazione di Aldo A. Mola, riguardante «L'armistizio e la Casa reale» è la ricerca e l'interpretazione del «caso Vittorio Emanuele III». Una ricerca e una interpretazione coerenti e conseguenti, ben lungi dal tono di prammatica, dalla tediosa alternativa fra la requisitoria del pubblico ministero e la perorazione dell'avvocato difensore. Vittorio Emanuele III non era uomo da avventurarsi, nella situazione intricata e precaria nella quale si trovava, in rischiose manovre. L'unica via d'uscita egli la vede in un ostentato ritorno alla normalità, alla legalità, alle tradizioni costituzionali della sua Casa, nella speranza di ammorbidire così l'intransigente diffidenza dei nemici di ieri, degli alleati di domani, che grava come una pesante ipoteca svlle trattative d'armistizio.
Vittorio Emanuele III aveva assolto alle sue funzioni di capo dello Stato il 25 luglio, quando, in conseguenza del voto del Gran Consiglio, aveva, con l'arresto di Mussolini, sancito la fine del regime. Con la nomina del maresciallo Badoglio a capo del Governo il potere era stato trasmesso a un nome di grande prestigio nel campo militare, si badi, non nel campo politico: ed era un potere d'eccezione, in una situazione d'eccezione.
Ma essere il detentore legale del potere non significa esercitarlo di fatto. In una situazione come quella che si era venuta a creare in Italia, in seguito all'armistizio, emanare tempestivamente degli ordini, farli pervenire a chi di dovere, vederli applicati quando erano pervenuti, diveniva un'impresa sempre meno agevole. L'accusa corrente a Badoglio di non essere stato all'altezza del compito che gli era stato assegnato, di essersi lasciato dominare dagli avvenimenti anzichè dominarli, non può r idursi a una formula generica, deve basarsi su di un esame concreto della sua attività. Nel nostro Convegno, la «questione Badoglio» non è l'oggetto di una trattazione a se stante; torna e ritorna, nelle diverse relazioni, in tema di questo o di quel problema o di questo o di quel caso specifico; e in funzione di quel problema e di quel caso viene vag liata e valutata. Per giungere a un fondato giudi zio d'insieme, è all'intero ciclo del suo governo che bisogna rifarsi, sino a quel 10 giugno 1944, che segnò il ritorno alla normalità costituzionale - a quel tanto di normalità ch'era possibile in quel momento: il posto del maresciallo Badoglio venne assunto da un eminente uomo politico, Ivanoe Bonomi.
L'argomento esula dai confini del no stro convegno. Mirifaccio, piuttosto, a conclus i one del nostro lavoro, alle due relazioni finali, con le quali si chiude e si conclude il programma: la relazione di Gianfranco Bianchi su «L'armistizio e il fascismo», e quella di Romain Rainero su «Gli armistizi di settembre verso una cobelligeranza». Qui, è il significato stesso, è la portata storica dell' 8 settembre che acquista il suo pieno rilievo. L'8 settembre pone il suggello al 25 luglio rinnegando il vincolo di un'alleanza che gravava come una pesante ipoteca sul regime; mettendosi su lla via di un radicale cambiamento di fronte, di un aperto sc hieramento su que l fronte della democrazia, che aveva impegnato col fascismo una partita di vita e di morte . La repubblica di Salò, che avrebbe dovuto assumere il s ignificato di una restaurazione del regime, si risolve in un effimero espediente, che cerca di coprire con l'as serv imento allo straniero il suo sostanziale vuoto interiore.
Un mutamento di fro nte , si diceva, che, nelle sue origini, nei suo i sviluppi, non si basa certo sul vuoto. Il 25 luglio rispondeva ad uno stato d'animo che andava facendosi sempre più palese e imperioso. E 1'8 settemb re , il passaggio dalla gu erra che si ammantava delle ambizioni del regime, alla guerra di liberazione, permetteva a queste forze di prender e consistenza, di organizzarsi secondo le regole della rinascente democrazia.
Un particolare interesse presenta a questo riguardo la relazione di Lamberto Mercuri su « L'armistizio e la nascita dei par titi». Una evoluzione, questa, che trova nell'armistizio, una vera e propria galvanizzaz ione, ne l rientro in patria delle forze politiche in esilio (è, appunto, il t ito lo di una relazione, la relazione di Antonio Varsori). Eran le avanguardie di quella che era stata l'opposizione militante al regime, ch e tornavano a prendere il loro posto di combattimento nella cost ru zione del nuovo edificio. Liev iti, fermenti, che si fanno intensamente sentire anche nei settori che la sorte aveva segregato dalla vita della nazione: significativa, in proposito, la relazione cli Romain Rainero su «L'armistizio nei campi di prigionia».
S'era proposto, il convegno, di dire una sua parola, di dare un suo contributo all'evoluzione in atto nella storiografia nei riguardi di uno ieri che, per le generazioni più mature, appartiene non alla storia, ma all'esperienza vissuta. Fare, come si è detto, il punto della navigazione storiografica, non con affermazioni teoriche, ma con un esempio concreto.
Ed ora, a lavoro compiuto, ritengo che in piena scienza e coscienza si possa affermare che lo scopo che ci siamo proposti, nel rigor e del metodo, nell 'ampiezza della ricer ca, nell'aggiornamento delle conclusioni, sia stato raggiunto.
Non mi resta che il dovere e il piacere di fare le mie più vive co n gratulazioni ai promotori, agli organizzatori di questo convegno, per aver saputo elaborare un programma al livello del compito che si erano prefisso, e di aver saputo scegliere dei collaboratori al livello del programma che avevano elaborato.