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LEANDRO GIACCONE CONSIDERAZIONI SULL'ARMISTIZIO
L'otto settembre 1943 gli angloamericani proclamarono improvvisamente al mondo la resa incondizionata che l'Italia cinque giorni prima aveva segretamente firmato a Cassibile.
Prima di noi, nel corso della seconda guerra mondiale, si erano già arrese una dozzina di nazioni: Finlandia Estonia Lituania Polonia, Norvegia Danimarca Olanda Belgio, Francia Jugoslavia e Grecia; infine si arrenderà anche la Germania.
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Sono tutti eguali i macroscopici fenomeni militari e gli infiniti drammi umani che si verificarono, come da noi, così in tutte le altre nazioni all'atto dell'armistizio imposto dal vincitore. Una differenza fondamentale distingue però l'otto settembre italiano, il settembre nero, dalla disfatta di tutti gli altri Stati europei.
Tutti gli altri non scelsero il momento della loro resa; la subirono quando vi furono materialmente obbligati dalla invasione armata del loro territorio. Solo l'Italia scelse liberamente il momento della sua resa, rompendo un'alleanza che la Germania nazista aveva trasformato in sudditanza, per riprendere la sua antica collocazione tra le democrazie occidentali europee. La dissoluzione dell'esercito e l'invasione dell'intero territorio nazionale furono il prezzo pagato dai responsabili per questa fondamentale scelta politica.
Non vi fu alcuna rotta militare a seguito di battaglia perduta, perchè nessuna battaglia era tecnicamente possibile contro lo Stato tedesco, partendo dallo schieramento che proprio a questo scopo ci era stato imposto da Hitler. La disfatta istantanea senza combattimenti coordinati dal Comando Supremo, fu la conseguenza diretta e prevista dell'improvviso armistizio liberamente chiesto ed accettato dallo Stato perdente.
La materia, estremamente complessa, si presta alle più diverse valutazioni, che fino ad oggi sono state spesso influenzate da contingenti in teressi politici. È merito di questo Convegno Internazionale, per la completezza e la serietà delle documentazioni offerte agli studiosi, di affrettare il tempo di un sereno giudizio storico definitivo. Ma tenterò una sintesi, separatamente sul piano formale, politico, e strategico, per concludere quanto del settembre nero si può attribuire a forza maggiore, e quanto ai meriti, agli errori, alle colpe, dei maggiori responsabili.
Sul piano morale
Nella fase attuale della evoluzione della società umana, è universalmente accettato che la morale dello Stato sia diversa dalla morale privata di ciascun singolo cittadino; e la «SOVRANITÀ» dello Stato ne è la conferma semantica. Prima la Società delle Nazioni, e poi l'ONU, sono, stati i tentativi di estendere agli Stati Sovrani la stessa legge morale valida per gli individui, nell' interesse dell'intera umanità. Nobili tentativi con deludenti risultati , tanto è vero che dopo venticinque secoli, ancor oggi in tutto il mondo «Right or wrong is my country» rimane l 'esatta traduzione del latino «Salus Reipublicae suprema lex».
Nel settembre 1943 l'Italia ha usufruito del suo diritto di cessare la guerra, anche se l'alleato intendeva continuarla. Gli obblighi che le derivavano dall'alleanza non potevano non essere subord inati alla legge suprema della sua sopravvivenza come Stato Sovrano. Dunque tut te le valu tazio ni dell'8 settembre sotto la specie di «tradimento dell'alleato» rimangono esempi classici di tentativi di piegare la storia ai contingenti interessi della più facile propaganda di questa o quella Parte politica.
Sul piano politico
Nel 1940, senza specifica richiesta della Germania, contro l'opinione della maggioranza degli italiani e della stessa Corona, Mussolini aveva dichiarato guerra a Francia ed In ghilterra per acquisire il diritto di partecipare alle trattative di pace che a suo avviso erano imminenti, a conclusione della guerra scoppiata l'anno precedente per la questione di Danzica. Lo scopo sostanziale dell'intervento, naturalmente non confessato, era di limitare l'egemonia tedesca, che si profilava assoluta su tutta l'Europa.
All'inizio del 1943 l'andamento delle operazioni militari dimostrava che non l'Italia con la sua alleanza, ma gli Alleati con la loro guerra avrebbero evitato il predominio nazista sul continente europeo . Cadeva lo scopo politico essenziale della nostra originaria partecipazione al conflitto; sorgeva insieme imperioso il problema della nostra sopravvivenza come Stato unitario, ed il problema della nostra collocazione nel nuovo equilibrio che sarà determinato dal secondo conflitto mondiale.
Una log ica ferrea suggeriva di liquidare in primo tempo il regime fascista, per nullificare gli impegni che lo legavano, che ci legavano al regime nazista. In secondo tempo, sgombrato il campo dalle affinità ideologiche, si sarebbe affrontato il problema dell'all eanza tra Stati, quando tra loro sorga insanabile una divergenza politica.
Dopo vent'anni di potere assoluto, appena Mussolini fu sostituito da Badoglio, il regime crollò senza alcuna opposizione e la stessa milizia fasc ista si fece disarmare e disciogliere senza reagire. Fu la conferma plebiscitaria che il Re aveva correttamente interpretato la volontà degli italiani. Gli stessi tedeschi furono costr etti a considerare il cambiamento di Governo come una nostra questione interna, anche se fatalmente si avvelenava l'atmosfera in cui proseguivano i rapporti tra i due alleati.
Il problema di secondo tempo, l'armistizio, non era stato affrontato e tanto meno risolto prima della liquidazione del fa- scismo. Subito ad un primo esame fu chiaro che, in proposito, la divergenza di opinioni tra noi ed il nostro alleato non era conciliabile in via diplomatica.
Se volevamo cessare le ostilità prima della finale catastrofe, si profi la va inevitabile uno scontro armato con la Germania, ed ogni decisione politica non poteva che essere subordinata a ll a valutazione dei rapporti di forza. A cominciare dallo schieramento str ategico in atto, come lo avevamo ereditato da Mussolini.
Sul piano strategico
Nel quadro della difesa continentale europea, avevamo circa una trent ina di Di vis ioni dislocate in Provenza, Croazia, Slovenia, Dalmazia, Montenegro, Albania. Circa altrettante ne avevamo efficienti in Grecia , Italia, Corsica, Sardegna, Sicilia; ma queste frammischiate anche in ordine di dipendenza con Grandi Unità tedesche, che in ciascun teatro operativo, ad eccezione della Sardegna, prevalevano nettamente sulle no stre, come la battaglia di Sicilia stava purtroppo dimostrando. Questo schieramento era la conseguenza degli errori e della lunga sub ordinazione politica di Mussolini ad Hitler, e ci era stato imposto al preciso scopo di tenerci in pugno, nel caso che tentassimo di abbandonare la lotta.
Hitler aveva raggiunto il suo scopo: in un confronto armato con la Germania, non avremmo avuto alcuna probabilità di successo. Ovviamente impensabile un'offensiva strategica; non potevamo neppure con le nostr e sole forze difendere la Penisola. Bastava calcolare il tempo necessario a trasferire per ferrov ia, sulla cerchia alpina o almeno su lla lin ea Goti ca fronte a nord, le Di visi oni che avevamo fuori d'Italia; e per trasportare al tergo della lin ea prescelta l'indi sp ensabile supporto logistico, centinaia di migliaia di t onnellate di materiali. E durante tutta que sta lunga crisi di movimento i tedeschi sare bb ero stati a guardare?
Ma non basta: contemporaneamente avremmo dovuto distruggere, o costringere alla ritirata, l'Armata di Kesselring, a sud degli Appennini, e l'Armata di Rommel che subito dopo il 25 luglio ci era piovuta in valle padana. Quanto allo spirito delle truppe, non era difficile immaginare l'angoscia la delusione la stanchezza di un esercito che si arrende al nemico, e la grinta dell'altro esercito che seguitando a combattere affronta l'infido alleato.
In base dunque alla situazione in atto, ed all'impossibilità di modificarla sostanzialmente in tempi brevi, il Governo e la stessa Corona dovettero scegliere se proseguire la guerra accanto alla Germania fino alla finale comune catastrofe, oppure se scindere il nostro destino dal destino dell'alleato nazista, accettandone subito le conseguenze, nel supremo futuro interesse della nazione. È stata questa tragica, fondamentale libera scelta che ha determinato, nel bene e nel male, tutta la successiva storia d'Italia.
Presa la decisione, era assolutamente necessario che non giungesse ad Hitler la minima prova concreta delle nostre trattative armistiziali, per evitare che egli ci costringesse ad interromperle. Ufficiali di collegamento tedeschi erano presenti in ogni nostro comando, e per conseguenza si mantenne il segreto con tutti, compresi gli Stati Maggiori centrali e periferici, compresi tutt i i comandanti di Grande Unità, a cominciare dall'Armata.
Sapeva bene il Governo che non avendo potuto orientare le forze armate alla nuova politica, l'armistizio improvviso non poteva non essere interpretato come la fine della guerra perduta, e la certa reazione dei tedeschi avrebbe affrettato la dissoluzione dei reparti. Per la prima volta nella storia un esercito intero era impiegato come retroguardia votata al sacrificio, per salvare il grosso, lo Stato.
Le responsabilità
Il ristretto gruppo di personalità politiche e militari che prepararono in segreto tutto quanto necessario ad evitare pubblici turbamenti all'atto della caduta del fascismo, non ignorava che questa era la premessa alla cessazione delle ostilità. Assolsero bene il compito, ma non programmarono in precedenza il «dopo Mussolini». È probabile che si ritraessero spaventati dalla facile previsione di quanto sarebbe segu ito a qualunque iniziativa di pace del nuovo Governo militare; e ne lasciarono insoluto in sede di previsione lo scottante problema. A loro risale la prima responsabilità della monca preparazione politica del nuovo corso della nostra storia.
Indubbiamente al Sovrano spetta la responsabilità stor ica di aver liquidato il fascismo, nell ' interesse supremo del Paese. Congiuntamente al Sovrano ed al Governo spetta la responsabilità storica e politica di aver accettato la dissoluzione dell' esercito e l'invasione dell'intero territorio nazionale, come prezzo della fine delle ostilità contro gli angloamericani.
Badoglio , non avendo dubbi sul risultato di operazioni militari della sola Italia contro la Germania, tentò disperatamente di coinvolgervi le Arm~te angloamericane, e propose al nemico un capovolgimento di alleanze. Ma doveva immaginare che giocato sulla sola marina da guerra , senza poter offrire anche territorio, con un'Armata schierata a valida difesa della linea Gotica, quel mercato sarebbe stato respinto per il troppo alto prezzo richiesto : l'alleanza dopo quaranta mesi di guerra perduta. Il nemico infatti accettò solo la resa incondizionata, non cambiò i suoi piani per accorrere in nostro aiuto, e la catastrofe sopraggiunse totale ed immediata. ,
A Badoglio risale dunque la responsabilità di non aver affrontato virilmente la situazione che derivava dalla decisione di cessare subito le.ostilità. Perdente sul piano militare, avrebbe potuto solo agire sul piano politico, in modo da accollare ai tedeschi anche la responsabilità formale, oltre che sostanziale, della rottura dell'alleanza. Il nostro disastro materiale sarebbe forse stato identico, ma l'Italia ne sarebbe uscita con ben altro prestigio verso gli angloamericani e verso la universalità dei suoi cittadini, compresi quelli sorpresi in armi dall'armistizio segreto (*);
Badoglio aveva impiegato l'esercito come copertura delle trattative armistiziali, dopo aver constatato l'impossibilità di impiegarlo unitariamente contro la Germania; e l'otto settembre egli sapeva anche che all'atto della comunicazione dell'armistizio l'ordine di «difendersi se attaccati» votava i reparti all 'o locausto tattico. Il Maresciallo capo del Governo ha la responsabilità di aver gettato sulle spalle di tutti gli ignari comandanti, dalle Armate ai Plotoni, la tragica scelta di sua esclusiva competenza: la resa anche ai tedeschi, o una lo tta disarticolata e senza speranza contro l'alleato, nel momento stesso in cui lo Stato si era arreso al nemico.
All'alba del 9 settembre infine, il Re, il Governo ed il capo di S.M. generale assunsero congiuntamente la responsabilità storica di NON DIFENDERE ROMA, per non coinvolgerla in azioni di guerra. A seguito di questa decisione il capo di S.M. dell'esercito ordinò al Generale Carboni di ritirare su Tivoli tutte le truppe dislocate nella zona di Roma. Carboni fu dunque l'unico comandante di Grande Unità che all'atto dell'armistizio ricevette un ordine scritto da suo superiore diretto . Ordine generico, incompleto, ma tecnicamente eseguibile e chiarissimo nelle sue implicazioni politiche e operative .
Accadde però che proprio questo Generale fin dall'alba del giorno 9 si rese irreperibile per incapacità di comando e personale viltà, lasciando tutta la pesante responsabilità operativa · al suo modesto capo di S.M .. Ricomparso a Tivoli nel pomeriggio, accettò di trattare un resa proposta dal nemico, che prometteva di non condurre prigioniere in Germania le truppe da lui dipendenti. Al mattino successivo infine Carboni ordinava al suo corpo d'armata ancora in via di ripiegamento su Tivoli, di rigirarsi e muovere all'attacco delle colonne tedesche intorno a Roma.
(*) Vedi le «Memorie segrete» del Generale Utili, venute alla luce nel settembr e 1982 su «Storia Illustrata (Milano, Mondadori).
Mentre i reparti erano impegnati in questi caotici movimenti, nel pomeriggio del IO settembre Carboni si arrendeva al nemico, accettandone l'ultimatum, senza aver impiegato in combattimento i reparti efficienti ai suoi ordini.
Lampanti le resposabilità di questo Generale in base al codice penale militare, per aver capovolto un preciso ordine di ritirata in ordine di attacco, e per essersi arreso senza combattere con le forze valide che aveva a disposizione. Sembrano però ancora maggiori le responsabilità dei sommi capi militari, Ambrosio e Roatta, per aver affidato un così delicato e diffide compiti operativo ad un generale politicante e traffichino, che non aveva mai condotto in çombattimento Grandi Unità, invece che conferirlo ad un soldato di forte e limpido carattere, con provata esperienza di guerra. Perchè solo Comandanti di questo tipo, che in genere i politici non amano, riescono a superare le crisi supreme, vincendo o perdendo, ma senza mai scrivere pagine nere nella storia degli eserciti.
È certissimo che altri Generali italiani, al posto di Carboni, avrebbero espletato d'iniziativa l'ordine di ritirata dettato da Roatta in modo incompleto; avrebbero imbastito una battaglia in ritirata, come ordinato, allo sbocco di valle Aniene con le forze sicuramente impiegabili, l'intera «Piave» e parte dell' «Ariete». Con le spalle ai monti, facilitati dal terreno, avrebbero potuto resistere alla pressione delle forze tedesche fino ad esaurimento delle munizioni al seguito dei reparti. Perchè non era possibile alimentarli, a causa della inesistenza al tergo di basi logistiche precostituite.
Questo era il preciso intendimento del Generate Calvi di Bergolo nel caso avesse dovuto sostituire Carboni al comando del Corpo d'Armata. Tutti noi che vivemmo quella tragedia, siamo certi che al comando di Calvi la battaglia di Tivoli sarebbe stata una riga luminosa nella pagina buia dell'otto settembre. Fermo restando che si sarebbe sempre trattato di un episodio tattico, che non poteva modificare il quadro strategico generale. Questo era stato determinato dalla decisione del Governo di cessare la guerra contro le democrazie occidentali, pur sapendo di non essere in grado d"'imporre con la forza delle armi questa nostra volontà politica alla Germania nazista.