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MASSIMO MAZZETTI
GLI AVVENIMENTI D E LL '8 SETTEMBRE
Nel Quadro Della Strategi A
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D Ella Ii Guerra Mondiale
Per co mpr endere co me e in quali condizion i si giunse all' ar mistizio fra l'Italia e gli alleati, è indispens abil e tracciare un sia pure sintetico quadro delle scelte strategiche italiane che porta rono alla sconfitta.
Come è no to il Von Claus ewitz affer mò che « la guerra è la co n tinuazione della politica con altri mezzi». Mussolini andò ancora più in là affermando l'assoluta identità fra guerra e politi ca e negando in pratica qualsiasi autonomia a lla strategia.
In questa conv inzione, in cui era stato falsamente indotto dalle apparenze della gue rra e t iopica (1), e in cui era stato confermato dallo sconsiderato e servile applauso degli adulatori, egli aveva c on cepito l'intervento italiano in guerra nel giugno 1940 come un fatto eminentemente politico . Quest 'atteggiamento fu manifestato nella ce leb re , ci ni ca frase sull a necessità di qualche migl iaio di morti per se dersi al tavolo delle trattative.
Con questo spirito fu affron tato il conflitto e tutto ciò diede vita alla teo ria della guerra parallela fatta non assieme ai tedesch i ma in loro concorrenza.
Il frutto più sign ifi cat ivo di quest'impostazione politicostrategica fu la cam pagn a di Grecia concepita come una passeggiata s ul modello di qu ella albanese e trasforma tas i n ella più sco nsiderata avventura militare dei tem pi moderni (2).
Qu and o le sco nfitt e in Epiro e in Cirenaica travolsero, come un fra gile castello di car ta, l' ed ificio della guerra parallela, il dittatore modi fic ò i suoi piani, ma solo parzialmente. L'obiettivo finale rimaneva lo stesso: sedersi all'ipotetico tavolo della pa ce.
Il duce non credeva ad una totale vittoria tedesca, e neppure la desiderava; voleva giungere nel miglior modo, nelle migliori condizioni possibili all'apertura delle trattative di pace nel corso delle quali, svolgendo il ruolo a sè più congeniale, quello del mediatore, contava di ottenere ciò che non era possibile conquistare armi alla mano. Perciò era opportuno che la guerra la conducessero soprattutto i tedeschi. Ciò avrebbe avuto il duplice effetto di risparmiare le potenzialità italiane e di logorare quelle germaniche.
Solo in questa prospettiva, che vedeva nella guerra un fatto eminentemente politico, si spiegano decisioni che, sul piano militare, apparirebbero altrimenti incomprensibili, come, ad esempio, l'invio di un corpo di spedizione e, successivamente, di una intera armata italiana sul fronte russo. Ed è in questo quadro che va inserita la valorizzazione di Rommel da parte del duce.
Infatt i la presenza di questo generale tedesco, così bene accetto a Hitler, era la migliore garanzia che l'appoggio germanico alle operazioni mediterranee non sarebbe venuto meno. Questa linea politico-strategica che probabilmente appariva astutissima al suo ideatore e che nei fatti si rivelerà fallimentare, portò, da un lato alla nomina di Rommel a comandante di quasi tutte le forze italiane presenti in Cirenaica, dall'altro, all'avvio di un'incredibile «guerra al risparmio».
Per comprendere le caratteristiche di questa nuova linea politico-strategica basterà rilevare che nell'estate del 1941 la Germania, che aveva 21 divisioni corazzate, le aveva tutte impiegate sui fronti di guerra: per l'esattezza 2 in Africa e 19 in Russia.
L'Italia che disponeva di 3 divisioni corazzate, ne inviò al fronte solo una. C'è da chiedersi quale fosse la ragione di una simile scelta e la risposta non può essere che una: perchè si voleva che i tedeschi si assumessero l'onere principale della guerra corazzata nel deserto, senza prevedere le conseguenze che ciò avrebbe comportato.
Infatti questa decisione, a breve termine, ci rese dipendenti dall'iniziativa di Rommel e quindi germanica anche in un teatro di guerra come quello libico che doveva essere di esclusiva competenza italiana. A lungo termine poi, ha permesso l'affermarsi e il consolidarsi di una sorta di congiura storiografica attuata in solido, dai nostri ex nemici e dai nostri ex alleati, secondo cui se i tedeschi erano battuti si trasformavano istantaneamente in italiani mentre se erano gli italiani a vincere diventavano immediatamen t e tedeschi.
Questo indirizzo di subordinazione totale della strategia alla politica spiega i continui inte r venti dello Stato Maggiore Generale che, nei con t rasti fra il comando italiano e il comando germanico in Africa, dà, con una sola eccezione, sempre ragione ai tedeschi, prescindendo da un'oggettiva analisi della situazione.
La svolta della guerra in Africa Settentrionale è costitui t a, come è noto , dalla battaglia di E l Alamein. Tuttavia, ancora più importante del r isultato dell ' epico scontro, per la sorte del conflitto, fu il quasi contemporaneo sbarco anglo-americano nell'Africa Settentrionale francese.
Quest'operazione era stata preparata di lunga mano da alcuni patrioti francesi noti con il nome di «Gruppo dei cinque» che riuscì ad ottenere importanti adesioni fra le autorità civili e militari e a costituire un'imponente organizzazione clandestina.
Benchè l'azione in Africa settentrionale fosse stata decisa nel mese di luglio, solo tre mesi dopo furono fatti i primi passi, da parte degli americani, per avvertire i loro amici francesi del prossimo sbarco nonostante che dalla loro azione dipendesse gran parte del successo. Scrive infatti Robert Aron: «Il 22 settembre Roosevelt dà a Murphy istruzioni definitive e confidenziali sull'atteggiamento da adottare nei confronti dei cinque; esse rivelano chiaramente fino a che punto i francesi, che in quel momen t o erano convinti di avere la fiducia dei loro amici americani, si nutrissero ancora di illusioni: il presidente precisa a Murphy che dovrà mettere i cinque davant i al fatto compiuto .
Gli conferma che lo sbarco sarà organizzato dagli americani: i francesi manterranno soltanto la sovranità e l'amministrazione civile» (3). .
Venne inoltre precisato che, come avevano chiesto i francesi, la spedizione sarebbe stata esclusivamente americana (il che era falso) e infine veniva prescritto che «i francesi saranno avvisati 24 ore prima soltanto e, se Murphy lo ritiene necessario, potrà informarli dei luoghi dove approssimativamente si verificherà lo sbarco» (4).
Solo l'incredibile dilettantismo strategico di Roosevelt poteva concepire che fossero sufficienti 24 ore per organizzare un'operazione così complessa quale quella che veniva richiesta al «gruppo dei cinque». Robert Murphy, il console generale americano ad Algeri, per quanto digiuno anch'egli di cose militari, trovandosi sul posto, si rendeva ben conto della impossibilità di realizzare un simile piano in così poco tempo; ma solo il 1° novembre riuscì a strappare l'autorizzazione di Eisenhower ad avvertire gli amici francesi (5).
La reazione di questi è violenta: «È comprensibile il furore dei "cinque" che si trovano nell'impossibilità, in un periodo di tempo così breve, di far scattare il dispositivo previsto per neutralizzare la resistenza dell'esercito e della amministrazione» (6). Di fronte alle proteste dei francesi Murphy è indotto a richiedere il rinvio dell'operazione che viene tuttavia intrapresa egualmente (7) con la conseguenza che in tutti i punti di sbarco, ad eccezione di Algeri dove i congiurati avevano potuto agire più in profondità, gli alleati incontrarono violenta resistenza che ebbe termine soltanto dopo la presa di posizione dell'ammiraglio Darlan. Solo per questo fatto l'operazione potè conseguire quello che fu giudicato un clamoroso successo, ma che, in realtà, date le sue potenzialità, avrebbe potuto essere di gran lunga maggiore.
Infatti il piano di operazioni americano era sbagliato; esso prevedeva che circa la metà delle forze dell'armata d'invasione sbarcasse nel Marocco francese per prevenire una del tutto improbabile reazione tedesca partente dal Marocco spagno- lo, mentre nessuno sbarco era previsto ad est di Algeri. Ciò ebbe per conseguenza da un lato il fatto che gli alleati subirono gravi ed inutili perdite nell'azione compiuta in Marocco, dall'altro che gli italo-tedeschi poterono occupare tranquillamente la Tunisia pur disponendo di forze estremamente esigue. Quest'ultimo fatto fece sì che la guerra in Africa durasse fino al maggio del 1943.
Mentre ancora si combatteva accanitamente in Africa Settentrionale i massimi dirigenti anglo-americani si riunirono in conferenza a Casablanca dove Roosevelt, con il consenso di Churchill, lanciò la formula della «resa incondizionata» a cui avrebbero dovuto sottostare le potenze dell'Asse.
Per quanto riguarda le operazioni militari, fu stabilito dopo lunghe discussioni fra inglesi e americani di conquistare la Sicilia al termine della campagna di Tunisia.
Gli avvenimenti della fine del 1942 e dell'inizio del 1943 avevano liquidato i presupposti della «strategia delle illusioni» di Mussolini il quale, per un pò si baloccò con la speranza che i tedeschi disponessero di mezzi tali da poter rovesciare la situazione, poi giunse alla conlusione che l ' unica soluzione possi bile fosse la pace separata con la Russia.
Hitler, dal canto suo, non era alieno da accogliere un simile suggerimento; d'altra parte Stalin non era affatto sicuro, in quel momento, di poter risolvere vittoriosamente il conflitto e, per di più, benchè la formula della «resa incondizionata» fosse stata coniata proprio per dissolvere simili apprensioni, non si fidava degli occidentali che riteneva disposti ad accordarsi con Hitler. La cosa ebbe quindi un seguito. Scrive infatti Liddell Hart: «In seguito Molotov si incontrò con Ribbentrop a Kirovograd, in quel momento a 15 km al di qua delle linee tedesc he, per esaminare quali possibilità esistessero di porre fine alla guerra. Secondo ufficiali tedeschi che presero parte all'incon_tro in qualità di consiglieri tecnici, Ribbentrop proponeva come principale condizione di pace, che la futura frontiera della Russia corresse lungo il fiume Dnieper, mentre Molotov non si diceva disposto a prendere in considerazione alcuna soluzione che non prevedesse il ripristino delle frontiere originali. La discussione si protrasse a lungo per la difficoltà di conciliare queste due posizioni così lontane e fu infine interrotta quando sembrò che la notizia dell'incontro fosse trapelata giungendo all'orecchio delle potenze occidentali» (8).
Mentre questo tentativo maturava e si esauriva, non restava, dati i rapporti di forza nel Mediterraneo, alle forze italotedesche, che tentare di contenere la crescente pressione angloamericana.
L' 11 giugno cadeva Pantelleria e il 10 luglio due armate alleate sbarcavano in Sicilia. L'andamento della lotta divenne ben presto disperato per la disparità delle forze contrapposte. Ciò affrettò la crisi del regime fascista che cadde il 25 luglio 1943 per l'azione della Corona. Questa si servì, e sul momento sembrò una manovra riuscitissima, del voto sfavorevole a Mussolini del Gran Consiglio del Fascismo che suonava condanna dell'operato del dittatore. Ciò venne fatto nel tentativo di scongiurare il pericolo della guerra civile. Nelle prime ore infatti la situazione si presentava ricca di non poche incognite: restava da chiarire come avrebbe reagito il partito fascista che disponeva di ben 7 .000.000 di iscritti, oltre che di un proprio esercito di cui bisognava pur tenere conto anche se si trattava di un modesto numero di reparti, per altro non sempre molto efficienti. Come avrebbero poi reagito i tedeschi in caso di scontro fra l'esercito e la milizia?
La situazione intorno a Roma presentava inol tre carattere di particolare delicatezza: a nord della città stazionavano infatti la 3 a divisione moto - corazzata germanica e la divisione corazzata «M» della milizia. Quest'ultima unità aveva, per la verità, l'organico di una divisione moto-corazzata tedesca, disponendo di un solo battaglione carri; era tuttavia composta da elementi scelti e aveva un folto gruppo di istruttori tedeschi che potevano assicurare l'impiego di carri e d'artiglieria. Se una sola delle due unità fosse avanzata verso la capitale sarebbe stata fermata sull'anello difensivo esterno dalle truppe che presidiavano Roma e attaccata alle spalle dalla divisione corazzata «Ariete» che stava scendendo da nord. Più complessa si sarebbe presentata la situazione se entrambe le divisione avessero marciato sulla capitale.
Questa possibilità non sfuggì ad alcuni dei militari assegnati all'ambasciata germanica che cercarono di far muovere verso Roma la divisione «M»; la manovra non riuscì sia perchè non fu presa molto sul serio dall'ambasciatore, sia per l'atteggiamento lealista del generale Galbiati, Capo di Stato Maggiore della milizia. Il partito fascista si dissols e rapidamente mentre in quasi tutte le città d'Italia si svolgevano manifestazioni a favore del nuovo Governo. Con ciò veniva evitato il pericolo che la caduta di Mussolini provocasse una guerra civile.
Il nuovo Governo si t rovò quindi ad affrontare il difficile compito di tenere a bada i tedeschi fin tanto che non fosse stato raggiunto un accordo con gli anglo-americani. Per consentire il primo scopo Vittorio Emanuele Orlando scrisse il celebre proclama, diffuso poi con la firma di Badoglio, che conteneva la frase «la guerra continua». Nonostante ciò questo obiettivo non fu raggiunto neppure per un istante.
Per comprendere come il piano del Re e di Badoglio, mirante ad ingannare Hitler sugli intendimenti del nuovo governo italiano, non poteva avere nessuna speranza di successo, bisogna rifarsi alle convinzioni del dittatore tedesco nei riguardi deg li italiani. Hitler concepiva la seconda guerra mondiale come una prosecuzione della prima e considerava se stesso come il vindice della sconfitta germanica del 1918. Basterà a questo proposito ricordare come, nei verbali del Comando Supremo germanico, il fiihrer indichi più volte gli alleati come l'Intesa. Ai suoi occhi quindi gli italiani si erano squalificati per non essere entrati in guerra con la «Triplice» nel 1914 e per aver preso addirittura campo nel 1915 contro la Germania.
Solo la presenza di Mussolini e del fascismo, ai suoi occhi, aveva in parte riqualificato gli italiani. Gli stessi insuccessi del- la strategia mussoliniana nei primi mesi della guerra venivano fatti risalire alla incompleta fascistizzazione dello Stato. Il .20 maggio del 1943 il dittatore tedesco così ricordò alcuni suoi incontri con Mussolini: «Egli mi disse improvvisamente - È giusto quello che dite, Fiihrer, ma non devono esserci più poteri nell'esercito. Ma cosa credete, Fiiher, che si possa fare quando si hanno degli ufficiali che ... hanno delle riserve nei confronti del regime dello Stato, dell'idea su cui s'impernia lo Stato?Costoro dicono di avere delle riserve perchè sono ufficiali. Dicono, nel momento in cui si viene a parlare dell'idea dello stato, in cui si pone la ragione di Stato: "Noi siamo monarchici, noi siamo per il Re''. Qui sta il problema; ciò che ci differenzia. Così si presentava il probléma già allora nel 1941; e ancora più acutamente si era presentato nel 1940, il 28 ottobre, quando io tornai ... Allora egli disse tutto a un tratto: - Vedete, io ho fiducia nei miei soldati, ma non ho alcuna fiducia nei miei generali, non posso averla. - Questo mi ha detto, mentre stava fallendo l'offensiva contro la Grecia e contro l'Albania» (9).
Se Mussolini, le cui responsabilità per lo sciagurato attacco alla Grecia sono indiscutibili, cercava di circoscriverle dichiarando la propria diffidenza per i generali, il suo collega germanico ne nutriva una viviss ima, che coinvolgeva in blocco tutti gli italiani. Il 7 novembre 1942 gli fu annunciato che una grande flotta d'inva sione anglo-americana stava entrando nel Mediterraneo; il fiiher, vagliando i possibili obiettivi di tale spiegamento di forze, formulò questa previsione: «Il nemjco sbarcherà stanotte nell'Italia centrale, dove non incontrerà nessuna resistenza poichè non ci sono truppe germaniche e gli italiani scappano» (10). Eppure, in quello stesso momento, le divisioni italiane di fanteria, che avevano tenacemente difeso le proprie posizioni durante tutta la battaglia di El Alamein, benchè vilmente abbandonate da Rommel nel deserto, continuavano a combattere nonostante la loro situazione disperata. Il 19 maggio 1943, sei giorni dopo che la prima armata italiana si era arresa per ordine per ordine superiore dopo una brillantissima re- sistenza protratta ben oltre la resa delle meglio armate ed equipaggiate truppe tedesche, Hitler affermava: «Degli italiani non c'è da fidarsi» (11).
La responsabilità della mancata affidabilità degli italiani, ovverosia della loro mancata fascistizzazione totale, veniva imputata alla monarchia. Già il 20 maggio il dittatore tedesco, rendendosi conto lucidamente che la posizione del suo collega italiano era scossa e che le sue stesse energie fisiche declinavano, si poneva il problema: «Poichè la casa reale potrebbe sciogliere l'apparato rivoluzionario fascista, allora come ritiene egli che si comporterebbe il popolo italiano? Oppure, che cosa prevede nel caso che la casa reale prenda tutto il potere? È difficile dirlo. A Kessheim, quando siamo stati insieme, egli mi disse a un tratto: - Mio Fuhrer, non so, io non ho un possibile successore nella rivoluzione fascista. Come capo del governo un successore si potrebbe trovare, ma non ve ne è alcuno da mettere alla testa della rivoluzione fascista - .» (12).
Di fronte a questa situazion e, non certo ottimale per lui, Hitler si mosse rapidamente sul piano militare e su quello politico. Sul piano militare fece mettere allo studio il piano «Alarich» per l'invasione dell'Italia concentrando nella zona di Monaco una poderosa armata al comando di Rommel. Sul piano politico cercò di varare una soluzione che l'addetto militare a Roma, generale von Rintelen, sintetizzò così: «Tutto il potere al Duce, accantonamento della dinastia, impiego di più rilevanti rinforzi tedeschi sotto un supremo comando germanico» (13).
Non d eve sorprendere se una simile linea politica trovò consenziente il solo Farinacci che, anche per questo, fu preso in seria considerazione a Berlino come possibile successore di Mussolini alla testa della rivoluz ione fascista.
Questo te n tativo di pesante ingerenza germanica nelle vicende in terne it aliane era causato dalla decisione di Hitler di giocare, nel caso fossero fallite le trattative con i sovietici, l ' ultima carta con una offensiva in Russia. Da un punto di vista strategico complessivo, si trattava di una decisione senz'altro giustificata: infatti, se vi era ancora per l'Asse una qualche probabilità di vincere la guerra, questa era connessa alla possibilità di travolgere l'avversario più provato e scosso, cioè la Russia. Ciò implicava però per l'Italia un compito di grande sacrificio, cioè quello di far fronte, con le sole proprie forze e con pochi rinforzi tedeschi, alla formidabile pressione angloamericana.
In un'alleanza che fosse stata veramente vitale e perpetua, come i propagandisti si sforzavano di presentare quella italotedesca, un simile compito di sacrificio avrebbe potuto essere richiesto ad un alleato, ma questo non era il caso dell'Asse: perciò i dirigenti tedeschi ritennero ancora una volta che fosse più opportuno tenere celati i loro piani agli italiani cercando al contemp o di estendere quanto più possibile la loro influenza in Italia. È difficile alla lu ce di questi fatti criticare il desiderio italiano di sganciarsi dalla Germania. A tal proposito ha giustamente osservato il Faldella: «un'alleanza, per essere fedele nella buona come nell'avversa fortuna, deve svilupparsi nell'osserva nza leale di impegni d'ordine morale, politico, economico e militare, ed invec e la Germania li violò tutti» (14). Date queste premesse, Hitler non si ingannò neppure per un istante su quanto stava avvenendo a Roma: «si trattava di una rivolta partita dalla casa reale e dal Maresciallo Badoglio, dunqu e da gente che da tempo ci era avversa» (15). In quanto alle in tenzioni del governo affermò subito: «dichiararono di voler continuare a combattere, ma è un tradimento! Dobbiamo essere bene in chiaro, si tratta di un vero tradimento!» (16) .
Il fiihrer dispose subito che la 3 a div isione moto-corazzata germanica marciasse su Roma per arrestare il Re e il nuovo governo; se questo progetto non fu immediatamente messo in pratica, si dovette alla resistenza dei capi militari i quali non ritenevano che i 42 semoventi, di cui disponeva in quel momento quella unità, bastassero ad aver ragione degli italiani, tanto più che non vi erano truppe tedesche impiegabili in combattimento fra la Toscana e il Brennero. I comandi militari germanici ri- tennero che prima di agire fosse opportuno rinforzare le truppe tedesche in Italia, per cui fu ordinato alle divisioni di Rommel di mettersi in movimento verso l'Italia settentrionale. La seconda divisione paracadutisti venne trasportata d'urgenza a sud di Roma, mentre le unità carriste della 3 a divisione motocorazzata venivano convenientemente rinforzate.
A giudizio del Comando Supremo Tedesco la situazione sarebbe stata estremamente pericolosa fino a che le truppe di Rommel non si fossero stanziate nell'Italia settentrionale; fino a quell'epoca si riteneva che il «tradimento» italiano poteva isolare tutte le trupp e tedesche nell'Italia centrale e meridionale, come pure quelle che combattevano in Sicilia. Già a poche ore dal rovesciamento di Mussolini, le unità germaniche incominciavano a transitare per i passi alpini.
In previsione di possibili trattative con l'Italia, gli inglesi avevano approntato un documento contenente 45 clausole che gli italiani avrebbero dovuto accettare in caso di armistizio. In complesso si trattava di un documento durissimo. Esso fu presentato agli americani i quali non lo accettarono subito per mere questioni di dettaglio (17).
Nel frattempo era stato chiesto ad Eisenhower un piano per mettere sotto amministrazione alleata l'Italia meridionale: dallo studio risultò che non vi era abbastanza personale per combattere i tedeschi e stabilire contemporaneamente questa amministrazione. Presentando questo studio ai suoi superiori, il 19 luglio, Eisenhower rilevò che gli obiettivi alleati erano: sul piano militare l'eliminazio ne dell'Italia dal conflitto, su quello p0Iitico·1a liquidazione del regime fascista. Entrambi potevano essere ottenuti anche mediante trattative, perciò egli chiedeva di essere lasciato «libero, in relazione agli sviluppi della situazione, di giudicare se importanti vantaggi potevano essere ottenuti attraverso contatti con gruppi civili o militari oppure con membri della famig lia Reale», essendo implicito che non sarebbe stata utilizzata nessuna personalità che fosse rimasta fedele all'ideologia fascista. Ad ogni buon conto il governo italiano sa- rebbe stato messo sotto tutela della commissione di controllo (18).
Il 25 luglio il Capo di S.M. dell'esercito americano Marshall gli rispose che, in base agli ordini del Presidente, egli non aveva autorità per discutere con gli italiani dei problemi relativi al governo militare, poteva solo richiedere la resa incondizionata (19). La notizia della caduta del duce provocò però grande animazione al quartier generale di Eisenhower; il 26 egli sottopose ai suoi superiori il testo di un proclama agli italiani che intendeva radio-diffondere. Il giorno seguente inviò quelle che, a suo avviso, erano le condizioni armistiziali da proporre all'Italia. Si trattav a di 10 punti che costituirono il primo testo di quello che passerà alla storia come il «corto armistizio» (20).
Nei giorni seguenti, sotto la pressione del comandante in capo del Mediterraneo, la posizione del governo di Washington, inizialmente ostile alle trat ta t ive, si fece più duttile: Roosevelt cominciava ad apprezzare i grandi vantaggi che sarebbero derivati sul piano militare dall'armistizio con l'Italia.
Diversa era la posizione inglese: Churchill, fin dal 26 luglio, aveva telegrafato al presidente americano: «ora che Mussolini se ne è andato, tratterei con qualsi asi governo italiano non fascista che fosse in grado di consegnare la merce» (21).
Quindi gli inglesi non ponevano in discussione l'idoneità di Badoglio a trattare l'armistizio, intendevano però che le condizioni di questo fossero quelle contenute nel loro documento, non quelle molto più miti proposte da Eisenhower. Churchill , propose una mediazione fra queste posizioni scrivendo : «Molte cose nella vita vengono risolte col sistema del two stage; per esempio un uomo non è impedito di dire- Vuoi sposarmi, carina? - perchè non ha in tasca il contratto matrimoniale stilato dagli avvocati di famiglia. Personalmente ritengo che le condizioni che Eisenhower può ora offrire sono molto più suscettibili d'essere capite da un rappresentante del governo italiano e pertanto suscettibili di immediata accettazione, della stesura legale dello Strumento di Resa, e faranno inoltre più bella figura se saran- no pubblicate. Se riusciremo ad imporre condizioni di emergenza, questo sig nifica che gli italiani si saranno dati a noi a mani e piedi legati. Non ci sarebbe nulla di improprio da parte nostra se, in un periodo successivo, chiedessimo loro di darci la spazzatrice e le altre macchine di pulizia» (22).
Secondo la relazione ufficiale dell'esercito americano il Foreign Office non fece una grande accoglienza alla proposta di Churchill perchè Eden preferiva la resa incondizionata. In r ealtà il Ministro degli Esteri britannico aveva già espresso precedent eme nte la propria avversione alla proposta di ottenere una resa iniziale sulla base delle sole condizioni militari , cui sare bbe seguita l'accettazione di condizioni politiche ed econ omich e. Cosa sarebbe infatti accaduto se il Governo italiano avesse rifiutato di firmare il secondo docum ento? A giudizio di Eden erano necessar i, fin dall'inizio, termini precisi, comprendenti sia le condizioni militari sia quelle politiche. Agli occhi d el Ministro degli Es teri britannico il programma in two stage (due tempi) propos t o dal Primo Ministro, avrebbe potuto anche non realizzarsi. Per essere sicuri infatti che un simile piano avesse successo, era indispensabile che gli italiani fossero consegnati agli anglo-americani «mani e piedi legati», come aveva scritto Churchill, ma perchè ciò avvenisse non era opportuno aiu t are l'Italia a sga11:ciarsi rapidamente dalla Germania, almeno fintanto che gli inglesi non avessero indotto gli americani a proporre, come unico documento armistiziale, quello preparato da loro.
Parlando alla Camera dei Comuni a fine luglio, Churchill illustrò così il programma britannico: «Noi, per usare una frase corrente, dovremmo lasciar cuocere per un poco gli italiani nel loro brodo e accendere al massimo il fuoco allo scopo di accelerare il corso degli eventi fino a che otterremo dal loro governo, o da chiunque possieda la necessaria autorità , soddisfazione a tutte le nostre indispensabili richieste, per condurre la guerra contro il nostro principale e capitale nemico, che non è l'Italia ma la Germania» (23). In quanto a come cuocere gli italiani, il Primo Ministro britannico aveva delle idee ben pr ecise: una massiccia serie di bombardamenti indiscriminati.
Mentre le forze aeree del Mediterraneo attaccavano quasi giornalmente le località di una qualche importanza dell'Italia meridionale, i bombardieri di stanza in Gran Bretagna tornarono attraverso le Alpi per colpire le grandi città del Nord: Milano fu attaccata quattro volte da una forza complessiva di 916 bombardieri pesanti, Torino 3 volte da 380 quadrimotori e Genova una volta sola da 73 bombardieri pesanti (24).
Uno studioso italiano che si è particolarmente interessato del bombardamento strategico alleato nella II Guerra mondiale, ha trovato incomprensibile tanto accanimento ed ha osservato : «Se non si voleva dare una mano agli italiani perchè si t raessero d'impaccio da soli, pazienza, ma non era davvero il caso di colpire con furia selvaggia quand'essi, come aveva detto Churchill, non avevano voluto la guerra a fianco di Hitler. Invece gli alleati, e assai di più gli inglesi che gli americani, come vedremo, si accanirono più contro l'Italia già agonizzante di Badoglio , di quanto s'erano accaniti contro l'Italia di Mussolini» (25).
Il motivo del durissimo atteggiamento inglese è da ricercare nel fatto che gli americani non avendo all'epoca, interessi mediterranei erano di fatto più sensibili alle immediate esigenze militari, mentre per i britannici la liquidazione dell'Italia come grande potenza mediterranea, costituiva uno degli obiettivi di guerra; e se Churchill, in considerazione dei suoi obiettivi balcanici, sempre uffici_almente negati ma sempre tenacemente perseguiti, era disposto anche a qualche concessione, non altrettanto lo erano Eden e la gran parte del gabinetto britannico.
Il nuovo Governo italiano si era subito posto il problema del come entrare in contatto con gli alleati. I dirigenti italiani partivano dal presupposto che il nemico da battere per gli angloamericani fosse il tedesco, quindi vi fosse un'oggettiva coincidenza di interessi con l'Italia e che su questa base fosse possibile una trattativa.
Interlocutori prescelti furono gli inglesi, anche su consiglio di Grandi, e i canali utilizzati furono quelli diplomatici.
Frattanto una delle maggiori preoccupazioni di Churchill era proprio quella di evitare i contatti diretti fra americani e italiani.
Il 31 luglio, rispondente ad una richiesta pontificia, il governo italiano comunicò alla Segreteria di St ato vaticana che era stata presa la decisione di dichiarare Roma «città aperta». Il 2 agosto il delegato apostolico a Washington chiese al sottosegretario di Stato americano quali erano le condizioni che gli alleati riteneva necessarie per il riconoscimento di Roma «città aperta». Roosevelt telegrafò a Churchill il giorno seguente «credo che ci troveremmo in una difficile situazione se dovessimo respingere la richiesta di proclamare Roma città aperta» (26).
Il Primo Ministro britannico rispose il 4 agosto con un t elegramma nel quale, tra le altre molte affermazioni contraddittorie, si sosteneva : «Indubbiamente la loro speranza (dei dirigent i italiani) è che l'Italia sia riconosciuta come territorio neutrale e Roma potrebbe essere la prima rata; tenendo presente che Badoglio, stando a tutte le nostre informazioni, soprattutto le più segrete, continua a ripetere ai t edeschi e ai giapponesi che la guerra continuerà e che si terrà fede ai patti, e che addirittura ripete queste dichiarazioni alla radio, noi non dovremmo, a mio parere, dare loro il minimo incoraggiamento» (27).
A parte il fatto della patent e contraddizione contenuta nel documento, poichè la condizione di neu tralità era evidentemente in contrasto con quella di continuare la guerra, quest'ultima aff~rmazione relativa all'orientamento del Governo italiano appare invero sorprendente visto che, già dal giorno prima, Churchill sapeva che un emissario autorizzato da Badoglio aveva preso contatti con l'ambasciata britannica di Lisbona. Era evidente che il governo inglese non desiderava che fossero continuate le trattative per il riconoscimento di Roma città aperta perchè vi era il pericolo che, tramite il Vaticano, si mettessero in contatto italiani e statunitensi prima che gli inglesi riuscissero a fare accettare, a questi ultimi, il loro documento. Anche i contatti fra l'emissario italiano, marchese d' Ayeta, e l'ambasciatore inglese in Portogallo, furono presentati dal Primo Ministro in- glese al Presidente americano come «la preghiera che noi si salvi l'Italia dai tedeschi e da sè stessa il più presto possibile» (28). Churchill non fece alcun cenno alle importanti notizie militari comunicate da d'Ayeta e ciò per un motivo ben preciso: in Sicilia, dopo i primi momenti di euforia per la rapida avanzata della 7a armata americana su Palermo e la caduta del fascismo, i comandi alleati si attendevano il rapido collasso delle forze italiane, tanto più che, nella marcia su Palermo e nel successivo rastrellamento nella Sicilia occidentale, gli uomini di Patton avevano catturato, o messo fuori combattimento, poco meno di 56.000 uomini, quasi tutti italiani. Gli anglo-americani non considerarono però che gli autoveicoli catturati erano solo 359, non si resero conto cioè che i prigionieri erano quasi tutti delle scalcinatissime divisioni costiere le quali, essendo prive di automezzi con cui sottrarsi alla cattura, non avevano potuto far altro che arrendersi. Una volta però che le unità italiane superstiti furono schierate sulla nuova linea difensiva , su un t erreno cioè che impediva agli anglo-americani di sfruttare la loro superiorità in mezzi corazzati, invece del previsto crollo la resistenza si irrigidì tanto da far scrivere qualche giorno dopo al compilatore del diario storico del comando di Eisenhower: «La speranza di un rapido collasso in Italia è svanita ora che si è accertato che gli italiani resistono con maggiore energia e si battono duramente» (29). Gli anglo-americani continuarono bensì ad avanzare, ma solo perchè a seguito degli avvenimenti del 25 luglio, il comando delle forze germaniche dell'isola, che fino a quella data intendeva difendere il térreno palmo per palmo, ebbe l'ordine di sgomberare uomini e materiali oltre lo stretto, ripiegando lentamente. Le unità italiane, non essendo in grado da sole di tenere la linea , dovettero adeguarsi.
Di fronte a questa situazione, assai diversa da quella che aveva previsto e sperato, Eisenhower premè su Washington perchè gli fosse concesso, in eventuali trattative, di utilizzare il proprio documento. Alla fine di luglio il governo inglese accettò questo testo con qualche modifica, ma solo nel caso di un'«im- mediata emergenza». Come documento definitivo i britannici continuavano ad insistere su quello da loro approntato. Era quindi essenziale, per i progetti inglesi, che gli italiani non entrassero in contatto con il comando in capo del Mediterraneo, cosa che sarebbe inevitabilmente avvenuta se Churchill avesse trasmesso a Roosevelt le informazioni militari fornite da d'Ayeta.
Date queste premesse, neppure il secondo emissario italiano, il console generale a Tangeri Alberto Berio, ottenne molto successo. Eguale sorte sarebbe toccata al terzo emissario, generale Castellano, se la sua missione non fosse stata contemporanea alla conferenza anglo-americana di Quebec. Infatti, durante questo incontro, i britannici trovarono i loro alleati tutt'altro che arrendevoli. Gli statu niten si si erano co nvinti che i britannici non credevano seriamente all'attacco oltre la Manica, ed ottennero il primo successo concordando che l'operazione sare bbe stata diretta da un loro generale e non da un ingles e, come fino ad allora era stato stabilito.
L'esercito americano temeva che le operazioni in Mediterraneo sottraessero forze all'attacco attravers o il Canale e la Marina desiderava impiegare nel Pacifico buona parte delle forze navali messe alle dipendenze di Eisenhower: sotto questa duplice pressione la strategia mediterranea britannica rischiò di venire travolta. Il curatore dei diari di Brooks (Capo di Stato Maggiore Generale inglese) ha osservato: «La notizia dell'incaricato a trattare la pace proveniente dall'Italia era arrivata nel momento più traumatico della conferenza. Essa giunge appena in tempo ad impedire che la strategia mediterranea di Brooks, e proprio quando si poteva incominciare a raccogliere i frutti, fosse abbandonata » (30).
Churchill aveva barattato il comando dell'attacco oltre la Manica con due comandi minori che sarebbe ro spettati agli inglesi: quello dell'A sia sud-orientale e quello del Mediterraneo. Con ciò veniva implicitamente ricono sciuta la supre mazia britannica in quest'ultimo teatro d'opera zione . Tutto ciò non avrebbe avuto un gran valore se i programmi fossero stati ridimensionati. Il Primo Ministro inglese, vista in pericolo la linea strategica che sosteneva da anni, non esitò un istante a «valorizzare» i telegrammi dell'ambasciatore a Madrid che annunciavano l'arrivo di Castellano, servendosene per far prevalere la sua tesi. Certo così facendo Churchill sapeva di dare un dispiacere ad Eden e a molti altri ministri del suo governo, ma se la strategia mediterranea fosse stata abbandonata l'Inghilterra avrebbe subìto un danno ben maggiore. A questo punto Roosevelt chiese ed ottenne che il delegato italiano fosse messo in contatto con Eisenhower. Dopo di ciò le trattative poterono avere inizio.
Il 19 agosto i delegati inglesi e italiani si incontrarono a Lisbona. Frattando continuò la pianificazione per lo sbarco sulla penisola. Nella seconda metà di agosto, tuttavia, si verificò un brusco mutamento negli orientamenti britannici che, mentre fino a quel momento erano stati estremamente audaci (avendo mostrato il desiderio di sbarcare il più a nord possibile, concentrando a questo scopo nel Mediterraneo ben cinque portaerei di scorta), divennero estremamente cauti, opponendosi anche ad uno sbarco a nord di Napoli . La causa di questo brusco mutamento va ricercata nel fatto che, attraverso la macchina ultra, gli inglesi riuscivano a decifrare i messaggi segreti del nemico ed erano quindi venuti a conoscenza dell'ordine impartito da Hitler a Kesselring, in base al quale egli doveva , in caso di armistizio italiano, spostare verso nord tutte le truppe germaniche distruggendo le unità italiane per poi tenere la linea degli Appennini insieme alle forze di Rommel. ·
Bisogna considerare qual'era la valutazione di Alexander circa gli orientamenti dei dirigenti italiani: «Il minimo che sperassero era che i tedeschi sarebbero stati costretti ad evacuare tutta l'Ita lia a sud degli Appennini, la successiva <<linea gotica». In tal caso l'autorità del regio Governo sarebbe continuata nella maggior parte del paese, la capitale sarebbe stata garantita, le forze armate italiane, benchè ridotte, sarebbero ri - maste in piedi, la posizio ne del Comando Supremo impregiudicata e l'Italia sarebbe stata in grado di occupare il suo posto fra le Nazioni Unit e» (31).
Se questi intendimenti si fossero·realizzati, sarebbe svanita ogni speranza d'imporre la firma dello «Strumento di Resa», come temeva Eden. I piani dei tedeschi, i quali, come si è visto, erano perfettamente noti ai comandanti britannici, fugavano questo pericolo; avrebbero provveduto loro, ritirandosi verso nord, a liquidare l'esercito italiano: era quindi in opportuno disturbarli in questa operazione, visto che avrebbero lavorato «per il Re di Prussia» o più precisamente, in questo caso, per Sua Maestà Britannica. L'id ea di sbarcare a nord di Napoli fu quindi abbandonata. Fu scelto per lo sbarco il golfo di Salerno: una deci sione sia strategicame nte che tatticame nte infelice.
Il 31, in Sicilia , vi fu un nuovo inco ntro fra i rappresentanti anglo-americani e il generale Castellano; in esso il delegato italiano presentò una serie di richieste del suo governo: che gli alleati sbarcassero non meno di 15 divisioni, la maggior parte delle quali a nord di Roma, e so lo dopo questo sbarco l'Italia avrebbe proclamato l'armistizio . Per gli anglo -americani si trattava di condizioni inaccettabili: le 15 divi sioni non erano disponibili, lo sbarco principale doveva avv en ire a Salerno, e la capitolazione italiana era indispensabile pr eme ss a all' effettuazione d ello stesso.
L'incontro fu meno cordia le del precedente, ma dopo una giornata di vivaci di sc ussioni, poichè i rappresentanti alleati dovevano concludere ad ogni costo, la sera furono infine promesse le 15 divisioni richieste dagli italiani, però in due rate: prima 6 (che c'erano) e poi altre 9 (che non c'erano) contemporaneamente alla dichiarazione dell'armistizio. Gli sbarc hi sarebbero avvenuti a sud di Roma, gli alleati avrebb ero, oltre a ciò, lanciato una divisione avio-trasportabile presso Roma. Dal canto suo Eisenhower giun se alla conclusione che il Governo italiano stesse per cro llare e decise di affrettare i tempi per lo sbarco.
Al suo ritorno a Roma, il generale Castella no non ottenne quel successo che forse si aspettava. Sta di fatto che il generale Giacomo Carboni, comandante il corpo d'armata motocorazzato (C.A.M.), in caricato della difesa della capitale , non fu per nulla soddisfatto della mancata accettazione da parte degli anglo-americani dello sbarco a nord di Roma. Carboni, abilissimo navigatore politico (era stato uomo di fiducia nell'ordine di Baistrocchi, di Padani, di Ciano e in quel momento lo era di Badoglio), non era stato altrettanto ansioso di dimostrare il proprio va lore sul campo. Il compito che le forze ai suoi ordini avrebbero dovuto svolgere negli intendimenti del loro comandante fu così riassunto: «II corpo moto-corazzato avre bbe dovuto, con la parte meno mobile delle sue divisioni, schierate largamente nelle vicinanze non immediate di Roma, contrastare per qualche giorno a forze tedesche attaccanti l'accesso alla capitale, mentre la parte più mobil e e corazzata del Corpo d' Armata si sarebbe spostata celermente per distrarre l'attenzione tedesca e dare man forte al promesso sbarco anglo-americano in località della costa t irrenica tanto vicino a Roma da pot er giungere in tempo a salva re la cap itale dall'occupazione tedesca» (32).
In sintesi, nell'ipotesi di uno sbarco a nord di Roma, mentre tre divisioni italiane di fanteria avrebbero impedito alla seconda divisione di paracadutisti germanica di entrare nella capitale, Carboni, con almeno due divisioni moto-corazzate, avrebbe attaccato a terg o la 3a divisione granatieri già impegnata frontalmente dagli anglo-americani. Nel complesso un'operazione di tutto riposo. Comprens ibilmente Carboni si diede da fare perchè il piano non venisse in sostanza modificato; così Castellano ripartì per la Sicilia avendo l'esplicito ordine di Ambro sio di ottenre che il secondo sbarco, q uello contemporaneo alla dichiarazione di armistizio, avvenisse a sud della capitale, ma «a portata di Roma». Quando il delegato italiano giun se al comando alleato, si svolse una nuova commedia degli equivoci. Gli anglo-americani ritenevano che il Castellano fosse giun- to per firmare il testo dell'armi stizio; da parte italiana, invece , si riteneva che fosse sufficiente l'accettazione telegrafica del giorno precedente. Gli alleati non compresero che il disguido era stat o causa t o dalla precipitazione con cui avevano trattato la cosa e pensarono che si trattasse di una manovra italiana per ottenere nuove concessioni.
Si divisero quindi le parti secondo un cliché già sperimentato : le minacce gli inglesi, le blandizie gli americani. Così Alexander minacciò i delegati italiani e Bedell Smith, Capo di Stato Maggiore di Eisenhower, si abbandonò a promesse che sapeva di non poter mantenere; co sì Castellano telegrafò a Roma che le richieste di Ambrosia erano accettate e l'autorizzazione venne. L'estrema resistenza italiana aveva però indo tto Ei senhower ad evitare di cercare di far firmare il documento preparato dagli inglesi che nel frattempo era stato approvato anche dal governo americano.
Quando però, alla firma dell'armistiz io , si passò all'esame dei piani operati vi, i rappre sentanti italiani dovettero constatare non solo la irriducibile ostilità inglese, ma anche che gli intendimenti operativi degli alleati erano alquanto diversi da quanto era stato promesso ed anche da quanto era stato convenuto ufficialmente. Castellano, invece di irrigidirsi, com'era suo dovere, pr eferì ricorrere ancora ai patteggiamenti, anche perchè sognava di giocare un ruolo non seco ndario a fianco di Ambrosio, che avrebbe dovuto recitare la parte d i De Gaulle. Alla fine di tutt o ciò lo spregiudicato delegato italiano inviò una serie di documenti a Roma, accompagnati da una sua lettera ad Ambrosia, in cui, contrariamente a quanto fino ad ora è stato sostenuto, era scritto: a) che Badoglio era bruciato presso gli anglo-am ericani per cui lui [Ambrosia] doveva tener si pronto a raggiungere P alermo per recitarvi la parte di De Gaulle; b) che, per imprescind ibili esigenze operative alleate, la procl amazion e d ell'armistizio doveva avvenire contemporaneament e al primo dei due grossi sbarch i e non al secondo, com'era stato in pr ece denza sta bilito; e) che gli alleati avrebbero comunque inviato, al più tardi en.: tro una settimana dal primo sbarco, una divisione corazzata ad Ostia; d) che l'azione anglo-americana era prevista per il 12 settembre. Quando questo documento giunse a Roma il Capo di Stato Maggiore Generale non si preoccupò gran che per gli aspetti operativi poichè entro la data del 12 sarebbero giunte a Roma altre due divisioni di fanteria italiane. Fu invece molto più impressionato dagli aspetti politici. Ambrosio non sarà forse stato un genio annibalico, ma era un vecchio e quadrato soldato e non aveva alcuna ambizione gaullista. Quindi rimise il problema nelle mani del sovrano.
Nel precedente incontro di Lisbona, i rappresentanti alleati avevano richiesto che il Re e il Governo si trasferissero da Roma. Nell'incontro del 31 agosto il delegato italiano comunicò agli anglo-americani che nè il sovrano, nè i ministri avrebbero abbandonato la capitale. In questa nuova situazione, di fronte alla possibilità di manovre di tipo gaullista, il maresciallo Badoglio si impressionò giustamente e richiese il trasferimento del Governo; Vittorio Emanuele III concordò con lui, ma diede incarico ad Ambrosio di andare a prendere il maresciallo Caviglia per ogni eventualità. Molto più impressionato di Ambrosio rimase invece il generale Roatta quando si rese conto che il trasferimento della divisione paracadutisti americana era previsto come un semplice spostamento logistico; ancora più impressionato fu Carboni quando si rese conto che avrebbe dovut o, per qualche tempo, affrontare i tedeschi con le sole sue forze.
Quando giunse a Roma il generale Maxwell Taylor per trattare i problemi connessi con lo sbarco della divisione aviotrasportata, fu condotto immediatamente da Carboni: non fu un accostamento felice perchè se il generale americano era pqco entusiasta dell'operazione, Carboni non lo era affatto.
Non appena il comandante del C.A.M. apprese dal collega statunitense che l'annuncio dell'armistizio sarebbe avvenu- t o 1'8 anzichè il 12 settem bre , scavalcand o t u tti i suoi superiori dir ett i, si recò da Badoglio e lo indu sse a rinunciare all'in vio della divi s ione americana.
Il giorno seguente il Comando Supremo itali an o riteneva che a ncora vi fosse lo sp azio per una trattativa ch e accordasse le es igenze alleate con le proprie, rinviando lo s b ar co e l'annunzio dell' armistizio. Eisenh ower non era però disposto a m odificare i s uoi piani; influì forse su ll'att eggiamen to del comandante allea to la conosce nza, attraverso le decrittazioni dei messagg i tedeschi, del fatto che lo sc hieram ento previsto per l'aggressio ne all'Italia era p re ssochè ultimato.
In effetti, il Comando Supremo dell 'ese rcito germanic o aveva a ppront ato, in qu ello stesso g iorno, una letter a per il governo Badoglio, che cost ituiva una so rta di ultimatum in cui si chiedeva di porr e le forze ita liane alle dipendenze dei tedesc h i. Sotto l e minac ce del comandante in capo a ll e ato fu tenuto d'urgenza un co n sig lio della Corona, nel corso del quale fu discusso concitatamente se scon fe ssare l'armist izio o m eno. All a fine, quando già radio Algeri stava t rasm etten do il proclama del Comandante Supremo alleato, il Re prese la deci sione di proclamare l'armistizio e alle 19,45 Badoglio lesse alla rad io il suo m ess aggio.
La situazion e d ell e forze ita liane in torno a Roma e ra in f elice. C'erano è vero sei divisioni italiane attorno alla città contro a ppena due germaniche, ma, per quanto si riferiva alle unità corazzate, i tedeschi godevano di una leggera superiorità quanti tat iva e di una netta s uperiorit à qualitativa per l'eccellenza dei loro materiali. Per di p iù , sia per la convinzione che lo sbarco alleato sarebbe avvenuto il 12 , sia per l'i ncuria del loro comand ante, le unit à motori zzate itali ane erano a corto di carburante.
Se la si tua zion e era tatt ica m ente difficile, dal p u nto di v is ta s trategico era addirittura di s perata. Roma era infatti su lla lin ea di ri t ir ata della 10 3 armata ge rmanica che grav itava , con du e divisioni moto-corazzate e ben tr e corazzate, su l ver sante tirrenico . Se anche i tedeschi avessero d ecis o di ritirarsi dall'I- talia meridionale per trasferirsi a Nord, avrebbero dovuto necessariamente passare per Roma. Anche nel caso che le due divisioni germaniche stanziate nei pressi della capitale, sorprese dall'annuncio dell'armistizio, si fossero subito ritirate verso nord, restava pur sempre a sud di Roma una forza tale da avere inevitabilmente ragione delle unità italiane.
Quale che potesse essere la reazione iniziale dei tedeschi, era evidente che, una volta riavutisi dalla sorpresa, non avrebbero esitato ad attuare l'ordine di Hitler che imponeva la distruzione dell'esercito italiano.
Se i rapporti di forza erano disastrosi, la situazione psicologica del Comando Italiano era ancora peggiore. Montgomery, commentando una frase di Foch , ha scritto: «Sarei d'accordo sul fatto che una battaglia è perduta solo quando il comandante in capo si è formato questa convinzione, ma un giudizio equilibrato è essenziale» (33).
Nel settembre 1943 da parte degli anglo-americani era stato fatto di tutto perchè questo «giudizio equilibrato sulla sconfitta» mancasse ai comandanti italiani, poichè , se gli alleati sorpresero il comando germanico abbinado lo sbarco alla proclamazione dell'armistizio, è doveroso riconoscere che il disorientamento maggiore l'ottennero nei confronti degli italiani. Infatti il Comandante Supremo entrò in crisi e, data la situazione, non poteva avvenire altrimenti.
La sua azione era stata impostata sul convincimento che gli anglo-americani sarebbero stati ben lieti di accettare l'aiuto italiano pur di liquidare rapidamente i tedeschi. '
Su questa convinzione, che come abbiamo visto era grandemente errata, furono impostati i piani per resistere ad un eventuale attacco germanico.
Questi prevedevano sostanzialmente: a) la costituzione di un blocco di 8-10 divisioni al confine orien- . tale per sbarrare le provenienze da est; b) l'azione di 2 divisioni alpine in Al t o Adige per sbarrare la direttrice del Brennero; e) il ripiegamento dalla Francia meridionale della 4a Armata che occupando i passi alpini avrebbe sbarrato le provenienze da ovest.
Ciò avrebbe incapsulato le forze germaniche presenti in Italia, mentre tre blocchi di divisioni avrebbero protetto l'uno la capitale, gli altri due Taranto e La Spe z ia garantendo la sicurezza della flotta e assicurando il possesso di due porti di grande importanza strategica. Da questa concezione operativa nasceva la richiesta fatta, tramite Castellano, da Ambrosio agli alleati di sbarcare con 15 divisioni a nord di Roma. Nonostante che il centro di gravitazione dell'azione fosse stato spostato dagli alleati dal nord al sud della capitale, il piano aveva ancora qualche possibilità di riuscit a. Ma l'ancicipo della comunicazio ne della conclusio ne dell'armistizio lo compromi se definitivamente. I comandi periferici non erano stati ancora sufficientemente orientati, le due divisioni attese a Roma non erano giunte e il co n centramento delle forze del blocco orientale aveva avuto appena un inizio di attuazione. Per qualche ora ci si cullò nell'illusione che, data la contemporaneità dell'armistizio e dello sbarco alleato, i tedeschi si sarebbero ritirati verso nord senza comb att ere; ma quando le iniziative ge rmanich e dimostrarono la vanità di una simile speranza, e il generale Carboni, con grossolana ed erronea valutazione della situazione, avvertì che le sue truppe sta vano per essere sopraffatte, non restò altro che ordinare un precipitoso sgombero del governo e della famiglia Reale. Tuttavia, anche in questo frangente il generale Roa tta riuscì a dare un ordine se nsato: quello dello spostamento delle truppe mobili esistent i intorno a Roma verso l'Abruzzo.
Infatti, la comparsa sul versante adriatico di consistenti forze moto-corazzate italiane, avrebbe avuto importanza risolutiva per lo sviluppo della campagna. I tedeschi avevano in quel momento in Puglia, so lo una d ebole divisione di paracadutisti su cinque battaglioni, che non avrebbe potuto far altro che ripiegare verso l'Appennino per coprire le sp alle delle truppe te- desche impegnate contro gli anglo-americani a Salerno. La dorsale Adriatica sarebbe rimasta così libera fino a Pescara e le forze tedesche, una volta fallito il tentativo di rigettare in mare gli alleati, non avrebbero potuto fare altro che ritirarsi verso nord sgomberando l'Italia centrale; ma Carboni non era l'uomo adatto per attuare un simile piano. Fu così che, dopo sporadiche e isolate resistenze, l'esercito italiano si dissolse o venne catturato dai tedeschi. Il suo sacrificio aveva conseguito soltanto il risultato di permettere alla 5a armata americana di sbarcare a Salerno senza tante difficoltà. Con ciò entrambi gli alleati ottennero ciò che desideravano: gli americani il successo dell'offensiva nonostante l'errata scelta della zona di sbarco, gli inglesi il venir meno di ogni potere contrattuale da parte italiana e conseguentemente l'inevitabile sottoscrizione dell' «armistizio lungo».
Risultati che per il momento potevano apparire notevoli, visto che i tedeschi intendevano ritirarsi sull'Appennino ToscoEmiliano; ma le cose cambiarono rapidamente non appena, alla fine di settembre, Ke sselring convinse Hitler dell'opportunità di resistere a sud di Roma. Così la campagna d'Italia, che avrebbe potuto essere molto rapida e considerevolmente affrettare la fine della II guerra mondiale, si trasformò in una sfibrante guerra di .logoramento in cui si impantanarono per sempre i programmi balcanici del Primo Ministro inglese.
(1) Sull'influenza, in rea ltà nefasta, per la condotta delle operazioni che ebbe Mussolini durante la campagna d'Etiopia, si veda il nostro La politica militare italiana fra le due guerre mondiali, Salerno, 1974 - pp. 169-186.
(2) Sulla campagna di Grecia si veda la monumentale e brillante opera del Generale Carlo Montanari: La campagna di Grecia, Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico, Roma 1980 Voi 3.
(3) R. Aron , La Francia di Vichy. 1940-1944, Ed . Ri zzoli, 1972, pag. 480
(4) Ibidem
(5) Ibidem pag. 481; R . Murphy, Un diplomatico un prima linea, Milano 1967, pag. 179 e ss.;
(6) R. Aron, op. cit., pag. 481
(7) R. Murphy, op. cit., pag. 180- 181
(8) B. H. Liddell Hart, Storia Militare della seconda Guerra Mondiale, Milano 1970, pag. 685
(9) Hitler Stratega, a cura di H. Herber, Milano 1966, pag. 154 .
(10) Cfr . A. Speer, Memorie del terzo Reich, Milano 1971, pag. 325.
(11) Hitler Stratega, op. cit., pag. 117.
(12) Ibidem, pag . 153 .
(13) E . Von Rintelen, Mussolini l'alleato, Roma 1952, pag . 201.
(14) E. Faldella, L'Italia nella seconda guerra mondiale, Bologna 1959, pp. 648 -649
(15) Hitler Stratega, op. cit., pag. 217.
(16) Ibidem, pag. 213 .
(17) vedi M. Mazzetti, L'armistizio con l'Italia in base alle relazioni ufficiali anglo-americane, in <<Memorie Storiche Militare 1978», Ufficio Storico SME, Roma , pp. 70-71.
(18) United States Army in World War Il Civil Affairs, Soldiers become Governos, a cura di H. L. Coles e A. K. Weinbery, Washington 1964, pag. 223
(19) Ibidem, pp. 223 -224 .
(20) United States Army in World War II, The Mediterranean Theater of Operations: Sicily and the Surrender of Italy, a cura di A. N. Garland e H. M. Imyth, Washington 1965, pag. 271.
(21) W. Churchill, La Seconda Guerra Mondiale, Milano 1970, Vol. IX pag. 67 .
(22) Ibidem, pag 76.
(23) Anward, to Victory, War Specches by the Right hon . Whiston S. Churchill, a cura di E. Eade, Boston 1944, pp. 186- 187.
(24) Cfr. G. Bonacina , Obiettivo Italia, Milano 1970, pp. 240 ss.
(25) Ibidem, pag. 218.
(26) Roosevelt - Churchill, Carteggio segreto di guerra, a cura di F.L. Loewenheim, H .D. Langley e M . Jonas, Milano 1977 pag. 403 ss .
(27) Ibidem, pp. 407-408.
(28) W . Churchill, La Seconda Guerra Mondiale, cit. Voi. IX pp. 107-108
(29) H . C . Butcher , Tre anni con Eisenhower, Milano 1948 .
(30) A. Brijant, All'attacco I diari e le note autobiografiche del Feldmaresciallo Visconte Alan Brooke, Voi. II, Milano 1966, pag. 608.
(31) Harold Alexander, The Allied Armies in Italy from 3rd september 1943 to 12th december 1944, supplemento a «The London Gazete» de l 6 giugno 1950.
(32) G. Carbon i , Perchè Roma non fu difesa, in «Documenti» n. 1, Roma 1944 , pag . 27.
(33) B. Montgomery, Storia delle guerre, Milano 1970, pag. 495.