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4. Il tentativo di accordo italo-bulgaro

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fosse un problema di irredentismo da parte dei bulgaro-macedoni entrati nei confini albanesi: questi, secondo gli osservatori italiani, non potevano che constatare in favore dell’Italia la ormai troppo nota e stridente differenza nell’amministrazione tra l’occupazione italiana e quella bulgara. Diversa invece era la situazione all’interno della Grande Bulgaria, dove i toni della propaganda nazionalista e anti-autonomista facevano propri ed esasperavano gli slogan di quella bulgaromacedone, dirigendosi contro l’Italia accusata di aver commesso un’ingiustizia e di aver strappato a favore della Grande Albania terre bulgaro-macedoni68. La propaganda bulgara aveva, insomma, molte ragioni per mostrare un’Italia nemica, ma il riverbero sui rapporti tra Sofia e Roma non poteva che essere negativo. COPIA PER L'AUTORE

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4. Il tentativo di accordo italo-bulgaro

Fu proprio nel momento di massima tormenta che Roma e Sofia avviarono, come abbiamo visto, i primi passi per un negoziato che sistemasse definitivamente e di comune accordo le questioni confinarie. Il tempo forse non era adatto per iniziative di tal genere, ma a Roma si contava, convenendo con le considerazioni di Magistrati, che quanto prima si fosse stabilizzato definitivamente il confine, tanto prima si sarebbe normalizzata anche la situazione, sia a livello locale che internazionale. Da qui le proposte che Ciano aveva indirizzato a Sofia a fine maggio e che avevano trovato, almeno a parole, la disponibilità del governo bulgaro. Ma Palazzo Chigi sottostimò pesantemente il peso delle correnti nazionaliste e della stessa opinione pubblica dentro e fuori della Macedonia sul governo bulgaro.

68 Ministero degli Esteri a Comando supremo, 17 novembre 1941, telespr. 25396/C, in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 1. Il Ministero riferiva ancora quanto riportato dal console in Bitolj il 21 ottobre.

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Non essendo toccata direttamente dalla contesa territoriale bulgaro-albanese, la diplomazia italiana pensò che potesse funzionare un calcolo molto razionale di vantaggi e svantaggi, senza riflettere che il mondo degli esasperati nazionalismi balcanici, alimentati dalla stessa politica attuata fino ad allora dall’Italia, non seguiva più i dettami della razionalità. Il ragionamento di un Magistrati o dei funzionari di Palazzo Chigi era abbastanza semplice e portava a un’unica conclusione. La Jugoslavia era stata demolita, la Macedonia era stata spartita equamente tra Bulgaria e Albania, e Tirana e Sofia avevano avute immense soddisfazioni territoriali: sarebbe stato dunque abbastanza facile fissare il confine con un accordo tra due alleati, Roma e Sofia, sulla base della linea di demarcazione stabilita con Ribbentrop a Vienna, con COPIA PER L'AUTORE qualche necessario ritocco. Cosa lo avrebbe impedito? Alle prime aperture italiane di fine maggio, il governo bulgaro rispose confermando il desiderio di negoziare un accordo sui confini e di procedere anche ad alcune rettifiche territoriali intorno ai laghi di Ohrid e Prespa69. Convinto dell’utilità di chiudere presto la controversia sui confini, Palazzo Chigi sperò di concludere il negoziato in poche battute e di firmare l’accordo durante la visita a Roma di Popov e Filov, che era stata prevista per fine giugno. In fin dei conti, quello cui puntavano gli italiani non pareva un obiettivo irraggiungibile: si trattava di dare in linea di massima applicazione alla demarcazione stabilita a Vienna, apportandovi quelle modifiche suggerite dall’idea di rendere il confine più razionale possibile e, ovviamente, di migliorarlo per rispondere alle necessità dell’Albania. Palazzo Chigi incaricò Magistrati di arare il terreno, mostrando la liberalità e la comprensione che l’Italia aveva sempre avuto per la Bulgaria e proponendo di addivenire ad uno scambio di note su tutti i punti di interesse italiano: una rettifica della linea di demar-

69 Magistrati a Ciano, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 234.

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cazione stabilita a Vienna nella zona di Kačanik, che era essenziale per assicurare le comunicazioni dirette tra il Kosovese e la regione di Tetovo, che erano con l’assetto attuale impossibili; varie piccole modifiche confinarie nella zona di Ohrid, con la cessione in particolare della cittadina di Resan, completamente albanese; diritti esclusivi sulle acque del lago di Ohrid; il diritto di transito sulle ferrovie e sulle strade dell’“enclave” di Ohrid; e, infine, accordo sul regime di protezione per le popolazioni albanesi che sarebbero rimaste in territorio bulgaro70. Accordi bilaterali per la protezione delle minoranze, come si ricorderà, erano stati scelti come miglior mezzo di tutela della popolazione albanese entro i confini bulgari nelle discussioni che si erano avute a Roma con la delegazione per la delimitazione dei confini inviata da Tirana71 . COPIA PER L'AUTORE Le proposte italiane, però, a Sofia caddero nel vuoto. E non poteva essere diversamente. Da parte bulgara non c’era nessuna intenzione di sistemare il confine secondo le intenzioni italiane, seguendo la linea di Vienna e venendo addirittura incontro a nuove richieste per favorire l’Albania. Quanto stabilito a Vienna era, di fatto, del tutto insoddisfacente per l’irredentismo bulgaro, le cui pretese territoriali se ne discostavano di molto, appuntandosi, come si è visto, su Debar, Struga, Kičevo, Gostivar, Tetovo, sul monastero di San Naum, ecc. La loro soddisfazione integrale avrebbe comportato un profondo arretramento verso occidente

70 SSAA, Uff. I, Appunto del 12 giugno 1941, in AP, Jugoslavia, B. 106, f. 3, Rivendicazioni degli Stati successori della Jugoslavia. 71 Ancora prima della visita dei governanti bulgari a Roma, a fine luglio, si ricordava a Ciano che, ove nel corso dei colloqui si fosse toccata la questione delle minoranze, la decisione presa concordemente da italiani e albanesi, durante il soggiorno della delegazione albanese sui confini, era quella di scartare scambi di popolazione o opzioni per stipulare accordi bilaterali di protezione delle minoranze. V. Appunto per l’Eccellenza il Ministro, 18 luglio 1941, in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 1. L’appunto reca a margine la seguente minuta di Scammacca: “Visto dall’Ecc. il Ministro. Nello scambio di lettere con i bulgari è stato inserito il concetto degli accordi bilaterali”.

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della linea di Vienna. In breve, i confini della Grande Bulgaria e quelli della Grande Albania, così come li volevano i nazionalisti di entrambi i paesi, erano in Macedonia in larga parte sovrapponibili e rendevano dunque inconciliabili i due disegni politici. Per far posto alla vera Grande Bulgaria si sarebbe dovuta far sparire la vera Grande Albania e viceversa. Il negoziato territoriale non fu dunque abbordato direttamente dal governo di Sofia, ma lo fece, in modo indiretto, re Boris, recatosi in visita in Italia il 10 e 11 giugno, con il fine proprio di presentare le rivendicazioni bulgare, non al governo italiano, ma al sovrano d’Albania, il suocero Vittorio Emanuele III72. Dopo aver reso visita a Mussolini a Palazzo Venezia il 10, il giorno seguente re Boris si incontrò con il sovrano italiano a San Rossore e a lui COPIA PER L'AUTORE consegnò tre carte geografiche con i confini linguistici della Bulgaria a sostegno delle pretese bulgare e contro quelle dei poco amati musulmani albanesi. Vittorio Emanuele ne dette comunicazione a Mussolini, cogliendo l’occasione per spezzare ancora una volta una lancia in favore del Montenegro. Metteva in guardia sull’intenzione di assegnare all’Albania Cattaro, Budua, Njegoš e il monte Lovčen, spiegando che questi luoghi erano sacri per i montenegrini73 . Per il resto, da Sofia venne solo silenzio. L’attacco della Germania all’Unione Sovietica, il 22 giugno, fornì un inaspettato ottimo pretesto ai leader bulgari per rinviare un’imbarazzante visita a Roma a una data non precisata74. D’altra parte, l’invasione tedesca della Russia complicò effettivamente il quadro politico interno bulgaro, lasciando nell’imbarazzo, nello sconcerto e nell’incertezza sulla posizione da prendere opinione pubblica e forze politiche. Immensa gratitudine si nutriva per la Germania che aveva aiutato

72 Magistrati a Ciano, 10 giugno 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 234. 73 Vittorio Emanuele III a Mussolini, 11 giugno 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 244. 74 Daneo a Ciano, 18 giugno 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 272.

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la Bulgaria a realizzare gran parte del suo programma nazionale, ma la Russia era stata e rimaneva sempre “la grande madre degli slavi”75 . Il 28 giugno, Magistrati comunicò che Popov desiderava rinviare anche il progettato scambio di note sull’utilizzazione delle acque del lago di Ohrid e sulla questione della servitù di passaggio nella zona, a dopo la sua prevista visita a Roma insieme a Filov76. A Palazzo Chigi si cominciò a prendere consapevolezza della tattica dilatoria bulgara. Il giorno seguente, in maniera ultimativa, Ciano comunicò al governo di Sofia che, se desiderava fissare le frontiere tra Albania e Bulgaria, sarebbe stato bene che il ministro degli Esteri bulgaro fosse venuto a Roma entro la settimana, minacciando, in caso contrario, di provvedervi con un atto COPIA PER L'AUTORE unilaterale da parte dell’Italia, sulla base di quanto stabilito a Vienna con Ribbentrop77. Secondo il Diario di Ciano, il 30 giugno a Palazzo Venezia si tenne una riunione tra lui, Mussolini e Pietromarchi nella quale si decise che se i bulgari “ciurla[va]no nel manico” le frontiere sarebbero state decise con atto unilaterale78 . Per nulla impressionato dalla minaccia, il governo bulgaro lasciò cadere la cosa. Popov, al contrario, richiese un nuovo rinvio della visita di almeno una settimana, facendo presente che a Roma si sarebbe recato anche il primo ministro, al momento impegnato dalla politica interna, e che la conferenza avrebbe avuto come oggetto altre importanti questioni e non solo il trattato di confine79. Il negoziato segnò dunque una battuta d’arresto. Magistrati fu a Roma a fine giugno per studiare insieme ai di-

75 Sulle ripercussioni della guerra russo-tedesca sulla posizione internazionale della Bulgaria, v. PASTORELLI, L’estensione del conflitto, cit., pp. 329-330. 76 Magistrati a Ciano, 28 giugno 1941, telespr. 2593/784 in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 2. 77 Ciano a Magistrati, 29 giugno 1941 in DDI, s. IX, vol. VII, D. 327. 78 V. CIANO, Diario, alla data del 30 giugno. 79 Magistrati a Ciano, 30 giugno 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 329.

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plomatici di Palazzo Chigi una soluzione di compromesso. Non si trattava, ovviamente, di ridiscutere la linea di Vienna come speravano i bulgari, ma di trovare, a partire da essa, qualche compenso accettabile per il governo di Sofia in cambio delle rettifiche desiderate da quello italiano. Un appunto del sottosegretariato per gli affari albanesi di fine giugno considerava, infatti, particolarmente importante ottenere in via negoziale da Sofia due modifiche territoriali. La prima riguardava, come si è detto, il distretto di Kačanik assegnato a Vienna alla Bulgaria. Considerazioni politiche, quali le vessazioni che l’esercito bulgaro compiva quotidianamente sulla popolazione albanese, ed etniche, ovvero il fatto che la popolazione era quasi totalmente albanese, militavano in favore della sua assegnazione all’Albania. Il censimento jugoslavo del COPIA PER L'AUTORE 1931 dava 10.490 albanesi su 10.733 abitanti, mentre negli altri comuni posti a sud-est dello Šar Planina, pure occupati dai bulgari, gli albanesi oscillavano tra il 50% e il 75%. Decisiva era poi l’argomentazione geografica, per il fatto che il cuneo di Kačanik rendeva impossibile qualsiasi comunicazione diretta tra la zona di Tetovo e le altre regioni del Kosovo. La ricchezza di minerali del sottosuolo, infine, era un’altra ragione per la sua inclusione nella Grande Albania. Il confine avrebbe dunque dovuto correre a sud della carreggiabile Tetovo-Kačanik e a est della ferrovia Kačanik-Ferizovic, in modo che la regione di Kačanik con tutte le vie di comunicazione fosse inclusa in territorio albanese. Altra importante questione territoriale da discutere con Sofia era quella di Resan e della pianura adiacente, a sud est di Ohrid, abitate in massima parte da albanesi e che avevano sempre fatto parte del sistema economico albanese. Sarebbe stato opportuno chiedere una rettifica per Resan, sia per ottenerla sia per avere materia di scambio in funzione della richiesta di Kačanik80 .

80 Appunto per il GAB-AP relativo alla sistemazione territoriale e confinaria fra

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In via di compromesso con la Bulgaria, la proposta che Magistrati e i tecnici di Palazzo Chigi predisposero agli inizi di luglio prevedeva una variante all’accordo sui confini tra Albania e Bulgaria, ovvero la rettifica nella zona di Kaçanik a favore della prima contro la cessione alla seconda del cosiddetto “naso” nella regione di Vranje81. Ma anche questa proposta di compromesso non ottenne il risultato di facilitare la trattativa e avviare presto alla conclusione un accordo sui confini. La visita dei governanti bulgari a Roma era prevista per la metà di luglio e certo avrebbe avuto una grossa importanza per la Bulgaria. Era la prima visita all’estero che il governo bulgaro faceva dopo le vaste realizzazioni territoriali e la effettuava proprio nel paese confinante, l’Italia. Particolarmente significativo per gli antichi legami della Bulga-COPIA PER L'AUTORE ria con la Russia e le nuove relazioni con l’Asse e specialmente con l’Italia era che si sarebbe svolta all’inizio della crociata antibolscevica e antirussa in Europa82. Mostrava – secondo Magistrati – che i tradizionali legami slavi tra Sofia e Mosca si allentavano e che, orbitando la Bulgaria intorno all’Asse, un’attenzione speciale era data all’Italia. Ma queste premesse positive circa la visita dei governanti bulgari a Roma si inquadravano in un contesto di politica internazionale generale e nulla avevano a che fare con un accordo con l’Italia circa la sistemazione confinaria tra Albania e Bulgaria. Al termine di vari colloqui avuti da quando era rientrato a Sofia, sia con il presidente del Consiglio, sia con il segretario generale del ministero degli Esteri, a metà luglio l’ambasciatore italiano comunicò a Roma che il governo di Sofia per motivi di

l’Albania e la Bulgaria, 27 giugno 1941, n. 71/06806/1852, in ASMAE, SSAA, B. 98, f. Questione di Kačanik e delle comunicazioni Tetovo-Kossovo-Skopje. 81 Ciano a Magistrati, 2 luglio 1941, t. 182/255, in ASMAE, SSAA, B. 98, f. Questione di Kačanik. Il testo dell’accordo proposto per la delimitazione dei confini tra Albania e Bulgaria fu inviato a Magistrati il 2 luglio: Pietromarchi a Magistrati, 2 luglio 1941, t. 25246/252, ivi. 82 Magistrati a Ciano, 9 luglio 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 365.

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politica interna non si sentiva in grado di stipulare un trattato, che comprendesse o no la rettifica di Kačanik. Un trattato pubblico avrebbe scatenato nuovamente l’irredentismo bulgaro-macedone, che sembrava al momento essersi acquietato, mettendo in grave imbarazzo il governo. “Ho l’impressione – annotò Ciano – che i bulgari abbiano poca voglia di parlare con noi e preferiscono che le frontiere risultino da un atto unilaterale, che possono sempre contestare, piuttosto che da un patto regolarmente firmato”83 . Quello di Sofia non era comunque un no definitivo. A parere del governo bulgaro in futuro, quando sarebbe stata definitivamente regolata la questione dell’acquisizione della Macedonia greca e di Salonicco, sarebbe stato più facile far digerire ai nazionalisti interni la regolamentazione del confine con l’Albania. Nel COPIA PER L'AUTORE frattempo, per dare un contenuto formale alla visita del governo bulgaro a Roma, Sofia proponeva un accordo per la creazione della commissione mista di delimitazione del confine indicata nella bozza d’accordo proposta dall’Italia. Non era che un modesto ripiego rispetto alle aspettative italiane, ma non privo di utilità. Ad oggi mancava, infatti, qualsiasi tipo di intesa tra Roma e Sofia sui confini, visto che la Bulgaria aveva proceduto all’occupazione della Macedonia dopo accordi con la sola Germania. Con la creazione della commissione, la Bulgaria avrebbe assunto, anche nei riguardi dell’Italia, un impegno circa la validità e la sostanziale intangibilità dei confini tracciati a Vienna84 . Ormai convinto della volontà bulgara di non firmare un accordo sui confini, il governo italiano si decise a fissare le frontiere bulgaro-albanesi con un decreto unilaterale, che provocò grande agitazione a Sofia, con minacce di dimissioni del governo e clima fortemente anti-italiano nell’opinione pubblica. La visita di Filov e Popov a Roma, che dopo un ennesimo rin-

83 V. CIANO, Diario, alla data del 10 luglio 1941. 84 Magistrati a Ciano, 14 luglio 1941 t. 6991/658, in ASMAE, SSAA, B. 98, f. Questione di Kačanik.

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vio si tenne infine il lunedì 21 luglio 1941, si compiva effettivamente sotto i “cattivi auspici” immaginati da Ciano85. Dei colloqui con i governanti bulgari non sono stati redatti verbali, benché le annotazioni di Ciano ci restituiscano perfettamente l’atmosfera in cui si svolsero: “Arrivo dei bulgari: due classici ministri democratici parlamentari, ma [che] la tempesta infuriante sull’Europa obbliga ad avere a che fare con dittature, uniformi e parate. Sono venuti a mendicare qualche correzione di frontiera, specialmente nella zona dei Laghi di Ocrida e Presba indispensabili per rafforzare la loro personale situazione all’interno. Ho tenuto duro più per forma che per convinzione: qualche piccola concessione potrà anche venire fatta in sede di commissione mista”86. Dal canto loro, anche i bulgari confidarono ai tedeschi che i risultati del vertice COPIA PER L'AUTORE romano non andarono oltre un superficiale miglioramento dell’atmosfera tra i due paesi e generiche promesse di venire a un compromesso sui confini87 . Nonostante il fascino che le istituzioni create dal fascismo esercitavano sulla classe dirigente bulgara, rispetto a quelle, invece, poco apprezzate della Germania e ritenute poco adatte alla società bulgara, sul piano dei rapporti diplomatici non si segnarono progressi. Il modello italiano, con scorno dei tedeschi, attraeva di più i bulgari88, ma non bastò a superare i contrasti territoriali. La visita dei governanti bulgari, che seguiva di un mese quella di re Boris, non portò dunque quel nuovo slancio nelle relazioni

85 V. CIANO, Diario, alla data del 19 luglio 1941. 86 V. CIANO, Diario, alla data del 21 luglio 1941. Magistrati propose, anche, allo scopo di migliorare le relazioni tra Albania e Bulgaria, che a Roma si organizzasse un incontro diretto dei ministri bulgari con qualche esponente albanese correligionario, Magistrati a Ciano, 9 luglio 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 365. 87 Memorandum Woermann, 31 luglio 1941, in DGFP, serie D, vol. XIII, D. 170. 88 Sull’apprezzamento del modello fascista da parte della classe dirigente bulgara, v. MILLER, Bulgaria during the Second World War, cit., p. 82.

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italo-bulgare che Magistrati aveva previsto. Fu certo un segnale di attenzione da parte del governo bulgaro verso l’Italia e un’espressione di comune buona volontà da parte di entrambi i governi. Ma tutto rimase qui. Nel settembre 1941 si creò la commissione di delimitazione dei nuovi confini dell’Albania e nell’ottobre venne anche dato nuovo impulso alla collaborazione tra i due paesi con la stipula di un accordo economico italo-bulgaro, firmato da dall’Oglio, direttore generale del ministero per gli Scambi e le Valute, e dal governatore della Banca nazionale bulgara, Gounev. Contemporaneamente Magistrati e Popov firmarono a Sofia un accordo tariffario sul commercio di filati e di tessuti89. Ma tutto ciò non cambiò di molto il quadro generale delle relazioni dei due paesi, dipendente come era da un miglioramento nei rapporti tra Tirana COPIA PER L'AUTORE e Sofia che fu lungi dall’essere raggiunto. Da parte bulgara si continuarono a lamentare malversazioni compiute sulla popolazione bulgaro-macedone dagli albanesi ancor più da quando, nell’agosto del 1941, l’amministrazione dei territori era passata sotto il controllo di Tirana. Parimenti, le vessazioni sugli albanesi nella Grande Bulgaria non cessarono e l’auspicata normalizzazione non si verificò. Il comportamento delle truppe bulgare continuò a distinguersi per la brutalità nei confronti della popolazione e, come abbiamo visto, non solo di quella albanese. Arresti immotivati, perquisizioni, percosse, divieti agli hoxha di predicare, ruberie, e altri fatti scandirono i giorni dell’occupazione bulgara nella Macedonia. A periodi di maggiore calma seguivano recrudescenze della violenza, che impegnarono le locali rappresentanze italiane, come nel caso di Bitolj, in molteplici interventi presso i comandi militari o le

89 Magistrati a Ciano, 10 ottobre 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 636. Sulla gara tra Italia e Germania per l’influenza sulla Bulgaria, v. ENZO COLLOTTI, Il ruolo della Bulgaria nel conflitto tra Italia e Germania per il Nuovo Ordine Europeo, in “Il Movimento di liberazione in Italia”, luglio-settembre 1972, f. n. 108.

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autorità civili bulgare a difesa della popolazione albanese90. A fine novembre, il comando militare italiano in Albania segnalò la ripresa degli incidenti di frontiera dovuti all’atteggiamento dei militari bulgari, che si distinguevano, scrisse Jacomoni, per i “gravi abusi di autorità a danno di poveri e innocui albanesi della zona confinaria” 91 . Consolatorie erano, dunque, ma solo per un futuro sempre più lontano, le convincenti considerazioni di Magistrati circa i rapporti tra Roma e Sofia. Agli inizi di novembre, nel fare un giro panoramico della situazione degli ultimi sei mesi, il diplomatico italiano tornò a far osservare che, dopo gli sconvolgimenti bellici nei Balcani, la Bulgaria ne era divenuto il più grande paese, bagnato da due mari e dal più grande fiume d’Europa e per la prima volta COPIA PER L'AUTORE anche confinante con l’Italia. Non poteva quindi essere estranea all’interesse italiano, sia perché era l’unico paese “indipendente” con il quale confinava il sistema italo-albanese, sia perché con l’acquisto della Tracia greca era divenuta un paese mediterraneo, che si affacciava sulla regione che anche i tedeschi riconoscevano come di esclusiva pertinenza italiana. D’altra parte, la mancanza di rapporti stretti fino ad allora permetteva di iniziare un cammino di collaborazione senza ostilità preconcette o antichi rancori, come ci potevano essere tra i popoli balcanici. La frontiera comune, dunque, non sarebbe stata un diaframma ma una base di partenza per una politica comune. Il contrario sarebbe stato un assurdo: la Grande Albania doveva essere la testa di ponte dell’influenza italiana nei Balcani non un ostacolo ad essa. La Germania, secondo il diplomatico italiano, aveva compreso il nuovo ruolo della Bulgaria e aveva manifestato particolare interesse per essa. I tedeschi – scrisse – “sono riusciti a permeare

90 G. Relli a Ministero degli Esteri e alla Legazione a Sofia, 25 settembre 1941, telespr. 552/188, in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 1 91 Jacomoni a Ciano, 20 novembre 1941, telespr. 22867/7902, in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 2.

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del loro succo tutti i principali rami dell’attività del Paese”. Dopo una breve infatuazione per la Serbia e per la Grecia, Berlino era tornata prepotentemente vicina a Sofia. La rivolta serba, minacciando le essenziali vie di comunicazione destinate ad unire le basi germaniche agli utilissimi porti bulgari sul mar Nero alla vigilia dell’azione verso il Caucaso contro l’Unione Sovietica, aveva gettato di nuovo la Germania nelle braccia della Bulgaria92 . Insomma, sul finire dell’anno la situazione balcanica era ancora più complicata di quanto non lo fosse al momento della dissoluzione jugoslava. Conflitti interetnici, resistenza nazionale, lotta comunista, guerra civile, non lasciavano più sperare in una veloce pacificazione e normalizzazione del quadro politico-militare. I rapporti tra Grande Albania e Grande Bulgaria non fecero passi COPIA PER L'AUTORE avanti sulla via della conciliazione e, di conseguenza, quelli italobulgari rimasero in posizione di stallo. Rimaneva forse la speranza di un avvenire migliore, ma in un futuro non più ora prevedibile. L’attacco tedesco all’Unione Sovietica e il concorso italiano alla guerra avevano posto in grave imbarazzo governo e opinione pubblica bulgari. La Grande Bulgaria era nata sotto la stella della Germania hitleriana, ma in tempi di amicizia e alleanza russo-tedesche. Ora la situazione si era rovesciata. E il gradimento dell’Asse in Bulgaria cominciò a segnare pesantemente i suoi colpi. Nonostante gli urgenti provvedimenti per la difesa dello stato e l’inasprimento delle pene contro chi avesse compiuto attentati all’ordine pubblico decisi dal parlamento bulgaro, anche per mostrare l’allineamento della Bulgaria alla Germania, cominciarono a verificarsi sabotaggi e attentati a danno delle truppe tedesche93. L’Italia, inoltre, a differenza della Germania, aveva spalleggiato l’odiata

92 Ministero degli Esteri all’ambasciata a Berlino, 24 novembre 1941, telespr. 12/2601/C, in ASMAE, SSAA, B. 31, f. Rapporti italo-bulgari. Col telespresso si riferiva quanto riportato dalla Legazione a Sofia il 10 novembre. 93 Ministero degli Esteri a Berlino, Istanbul, ecc, 6 settembre 1941, telespr. 20361/C, in ASMAE, SSAA, B. 31, f. Rapporti italo-bulgari.

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Grande Albania ed era stata l’altrettanto odiato bersaglio della propaganda irredentista bulgara e macedone. Non tutti, certo, in Bulgaria, continuarono a lamentare la presenza dell’Italia come vicina e molti riuscivano a guardare anche al futuro con occhi diversi. A fine novembre 1941, il console italiano a Bitolj, Relli, ebbe modo di incontrare il metropolita Filarete, vescovo di Loveč, e curatore provvisorio della diocesi cui apparteneva il consolato. Filarete aveva riunito a Bitolj il clero ortodosso, dal 5 all’8 novembre, per ascoltarne i bisogni e impartire istruzioni, non mancando nemmeno di affermare, nella sua allocuzione, che il clero macedone dovesse rimanere custode del “bulgarismo”. In una significativa conversazione in russo con Relli, Filarete aveva espresso la felicità dei bulgari e della chiesa bulgara di con-COPIA PER L'AUTORE finare con l’Italia: essa auspicava ardentemente che l’Italia annettesse l’Albania, vi istituisse una propria amministrazione, e compisse la sua alta missione di civiltà convertendo al cristianesimo tutti gli albanesi. La Bulgaria, d’altra parte, non aveva più aspirazioni su quelle terre di confine, i bulgari rimasti in Albania erano appena 75.000. Filarete chiese che venissero allontanati dall’Albania i preti ortodossi di origine greca a cominciare dal vescovo di Tirana e che le autorità italiane si interessassero del santuario di San Naum. Il monastero, assegnato all’Albania, era una delle rivendicazioni più care alla religiosità bulgara. Tuttavia, pur essendo un monastero ortodosso, San Naum estendeva la sua influenza religiosa anche sulle popolazioni albanesi non cristiane. Durante la sagra di San Naum del luglio 1941 ben 5.000 pellegrini albanesi, per la maggior parte musulmani, avevano onorato e festeggiato il santo94 . Filarete domandò pure che gli italiani nominassero un curatore o un amministratore del monastero, che era attualmente gestito da

94 Relazione dell’ispettore albanese Bubani sulla Sagra di San Naum, trasmessa con Appunto dell’11 luglio 1941, n. 3104/1, a firma di Lorusso Attoma, in ASMAE, SSAA, B. 153/26, f. Stampa e propaganda.

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un igumen russo e da due monaci serbi che compivano malversazioni con le sue proprietà. La chiesa bulgara, affermò, non aveva più aspirazioni sul monastero, ma se ne interessava per motivi affettivi. Insomma, secondo l’autorevole prelato, tutto portava a ritrovare e ad allacciare ottimi rapporti con l’Italia. Ma forse vale la pena di registrare che durante il colloquio con il console italiano – a ormai cinque mesi dall’inizio della crociata antibolscevica italo-tedesca – il metropolita parlò a lungo della drammatica situazione della Russia, esprimendo la speranza che “la risurrezione di quel popolo avvenga al più presto e che la chiesa ortodossa ne partecipi attivamente”95 . COPIA PER L'AUTORE

95 Magistrati a Ciano, 25 novembre 1941, telespr. 5477/1561, trasmetteva quanto gli aveva riferito con rapporto il console a Bitolj, G. Relli.

Epilogo Si può ben affermare che alla fine del 1941, a ormai nove mesi dalla dissoluzione della Jugoslavia, non vi era nessun segno di normalizzazione né di stabilizzazione dello spazio balcanico. La Grande Albania era ancora una creatura informe, che cercava di COPIA PER L'AUTORE sopravvivere tra spinte interne al cambiamento e violenti attriti con i suoi vicini. Proprio l’incapacità di mettere ordine nelle nuove province fu tra le cause, alla fine del 1941, della liquidazione del governo Verlaci, che aveva guidato la nazione schipetara dal 1939. A Verlaci, che tuttavia fu compensato con la nomina a ministro di Stato, si imputò scarsa energia nell’adozione di misure adeguate per i nuovi territori, nonché debolezza nel contrastare efficacemente la propaganda che veniva da oltre frontiera, specialmente dalla zona di Mitrovica. In realtà, l’idea di un cambio al vertice si era fatta strada a Roma fin dalla metà dell’anno, al fine di rafforzare il consenso al governo, includendovi personalità di spicco della cultura e della politica e dando più autonomia all’Albania una volta che si fossero sistemati i problemi confinari1 . A questo stesso fine, nel novembre 1941, come si è accennato, era stato abolito il sottosegretariato per gli affari albanesi, l’organo che più di ogni altro aveva simboleggiato il controllo di Roma sul paese delle aquile. Jacomoni propose alla guida del nuovo governo Mustafa Kruja, uomo che coniugava all’accanita fede nazionalista la fedeltà all’Italia, dalla quale aveva ricevuto costanti incen-

1 V. CIANO, Diario, alla data del 13 giugno 1941.

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tivi finanziari nei lunghi anni d’esilio, come oppositore di Zog. Mussolini acconsentì alla nomina, nonostante le perplessità di Ciano ad affidare il governo agli “estremisti del nazionalismo schipetaro”2. Era giunto il momento, a parere di Jacomoni, di offrire la gestione del governo a uomini nuovi, rappresentanti delle forze vive del paese e di nuovi orientamenti politici. Il governo che si formò fu dunque espressione dei circoli più nazionalisti e in esso figuravano molte figure di spicco del nord albanese. A Kruja, oltre alla presidenza, andò anche il ministero degli Interni, al quale fu aggiunto un sottosegretario di stato, nella persona di Mark Gjonmarkaj, figlio del senatore Marka Gjoni, principe cattolico della Mirdizia, uno dei capi politici e militari più potenti del nord. Shuk Gurakuqi, ex deputato di Scutari, ebbe il COPIA PER L'AUTORE ministero delle Finanze, mentre al ministero dell’Economia fu posto Fuad Bey Dibra, personalità molto in vista nelle terre redente; Iliaz Agushi, notabile del Kosovo ed ex prefetto di Pristina, dove si era distinto per efficienza e imparzialità dopo l’occupazione italiana, fu incaricato dei Lavori Pubblici. A Tahir Shtylla andò il ministero delle Terre Liberate con funzioni ispettive e di coordinamento. La nuova compagine ministeriale si presentava composta in maggioranza da giovani e persone di ottima cultura, ma il cui orientamento accesamente nazionalista avrebbe reso il governo “meno docile” del precedente alle istanze di Roma, benché tutti i suoi membri fossero fautori convinti dell’unione italo-albanese e, in un certo qual modo, vicini per mentalità alle concezioni fasciste3. In effetti, sul piano dei rapporti con l’Italia, l’Albania sembrò potersi incamminare verso una più marcata autonomia, simbolo della quale fu il mutamento della bandiera albanese chiesto da Kruja e

2 V. CIANO, Diario, alla data dell’11 novembre 1941. 3 Ciano a Jacomoni, 31 ottobre 1941, in DDI, s. IX, vol. VII, D. 734.

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ottenuto da Mussolini. Fu ripristinata la vecchia bandiera nazionale, pur se essa recava ancora sull’asta il fascio littorio e la banda azzurra dei Savoia. Il partito fascista albanese si sarebbe dovuto sciogliere e al suo posto creare la Guardia della Grande Albania, mentre con l’organizzazione di una gendarmeria albanese si sarebbero dovute assorbire le mansioni di mantenimento dell’ordine pubblico prima gestite dai carabinieri. L’unione economica doveva pure essere ritoccata con provvedimenti in favore dell’Albania4 . Ma l’orientamento accesamente nazionalista che pervadeva il governo di Tirana finì per ripercuotersi pesantemente anche sui rapporti con i paesi vicini. Il programma di Kruja era quello di completare l’unificazione nazionale della Grande Albania e di sfruttare ogni possibile occasione per estendere i confini. Palazzo COPIA PER L'AUTORE Chigi venne come mai incalzato con le problematiche relative agli albanesi ancora irredenti. Alla metà di febbraio 1942, durante una sua visita a Roma, Kruja abbordò la questione di nuove rettifiche ai confini montenegrini, quelle del resto ritenute di più facile attuazione dopo che il Montenegro era divenuto un governatorato militare sotto controllo italiano5. Alla richiesta non fu dato seguito, ma il problema si aggravò a partire dalla metà del 1942, quando nel governo albanese il ministero delle Terre Liberate passò a Eqrem Bey Vlora, latifondista di Valona, ex diplomatico turco e poi deputato al parlamento di Tirana, che impostò una politica ispirata da eccessi nazionalistici e lotta antislava. Vlora iniziò una potente campagna propagandistica in favore dell’annessione di una striscia di territori nelle regioni di Berane, Bijelopolie e Sjenica, rimaste al Montenegro, ma nelle quali si stimava risiedessero circa 80.000 albanesi. Il contrasto con gli slavi montenegrini finì per esasperarsi ponendo il governo di Roma in grossa difficoltà. Come in precedenza, gli italiani resistettero a

4 V. FISCHER, Albania at War, cit., pp. 115-117. 5 V. CIANO, Diario, alla data del 16 febbraio 1942.

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queste pressioni, dato che era del tutto inopportuno politicamente e militarmente pericoloso, visti i precedenti e la rivolta non ancora domata, dare nuova esca al nazionalismo montenegrino decurtando vieppiù il Montenegro di territori. Si finì quindi per trovare una soluzione salomonica: l’amministrazione di queste zone rimaneva al governatorato militare del Montenegro, ma la loro amministrazione civile fu affidata a un commissariato civile per le regioni a popolazione mista, commissariato del quale Umiltà prese la direzione nel luglio 19426 . Anche questa soluzione, però, non si provò esente da gravi problemi. Alla fine del 1942, ricordò Umiltà, a causa della propaganda annessionista di Vlora e dell’invio di armi agli albanesi vennero uccisi una decina di slavi, con il seguente scatenamento di COPIA PER L'AUTORE feroci rappresaglie dei četnici, che fino allora avevano rispettato i patti di non turbare la tranquillità della zona mista, la morte di un migliaio di albanesi nella zona tra Berane e Sjenica e la distruzione di interi villaggi. Ne seguì una grave tensione tra il governo di Tirana e il governatorato militare del Montenegro e un’inchiesta dalla quale risultarono omissioni anche da parte delle autorità militari italiane della divisione Venezia, verso le quali vennero presi provvedimenti disciplinari come l’allontanamento7. Il commissariato per le zone a popolazione mista aveva ormai i giorni contati. Chiuse i battenti nell’aprile del 1943, lasciando le proprie mansioni sotto diretto controllo dei militari di Tirana e Cettigne. Anche rispetto agli albanesi rimasti in Serbia, l’azione del governo Kruja fu incessante, benché cominciasse ad apparire sempre più chiaro a Tirana come a Roma, che non ci si poteva comunque aspettare il consenso tedesco a un’ulteriore estensione dei confini dell’Albania per includervi il Kosovo serbo. Tanto meno le autorità germaniche furono mai disposte a permettervi un’occupazione

6 V. UMILTÀ, Jugoslavia e Albania, cit., p. 146-148. 7 V. UMILTÀ, Jugoslavia e Albania, cit., pp. 156-161.

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italiana, che pure era tra le speranze coltivate a Tirana. Se ne cominciò a prendere consapevolezza agli inizi del 1942, al momento del lancio di una vasta campagna militare in Bosnia, con la partecipazione di due divisioni tedesche e una italiana. Al fine di poter liberare le truppe necessarie alle operazioni di repressione, il comando germanico pattuì con i comandi bulgari l’estensione dell’occupazione da parte delle truppe bulgare a circa un quarto del territorio della Serbia. Si trattava, come assicurò a Mameli il rappresentante del ministero degli Esteri tedesco in Serbia, Felix Benzler, di una misura temporanea che non avrebbe inficiato la giurisdizione tedesca sulla Serbia, né l’amministrazione civile delle autorità periferiche serbe. Ma a conferma di quanto aveva altre volte rilevato8, il diplo-COPIA PER L'AUTORE matico italiano osservò che il comando germanico si era ben guardato, per giungere allo scopo di rendere disponibili delle truppe, di lasciare il Kosovo serbo all’occupazione militare italiana, come pure sarebbe stato naturale. L’occupazione bulgara, inoltre, a suo giudizio, non solo avrebbe dato un pesante colpo alla tenuta del governo collaborazionista serbo guidato dal generale Nedić, ma avrebbe messo vieppiù in difficoltà gli italiani, poiché aveva già spinto schiere di serbi armati a sottrarsi all’esercito bulgaro e a entrare nel Kosovo albanese, in Montenegro e in Bosnia, aumentando così il numero dei partigiani nei territori sotto controllo dell’Italia9 . Proprio l’impossibilità riscontrata di ottenere in qualche forma il controllo albanese-italiano sul Kosovo serbo spinse Palazzo Chigi, sempre su pressione del governo di Tirana, a mobilitarsi nuovamente, nella primavera del 1942, presso il governo tedesco in favore degli albanesi rimasti in Serbia. Questa volta si batté sul tasto della lotta al comunismo, mettendo in risalto come questo

8 Mameli a Ciano, 12 dicembre 1941, in DDI, s. IX, vol. VIII, D. 11 9 Mameli a Ciano, 2 gennaio 1942, in DDI, s. IX, vol. VIII, D. 94.

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trovasse proprio nella cultura e nelle aspirazioni nazionali degli albanesi kosovari un baluardo ideale. Era opportuno, dunque, non deludere le loro richieste per evitare che anche il Kosovo, come altre zone, venisse esposto al rischio di un’espansione del credo comunista con ciò che ne sarebbe conseguito in termini di turbamento all’ordine pubblico e azioni di sabotaggio e interruzione delle vie di comunicazione. Si insisteva, perciò, sulla concreta realizzazione dei provvedimenti presi a difesa della compagine albanese e quindi sulla necessità di permettere una collaborazione di personale proveniente dall’Albania, come solo rimedio per la loro applicazione. Le autorità tedesche erano invitate a richiamare, attraverso il rappresentante del Reich a Belgrado, gli amministratori serbi a COPIA PER L'AUTORE dare pratica applicazione ai diritti riconosciuti agli albanesi, “in maniera analoga a quella con cui hanno avuto il riconoscimento i diritti della comunità germanica”, e a sorvegliare che tali misure includessero l’autorizzazione ad utilizzare personale dell’Albania, con l’intesa che tale personale, durante l’attività in Serbia, si sarebbe svestito della qualità di funzionari del Regno e avrebbe sospeso ogni attività politica10. Ma anche questo intervento, come i precedenti, fu inutile, tanto che ancora un anno dopo Ali Draga confidava a Mameli di avere ricevuto nuove promesse da parte tedesca di discutere con Belgrado i provvedimenti circa maestri e funzionari dell’Albania da destinare al Kosovo serbo11 . Man mano che il conflitto si acuiva sul piano generale, le speranze di unificare il Kosovo serbo al resto dell’Albania tramontarono e la condizione degli albanesi peggiorò. Nell’estate 1942, su istanza del governo Nedić, la forza di polizia albanese creata dai tedeschi al momento dell’occupazione venne assorbita all’interno della Guardia statale serba, provocando forte disappunto tra gli

10 Appunto del 28 aprile 1942, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Minoranze. 11 Mameli a Ministero degli Esteri, 4 maggio 1943, telespr. 2117/572, in ASMAE, Carte Gab., Armistizio-Pace, B. 27, f. Scuole.

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albanesi12. Nondimeno, i vertici italiani si mossero ancora in favore della popolazione albanese agli inizi del 1943, quando, a partire dal 5 gennaio, si assistette a una nuova estensione dell’occupazione bulgara in Serbia. E questa volta fu direttamente interessata la regione kosovara fino a Mitrovica, cosa che scatenò le dure proteste degli albanesi presso il comando germanico e le loro ormai inutili espressioni di preferenza per un’occupazione italiana. Mameli intrattenne immediatamente l’incaricato d’affari germanico, Feine, sul fatto che in occasione della prima occupazione bulgara le autorità germaniche avevano dichiarato che sarebbe stato escluso il Kosovo non annesso. Feine rispose che vi era stato un nuovo accordo con i bulgari, perché le truppe germaniche erano necessarie altrove, ma che l’occupazione bulgara del Kosovo COPIA PER L'AUTORE serbo sarebbe stata temporanea, e che i comandi superiori germanici sarebbero rimasti al loro posto per assicurare l’ordine e il controllo sull’amministrazione13. Il sindaco di Mitrovica prospettò alle autorità tedesche una situazione irreparabile, ma ebbe la stessa risposta circa la provvisorietà dell’occupazione, da concludersi in quattro, cinque settimane14 . Magistrati fu subito invitato da Palazzo Chigi a fare un passo sul primo ministro bulgaro in favore della protezione delle popolazioni albanesi. Ne parlò anche con il ministro della Guerra, il generale Mihov, che a sua volta sensibilizzò il generale Nikolov, comandante l’armata bulgara in Serbia. Tutti si sentirono in grado di dare assicurazioni circa il retto comportamento delle truppe, benché, dati i precedenti, c’era poco da fidarsi sul fatto che alle

12 V. MALCOM, Storia del Kosovo, cit., p. 331. 13 Berio a Luogotenenza, 10 gennaio 1943, t.p.c., 843/PR, in ASMAE, Carte Gab., Armistizio-Pace, B. 27 f. Situazione politica in Serbia. 14 Meloni a ministero degli Esteri, Gab-Alb, 9 gennaio 1943, t.p.c. 1085PR/23, e Giorgio Spalazzi (incaricato d’affari a Belgrado) a Ciano, 9 gennaio 1943, t. 155R/19, in ASMAE, Carte Gab., Armistizio-Pace, B. 27, f. Situazione politica in Serbia.

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buone intenzioni sarebbero seguiti fatti concreti15. Tuttavia, almeno nel periodo iniziale, l’occupazione bulgara non diede luogo ad incidenti, anche perché i comandi germanici avevano preso rigorose misure per evitare attriti tra popolazione e truppe. Il comando dei reparti bulgari in Serbia, d’altra parte, aveva già reso omaggio a Ferhad Draga, al fine di tenere meglio sotto controllo la situazione16 . Con l’inizio del 1943, fu del tutto evidente a Roma come a Tirana che la guerra era perduta per l’Asse. La situazione militare, del resto, aveva cominciato a divenire precaria alla fine del 1941, quando era nato il partito comunista albanese e di lì a poco, sotto la sua guida, il movimento di liberazione nazionale17, e si era dato il via, COPIA PER L'AUTORE con il sostegno degli Alleati, ad una vera e propria resistenza armata organizzata. Alla metà del 1942, la possibilità dell’esercito italiano di tenere sotto controllo l’intero territorio albanese si era già affievolita drasticamente. Lo sbarco anglo-americano in Nord Africa, nel novembre dello stesso anno, dette il colpo di grazia, rendendo manifesto sia a Roma che in Albania che l’Italia ormai si avviava alla sconfitta e che anche dal punto di vista dei rapporti di forza nella penisola balcanica l’esercito italiano si sarebbe trovato sempre più in condizioni di debolezza. La resistenza comunista ne fu incoraggiata e la rivolta dilagò nel sud albanese con vere e

15 Magistrati a Ciano, 12 gennaio 1943, in DDI, s. IX, vol. IX, D. 481; Magistrati a ministero degli Esteri, 14 e 18 gennaio 1943, t. 268R/24 e t.p.c. 438R/018, in Carte Gab., Armistizio-Pace Busta 27, f. Situazione politica in Serbia. 16 Giorgio Spalazzi (incaricato d’affari a Belgrado) a Ciano, 16 gennaio 1943, telespr. 124/37, in ASMAE, Carte Gab., Armistizio-Pace, B. 26. 17 Sugli sviluppi politici della resistenza, oltre a POLLO e PUTO, The History of Albania from its origins to the present day, London-Boston, Routledge, 1981, v. anche FISCHER, Albania at War, cit., 121 ss.; KOLA, The Mith of Greater Albania, cit., pp. 25-31. STAVRO SKENDI (a cura di), Albania, London, Atlantic Press, 1957, pp. 76-80; VICKERS, The Albanians, cit., pp. 145-159.

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proprie insurrezioni nelle province di Valona e Korça18 . Dal canto loro, anche i nazionalisti, pur non esasperando il loro atteggiamento nei confronti della presenza italiana, si cominciarono a preparare al probabile tramonto del Nuovo Ordine e a salvare il salvabile di quanto in termini territoriali l’Albania aveva ottenuto. Proprio nel novembre 1942 nacque il Balli Kombëtar, il Fronte nazionale, sotto la guida di Mit’hat Frasheri, ex diplomatico, cugino del più noto Mehdi Frasheri, figlio di Abdyl Frasheri, l’intellettuale della lega di Prizren. Composto di liberali e moderati dal punto di vista ideologico, il Balli Kombëtar si pose come chiaro programma il mantenimento della Grande Albania, tanto che molti membri del governo Kruja e, dopo le sue dimissioni nel gennaio 1943, dei seguenti deboli governi albanesi, guidati da COPIA PER L'AUTORE Eqrem Libohova e Maliq Bushati, guardarono con simpatia al Fronte, di cui tutto sommato potevano sposare appieno il programma di mantenimento dell’indipendenza e dell’unità nazionale nei confini del 1941. Il Fronte Nazionale attirò in particolare gli albanesi kosovari, dato che le sue direttive politiche davano maggiore affidamento circa le posizioni nazionali. Il partito comunista albanese, al contrario, ebbe scarsissima diffusione in Kosovo, sia per i suoi stretti legami con quello jugoslavo, sia per la base slava del movimento comunista in generale. Nella sua lotta di liberazione contro gli italiani, infatti, il partito comunista albanese, proprio perché filiazione di quello jugoslavo, non riuscì mai a risolvere chiaramente il dilemma relativo al destino del Kosovo, né quello della reale indipendenza dell’Albania, che vedeva piuttosto inquadrata in una federazione balcanica con gli altri popoli slavi19. Ne conseguì che, nonostante le frequenti incomprensioni o l’atteggiamento dell’esercito italiano ritenuto troppo filo-slavo, i legami dei kosovari con l’Italia “liberatrice”, fu-

18 V. FISCHER, Albania at War, cit., pp. 136-137. 19 V. MALCOM, Storia del Kosovo, 337-342; VICKERS, Between Serb and Albanian, cit., pp. 123-133.

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rono più lenti ad affievolirsi rispetto alle altre regioni dell’Albania. Stante la situazione, la fede nell’Italia andava sempre di più a collimare con la fede nell’unità della nazione albanese. Nel giugno 1943, il generale Alberto Pariani, che nel febbraio aveva sostituito Jacomoni come luogotenente, nell’ormai disperato e inutile tentativo di mantenere sotto controllo la situazione, così riferì a Mussolini circa l’atteggiamento degli albanesi del Kosovo: “Ho compiuto un viaggio di tre giorni nel Kossovo tra l’entusiasmo delle popolazioni… Gente bella, forte, moralmente sana, virilmente disciplinata, profondamente patriota. È legata veramente a noi (escluso naturalmente l’elemento montenegrino e slavo). Soldati richiamati da solo un mese hanno sfilato in modo impeccabile, fiero, marziale. Volontari a piedi e a cavallo hanno mostrato fiera COPIA PER L'AUTORE volontà di lotta. È una regione sulla quale si può realmente contare in tutti i sensi, perché vi è ancora viva fede”20 . D’altra parte, fu proprio sulle modalità di affrontare la questione nazionale albanese che fallì il tentativo di accordo tra i comunisti e il Balli Kombëtar, conclusosi nell’agosto 1943 con il rifiuto da parte del Fronte di aderire al Movimento di liberazione nazionale sotto la leadership comunista21. Tra Balli Kombëtar e partito comunista albanese si determinò così un insolubile conflitto che doveva durare fino alla fine della guerra e che spinse Mehdi Frasheri a cercare ancora, dopo il crollo del regime fascista, proprio nell’agosto 1943, di instaurare una nuova effimera collaborazione con Roma sulla base della piena indipendenza di una Grande Albania alleata dell’Italia22 .

20 Pariani a Mussolini, giugno 1943, in DDI, s. IX, vol. X, D. 464. 21 V. in proposito la testimonianza di JULIAN AMERY, Sons of the Eagle: a Study in Guerrilla Warfare, Macmillan, London, 1948, p. 58. V. anche KOLA, The Mith of Greater Albania, cit., pp. 41-44. 22 Pariani a Guariglia, 13 agosto 1943, in DDI, s. IX, vol. X , D. 660. Su questi aspetti, v. FEDERICO EICHBERG, Il fascio littorio e l’aquila di Skanderbeg. Italia e Albania 1939-1945, Roma, Editrice Apes, 1997, pp. 115-119.

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Ma l’Italia sconfitta non era più in grado di condizionare la politica internazionale a favore del mantenimento dei risultati del 1941, come non lo poteva più essere la Germania, alla quale dopo il crollo italiano gli albanesi kosovari affidarono il loro destino23 . La forza della resistenza di Tito in Jugoslavia, coadiuvata dagli anglo-americani, la propaganda internazionalista comunista e le armate sovietiche nel resto dei Balcani si sarebbero presto imposte distruggendo, dopo un’aspra lotta interna alla stessa Albania, qualsiasi velleità di mantenimento dei confini del 1941. La questione del Kosovo veniva così riportata ai termini in cui si trovava nel 1939. Sarebbe passato più di mezzo secolo prima che essa si ponesse, analogamente a quanto accaduto durante la seconda guerra mondiale, drammaticamente all’attenzione internazionale COPIA PER L'AUTORE con il secondo smembramento della Jugoslavia, la sconfitta serba e l’avvio della seconda “liberazione” del Kosovo.

23 Sugli eventi albanesi dopo l’armistizio dell’Italia, v. le memorie di HERMANN NEUBACHER, Sonderauftrag Südost 1940-1945. Bericht eines fliegenden Diplomaten, Berlin-Frankfurt, Musterschmidt-Verlag, 1956, pp. 105-121; nonché MOROZZO DELLA ROCCA, Nazione e religione in Albania, cit., pp. 173-184; EICHBERG, Il fascio littorio, cit., pp. 121-132.

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COPIA PER L'AUTORE

Indice dei nomi

Acimović, Milan, 155. Adile, sorella di Zog, 28. Agostinucci, Crispino, 99, 100. Agushi, Iliaz, 82, 86n, 220. Ajeti, Idriz, 132n. Alessandro di Jugoslavia, 96. Alfieri, Dino, 65, 65n, 115. Alija, Halil, 113n. Alizoti, Feizi, 69, 139, 141, 142, 143, 144n, 168, 169. Altenburg, Günther, 173n. Amé, Cesare, 110. Angelinović, Budislav Gregor, 29, 29n. Anfuso, Filippo, 43, 67 105, 106. Antonescu, Jon, 117, 117n. Antonescu, Mihail, 117. Ataturk, Kemal, 20. Athanassov, Filippo, 101, 102n. Balabanov, T., 174. Baldani, 106. Bankov, tenente, 175. Bazi i Canit, 28n. Begolli, Qerim, 44n. Begolli, Xhevat, 39n, 44n, 82, 86n. Begolli, Qerim, 44n. Begolli, Shefket, 86n.

COPIA PER L'AUTORE Begu, Hasan, 146n. Benini, Zenone, 46, 46n, 55, 59, 60, 61, 62, 66, 68, 70n, 82, 83, 83n, 85, 86n, 110, 120n, 122n, 139, 139n. Benzler, Felix, 223. Berati, Dhimiter, 54n, 139, 141, 142, 143, 144n. Biba, Pashuk, 112n. Biscaccianti, Alessandro, 175. Blakçovi, Ionuz, 27, 27n. Bluta, Aqif, 82, 154, 155, 156n. Boletini, Asslan, 86n. Bonfatti, Luigi, 97, 120. Boris di Bulgaria, 124, 125, 125n, 126, 127, 128, 172, 176, 179, 190, 192, 193, 194, 208, 213. Borshi, Shyqyri, 113n. Bottai, Giuseppe, 111, 112, 113, 114. Bushati, Malik, 227. Bushati, Sulço, 112, 112n. Castellani, Augusto, 200, 203. Ciano, Galeazzo, 30, 31, 33, 34, 41, 42, 43, 44, 46, 46n, 48, 54, 55, 57, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 67, 80n, 82, 83, 83n, 84, 84n, 85, 87, 88, 102, 102n, 103n, 112, 120, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 128, 128n, 130, 131,

244

136, 136n, 137, 138, 139, 139n, 140, 146, 147, 152, 157, 157n, 158, 158n, 160, 161, 165, 166, 178, 181n, 185, 186, 194, 196, 198, 199, 200, 205, 207n, 209, 211n, 212, 213, 220. Cincar-Marković, Aleksandar, 42. Chalev, Dimiter, 101, 102n. Christić, Bocko, 30. Clodius, Carl, 171. Çomora, Sofo, 32, 33, 43, 44, 45n, 46, 75. Conti, Ercole, 86. Corrias, Angelino, 157, 157n. Çuni, Gjek, 146n. Curri, Bajram, 34. Cvetković, Dragisa, 21, 49, 96, 108. Dall’Oglio, G., 214. D’Annunzio, Gabriele, 34. D’Aponte, Alberto, 163, 195. De Felice, Renzo, 62, 87, 90. De Leo, Andrea, 111. Delvina, Hiqmet, 24. Deva, Xhafer, 153, 154, 155, 156n. Dibra, Abdurrahman, 24. Dibra, Fuad, 220. Dino, Ahmed, 131. Dino, Xhemil, 37, 139, 168. Dino, Nebil, 56. Draga, Ali, 155, 156n, 158, 159, 224. Draga, Ferhad, 21, 22, 26, 27, 27n, 28, 33, 38, 39, 40, 42, 43, 44n, 45, 50, 51, 58, 60, 61, 61n, 66, 72, 73, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 84n, 86, 86n, 93, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 136n, 137, 138, 139, 182, 196, 226. Draga, Salahedin, 44n. Drangov, Kiril, 104. Drini, Riza, 181. Durgu, Mustafa, 48, 82n. Eberhardt, generale, 153. Feine, Gerhard, 225. Filarete, vescovo di Loveč, 217. Filov, Bogdan, 172, 189, 206, 209, 212. Fishta, Gjergj, 139. Frasheri, Abdyl, 227. Frasheri, Mehdi, 227, 228. Frasheri, Mit’hat, 227. Frasheri, Sami, 135. Gali, Preng, 113n. Gavrilov, 172. Geloso, Carlo, 54, 55. Giovanna di Bulgaria, 192. Gjeloshi, Lulash, 112n. Gjeloshi, Ndoc, 112n. Gjeloshi, Nik, 113n. Gjeri, Tot, 113n. Gjilani, Aqif, 44n. Gjinishi, Mustafa, 111. Gjonmarkaj, Mark, 220. Godard, Justin, 26, 27. Gorani, Ismail, 82 Goranov, 172. Gounev, Kiril, 214. Graziani, Rodolfo, 87. Grazzi, Emanuele, 30, 88. Guariglia, Raffaele, 31. Guidotti, Gastone, 32, 41, 42, 42n, 66, 68, 70, 70n. Gurakuqi, Luigj, 34. Gurakuqi, Shuk, 230. Hariton, Constantin, 69, 70. Herriot, Edouard, 26.

La reta dei conti

COPIA PER L'AUTORE

Indice dei nomi 245

Hezer, Abdullah, 82. Hitler, Adolf, 87, 91, 94, 95, 96, 97, 123, 124, 125, 125n, 128, 129, 176, 179. Hyseni, Sherif, 146n. Hoxha, Daut, 64, 71. Hoxha, Asim, 39n, 44n. Hoxhë-Sadillari, Banush, 152n, 153n. Indelli, Mario, 29, 33, 45, 46. Inonu, Ismet, 20. Jacomoni di San Savino, Francesco, 36, 42n, 43, 43n, 46, , 46n, 47, 48, 50, 55, 57, 58, 58n, 59, 60, 61, 62, 65, 66, 69, 70, 70n, 71, 132, 146, COPIA PER L'AUTORE 147, 148, 157, 176n, 177, 217, 228. Jashari, Hafus, 86n. Jodl, Alfred, 90n. Joksimović, Ugrin, 82n. Juka, Musa, 24. Kadri, Sali, 82, 82n, 86n. Kakarriqi, 111. Kalfov, Hristo, 191. Kaloshi, Miftar, 24. Kaloshi, Murat, 27n. Kaloshi, Ramadan, 24. Kaloshi, Selim Gijtani, 113n. Karazi, 60, 142n. Klisura, Ali, 27n. Kisselov, G., 174. Koçi, Atlas, 101, 104, 104n. Koçi, Jake, 46, 69. Koço, Kota, 24. Kokoshi, Qazim, 73, 93n. Kolgjini, Tahir, 152n, 162n. Koliqi, Ernest, 111, 132, 146, 147n. Konica, Mehmed, 20n, 28, 28n. Kosta, Nikolov, 104, 191. Krapcev, 179, 190. Krosi, Abdurrahman, 24. Kryeziu, Gani, 39n, 40, 110. Kryeziu, Ismet, 110, 131. Kruja, Mustafa, 113n, 139, 141, 142, 143, 145, 147, 147n, 219, 220, 221, 222, 227. Kulenović, Dzafer, 50. Kumbaragija, Qemal, 82n. Kumović, P., 19, 20, 21. Kupi, Abaz, 24, 111. Libohova, Eqrem, 227. Lindemann von, generale, 183, 184. Logofetov, Nikola, 191. Luli, Gjon, 113n. Lutfija, Ibrahim, 86n. Lutfiu, Ibrahim, 155. Maček, Vladko, 75, 108. Mackensen, Hans Georg, 123, 160, 161. Magistrati, Massimo, 152, 174, 176n, 177, 178, 179, 182, 185, 186, 188, 189, 189n, 190n, 191, 191n, 192, 193, 194, 197, 198, 205, 206, 209, 211, 211n, 213n, 214, 215, 225. Mameli, Francesco, 66, 68, 68n, 69, 70, 76, 80, 80n, 81, 82, 82n, 83, 84, 85, 85n, 86, 86n, 87, 97, 97n, 105, 106, 107, 133, 136, 136n, 223, 224, 225. Marashi, Vat, 113n. MarkaGjoni, Gjon, 113n, 220. Marković, Lazar, 42, 72. Marku, Prek Gjet, 113n. Marras, Efisio, 90n. Martini, Dok, 146n. Mazzolini, Serafino, 146, 147, 148.

246

Mborja, Tefik, 132, 138, 145. Meloni, Salvatore, 60, 198n. Meraki, Hinzi, 132n. Metaxas, Ioannis, 63, 65n. Mihailov, Ivan, 104. Mihov, Nikola, 225. Mikhov, generale, 182, 184, 203. Minniti, Fortunato, 87. Mirakaj, Kol Bibe, 112n. Miri, Nikoll, 146n. Mitrovica, Xhelal, 157n. Mitrovica, Rexhep, 27, 157n. Molotov, Vjaceslav, 40. Mozart, Wolfgang Amadeus, 193. Muji, Bajram, 146n. Mussolini, Benito, 25n, 29, 29n, 30n, 31, 31n, 54, 62, 63, 65, 80, 83, 84, 85, 87, 88, 90, 91, 95, 96, 99, 99n, 101, 111, 115, 122, 123, 124, 131, 140, 146, 147, 148, 168, 174, 181n, 196n, 198, 208, 209, 220, 221, 228. Ndoci, Kol, 112n. Nikolov, Assen, 225. Nedić, Milan, 155, 223, 224. Nuccio, Alfredo, 98, 99n. Oakley-Hill, Dayrell, 110. Osmani, Halit, 113n. Paolo reggente di Jugoslavia, 96 Pariani, Alberto, 37, 228. Pavelić, Ante, 86, 128. Pavlov, 187. Pejani, Bedri, 157n. Pfeiffer, Peter H., 159. Petrović, 30. Pietro II di Jugoslavia, 96. Pietromarchi, Luca, 120, 120n, 122n, 130n, 139, 160, 178n, 209. Pirzio Biroli, Alessandro, 164, 165n, 166, 195. Pluzha, Asim, 86n. Popov, Ivan, 171n, 178, 186, 191, 206, 209, 212, 214. Prishtina, Hasan, 34. Prishtina, Ilias, 38, 48. Protogerov, Alexander, 105. Raganović, 194. Ranza, Ferruccio, 54. Relli, Guido, 204n, 217, 218n. Ribbentrop, Joachim von, 48, 64, 65n, 123, 124, 126, 127, 128, 128n, 160, 161, 171n, 178, 206, 209. Rosa, cavalier, 47. Scammacca, Michele, 59, 61, 65, 66, 67n, 67, 68, 68n, 69, 70, 70n, 71, 76, 83n, 85, 85n, 118, 119, 120, 121, 122, 139, 139n, 144n, 198n, 207n. Sejfo, Nezir, 44n. Selimi, Adem, 132n. Selmani, Hysen, 27n, 28. Shabani, Mustafa, 154, 155, 156n. Shabani, Jashar, 47. Shamdanov, Pero, 105. Shantoja, Lazer, 36, 70. Shatku, Tefik, 24. Shatku, Shefki, 24. Shykrija, Hasan, 82. Shtylla, Tahir, 18n, 20n, 26, 28, 32, 33, 34, 36, 37, 38, 39, 39n, 40, 40n, 41, 42, 43, 43n, 44, 44n, 45, 45n, 46, 47, 56, 59, 59n, 60, 60n, 61, 62, 67, 68, 68n, 69, 70, 71, 75n, 81, 82, 86n, 106, 139, 157, 158, 220. Silianovsky, D., 102n. Simović, Dusan, 96.

La reta dei conti

COPIA PER L'AUTORE

Indice dei nomi 247

Slatko, Muhamed, 45, 75, 75n, 82, 86n. Slivenski, Ivan, 104n. Smiljanić, Miloje, 41. Soardi, Carlo Andrea, 46n, 66. Spahija, Lutfi, 113n. Spaho, Fehim, 22. Spaho, Mehmed, 22. Spiro, Zilo, 31. Stanischev, Alexander, 102n, 104, 191. Stojadinović, Milan, 20, 21, 22, 31, 45. Stoyanov, Nikola, 102n. Storava, Naim, 27n. COPIA PER L'AUTORE Straneo, Carlo Alberto, 44. Strazimiri, Zenel, 39n. Suflaj, 135. Sulejman, Aski Efendi, 47. Temali, Mark, 132n. Tetova, Xhafer, 45, 75n. Tetschkov, Demetrio, 174n. Toçi, Terence, 138, 145. Trbić, Vasilije, 134, 134n. Tremikov, colonnello, 175, 176. Tsolakoglu, Georgios, 173n. Umiltà, Carlo, 166, 167, 168, 170, 222. Valteri, Beqir, 113n. Veniaminov, 194. Venturini, Roberto, 49, 51, 70, 70n, 72, 73, 74, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 103, 104, 106, 109, 151, 170, 182, 183, 183n, 184, 203, 204n. Verlaci, Shevket, 37, 132, 139, 152, 152n, 161, 181n, 196, 219. Visconti Prasca, Sebastiano, 55, 70, 104n. Vittorio Emanuele III di Savoia, 80, 84, 85, 125, 140, 174, 180, 193, 208. Vlora, Eqrem, 221, 222. Voça, Sherif, 31, 32, 107. Xhaxhuli, Hasaf, 24. Xhaxhuli, Servet 24. Wied zu, Karl Viktor, 159. Zankov, Alexander, 102. Zanotti Bianco, Mario, 166. Zejno, Hajri, 44n. Zogu Ahmed - Zog, 14, 15, 16, 23, 24, 25, 26, 27, 27n, 28, 30, 32, 33, 34, 36, 37, 38, 40, 42, 43, 51, 59, 60, 67, 81, 86, 86n, 110, 220.

COPIA PER L'AUTORE

Finito di stampare nel mese di luglio 2008 con tecnologia print on demand presso il Centro Stampa “Nuova Cultura” p.le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma tel. 0649912685 per ordini: ordini@nuovacultura.it

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