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3. Albanesi e italiani alla guerra di Jugoslavia

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Albania) e Bulgaria abbiano frontiere comuni”34 . D’altra parte, agli italiani risultava pure il coinvolgimento del governo bulgaro in queste agitazioni irredentiste. L’irredentismo macedone, in larga parte, era guidato da Sofia. In gennaio, si seppe con sicurezza che Pero Shamdanov, ex ufficiale bulgaro e successore di Alexander Protogerov, leader dell’Organizzazione Rivoluzionaria della Macedonia Interna, della corrente cosiddetta protogherovista, favorevole all’annessione alla Bulgaria, era stato convocato al ministero della Guerra e incaricato di creare bande irregolari di macedoni atte a entrare in azione in territorio greco a partire da marzo, data in cui era prevista la calata dei tedeschi in Grecia35 . COPIA PER L'AUTORE 3. Albanesi e italiani alla guerra di Jugoslavia

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Anche gli albanesi del Kosovo, come abbiamo visto, erano ormai ingaggiati per la futura guerra contro la Jugoslavia. I finanziamenti che erano stati decisi da Roma a fine ottobre, dopo il deciso appello alla liberazione compiuto da Ferhad Draga, cominciarono a raggiungere i destinatari. A fine novembre, Mameli fece versare a Ferhad Draga da un suo fiduciario 20.000 dinari (circa 8 mila lire), a titolo di sovvenzione per il mese di settembre 1940, soldi che, come al solito, Anfuso prelevò dal fondo riservato Albania “A” e depositò sul conto corrente del diplomatico italiano presso la Banca d’Italia36. Il resto degli stanziamenti giunse ai destinatari con un po’ di ritardo, a partire dal 1° dicembre, stante le difficoltà

34 Buti a SSAA, 24 ottobre 1940, t.p.c. 33405, in ASMAE, SSAA, B. 31, Rapporti italo-bulgari. 35 Ministero degli Esteri a ministero della Guerra, 12 gennaio 1941, telespr. 34R/00375, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Movimento macedone. 36 Mameli a Ciano, 30 novembre 1940, telespr. 5159/2017, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Ferat Bey Draga; Appunto segreto di Anfuso del gennaio 1941, n. 00374, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Kossovese.

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organizzative nel recapitare segretamente i fondi e le lunghe assenze da Belgrado proprio di Ferhad Draga, il maggiore e più importante beneficiario. L’ammontare, benché come si ricorderà fosse stato decurtato rispetto alle iniziali richieste di Mameli e Shtylla, fu tuttavia sufficiente a raggiungere lo scopo principale, “quello di dare alla minoranza albanese una fiduciosa sensazione dell’interessamento dell’Italia fascista”. Mameli utilizzò per il recapito dei fondi un suo fiduciario, Baldani, che avrebbe, di volta in volta, personalmente contattato Draga, concordandone anche la ripartizione tra le altre personalità kosovare, politiche e religiose, e i gruppi studenteschi. Per soddisfare i molteplici “impegni di assistenza” che incombevano su Ferhad Draga, inoltre, Mameli contava di versargli anche i 25 mila dinari messi a sua disposi-COPIA PER L'AUTORE zione e i 15 mila messi a disposizione del consolato di Skopje. Dei 18 mila dinari di sussidi per i cattolici albanesi se ne occupò, invece, direttamente Venturini, smistandoli attraverso i parroci37. Il 3 gennaio 1941, Anfuso accreditò sul conto corrente di Mameli la seconda tranche di 217.000 lire relative ai finanziamenti per il trimestre gennaio-marzo 194138. La sovvenzione “K”, dunque, aveva cominciato a funzionare regolarmente in attesa degli sviluppi internazionali. Consapevoli dello stato di agitazione degli albanesi e alla ricerca di una politica delle nazionalità che potesse, seppure momentaneamente, contribuire alla stabilizzazione del paese, le autorità di Belgrado continuarono a prendere una serie di iniziative volte a mostrare la moderazione del governo verso l’etnia albanese, a seminare discordia tra gli albanesi stessi e a supportare le attività degli esuli albanesi e dei servizi britannici contro l’occupazione

37 Mameli a Scammacca, 26 novembre 1940, lettera 5109/1997; Mameli a Ciano, 26 novembre 1940, telespr. 5110/1998, entrambi in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Sussidi ad albanesi nel Kosovo. 38 Appunto Anfuso per Benini, 11 gennaio 1941, n. 00145, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Sussidi ad albanesi nel Kosovo.

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italiana dell’Albania. Risultava ai servizi italiani che agenti britannici continuavano ad essere molto attivi in Kosovo, nel tentativo di arruolare esuli albanesi nell’opera di propaganda anti-italiana. In dicembre, furono stampati a Skopje migliaia di manifestini in cui si invitavano gli albanesi alla rivolta contro l’oppressore italiano39. Mameli ne mostrò uno nel corso di un colloquio col ministro aggiunto degli Esteri jugoslavo come prova della malafede di Belgrado, ottenendo assicurazioni del contrario e la promessa che gli esuli albanesi concentrati a Skopje, di cui i servizi britannici si erano valsi, sarebbero stati trasferiti in altra zona40 . Quanto al rilancio di una nuova e più attenta politica delle nazionalità, grande risalto ebbe sulla stampa jugoslava di novembre la convocazione da parte del primo ministro Cvektović di una COPIA PER L'AUTORE delegazione di ex deputati albanesi alla Skupština, tra cui Sherif Voça, con i quali si erano toccati i principali punti di attrito tra il governo e la minoranza schipetara. Nel colloquio, si discussero, tra l’altro, due questioni particolarmente delicate: il provvedimento di commissariamento della Comunità islamica di Skopje che, come si ricorderà, era stato preso nel maggio del 1940, provocando il risentimento e le proteste da parte di Ferhad Draga, e le ingiuste procedure attuative della riforma agraria. La stampa riportò che, sul primo punto, i delegati si dichiararono d’accordo al mantenimento del commissariamento, mentre sul secondo si appellarono al primo ministro affinché si tenessero in giusta considerazione le legittime aspettative dei proprietari albanesi. E la propaganda serba ebbe facile occasione per rimarcare come, a chiusura dell’incontro, la delegazione albanese esprimesse platealmente il proprio compiacimento per le misure prese dal governo a favore della Comunità musulmana e per le assicurazioni ricevute dal primo

39 Mameli a Ciano, 10 dicembre 1940, telespr. 5467/2129, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Kossovese. 40 Buti a SSAA, 31 gennaio 1941, telespr. 12/02296, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Kossovese.

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ministro41 . Pronto a controbattere quella che riteneva semplicemente una subdola mossa propagandistica fu proprio Ferhad Draga, che il 18 novembre indirizzò una lettera di vibrata protesta al vicepresidente del consiglio, il croato Vladko Maček. Draga non solo rimarcava le sofferenze e le vessazioni che la sua gente continuava a patire ad opera di Belgrado, ma svelava anche i retroscena della visita della delegazione albanese dal presidente del consiglio jugoslavo, fornendone una sua propria versione. Spiegava, infatti, che la delegazione musulmana recatasi da Cvetković era stata prezzolata ed ingannata dal governo centrale e che, tra l’altro, i più ignoranti dei membri erano convinti di essere andati a Belgrado proprio per perorare la causa dell’autonomia della Comunità musulmana di COPIA PER L'AUTORE Skopje. E ribadiva che quando, il 17 maggio 1940, il ministro della Giustizia aveva sospeso lo statuto della Comunità religiosa musulmana di Skopje e l’aveva commissariata, la popolazione musulmana aveva interpretato tale atto come “un colpo incomprensibile contro i diritti elementari dei musulmani delle regioni meridionali”. La soppressione dell’autonomia della Comunità era stata percepita, infatti, come un attacco al massimo bene morale degli albanesi del Kosovo, attacco che si aggiungeva alla “brigantesca rapina” compiuta a loro danno sotto le sembianze della riforma agraria. L’esponente politico albanese ricordava, inoltre, di aver presentato un documentato ricorso al Consiglio di stato contro la soppressione dell’autonomia e il commissariamento, affermando di non dubitare che il giudizio del tribunale avrebbe riconosciuto le sue ragioni. E concludeva la sua missiva al cattolico Maček, citando Agostino, e con il chiedersi retoricamente come si potesse pretendere che gli albanesi difendessero il loro stato dal pericolo

41 Si veda l’articolo Una delegazione musulmana dal presidente del consiglio sig. Draghisa Cvetkovic, nella rivista Politika, Belgrado, 13 novembre 1940.

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esterno se il loro stesso stato non ne difendeva gli interessi materiali e spirituali42 . Al di là della testimonianza di Ferhad Draga, che gli interessi della comunità albanese fossero pesantemente a rischio se ne continuava ad avere notizia, nonostante gli sforzi governativi di ricercare una nuova politica delle nazionalità e di propagandarla al meglio. Ancora nel febbraio 1941, informazioni confidenziali sostenevano che si era ripetuta per la terza volta una sistematica estradizione di cittadini di etnia albanese alla volta della Turchia. Un certo numero di essi, tra cui lo stesso capo della colonia albanese di Skopje, aveva dovuto abbandonare tutti i propri averi e rifugiarsi in Albania. I passi fatti dal consolato italiano per impedirla erano stati inutili, con la conseguenza di produrre una gran-COPIA PER L'AUTORE de delusione degli albanesi circa la protezione loro offerta dall’Italia. Si rischiava, in tal modo, di vanificare tutta l’azione dispiegata dall’Italia e dallo stesso Venturini in Kosovo43 . Esasperazione per le condizioni della comunità albanese che non miglioravano, sentore che la “resa dei conti” con la Jugoslavia era prossima e, non esclusa, la volontà di rafforzare la propria posizione personale contro eventuali rivali interni, spinsero agli inizi di marzo Ferhad Draga a chiedere al fiduciario italiano se fosse possibile ricevere armi e munizioni dall’Italia per i suoi fedeli, “per essere pronto a partecipare ad ogni evenienza che si presentasse favorevole per realizzare il disegno di unirsi agli albanesi dell’oltre confine”44. Lungaggini burocratiche fecero sì che la richiesta pervenisse al capo del Servizio Informazioni Militare,

42 Mameli a Ciano, 3 dicembre 1940, telespr. 5305/2057, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Kossovese, con allegata lettera di Ferhad Draga a Vlatko Macek, 18 novembre 1940. 43 Vidau a Venturini, 5 aprile 1941, telespr. 34/R/3772, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Minoranze. 44 Bonfatti (addetto militare a Belgrado) al Gabinetto del ministero della Guerra, 8 marzo 1941, n. 682 in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Ferat Bey Draga.

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Cesare Amé, solo il 21 marzo e da questi a Benini solo il 3 aprile nell’imminenza dell’attacco alla Jugoslavia45. Benini rispose che l’offerta andava considerata in relazione agli sviluppi in corso, ma che, in caso di complicazioni belliche, si era consenzienti a ogni azione militare per danneggiare il nemico. Su Ferhad Draga, comunque, dette le assicurazioni desiderate: era il capo riconosciuto della minoranza albanese del Kosovo “e ha mantenuto e mantiene nei riguardi dell’Italia contegno nettamente favorevole”46 . Ferhad Draga e seguaci non ebbero, tuttavia, il tempo di essere armati dall’Italia (il che evidentemente non significava che non possedessero armi e che non le usassero nel corso delle ostilità) prima dello scoppio della guerra contro la Jugoslavia. I servizi britannici da parte loro tentarono di agitare le acque in Albania COPIA PER L'AUTORE proprio allo scoppio del conflitto. Con la complicità di Belgrado, i servizi d’oltremanica organizzarono, sotto il comando del tenente colonnello Dayrell Oakley-Hill, ex istruttore della gendarmeria di Zog, una banda albanese di circa 300 uomini, che dal Kosovo penetrò in Albania nel maldestro tentativo di sollevare gli albanesi contro la presenza italiana. Era una idea che, evidentemente, si basava sulla errata convinzione che si potesse facilmente accendere la miccia di una vasta resistenza. In realtà, l’impresa organizzata dall’intelligence britannica si risolse in un completo fiasco. La banda fu sgominata. Oakley-Hill fu catturato dai tedeschi, mentre dei suoi collaboratori albanesi, i fratelli Kryeziu furono presi dagli

45 Cesare Amè (capo del servizio SIM) a ministero degli Esteri, 21 marzo 1941, n. C/9229, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Ferat Bey Draga. 46 Benini a Ministero della Guerra, 4 aprile 1941, telespr. 71/03597, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Ferat Bey Draga. A causa dello scoppio delle ostilità con la Jugoslavia, il Ministero bloccò l’invio dei finanziamenti per gli albanesi del Kosovo relativi al secondo trimestre del 1941, non apparendo sicuro il trasferimento di fondi a Belgrado. Appunto Scammacca per il Gabinetto del Ministro, 8 aprile 1941, n. 71/03756/1657, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Sussidi ad albanesi nel Kosovo.

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italiani, che li inviarono in campi di concentramento in Italia, Mustafa Gjinishi dovette trovare rifugio nel sud, presso i comunisti di Korça, mentre Abaz Kupi, che riuscì a fuggire, procedette alla riorganizzazione di una forza di resistenza armata permanente in Albania47 . Con l’attacco alla Jugoslavia, anche gli italiani si valsero, e con più successo, del contributo militare di forze albanesi48. Entrarono in azione le bande di cui, a fine novembre, il comando superiore delle Forze Armate d’Albania aveva predisposto la costituzione nelle regioni del Mahti, della Mirdizia, di Piscopeja e di Cerevode, con il compito di badare alla sicurezza della popolazione nelle zone in cui non operavano le truppe regolari e di praticare la controguerriglia. A partire dal 6 aprile, come ispettore generale COPIA PER L'AUTORE delle bande armate fu nominato il ministro Bottai, che insieme ad altri gerarchi fascisti era stato spronato da Mussolini a partecipare direttamente alle operazioni militari come gesto simbolico nei confronti dell’opinione pubblica italiana49 . Bottai assunse il grado di tenente colonnello e lavorò al completamento della loro organizzazione a stretto contatto con Koliqi e con il tenente colonnello dei carabinieri, Andrea De Leo, militare che aveva svolto delicati incarichi in Albania e che riscuoteva un alto grado di consenso e di simpatia tra la popolazione albanese. Di tutti i suoi collaboratori Bottai dette giudizi superlativi. Del podestà di Scutari, Kakarriqi, elogiò la totale abnegazione alla causa, di Koliqi scrisse che “La sua parola valse a superare differenze di condizioni sociali e di religione”. “Al fervore dei cattolici,

47 V. OWEN PEARSON, Albania in Occupation and War. From Fascism to Communism 1940-1945, New York, The Centre for Albanian Studies, I.B. Tauris, 2005, pp. 137-141; FISCHER, Albania at War, cit., pp. 110-111. 48 Sui problemi relativi al contributo militare albanese alla guerra, v. PIERO CROCIANI, Gli albanesi nelle forze armate italiane (1939-1943), Roma, Stato Maggiore dell’Esercito, 2001. 49 V. CIANO, Diario, alla data dell’8 e del 17 gennaio 1941.

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– scrisse ancora il ministro – ravvivato dalla partecipe opera dell’Arcivescovo, s’accompagnò ben presto quello dei musulmani, guidati dal Gran Mufti e dal ministro di Stato Sulço Bushati”. L’impiego in battaglia dei militi albanesi iniziò il 9 aprile e si concluse una decina di giorni più tardi con la cessazione delle ostilità contro la Jugoslavia. Di questa esperienza “albanese”, Bottai ha lasciato due vivide ed interessanti relazioni che inviò a Ciano al termine delle operazioni, con l’obiettivo di sottoporre alle autorità militari e politiche italiane alcune considerazioni d’ordine generale, che vale la pena di registrare. Bottai raccontava che il 9 aprile la situazione a Scutari appariva molto fosca poiché si temeva l’arrivo di bande irregolari o di reparti dell’esercito jugoslavi e si pensava addirittura a un’evacuazione della città. Gli abitanti della COPIA PER L'AUTORE regione si erano rivolti più volte alle autorità locali per avere le armi, ma non le avevano ottenute, “il che aveva determinato profonda mortificazione in tutti quei elementi a noi fedeli, che nella lotta imminente vedevano finalmente il motivo di una diretta partecipazione spirituale e morale alla guerra condotta dall’Italia”. Insomma, scrisse il ministro del suo operato, si trattò di dare la sensazione che l’associazione italo-albanese “si ravvivava in una guerra comune per idealità e scopi”. Bottai chiamò a raccolta i vari capi delle vallate e delle regioni. All’appello si rispose inizialmente con esitazione perché il provvedimento si giudicava tardivo e ci si lamentava di questo. Man mano, tuttavia, i cuori si persuasero e cominciarono ad affluire i volontari cattolici e musulmani, si organizzarono le prime bande con l’aiuto dell’Eccellenza Pafundi, fino a raggiungere un numero complessivo di circa 3.500 uomini armati50 .

50 Al comando delle bande c’erano: nello scutarino Kol Bibe Mirakaj, vice segretario del partito, con 400 armati, parte dei quali sotto la guida di Pashuk Biba; nella regione dei Dukagini il seniore Ndoc Gjeloshi con 100 armati; Kol Ndoci, bayraktar di Shala, e Lulash Gjeloshi bayraktar di Shoshi, guidavano 350 uomini; nella zona di Postriba Sulço Bey Bushati, Ministro di Stato, aveva

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Quasi come forma di reazione a quanto si era detto e scritto in Italia circa le scarse attitudini militari degli albanesi, nei momenti di crisi più acuti durante la campagna di Grecia, – ed era una reazione, si badi, diretta contro spezzoni importanti del partito fascista e la sua stessa direzione – il ministro si dilungava nell’esaltazione del comportamento bellico, dell’eroismo e del coraggio manifestati in battaglia dai combattenti delle bande. La costituzione delle bande, scrisse Bottai, “tardiva, improvvisata ed affrettata”, era stata comunque una dottrina “significativa”, “saggiamente ispirata a uno sfruttamento dei valori e delle attitudini del combattente albanese, strettamente legato alle ragioni e alle tradizioni della sua terra, intesa e sentita come stanza della sua famiglia e dei suoi beni materiali e morali”. COPIA PER L'AUTORE Si entrava così nel punto centrale e, dal nostro punto di vista, più importante delle relazioni di Bottai: “Forse, mi sia consentito di uscire per un attimo solo dall’oggetto di questa relazione, il segreto d’una durevole collaborazione italo-albanese risiede tutto nella nostra capacità d’intendere e d’interpretare codeste forze genuine e semplici, avviandole senza snaturarle a un senso più vivo e attuale della funzione del nuovo Stato albanese nel quadro dell’Impero di Roma”. Bottai denunciava l’ostilità d’ordine psicologico che da parte italiana aveva accompagnato l’organizzazione delle bande, ostilità dovuta alla totale incomprensione dello spirito con cui esse erano state costituite, ovvero far diventare “la

raccolto bande di fedeli con circa 130 armati; Prek Gjet Marku guidava 50 uomini; nell’Hoti operava Gjon Luli con 25 uomini; Nik Gjeloshi comandava 30 armati nella zona di Castrati; una trentina ne aveva anche Vat Marashi a Shkreli; a Boga Tot Gjeri con 20 uomini; a Vermoshi Preng Gali con 30; Marka Gjoni comandava 1000 armati nella Mirdizia; il ten. col. Borshi con 15 militi lungo la Bojana. Nel kosovano c’erano Halit Osmani e Lufti Spahija con 100 armati ciascuno; pattugliava il Dibrano Selim Gijtani Kaloshi con 500 armati; Halil Alija ne guidava 480 a Debar; Beqir Valteri con 100 nel Mahti, a Bureli; nel durazzese il senatore Kruja con 150 nella zona di Kruja.

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nostra guerra” “una guerra comune”, “gettando i germi di una solidarietà, che potrà dare domani, nell’opera di ricostruzione politica, i migliori frutti, se abilmente interpretata da accorti dirigenti e amministratori”. E dopo aver esaltato nuovamente l’entusiasmo che aveva via via contrassegnato da parte albanese l’organizzazione delle bande, concludeva: “questo volontarismo di Bande poggia su tradizioni storiche troppo salde e nobili, perché la politica imperiale del fascismo, romanamente associatrice di classi e di popoli, possa senza danno ignorarlo”. Dalle bande si deve partire se si vuole dare al popolo albanese una funzione nel complesso delle forze armate dell’impero. “Noi abbiamo il dovere di comprendere per essere compresi, e renderci conto, che l’incomprensione immotivata può essere fonte dei più gravi COPIA PER L'AUTORE equivoci e disappunti”51. Non c’è dubbio che anche Bottai andava annoverato tra quelli che dell’Albania, e certo dell’Impero, avevano ben altra concezione che quella di una semplice occupazione militare o di un’annessione politica.

51 Jacomoni a Ciano, 27 aprile 1941, telespr. 5790/1885, con allegate Relazioni di Bottai al comandante superiore delle Forze Armate d’Albania e al Luogotenente del Re, da Tirana, 14 aprile 1941 e da Scutari 16 aprile 1941; Le relazioni furono pubblicate in Storia Illustrata f. del novembre 1980. Vedi anche, per il periodo considerato, GIUSEPPE BOTTAI, Diario 1935-1944, Milano, Rizzoli, 1989, a cura

di GIORDANO BRUNO GUERRI.

IV Vittoria mutilata 1. La nascita della Grande Albania e la divisione del Kosovo COPIA PER L'AUTORE

La guerra alla Jugoslavia e la velocità delle operazioni militari posero con urgenza proprio il problema della difesa degli interessi italiani e albanesi sull’altra sponda dell’Adriatico1. Già con l’attacco tedesco alla Grecia e la sua rapida disfatta Roma aveva ribadito i suoi desiderata riguardo ai territori greci. Alla fine di marzo era stato proprio Mussolini a ipotizzare che la Grecia fosse occupata e divisa in due zone d’influenza, richiedendo che all’Italia fossero attribuite le isole ioniche, Corfù, Zante, Cefalonia, ecc., per ragioni strategiche, e che all’Albania fosse ceduta tutta la Ciamuria fino a Prevesa per motivazioni etniche2. A pochi giorni dall’inizio delle ostilità contro Belgrado, a Palazzo Chigi si cominciarono ad approntare, in via preliminare, una serie di più specifici studi circa la sistemazione confinaria futura della penisola balcanica sia da parte del sottosegretariato per gli affari albanesi, che degli altri organi del ministero degli Esteri. Si era consapevoli, tuttavia, che molto sarebbe dipeso dall’andamento delle operazioni militari e

1 Sulle operazioni militari italiane contro la Jugoslavia, v. LOI, Le operazioni delle unità italiane in Jugoslavia (1941-1943), cit., pp. 60 ss. 2 Alfieri a Mussolini, 22 marzo 1941; Mussolini a Alfieri, 23 marzo 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, DD. 761 e 766.

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dalla reale estensione dell’occupazione da parte delle truppe italiane rispetto a quelle tedesche. Un primo sommario appunto dell’11 aprile, infatti, sosteneva l’opportunità di assicurare al controllo italiano, pur nel quadro della collaborazione con l’alleato tedesco, sia la “zona costiera adriatica da Fiume alla frontiera albanese inclusa tutta la Dalmazia”, sia il “territorio del Montenegro, del kossovese e di una zona a Est dell’attuale confine dell’Albania fino al fiume Vardar”3 . Anche per quanto riguardava i territori abitati da albanesi, in un altro appunto preparato dal sottosegretariato e interamente dedicato all’Albania, si insisteva su un programma massimo di occupazioni militari al fine di poter poi addivenire a una trattativa territoriale da posizioni di forza. Si precisava, quindi, l’opportunità COPIA PER L'AUTORE di occupare non solo tutte le regioni del kosovese abitate da albanesi e che presumibilmente sarebbero state assegnate all’Albania (con Gjakova, Prizren, Ipek, Pristina, Mitrovica); ma anche la regione a oriente del confine albanese fino al Vardar e compresa la cittadina di Ohrid sul lago omonimo. Di quest’ultima si riconoscevano i legami storici e religiosi con la Bulgaria, ma si ricordavano anche le rivendicazioni albanesi. Ohrid era patrimonio antico delle genti illiriche e importante centro civile e commerciale sulla via Egnazia. Soprattutto si faceva presente che il possesso completo dei laghi (compresa la parte appartenente alla Grecia) era di vitale importanza per l’economia albanese, dato che, come si era già osservato, il più grande fiume albanese, il Drin Nero, sboccava proprio nel lago di Ohrid. Si auspicava, quindi, che Ohrid fosse attribuita all’Albania e che si trovassero altre compensazioni per la Bulgaria4 . Il sottosegretariato riesaminò, inoltre, un’idea, già in precedenza ipotizzata dai militari italiani, di creare una frontiera comune tra Albania e Romania, un’idea però realizzabile solo si fossero

3 AEM, Appunto, Roma, 11 aprile 1941, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Commissione albanese per la delimitazione dei confini. 4 Appunto del SSAA, 13 aprile 1941, in ASMAE, SSAA, B. 31.

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soddisfatte le aspirazioni massime della Bulgaria, dell’Albania e della Romania. In tal caso, infatti, tra Albania e Romania si sarebbe creato un corridoio serbo di un’ampiezza variante da 50 a 100 km, che sarebbe stato facilmente divisibile assegnando una parte alla Bulgaria e creando un contatto territoriale tra il nuovo stato albanese e quello romeno. La popolazione serba poteva essere trasferita e il corridoio poteva essere ripopolato con macedo-romeni. Questa soluzione, a giudizio del sottosegretariato, presentava l’indubbio vantaggio di separare la Serbia dalla Bulgaria, interponendo nella massa della popolazione slava un corridoio albanoromeno, di paesi ed etnie, dunque, sicuramente fedeli all’Italia5 . Con il far ciò, si sarebbe andati incontro anche ad una pressante richiesta che era venuta più volte da Bucarest, dove il ge-COPIA PER L'AUTORE nerale Antonescu e il suo ministro degli esteri, Mihail Antonescu, insistevano affinché l’Italia si interessasse alla sorte dei macedoromeni, considerati dalla propaganda romena dell’epoca i “rappresentanti della superstite romanità dei Balcani fuori della Romania”. Il governo di Bucarest, inoltre, di fronte all’ingrandimento dell’Ungheria e a quello previsto della Bulgaria, avrebbe visto con estremo favore l’annessione all’Albania di maggiori territori a est, che avrebbe offerto un appoggio territoriale e uno sbocco verso l’Adriatico al piccolo stato romeno6 . Tuttavia, l’idea di un’Albania con i confini al Danubio, pur se attraente dal punto di vista imperiale, risultava improponibile dopo il fallimento della guerra di Grecia e in quella delicata fase dei

5 Appunto senza data, ma precedente a Vienna, in ASMAE, AP, Jugoslavia, B. 106, f. “Rivendicazioni degli stati successori della Jugoslavia”. 6 Ghigi a Ministero degli Esteri, 20 aprile 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, D. 945. Antonescu fu a Roma alla metà di novembre 1940. Non si dispone dei verbali dei suoi colloqui con i vertici italiani, ma v. CIANO, Diario, alla data in questione, nonché DDI, s. IX, vol. VI, D. 72 nota 2; sui rapporti italo-romeni più in generale, GIULIANO CAROLI, Rapporti militari fra Italia e Romania dal 1918 al 1945, Roma, Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, 2000.

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rapporti italo-tedeschi. Man mano che passavano i giorni, il sottosegretariato elaborò con sempre maggiore precisione le rivendicazioni albanesi verso la Jugoslavia, concentrandosi, quindi, sulla creazione di una Grande Albania a partire dal dato etnico. Erano i confini di questa Albania che ci si disponeva a proporre e difendere con gli alleati tedesco e bulgaro. Il 14 aprile, Scammacca riprese espressamente proprio le questioni abbozzate nell’appunto dell’11 aprile per fornire le precisazioni del caso. L’appunto schematizzava così le aspirazioni albanesi: «a) il kossovese, ossia quel territorio compreso “grosso modo” fra l’alto corso dell’Ibar, la catena del Kopaonik (q. 2017), Kursumilija, i monti della Crnagora, lo sbocco sud della COPIA PER L'AUTORE stretta di Kaçanik, lo Zar Planina e la frontiera Nord Est albanese. Questo quadrilatero contiene la massa più importante e compatta degli albanesi in territorio jugoslavo (circa 500.000). Molti altri nuclei albanesi sono stabiliti però anche nei territori limitrofi e ad est della Jurna Morava, frammisti alla massa serbo-bulgara»; «b) Una zona della Macedonia che, partendo dalla regione del Kossovo sopra descritta, discende in una fascia adiacente alla frontiera dell’attuale Albania fino alla regione dei Laghi di Ocrida e Presba. In questa zona vivono duecentomila albanesi frammisti in proporzioni variabili con popolazioni bulgaro-macedoni»; «c) Una fascia del Montenegro, popolata più o meno densamente di albanesi, che corre parallelamente al confine attuale da Spizza-Virpazar a Novi Pazar, includendo nell’Albania tutto il Lago di Scutari, e lasciando al Montenegro Podgoriza e Andrijevica. Proseguendo a Nord Est (verso Novi Pazar) la massa albanese è preponderante a sud dell’Alto Ibar ricongiungendosi con la zona del Kossovo anzi descritta. Si può calcolare a circa 200.000 anime la popolazione albanese di questa zona».

Naturalmente, Scammacca non negava che vi fossero sia in Koso-

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vo che in Macedonia nuclei serbi, ma sposava interamente il punto di vista albanese, affermando che di essi non si doveva tenere conto essendo il frutto di recente immigrazione e della politica di snazionalizzazione compiuta da Belgrado negli ultimi venticinque anni. Il problema etnico del Kosovo e della Macedonia, dunque, riguardava solo albanesi e bulgaro-macedoni. Ma, anche con questa semplificazione, la questione rimaneva spinosa: “fatta eccezione per il nucleo centrale del Kossovo, che è interamente albanese, – scriveva il diplomatico italiano – una delimitazione etnica e territoriale precisa fra albanesi e bulgaro-macedoni è assai difficile, per non dire impossibile, specie nella zona periferica del kossovese (soprattutto intorno a Skopje) e, ancora maggiormente, nella Macedonia meridionale e nella zona dei Laghi (Ocrida)”. COPIA PER L'AUTORE Scammacca non forniva risposte concrete ai problemi posti, spiegando che la soluzione più equa si poteva raggiungere con transazioni e compromessi e con sacrifici reciproci, con adozioni di speciali regimi e con scambi di popolazione, ove possibile. Tuttavia, nel procedere alla delimitazione del confine era opportuno considerare alcuni fattori politici, quali la necessità di non scontentare l’elemento bulgaro-macedone per assicurarsi l’amicizia e la collaborazione della Bulgaria nei Balcani; l’opportunità di non includere dentro i nuovi confini dell’Albania forti nuclei bulgarimacedoni che avrebbero acceso dinamiche irredentistiche (Skopje, a suo parere, doveva andare senz’altro ai bulgari-macedoni); la convenienza di dare un’equa soddisfazione all’Albania che aveva affidato la tutela dei suoi interessi all’Italia; e, infine, le ragioni di ordine militare ed economico, l’esistenza di miniere e di bacini lacustri o di vie di comunicazione, le ragioni storiche che per talune zone consigliavano l’annessione all’Albania anche se l’elemento etnico non era predominante rispetto a quello bulgaromacedone, come nel caso dei laghi macedoni7 .

7 Appunto di Scammacca del 14 aprile 1941, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Com-

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Il 16 aprile, il governo jugoslavo chiese l’armistizio, che, come noto, venne firmato per l’Italia la sera del 17 aprile a Belgrado dall’addetto militare italiano, il colonnello Bonfatti. Proprio dopo il crollo jugoslavo, Scammacca predispose un definitivo appunto sulle aspirazioni albanesi, appunto che rappresenta lo sforzo maggiore compiuto dal sottosegretariato di immaginare “un confine soddisfacente della più Grande Albania” e che, insieme a due interessanti allegati, finì direttamente nelle mani di Luca Pietromarchi. Quest’ultimo, capo del Gabinetto Armistizio-Pace e uomo di fiducia di Ciano, si stava freneticamente interessando, proprio in quei giorni, di formulare un piano di riassetto generale dello spazio jugoslavo confacente agli interessi italiani8 . Il punto di partenza di Scammacca era sempre la consapevo-COPIA PER L'AUTORE lezza dell’estrema difficoltà di tracciare un confine netto in regioni in cui le popolazioni erano frammiste; di conseguenza, al di là del Kosovo propriamente detto, le aspirazioni albanesi cozzavano, e avrebbero cozzato, a est e a sud con quelle dei bulgaro-macedoni e dei greci, e a nord con quelle slave serbo-montenegrine. Tuttavia, secondo il funzionario italiano, circa il futuro confine con la Grecia si poteva addirittura pensare a un’annessione di tutto il golfo di Arta, che con opportuni lavori sarebbe potuto divenire il grande scalo marittimo dell’Albania meridionale, con tutti i vantaggi conseguenti sia di ordine economico che militare. Per quanto riguardava la frontiera con la Bulgaria, Scammacca riconosceva che la

missione albanese per la delimitazione dei confini. Una nota a margine dell’appunto dice: “Il presente appunto approvato dall’Ecc. Benini, è stato rimesso al Gabinetto, alla Direz. Gen. AEM e al Ministro Pietromarchi. Scammacca”. All’appunto era allegato un altro appunto circa le regioni della Jugoslavia rivendicate dall’Albania con l’enumerazione di tutti i principali distretti e con le percentuali relative alle popolazioni. 8 V. PIETROMARCHI, Diario, alle date del 16 e 18 aprile, cit. in RODOGNO, Il Nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943), cit., pp. 107-108.

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linea da lui proposta in precedenza includeva nell’Albania zone rivendicate dai bulgaro-macedoni o nelle quali tale elemento etnico era predominante, come la zona di Debar (ad eccezione della città), la sponda destra del lago di Ohrid, con la città omonima, e qualche fascia di territorio a cavallo del fiume Treska. Ma, a suo parere, bisognava tenere presente che, probabilmente, altrettante zone abitate da albanesi sarebbero rimaste al di fuori della linea di confine descritta, come ad esempio la campagna intorno a Skopje e la vasta zona tra Skopje e Kumanovo nelle quali invece l’elemento albanese era a sua volta maggioritario. Gli allegati predisposti dal diplomatico italiano prendevano in esame altre due ipotesi di rimaneggiamento della carta politica balcanica. La prima era quella di una transitoria sistemazione del-COPIA PER L'AUTORE la Macedonia come regione autonoma o indipendente, che egli, tuttavia, giudicava decisamente contraria agli interessi dell’Albania e dell’Italia. Una Macedonia a sé stante non avrebbe sopito le speranze di una parte della popolazione di un’annessione alla Bulgaria, mentre avrebbe ancor più fomentato l’irredentismo verso le zone abitate da bulgaro-macedoni da assegnarsi all’Albania. Altro fattore da considerare era che i bulgaro-macedoni sarebbero potuti divenire clientela politica della Germania o della Russia, che aveva spesso sostenuto l’idea di una Macedonia autonoma. La migliore soluzione, insomma, appariva quella della spartizione tra Albania e Bulgaria. Offrire a Sofia l’annessione di una parte cospicua della Macedonia avrebbe facilitato, tra l’altro, la soluzione della delimitazione confinaria con il nuovo stato albanese. La seconda ipotesi esaminata da Scammacca era quella di ampliare le richieste in favore dell’Albania fino a richiedere uno sbocco sul Mare Egeo, nel caso in cui alla Bulgaria fosse stata attribuita oltre la Tracia anche parte della Macedonia greca con Salonicco. Soddisfatte così in massima parte le aspirazioni bulgaromacedoni, si poteva pensare a un’annessione all’Albania di una striscia di territorio della Macedonia greca fino al golfo di Salonic-

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co, beninteso con l’esclusione della città e del porto. Con la costruzione di una ferrovia e di una strada che collegassero l’Adriatico all’Egeo, questa sistemazione avrebbe arrecato enormi vantaggi, aprendo una via commerciale diretta dall’Albania e dunque dall’Italia verso il Levante. L’unico grave inconveniente che tale soluzione presentava era quello di inglobare dentro i confini della nuova Albania consistenti popolazioni greche e bulgaro-macedoni, con tutto ciò che ne sarebbe conseguito in termini di irredentismo e problemi di minoranze per il nuovo Stato; Scammacca, quindi, consigliava di prenderla in considerazione solo se si fosse ritenuto possibile attuare consistenti scambi di popolazione9 . L’attività del sottosegretariato illustra bene la preparazione con cui la diplomazia italiana si dispose a fronteggiare la dissoluzione COPIA PER L'AUTORE della Jugoslavia e la nascita della Grande Albania, benché questi progetti, tutti teorici, non tenessero conto del quadro generale pesantemente influenzato dalla realtà della situazione militare e determinato da altri fattori non ancora precisamente ponderabili, quali l’atteggiamento della stessa Bulgaria e, soprattutto, la volontà della Germania. Alla fine, fu proprio Mussolini, in una sintetica, ma alquanto generica maniera, a mettere per iscritto in un appunto per Ciano, datato 17 aprile, il programma italiano: «1. Slovenia. Incorporazione all’Italia con particolare regime autonomo. 2. Fiume. Rettifica dei confini terrestri e insulari. 3. Dalmazia. Annessione di tutto il territorio da Segna a Cattaro e dal litorale alle dinariche, e ciò anche nell’eventualità di una “unione personale” fra l’Italia e la

9 Appunto di Scammacca del 17 aprile 1941 circa la sistemazione confinaria dell’Albania nei confronti della Grecia e della Jugoslavia e circa talune questioni relative al futuro assetto di quei territori, in ASMAE, SSAA, B. 78, f. Commissione albanese per la delimitazione dei confini. Allegato 1: Macedonia. Allegato 2: Ipotesi di uno sbocco dell’Albania sul Mare Egeo. L’appunto reca la scritta: “Il presente appunto, approvato dall’Ecc. Benini, è stato rimesso al Ministro Pietromarchi (Uff. Armistizio e Pace). Scammacca”.

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Croazia.... 4. Montenegro aggregato all’Albania con regime autonomo; 5. Kossovo. Le regioni della Jugoslavia popolate da albanesi (da 700000 a 1.000.000) saranno annesse al Regno di Albania; 6. Sbocchi al mare. Per la Croazia, Fiume-Susak. Per la Serbia Ragusa10». La Grande Albania, nelle idee del «duce», avrebbe dunque compreso il Montenegro e sarebbe stata ingrandita con i territori kosovari. La genericità delle idee di Mussolini al riguardo rende manifesto che gli interessi maggiori e più urgenti che si nutrivano a Roma al momento erano la sistemazione dell’alto Adriatico e il controllo della costa jugoslava senza soffermarsi sull’estensione e sulla profondità delle acquisizioni territoriali albanesi nella penisola balcanica. Il fiasco della campagna di Grecia e la rapida e vittoriosa calata tedesca verso il Mediterraneo fornivano preoccu-COPIA PER L'AUTORE pazioni tali da imporre diverse priorità e da far accantonare, ma solo temporaneamente, le visioni imperiali che si erano concepite solo qualche mese prima basandosi sull’ingrandimento dell’Albania. Tuttavia, proprio nella sistemazione dell’alto Adriatico, le speranze degli italiani dovevano ben presto dissolversi. Proprio il 17 aprile, infatti, l’ambasciatore tedesco a Roma, Mackensen, recapitò la proposta di Hitler di aprire una discussione sulla spartizione del territorio jugoslavo e di concordare un incontro tra Ciano e Ribbentrop a Vienna per la fine della settimana allo scopo di conoscere le aspettative italiane. Ma, al contempo, Hitler comunicava che la Germania aveva portato avanti il proprio confine fino ad annettere la Slovenia settentrionale e chiedeva di considerare ormai questi territori come facenti parte del Terzo Reich11. Rispetto

10 Mussolini a Ciano, 17 aprile 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, D. 923; in una copia dell’appunto, reperita in ASMAE, AP, B. 106, il punto relativo al Montenegro è sottolineato e reca al margine la scritta “No”. 11 Sugli obiettivi e l’organizzazione dell’occupazione tedesca della Jugoslavia, v. l’esaustiva opera a cura di BERNARD R. KRONER, ROLF-DIETER MULLER, HANS UMBREIT, Germany and the Second World War, vol. V, Organization and

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al problema della Slovenia, dunque, contrariamente a quanto immaginato da Mussolini nell’appunto dello stesso 17 aprile, la soluzione era stata già trovata e i tedeschi non avevano fatto altro che mettere gli italiani di fronte al fatto compiuto. Il caso della Slovenia era il primo chiaro segnale di come la Germania poteva atteggiarsi, benché per ora non si fosse toccata quella che per gli italiani era effettivamente la questione più scottante del nuovo assetto, ovvero il problema del nuovo stato croato. Quasi come un contentino si aggiungeva che la Germania avrebbe lasciato mano libera al «duce» per i territori a sud della Croazia, senza specificare che cosa si intendesse con questa espressione12. Si chiarì poco dopo che il governo tedesco vedeva favorevolmente l’annessione dell’altra parte della Slovenia all’Italia e che accettava una soluzio-COPIA PER L'AUTORE ne per la Dalmazia “in senso italiano”; che per la questione macedone, invece, propendeva per una soluzione “in senso bulgaro”, accettando però l’ipotesi di un’annessione del Montenegro all’Albania13 . La visita di Ciano a Vienna, come noto, fu decisa per la fine della settimana. Il 19 aprile, tuttavia, prima di incontrare Ciano, Hitler e Ribbentrop dettero udienza a re Boris, permettendogli di esporre tutti i desiderata bulgari sulla Macedonia in modo da avere un quadro più preciso possibile durante i negoziati con gli italiani. Per il sovrano bulgaro erano irrinunciabili regioni che, invece, la diplomazia italiana riteneva senza dubbio da assegnarsi all’Albania. Si trattava per Sofia di ottenere tutta la Macedonia ex jugoslava, e re Boris chiese a Hitler di permettere l’estensione dell’occupazione bulgara, già autorizzata e iniziata alla metà di aprile, a

Mobilization of the German Sphere of Power, Part I, Wartime Administration, Economy and Manpower Resources 1939-1941, Oxford, Clarendon Press, 20002003, pp. 92-98. 12 Mackensen a Ciano, comunicazione verbale del 17 aprile 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, D. 924. 13 Anfuso a Ciano, appunto del 18 aprile 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, D. 931.

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tutta la Macedonia occidentale, ivi comprese le regioni di Struga, Gostivar, Tetovo e Ohrid. Boris rivendicò alla Bulgaria anche territori della Serbia meridionale, una zona a sud di Niš, e chiese la possibilità di occupare anche Salonicco, sbocco mediterraneo dell’intera Macedonia14 . Ciano giunse a Vienna il 20 aprile con un programma di rivendicazioni circa l’Albania basato sugli studi compiuti dalla diplomazia italiana, ma con una variante importante. Si accantonò, infatti, l’idea di un’incorporazione del Montenegro all’Albania, benché con uno statuto autonomo, e si puntò invece sulla sua costituzione a stato indipendente. Decisivo in questo mutamento fu il rifiuto di Vittorio Emanuele III di assumere la corona montenegrina, come sarebbe di fatto avvenuto nel caso di un’inclusione COPIA PER L'AUTORE del Montenegro nell’Albania15 . Apertisi con un colloquio tra Ciano e Hitler sulla situazione generale, i negoziati di Vienna sullo smembramento della Jugoslavia proseguirono tra i due ministri degli Esteri16. Già dal primo incon-

14 Non si dispone di un verbale dei colloqui tra Hitler e Boris, ma il loro contenuto è chiaro da altri documenti tedeschi: Memorandum Wezsaecker, 17 aprile 1941; telegramma Clodius - Richthofen, 24 aprile 1941, in DGFP, serie D, vol. XII, DD. 362 e 393. V. anche V. MARSHALL LEE MILLER, Bulgaria during the Second World War, Stanford (CA), Stanford University Press, 1975, p. 55. 15 Ancora il 18 aprile, in un appunto sullo smembramento della Jugoslavia che, come ci dice una nota a margine, fu uno degli atti di preparazione del convegno di Vienna e che in generale ricalcava quanto stabilito da Mussolini il giorno prima, il Montenegro compariva come autonomo e aggregato all’Albania. Si prevedeva, comunque, l’annessione di Dulcigno all’Albania e la cessione di Termos al Montenegro: Appunto del 18 aprile 1941, in ASMAE, AP, Jugoslavia, B. 107, f. Rivendicazioni degli stati successori della Jugoslavia. Si veda sulle vicende confinarie montenegrine e sull’atteggiamento della casa reale italiana, ANDREA UNGARI, Casa Savoia e la diplomazia fascista nei Balcani e FRANCESCO CACCAMO, L’occupazione del Montenegro: dai progetti indipendentistici alla collaborazione con i četnici, in CACCAMO - MONZALI (a cura di), L’occupazione italiana della Iugoslavia (1941-1943), cit., pp. 133-219; 309-354. 16 Sulle trattative di Vienna e la spartizione della Jugoslavia in generale, si

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tro con Ribbentrop molte cose divennero più chiare. Ciano prese consapevolezza, carte alla mano, che la nuova e ormai definitiva frontiera della Germania in territorio sloveno era molto più a sud di quello che si era immaginato, giungendo a tre chilometri da Lubiana17; che lo stato croato pensato a Berlino includeva tutta la Bosnia-Erzegovina nella sua antica frontiera, comprendendo lunghi tratti di costa dalmatica; che Ribbentrop era contrario all’unione personale italo-croata, ritenendo che la Croazia dovesse orbitare nel sistema politico-economico del Terzo Reich. Ma che, tuttavia, di fronte alle proteste di Ciano circa la Dalmazia, riconosceva il diritto dell’Italia di accordarsi con la Croazia sui confini e l’opportunità che si creasse una continuità territoriale tra l’Italia stessa e le regioni montenegrina e albanese. COPIA PER L'AUTORE Per il Montenegro, Ribbentrop dichiarò il suo consenso a renderlo uno stato indipendente legato all’Italia. Altro problema che toccava direttamente gli interessi dell’Albania era quello macedone. Ribbentrop ricordò a Ciano che, durante la recente visita di re Boris a Berlino, il governo tedesco si era impegnato a cedere alla Bulgaria l’intera Macedonia. Il ministro italiano si dichiarò in massima d’accordo, ma pose una riserva sulla futura specifica delimitazione del confine, al fine di poter includere in Albania le zone popolate da albanesi, come Debar, Gostivar, Tetovo, ecc., e ottenere una frontiera forte e logica sotto l’aspetto militare. Nonostante i

veda JOZO TOMASEVICH, War and Revolution in Yugoslavia, 1941-1945. Occupation and Collaboration, Stanford University Press, Stanford (CA), 2001, pp. 61 ss.; T. FERENC, La politica italiana nei Balcani, in L’Italia nella Seconda Guerra Mondiale e nella Resistenza, a cura di ENZO COLLOTTI, Milano, Franco Angeli, 1988, pp. 76-79; V. anche BURGWYN, L’impero sull’Adriatico, cit., pp. 59-76, che, tuttavia, trascura completamente il problema jugoslavo-albanese; PASTORELLI, L’estensione del conflitto, cit., pp. 172-177. 17 Sulla questione slovena, si veda MARCO CUZZI, L’occupazione italiana della Slovenia 1940-1943, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito, 1998. V. anche di CUZZI, La Slovenia italiana, in CACCAMO - MONZALI (a cura di), L’occupazione italiana della Iugoslavia (1941-1943), cit.

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confini previsti da Ribbentrop per l’Albania non soddisfacessero le richieste albanesi e italiane, Ciano riteneva non difficile ottenere dei miglioramenti. D’altra parte, per i tedeschi non vi era alcuna obiezione a che la frontiera tra Grecia e Albania fosse spostata verso sud fino alla linea Florina-Pindo-Arta-Prevesa18 . Proprio per meglio chiarire il punto di vista italiano circa la frontiera tra Albania e Bulgaria e giustificare al meglio le rivendicazioni italiane, alla fine del colloquio Ciano consegnò a Ribbentrop un appunto in cui si affermava che, a prescindere dalla questione etnica, che vedeva un’assoluta maggioranza albanese nelle regioni di Tetovo, Gostivar e Kičevo, sarebbe stato necessario tracciare il confine albanese-bulgaro sulla catena montuosa passante ad oriente di tali località e dei sottostanti laghi di Ohrid e Presba dai COPIA PER L'AUTORE quali nasceva il Drin, il maggior fiume albanese. Molte altre importanti ragioni militavano in favore di questa soluzione: avere una frontiera naturale breve, robusta e unitaria; disporre di una comunicazione diretta e facile tra la zona di Pristina e quella dei Laghi che serviva di arroccamento a tutta la frontiera; dare una conveniente profondità al territorio albanese. In tal modo, inoltre, si sarebbe facilitato anche lo sbocco economico verso l’interno della Macedonia bulgara e verso i territori dell’antica Serbia. Tuttavia, l’appunto aggiungeva, in considerazione del favore con cui il Führer aveva accolto le preghiere di re Boris “si può ammettere che la linea di frontiera sopradetta sia intaccata per un breve tratto da una piccola “enclave” bulgara intorno alla zona di Ohrid. La retrocessione, invece, di tutto il confine su una linea più arretrata lederebbe troppo fortemente gli interessi albanesi, sia dal punto di vista etnico, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista militare”19 .

18 Ciano a Mussolini, 21 aprile 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, D. 956. Memorandum di Schmidt sul colloquio tra Ciano e Ribbentrop del 21 aprile 1941, in DGFP, vol. XII, D. 378. 19 Appunto sulla linea di frontiera albanese-bulgara, in DDI, s. IX, vol. VI. La

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Il secondo colloquio si tenne dopo che Ribbentrop ebbe parlato con Hitler e portò qualche novità e soprattutto qualche vantaggio in più per gli italiani rispetto alla rigida posizione assunta da Ribbentrop. Per la Slovenia, il ministro tedesco ribadì che le frontiere del Reich erano fissate in modo definitivo, ma che l’Italia avrebbe potuto procedere come desiderava all’annessione della parte restante della Slovenia. La novità più rilevante era sulla Croazia, sulla quale Hitler confermava il suo disinteresse, senza entrare nella questione della sua unione personale con l’Italia, ma lasciando che tale questione fosse risolta tra Roma e Zagabria. Hitler riconosceva l’interesse italiano anche sulla Dalmazia, benché Ribbentrop tornasse sulla questione, insinuando che la Dalmazia era popolata da una stragrande maggioranza di croati e COPIA PER L'AUTORE costringendo Ciano a ribattere che l’Italia non la rivendicava su basi etniche ma sul principio dello spazio vitale e per ragioni storiche, culturali e politiche. Circa i confini tra Croazia e Italia, dunque, Ribbentrop sostenne che fosse meglio che Pavelić li concordasse direttamente con Roma20. Quanto al Montenegro, il ministro del Reich concordava con la creazione di uno stato indipendente, ritenendola tuttavia questione interamente italiana. Circa le frontiere albanesi, nonostante gli impegni già assunti da Hitler con re Boris, il governo tedesco sarebbe venuto incontro alle richieste italiane per ciò che concerneva il Kosovo e la Macedonia. Tuttavia, Hitler desiderava mantenere il saliente di Ljuboten in favore della Bulgaria e quello di Mitrovica in favore della Serbia, poiché in tali

nota in calce al testo pubblicato nei DDI, con evidente confusione, dice che esso fu rimesso da Ribbentrop a Ciano. Esso fu rimesso, invece, da Ciano a Ribbentrop il 21 aprile, come si legge in una postilla a margine del documento originale in ASMAE, UC, B. 26, f. 3. 20 Sulle controversie politiche e confinarie tra Italia e Germania sulla Croazia e tra Italia e Croazia, v. LUCIANO MONZALI, La difficile alleanza con la Croazia ustascia, in CACCAMO - MONZALI (a cura di), L’occupazione italiana della Iugoslavia (1941-1943), cit., pp. 61-131.

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territori erano comprese miniere di grande interesse per la Germania, e faceva appello personale al «duce» affinché gli interessi tedeschi fossero riconosciuti. Infine, Hitler concordava appieno sulla linea di confine proposta tra Albania e Grecia e sul possesso italiano delle isole joniche, benché sul resto del territorio greco ogni decisione fosse da rinviarsi alla sconfitta della Gran Bretagna21 . La sistemazione confinaria della Grande Albania raggiunta a Vienna soddisfaceva solo in parte le aspirazioni italiane e albanesi. A settentrione, infatti, non erano state attribuite all’Albania le regioni di Kukavica e quella di Mitrovica, con l’importante bacino minerario di Trepča, voluto dai tedeschi, ma sul quale gli italiani avevano pure messo gli occhi per via delle sue potenzialità econo-COPIA PER L'AUTORE miche. Basti pensare che dalle miniere di Trepča, a cominciare dalla metà del 1941, partì alla volta delle fabbriche tedesche un treno al giorno con 500 tonnellate di piombo e zinco concentrati. Fino alla fine della guerra si stima che le miniere di Trepča fornirono il 40% del fabbisogno di piombo della Germania22 . Fuori dello stato albanese rimanevano, inoltre, le regioni di Metohja, Podujevo e Medvedja a nord; Kaçanik, il bacino mineario di Belovište, tutta la vallata di Skopje e tutta la valle del Fiume Treska a sud est; a sud, la città di Ohrid con la zona circostante. Al contrario, si osservava in una sorta di bilancio compiuto a Palazzo Chigi dopo Vienna, le rivendicazioni bulgare erano state soddisfatte quasi integralmente. Rispetto alle rivendicazioni di Sofia, infatti, restavano esterne al territorio bulgaro, oltre alla parte di Macedonia attribuita all’Albania, la maggior parte del distretto di Pirot e della Morava, ad eccezione della fascia di frontiera inclu-

21 Colloquio tra Ciano e Ribbentrop, 22 aprile 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, D. 967. Memorandum Schmidt dei colloqui tra Ciano e Ribbentrop del 22 aprile 1941, in DGFP, vol. XII, D. 385. 22 V. MALCOM, Storia del Kosovo, cit., p. 338.

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dente la città di Zaribrod23 . Secondo una stima compiuta dal gabinetto di Ciano, in collaborazione con l’Istituto centrale di statistica e sulla base anche del censimento effettuato il 31 luglio 1941 nella provincia di Lubiana e nel Carnaro, la spartizione della Jugoslavia aveva dato luogo alla seguente riconfigurazione della carta geopolitica del Balcani: all’Italia erano stati annessi 12.036 kmq con 810.990 abitanti in totale (4.545 kmq nella provincia di Lubiana con 336.279 residenti, secondo il censimento del 31 luglio, e 1882 kmq nel Carnaro con 81.711 abitanti, sempre secondo il censimento del 31 luglio; più 6.109 kmq in Dalmazia con 393.000 abitanti.); all’Albania erano stati attribuiti 14.924 kmq con 754.000 abitanti; alla Germania, la Slovenia settentrionale, con 9.734 kmq e 727.000 abitanti; all’Un-COPIA PER L'AUTORE gheria erano andati 12.073 kmq (Backa, Baranja orientale, Murakoz) con 1.208.000 abitanti24; la Bulgaria, con i territori macedoni, aveva esteso la sua sovranità su 27.534 kmq e 1.299.000 abitanti. Il Montenegro era divenuto ora uno stato di 15.219 kmq con 411.000 abitanti; la Serbia aveva 48.925 kmq con 3.823.000 cittadini; il Banato, non attribuito, era di 9.127 kmq e 596.500 abitanti; la nuova Croazia indipendente, infine, aveva preso la parte del leone, divenendo uno stato di 97.967 kmq e 6.193.000 abitanti25 .

23Appunto sulle rivendicazioni territoriali dei vari stati successori della Jugoslavia, 30 aprile 1941, AEM (Direzione Generale Affari Europa Mediterraneo) - Uff. II, in ASMAE, AP, Jugoslavia, B. 106. 24 Su ciò v. ENIKŐ A. SAJTI, Hungarians in Voivodina 1918-1947, New York, East European Monographs, Atlantic Research and Publications, Columbia University Press, 2003, pp. 191, ss. 25 Fonte Ripartizione dei territori già jugoslavi. Appunto di Pietromarchi del 10 novembre 1941, in ASMAE, SSAA, B. 78. L’appunto spiegava che la stima era stata fatta dall’Ufficio Gabinetto Affari Politici. Pietromarchi annotava nel suo Diario che tra Italia e Germania si sarebbe aperta “un’era di pericolosi intrighi” per la Croazia e che in generale l’Italia usciva dalla spartizione della Jugoslavia e dalla nuova situazione geopolitica dei Balcani in posizione nettamente più debole della Germania: v. RODOGNO, Il Nuovo ordine mediterraneo,

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