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2. Bulgari, macedoni e albanesi alla vigilia dell’attacco alla Jugoslavia
Da quando l’Italia aveva occupato l’Albania e di fatto era divenuta una potenza balcanica e, ancor più, dopo la sua entrata in guerra, Roma era divenuta la meta di ogni sorta di appello alla “liberazione” dal giogo serbo. E non furono solo gli albanesi di Tirana o quelli del Kosovo, come abbiamo visto finora, o i nazionalisti croati da lungo tempo legati al regime fascista, ad auspicare un’azione diplomatica o militare italiana o tedesca con il fine di smembrare la Jugoslavia. Incessantemente, a partire dal 1939, Palazzo Chigi era stato raggiunto da notizie in questo senso o relative al riaccendersi delle tensioni interne tra le varie nazio-COPIA PER L'AUTORE nalità. La situazione interna jugoslava appariva, a giudicare dalle fonti italiane, gravissima e già di per sé sull’orlo del tracollo. Da ogni parte giungevano conferme dirette o indirette dello stato di sfacelo in cui versava. Il comando superiore delle Forze armate d’Albania, già nell’ottobre 1939, informava i vertici italiani del caos, dei disordini, dell’indisciplina e delle diserzioni che inficiavano l’apparato militare jugoslavo: insieme agli albanesi, ad attendere la “liberazione” vi erano anche i montenegrini, molti soldati dei quali sembravano intenzionati a non combattere e ad abbandonare le postazioni se le truppe italiane avessero varcato il confine a partire dall’Albania17 . Il console a Ragusa (Dubrovnik), Nuccio, nel corso del 1940, non aveva mai mancato di esprimersi a tinte foschissime non solo circa il forte disagio e il profondo malessere che agitava la popolazione nella sua circoscrizione, a causa delle scarse provvigioni governative, della disorganizzazione sociale, del costo della vita e delle sfacciate speculazioni che alcuni potevano impunemente compiere, a tutto a beneficio di una rapida divulgazione del “verbo
17 Comando superiore delle Forze armate d’Albania. Ufficio I. Notizie d’oltre frontiera del 9 ottobre 1939, in ASMAE, SSAA, B. 67.
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comunista”, ma anche sulla situazione nel vicino Montenegro, dove la miseria per strada era visibile, moltissimi mancavano del minimo necessario e le simpatie dei montenegrini cominciavano a dirigersi verso la Germania18. Ancor prima dell’entrata in guerra dell’Italia, notizie confidenziali – che, va ricordato, erano tutte lette e meditate da Mussolini – insistevano sulle difficoltà che incontravano le autorità di Belgrado nel riarmo del paese e presentavano ugualmente la situazione interna jugoslava come “critica”: gli albanesi resistevano alla leva ed erano pronti a sollevarsi per ricongiungersi alla madre patria; i montenegrini puntavano a liberarsi dall’oppressione serba e molti uomini si erano dati alla macchia per non prestare il servizio militare nell’esercito jugoslavo19 . Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, la disfatta della Francia e il COPIA PER L'AUTORE crollo, che si presumeva ormai prossimo, della resistenza britannica, queste voci si infittirono fino a raffigurare la Jugoslavia come un ribollente calderone sull’orlo di un’esplosione. Il generale Agostinucci, comandante dei Carabinieri in Albania, comunicò al Servizio Informazioni Militare, poco prima dell’avanzata italiana in Grecia, che gli veniva segnalato “da fonte sicura” un vivissimo malcontento tra la popolazione e l’esercito jugoslavi, per i continui
18 Scammacca a Jacomoni, 14 maggio 1940, telespr. 71/14575/1143, in ASMAE, SSAA, B. 31, f. Situazione politica interna jugoslava. Nuccio aveva inviato a partire dal 1939 rapporti catastrofici sulla situazione interna jugoslava. Già nell’estate del 1939, prima dello scoppio del conflitto mondiale, scrisse che l’opinione pubblica era in attesa di una conflagrazione bellica ed era distratta dai gravi problemi interni e dalla lotte nazionali. Riferiva, poi, che si diceva che le autorità serbe avrebbero potuto fomentare una sommossa in Albania, appoggiando i fuoriusciti albanesi. La cosa importante da notare, come si è detto, è che i rapporti di Nuccio finivano spesso sul tavolo di Mussolini, che li vistava e sottolineava. Nuccio a Mameli, 16 agosto 1939, telespr. circolare 2247/ 336, ivi. Il documento reca il Visto dal «duce» e le sue tipiche sottolineature. 19 Jacomoni a ministero degli Esteri, 15 maggio 1940, telespr. 36634/4599, in ASMAE, SSAA, B. 31, f. Movimento jugoslavo. Il documento reca a margine la “M” di Mussolini.
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richiami di soldati e il costo della vita. Ammutinamenti tra i militari e frequenti ribellioni tra la popolazione spingevano le autorità di Belgrado a distribuire aiuti ai più facinorosi per calmarne la protesta. Nella zona di Ohrid, dove tra i 40.000 albanesi e i 15.000 bulgari l’elemento serbo era in netta minoranza, il governo aveva fatto affluire un migliaio di militi serbi a scopo intimidatorio. “All’infuori del limitato numero di serbi, – concludeva Agostinucci – la quasi totalità della popolazione attende la nostra occupazione ed esprime anche pubblicamente tali suoi sentimenti”20 . Il governo jugoslavo, inoltre, come misura ulteriore di sicurezza interna, a fine gennaio 1941 richiamò alle armi i macedoni e gli albanesi sospetti di attività irredentista allo scopo di allontanarli dalle terre d’origine e tenerli sotto controllo. Le zone interessate COPIA PER L'AUTORE da questo inatteso e odiato provvedimento erano il circondario di Vales per i macedoni (circa 200), tutto il kosovese per gli albanesi; a Peć furono richiamati anche i montenegrini. Dopo il momento di sbandamento che albanesi e macedoni avevano attraversato, i primi a causa dell’andamento delle operazioni militari italiane contro la Grecia e i secondi per il mancato intervento della Bulgaria, il richiamo alle armi produsse una nuova vivace scossa nell’opinione pubblica. Macedoni e albanesi concordavano che la misura presa da Belgrado era il segnale chiaro che la Jugoslavia sentisse avvicinarsi, con la primavera, “l’ora della resa dei conti”21 . L’irredentismo bulgaro verso la Macedonia si risvegliò al pari di quello albanese per il Kosovo e i due movimenti tentarono anche qualche collegamento. Si trattava della volontà di distruggere la Jugoslavia dei due maggiori gruppi etnici che abitavano la Macedonia jugoslava: insieme o anche presi singolarmente ciascuno dei due gruppi era in netta maggioranza sui serbi. Secondo il
20 Agostinucci al SIM, Ufficio Albania, Tirana, 23 ottobre 1940, prot. 4/330, in ASMAE, SSAA, B. 31, f. Movimento jugoslavo. 21 Venturini a Mameli, 30 gennaio 1941, telespr. 101/46, in ASMAE, SSAA, B. 31, f. Movimento jugoslavo.
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censimento jugoslavo del 1931, nella Macedonia vivevano 642.000 macedoni (il 35,5% della popolazione), 455.000 albanesi (il 25%), e solo 321.000 serbi (il 17,7%). Altri gruppi rappresentati erano i macedoni di religione musulmana (212.000 individui, l’11,7%) e i turchi (128.000 persone, il 7%). Minori gruppi ammontavano in totale a 50.000 individui. Quanto alla ripartizione religiosa, il censimento contava 744.000 ortodossi, 706.000 musulmani, 18.000 cattolici, 6.000 ebrei, 900 protestanti e solo 700 greco-ortodossi22 . Anche per gli irredentisti macedoni, dunque, l’Italia potenza “balcanica” dette l’avvio a una nuova campagna di iniziative per scrollarsi di dosso il centralismo serbo. Come noto, periodici contatti tra il governo di Mussolini e gli irredentisti macedoni ve ne erano sempre stati23, ma è evidente che la nuova posizione del-COPIA PER L'AUTORE l’Italia, le aspettative che essa suscitava e il ruolo primario che si immaginava avrebbe assunto nei Balcani facilitarono la loro ripresa. Nel gennaio 1940, due noti attivisti macedoni, il dottor Filippo Athanassov e l’avvocato Dimiter Chalev, contattarono l’addetto speciale per gli affari albanesi della legazione di Sofia, Atlas Koçi, per offrire la loro collaborazione alla politica balcanica dell’Italia. Proposero, nell’immediato, la fondazione di un periodico in quattro lingue dal titolo Revue des Balkans, da pubblicarsi in Svizzera o a Budapest, che avrebbe dovuto trattare dei problemi
22 Campbell to Halifax, 6 novembre 1940, con allegato rapporto del viceconsole a Skopje, Thomas, sulla situazione generale in Macedonia, in British Documents on Foreign Affairs, Part III, Series F, Europe, Volume 21, Italy and South-Eastern Europe, July 1940-December 1941, D. 47, pp. 464-469. 23 Sui rapporti tra Italia e irredentismo macedone negli anni venti, v. GIAMPIERO CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista (1925-1928), Bari, Laterza, 1969, pp. 85-93; H. JAMES BURGWYN, Il revisionismo fascista. La sfida di Mussolini alle grandi potenze nei Balcani e sul Danubio 1925-1933, Milano, Feltrinelli, 1973, pp. 84-94; BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit. pp. 147-153; STEFAN TROEBST, Mussolini, Makedonien und Die Mächte 1922-1930. Die “Innere Makedonische Revolutionäre Organization” in der Südosteuropapolitik des faschistischen Italien, Böhlau Verlag, Köln-Wien, 1987, pp. 323-370.
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balcanici in accordo con le direttive di Roma24, ma la richiesta non fu accolta da Ciano25. Nell’agosto 1940, l’Istituto Scientifico Macedone di Sofia inviò al ministro degli Esteri italiano un opuscolo, appena stampato da una tipografia di Sofia, dal titolo Breve esposto sulla questione macedone, per sostenere le ragioni storiche di diritto ed etniche della rivendicazione della Macedonia e della sua unione alla Bulgaria e per lanciare attraverso Ciano un forte appello al «duce» affinché sostenesse questa aspirazione nel quadro del nuovo ordine europeo26. L’attacco italiano alla Grecia aveva poi riscontrato molte simpatie a Sofia, proprio perché prometteva un regolamento di conti con l’ellenismo che opprimeva i fratelli bulgaro-macedoni. A metà novembre, l’ex primo ministro Alexander Zankov aveva preso la parola in parlamento per rendere onore al COPIA PER L'AUTORE popolo italiano, affermando che i cuori bulgari si stringevano alla vista dei fratelli di Castoria e Florina oppressi sotto il giogo greco, e augurandosi che i problemi bulgari fossero risolti dall’Italia con “giustizia romana”27 . Ma, al di là di questi appelli e della loro positiva o negativa ricezione, rimaneva il fatto che l’effervescenza antiserba dei bulga-
24 Appunto del 13 febbraio 1940, in ASMAE, SSAA, B. 31, Rapporti italobulgari. Athanassov era nato a Kosturi, nella Macedonia greca, e faceva parte del “movimento macedone federalista”; benché non comunista, nel 1924 aveva cercato di dare al movimento, per fini tattici, una svolta filo-moscovita. Chalev, invece, era nativo di Skopje, della quale era stato anche sindaco. 25 Appunto per Ciano, 15 febbraio 1940, in ASMAE, SSAA, B. 31, Rapporti italo-bulgari. L’appunto era una sintesi di quello del 13 febbraio. Sull’appunto a mano vi è scritto “lasciar cadere. S. E. Ciano. 16-II”. 26 Il fascicolo era firmato da Nikola Stoyanov, presidente dell’Istituto ed ex direttore generale del debito pubblico e ex segretario del Ministero delle finanze, nativo di Doiran, dai due vicepresidenti, Alexander Stanischev, nativo di Kukusc, rettore dell’università San Kliment di Sofia, e D. Silianovsky, professore dell’università di Sofia, originario di Krusciovo, e dagli altri 9 membri, tutti intellettuali nativi della Macedonia. 27 Ministero degli Esteri a Berlino, 23 novembre 1940, t.p.c. 46217, in ASMAE, SSAA, B. 31, Rapporti italo-bulgari.
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ro-macedoni si manifestava con segnali sempre più importanti e sempre più incontrollabili da parte del governo centrale. L’accordo di Craiova, con cui la Romania fu obbligata a cedere la Dobrugia meridionale alla Bulgaria, fu accolto con entusiasmo in Macedonia, come un successo della “madre Bulgaria”, che apriva finalmente la strada alla soluzione del problema nazionale bulgaro attraverso altre revisioni territoriali, con la Jugoslavia, con la Grecia e con la Turchia. Domenica 6 settembre - riportò il console Venturini - vigilia della firma del trattato di Craiova, mancavano solo le bandiere bulgare a Skopje per dare l’aspetto di una città celebrante un grande avvenimento nazionale. Gli albanesi, a loro volta, si rallegravano pensando che tra breve sarebbe arrivata anche la loro ora. I serbi, sempre più esasperati, lanciavano ana-COPIA PER L'AUTORE temi contro la Germania e l’Italia, esultavano alla Gran Bretagna e criticavano la Russia, facendo propositi – “sinceri credo”, osservò Venturini - di resistere a qualsiasi cessione28 . E che quest’effervescenza nazionale si potesse tramutare in qualcosa di ben più concreto risultò anche al comando dei carabinieri di Tirana che, nello stesso periodo, poteva asserire, sulla base di riservate informazioni, che un’eventuale offensiva italiana verso Prespa e Ohrid avrebbe trovato resistenza solo nelle comunità serbe. L’elemento macedone si mostrava, invece, favorevole all’Italia, benché fosse evidente che i bulgari-macedoni, pur approvando la politica di amicizia verso l’Italia mantenuta da Sofia, nel caso di una revisione territoriale aspiravano a riunirsi alla madrepatria29. Anche tra le truppe si manifestava malcontento. I macedoni richiamati alle armi davano forti segni di insofferenza e di indisciplina nell’esercito iugoslavo30 .
28 Venturini a Mameli, 9 settembre 1940, telespr. 1026/272, in ASMAE, SSAA, B. 32. 29 Jacomoni a Ciano, 19 settembre 1940, telespr. 48975/6631, in ASMAE, SSAA, B. 32. Il documento ha il visto di Ciano. 30 Rapporto di Venturini del 14 agosto 1940, allegato a MAE a Ministero della
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In novembre, Venturini segnalava il congedamento di 1.000 richiamati macedoni a Skoplje e nuove diserzioni di macedoni dall’esercito greco, sintomi di una ormai generale ostilità dei macedoni verso serbi e greci31. Poco prima dell’attacco italiano alla Grecia, si era appreso, tramite Atlas Koçi, che comitagi bulgari, inviati dal gruppo macedone capeggiato dal generale Kosta Nikolov, da Alexander Stanischev e Kiril Drangov, erano penetrati nella Macedonia greca per prendere accordi con i loro partigiani, in modo da sollevare la popolazione macedone e chiedere poi l’unione alla Bulgaria nel caso di un’azione italiana contro la Grecia; e che anche il Comitato Centrale Macedone, capeggiato da Ivan Mihailov, aveva inviato uomini a Skopje per portare istruzioni ai propri partigiani di agire per l’indipendenza della Macedonia32 . COPIA PER L'AUTORE Del resto, che la Bulgaria avesse aspirazioni sulla Macedonia era un fatto noto e nemmeno sottaciuto dalle autorità di Sofia33. In ottobre, durante una cerimonia svoltasi all’università di Sofia, alla presenza del re, in occasione del cinquantenario dell’Ateneo, dopo il discorso del rettore aveva preso la parola il preside della facoltà di medicina ed ex rettore, prof. Stanischev, tra i maggiori capi del movimento macedone e presidente dell’associazione bulgaro-tedesca, per rendere omaggio all’opera dell’Italia per il ritorno della Dobrugia alla Bulgaria e augurarsi “che un giorno Italia (leggi
Guerra, 27 agosto 1940, in ASMAE, SSAA, B. 31, f. Movimento truppe jugoslave. 31 Mameli a Ciano, 3 e 4 dicembre 1940, t.p.c. 48480/0300 e t.p.c. 38481/0301; Scammacca a Jacomoni, 6 dicembre 1940, telespr. 71/22880/C, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Movimento macedone. 32 Magistrati a Ministero degli Esteri, 5 ottobre 1940, telespr. 4650/1733, con il quale trasmetteva un appunto di Atlas Koçi. 33 Durante la preparazione dell’attacco alla Grecia, il console generale di Bulgaria a Tirana, Ivan G. Slivenski, aveva fatto visita a Visconti Prasca e gli aveva esplicitamente parlato del grande interesse bulgaro per Ohrid. Sorice a ministero degli Esteri, 7 agosto 1940, 134909/41.3.68, con allegato Visconti Prasca a Ministero della Guerra, 1 agosto 1940, in ASMAE, SSAA, B. 31, f. Aspirazioni bulgare sulla zona dei laghi albanesi.