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4. L’occupazione del Kosovo e della Macedonia
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4. L’occupazione del Kosovo e della Macedonia
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Lo scoppio delle ostilità contro la Jugoslavia era stato considerato dalla comunità albanese del Kosovo come l’agognato segnale della prossima unione con l’Albania. Consapevoli dell’orientamento degli albanesi e prive di ogni fiducia rispetto alla loro lealtà, le autorità di Belgrado avevano evitato il richiamo alle armi dei venticinquemila albanesi del Kosovo che pure avevano già prestato servizio militare sotto il Regno jugoslavo65. L’occupazione da parte delle armate tedesche e italiane fu alquanto veloce. L’8 aprile i tedeschi entrarono a Skopje, il 10 erano alle porte di Prizren, che venne però occupata dagli italiani il 14. Gli albanesi del Kosovo avevano atteso la liberazione e avevano salutato con gioia l’arrivo COPIA PER L'AUTORE dell’esercito italiano, chiaro indice della sicura realizzazione delle loro speranze. Molte comunità albanesi, tuttavia, trovandosi al di fuori della linea di occupazione italiana, cominciarono a nutrire preoccupazioni circa la loro unione con il resto dell’Albania. Gravi lagnanze generò poi la decisione tedesca di permettere l’avanzata dell’esercito bulgaro nelle zone della Macedonia precedentemente occupate dalla Germania, ma che Berlino aveva promesso di assegnare alla Bulgaria66 . L’intervento bulgaro, iniziato il 21 aprile, era stato da tempo dettagliatamente pianificato e riguardò un’estesa regione che nel suo complesso, e in particolare per la zona settentrionale, venne definita prendendo come base l’accordo che era intercorso tra Berlino e Sofia nel 1915, all’epoca dell’entrata della Bulgaria nella prima guerra mondiale a fianco degli Imperi centrali. La regione
Commissione albanese per la delimitazione dei confini. 65 V. MALCOM, Storia del Kosovo, cit., p. 327. 66 Sui negoziati bulgaro-tedeschi circa la Macedonia, si veda il classico, ma filo-greco,volume di EVANGELOS KOFOS, Nationalism and Communism In Macedonia. Civil Conflict, Politics of Mutation, National Identity, New York-New Rochelle, Aristide D. Caratzas Publisher, 1993 (prima ed. 1964), pp. 98-100.
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comprendeva, al nord, i territori sottratti dalla Serbia alla Bulgaria durante le guerre balcaniche e il primo conflitto mondiale e il territorio che si estendeva da Zaribrod verso la Morava meridionale, compresa Pirot. A occidente, invece, cadeva nella zona d’occupazione bulgara la parte di Macedonia compresa tra la vecchia frontiera bulgaro-jugoslava e il fiume Vardar fino a Skopje compresa. A sud la regione assegnata alla Bulgaria si estendeva verso la Tracia egea comprendendo le vallate della Struma e della Maritza67 . Benché la stampa di Sofia mettesse subito in risalto il fatto che la questione macedone si era risolta grazie alla politica filo-asse e che con una semplice carta geografica si potessero apprezzare i vantaggi territoriali acquisiti dalla Bulgaria, i circoli nazionalisti bulgari lamentarono subito che l’occupazione non si estendeva su COPIA PER L'AUTORE tutto ciò che essi consideravano irrinunciabile e nutrirono sospetti circa le pretese italiane, ovvero albanesi, su parti della Macedonia68 . Anche l’occupazione bulgara fu assai rapida, ponendo immediatamente sul tappeto la questione delle frontiere tra Albania e Bulgaria e dei rapporti tra la popolazione albanese e l’amministrazione militare bulgara69. Gli albanesi lamentarono subito violenze e soprusi da parte dell’esercito bulgaro, aprendo un aspro contenzioso tra Tirana e Sofia che coinvolse direttamente i rapporti tra Italia e Bulgaria, sommandosi alla già delicata questione dei confini, e che non sarebbe di fatto mai cessato fino alla
67 Magistrati a Ciano, 21 aprile 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, D. 962; Magistrati a Ciano, 23 aprile 1941, t.p.c. 1689/0195, in ASMAE, AP, Jugoslavia, B. 107, f. Situazione in Macedonia. 68 Scammacca a Jacomoni, 8 maggio 1941, telespr. 04571/913, in ASMAE, SSAA, B. 31, f. Rapporti italo-bulgari. 69 Sull’occupazione della Macedonia da parte dell’esercito bulgaro, v. KOFOS, Nationalism and Communism, cit., pp. 108-110, che però, parlando degli eccessi bulgari in Macedonia, dimentica completamente l’esistenza dell’elemento etnico albanese.
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caduta del regime fascista. “Da tutte le zone popolate in maggioranza da albanesi e da noi non occupate, e specialmente dal Kossovese, – scrisse il console Venturini agli inizi di maggio – mi giungono invocazioni all’Italia affinché invii i suoi soldati”. Tali invocazioni, a suo giudizio, manifestavano l’attaccamento di questi albanesi all’Italia e la necessità di difenderli, perché era ormai dimostrato che la più grave colpa che avevano secondo i bulgari era proprio questo manifesto legame con Roma. La situazione tra bulgari e albanesi era divenuta in breve incandescente e non erano mancati gli incidenti, favoriti anche dal fatto che gli albanesi avevano fatto incetta di armi abbandonate dall’esercito serbo durante la ritirata. I bulgari si stavano dando da fare, quindi, per imporre la loro amministrazione e provvedere al disarmo degli COPIA PER L'AUTORE albanesi, ma con metodi di una tale brutalità che più volte, ma inutilmente, lo stesso Venturini era stato costretto a intervenire presso le autorità militari competenti. Una situazione, tra l’altro, che rischiava di peggiorare, man mano che l’esercito tedesco si fosse ritirato per lasciare posto a quello bulgaro, lasciandolo privo di ogni freno. “Insultare e percuotere un Albanese perché porta il fez, pretendere che una donna albanese musulmana si scopra il viso, irridere chi afferma di essere italiano perché l’Albania è Italia, – riferiva il console italiano – parlare della prossima invasione dell’Albania, e poi, soprattutto, derubare gli Albanesi di quanto hanno, dall’oro all’onore delle donne addosso alle quali diecine e diecine di soldati cercano con gesti sconci armi inesistenti, ecco la pratica quotidiana dei militari bulgari di occupazione”. Ma, a suo giudizio, non si trattava soltanto di atti ripetuti di violenza perpetrati da un esercito d’occupazione. Erano vere e proprie “spedizioni punitive”, “sicuro indizio di un sistema e di un programma”. Gli eccessi, infatti, erano così sproporzionati e l’odio mostrato dai bulgari così acceso che tutto portava a “ritenere che il loro atteggiamento risponda ad un preciso piano inteso ad eliminare con tutti i mezzi il problema alba-
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nese dalle terre jugoslave che saranno bulgare e comunque ad impedire che gli Albanesi siano di base a pretese italiane sulle terre stesse”70 . Su richiesta di Verlaci, a partire dalla metà di giugno, Ciano coinvolse direttamente la legazione a Sofia, guidata dal cognato, Massimo Magistrati, a interessare quel governo sia degli effetti perniciosi della propaganda bulgara in Macedonia, sia del comportamento dell’esercito bulgaro nei confronti degli albanesi, ai quali bisognava assicurare la “benevola protezione” del governo fascista71 . Il governo di Tirana, dunque, fu assai attivo nell’attirare l’attenzione di Roma sulla gravità della situazione degli albanesi del Kosovo e in particolare di quelli rimasti al di fuori della linea di COPIA PER L'AUTORE occupazione italiana. Agli inizi di giugno, Verlaci inviò a Ciano una serie di preoccupanti relazioni a lui pervenute da varie parti del Kosovo, chiedendo l’adozione di tempestive misure per porre i territori occupati sotto amministrazione albanese e inviare ordini precisi ai comandi delle varie armi affinché si disponessero a collaborare con essa72. Le relazioni denunciavano gli “orrori” bulgari e la subdola propaganda di Sofia, ma si soffermavano anche sulle condizioni intollerabili esistenti nella zona occupata dalla Germania. Tra tutte, destava impressione l’intenzione tedesca di lasciare parte del Kosovo alla Serbia, pur con la garanzia dell’autonomia. Con l’aiuto di albanesi che da sempre avevano collaborato con i
70 Venturini a Legazione Belgrado, 4 maggio 1941, telesp. 403/169R, in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 1, sf. 1. 71 Ciano a Verlaci, lettera del 18 giugno 1941, n. 71/06301/2682, in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 9. 72 Verlaci a Ciano, 4 giugno 1941, n. 625/17/18/19, in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 2. Con la lettera Verlaci rimetteva le seguenti relazioni sulla situazione dei territori al di fuori dell’Albania: relazione sulla situazione a Struga e nel suo distretto, in data 28 maggio 1941 e a firma del prefetto di Scutari, Riza Drini; relazione sulla situazione politica del Kosovo a firma Banush Hoxhë-Sadillari, Tirana, 29 maggio 1941; relazione del sindaco di Prizren, Tahir Kolgjini, Prizren, 25 maggio 1941.
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serbi, Belgrado, infatti, stava invitando i kosovari delle 9 sottoprefetture di Senica, Novi Pazar, Mitrovica, Vuciterni, Podujevo, Pristina, Ghilan, Ferisovic, Kačanik ad accettare l’idea di un governatorato autonomo all’interno della Serbia che, insieme a questa, sarebbe stato posto sotto protettorato tedesco. I funzionari di questo governatorato sarebbero stati serbi e albanesi, il governatore albanese, la lingua serba o albanese a secondo della nazionalità dei funzionari. La propaganda serba era attivissima allo scopo di convincere gli albanesi a rassegnarsi circa il destino di quelle terre, ma la maggior parte della comunità albanese resisteva nella speranza di un’unione con l’Albania73 . Effettivamente, già il 21 aprile 1941 il generale di divisione Eberhardt, comandante delle truppe tedesche in Kosovo, aveva COPIA PER L'AUTORE organizzato un incontro con i notabili albanesi disposti a collaborare, guidati da Xhafer Deva, del quale si diceva fosse serbofilo e ingaggiato in precedenza dal servizio di spionaggio tedesco. Durante la riunione, Eberhardt promise l’istituzione di un’amministrazione locale albanese e ampie concessioni riguardo all’insegnamento in lingua albanese. Si concordò, inoltre, la creazione di una gendarmeria albanese, con un migliaio di uomini all’incirca, che dovevano poi essere aumentati con il reclutamento di altri mille volontari74. Più cautela i tedeschi mostrarono, invece, di fronte alle istanze di espulsione dell’elemento montenegrino e serbo: Eberhardt fu d’accordo a interessarsi in futuro della questione purché la cosa fosse fatta “in modo ragionevole e pacifico”75 .
73 Relazione sulla situazione politica del Kosovo a firma Banush Hoxhë-Sadillari, Tirana 29 maggio 1941, in ASMAE, SSAA, B. 77, f. 2. 74 Su ciò v. VICKERS, Between Serb and Albanian, cit., p. 121; TOMASEVICH, War and Revolution, cit., p. 149. 75 V. MALCOM, Storia del Kosovo, cit., pp. 330-331.