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1. Jugoslavia 1941: un destino ineluttabile?
III Il problema jugoslavo 1. Jugoslavia 1941: un destino ineluttabile? Le vicende che condussero all’attacco italo-tedesco alla Jugoslavia COPIA PER L'AUTORE sono ormai tutte note e la letteratura storiografica ha assunto, con il tempo, dimensioni incommensurabili. Abbiamo menzionato in precedenza, come, già a partire dal momento della maturazione della decisione di entrare in guerra contro la Francia e la Gran Bretagna, lo stato jugoslavo rientrasse, insieme alla Grecia, nelle mire sovversive del «duce» e abbiamo tentato di dare una spiegazione logica e coerente sul perché la scelta cadde, in quel torno di tempo, proprio sulla Grecia, evitando di ricorrere alla ancora spesso preferita spiegazione “macchiettistica” o “clownistica” della politica estera italiana, ovvero di decisioni prese da un Mussolini in preda a isterici scoppi di invidia per le vittorie di Hitler. Nell’estate del 1940, l’idea di una guerra alla Jugoslavia fu temporaneamente accantonata perché avrebbe sollevato una serie di problemi politici, della cui soluzione non si aveva chiara nozione, a cominciare dall’atteggiamento sempre ostile dell’alleato-concorrente tedesco e dalla gestione futura delle multiformi spoglie della compagine statale jugoslava. Iniziò così, per Mussolini, a partire dal quel momento, un periodo di “oscillazioni” e cambiamenti di umore, tra la volontà di dare una spallata alla Jugoslavia e di farla implodere, con la solita carta dell’appoggio alle spinte centrifughe delle nazionalità in lotta con Belgrado, come i croati, i montene-
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grini, gli albanesi del Kosovo o i bulgari della Macedonia, e l’idea di riprendere una collaborazione con i serbi, consolidando, al contrario, lo status quo al fine di bloccare la spinta tedesca verso il Mediterraneo1 . L’insuccesso militare della campagna di Grecia, la necessità di resistere sul fronte albanese e di rovesciare la drammatica situazione militare obbligarono l’Italia a mettere da parte ogni velleità bellica contro Belgrado e al contrario a rispolverare la politica dell’accordo, seguendo, ancora una volta, le raccomandazioni che pervennero da Berlino. Secondo la Wilhelmstrasse non vi poteva essere alcun aiuto militare da parte tedesca contro la Grecia se non si fosse prima assicurata la collaborazione della Jugoslavia2. Ed è anche molto probabile che a indirizzare su questa strada i vertici COPIA PER L'AUTORE italiani fosse anche il desiderio di evitare complicazioni da parte della Jugoslavia in Albania. Come pure s’è detto in precedenza, era ormai noto a Roma che governo e stato maggiore jugoslavi, con l’aiuto della Gran Bretagna, stavano mettendo in atto una serie di iniziative per destabilizzare il nuovo regime di Tirana con il concorso di esuli albanesi anti-italiani, remunerati e organizzati dai servizi jugoslavi. Al maggio 1940 pare che le bande albanesi
1 Si rimanda per tutto ciò a MASSIMO BUCARELLI, Disgregazione iugoslava e questione serba nella politica italiana, in FRANCESCO CACCAMO - LUCIANO MONZALI, L’occupazione italiana della Iugoslavia (1941-1943), Roma, Le Lettere, 2008, pp. 18-27; nonché BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia (1922-1939), cit. Sui progetti imperialisti del fascismo, v. A.A. KALLIS, Fascist Ideology. Territory and Expansionism in Italy and Germany, 1922-1945, Londra e New York, 2000, pp. 47 ss.; e il più recente studio di DAVIDE RODOGNO, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943), Torino, 2003, pp. 69 ss. V. anche, BRECCIA, Jugoslavia 1939-1941, cit., pp. 304-307, nonché S. LOI, Le operazioni delle unità italiane in Jugoslavia (1941-1943), Roma, 1978, pp. 32 ss. 2 V. ANDRÈ, La guerra in Europa, cit., pp. 664 ss.; DE FELICE, Mussolini l’alleato, cit., pp. 290 ss.; STEFANO BIANCHINI - FRANCESCO PRIVITERA, 6 aprile 1941, Milano, Marzorati, 1993, pp. 44-46.
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irregolari al servizio di Belgrado ammontassero complessivamente a circa 8.000 uomini3 . Queste notizie, suffragate da una massa di informazioni ritenute sicure dal servizio di intelligence italiano, portavano alla conclusione che il governo di Belgrado potesse essere indotto, anche su influenza britannica, ad approfittare dell’imprevista sfavorevole piega presa dal conflitto con la Grecia per commettere qualche gesto di forza. Agli inizi di novembre, il servizio d’intelligence ungherese segnalò a quello italiano addirittura che, sotto l’influenza della forte agitazione anti-italiana, si parlava negli ambienti militari serbi della possibilità di “irruzione” in Albania4. Era sicuro, tuttavia, che le autorità militari jugoslave, approfittando delle notizie catastrofiche date da radio Londra sulle operazioni al fronte COPIA PER L'AUTORE greco, avevano tentato di organizzare bande armate tipo četnici tra elementi albanesi del Kosovo, benché non fossero riuscite a realizzare il loro piano per l’intervento di Ferhad Bey Draga5 . A partire dal novembre 1940, dunque, trovando interlocutori interessati a Belgrado, cui premeva evitare uno scontro armato con la macchina bellica tedesca e al contempo guadagnare qualche posizione territoriale strategica significativa che permettesse di sopravvivere in un futuro dominato dalle due potenze dell’Asse, come il porto di Salonicco, sbocco al mare alternativo alle ormai irrecuperabili coste albanesi settentrionali6, si snodarono due pa-
3 Jacomoni a ministero degli Esteri, 10 maggio 1940, telespr. 35938/4391, in ASMAE, SSAA, B. 31, f. Movimento truppe jugoslave. Leader degli esuli albanesi a Belgrado risultava essere Qazim Kokoshi, stipendiato dal governo serbo con 6.000 dinari al mese, mentre ai suoi fedeli andava una cifra compresa tra 600 e 1200 dinari al mese. 4 Talamo a ministero degli Esteri, 9 novembre 1940, telespr. 5318/239, in ASMAE, SSAA, B. 81. 5 Mameli a Ciano, 30 dicembre 1940, telespr. 5777/2273, in ASMAE, SSAA, B. 60, f. Fuoriusciti albanesi in Jugoslavia. Incidenti di frontiera. Il documento fu letto e sottolineato da Mussolini. 6 V. BUCARELLI, Disgregazione iugoslava e questione serba nella politica italiana,
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ralleli ed indipendenti negoziati italo-jugoslavo e tedesco-jugoslavo, miranti a far divenire la Jugoslavia uno dei satelliti dell’Asse attraverso l’adesione al patto Tripartito, stipulato da Germania, Giappone e Italia, nel settembre precedente. Per invogliare tale adesione, il governo tedesco non ebbe difficoltà a dare tutte le rassicurazioni richieste da Belgrado – che poi Hitler avrebbe rispettato gli impegni presi, però, è tutt’altra questione –, sia circa lo sbocco al mare a Salonicco, sia riguardo la stipulazione di un patto di non aggressione, e a blandire il governo jugoslavo, ergendosi addirittura a protettore della Jugoslavia contro le mire italiane7 . Il negoziato intrecciato da Palazzo Chigi all’inizio del febbraio 1941, invece, pur contenendo le stesse promesse per Belgrado – sbocco sul mar Egeo a Salonicco e clausola di benevola neutralità - COPIA PER L'AUTORE si proponeva la conclusione di un’alleanza sulla base del patto italo-jugoslavo del marzo 1937, con contemporanea risoluzione di tutto il contenzioso tra i due paesi: “smilitarizzazione permanente” della costa jugoslava e radicale scambio di popolazioni tra l’Italia, la Jugoslavia e l’Albania, che avrebbe portato al trasferimento della minoranza albanese del Kosovo e di quelle slovene e croate della Venezia Giulia8. L’idea di sostenere il disegno della Grande Albania con l’annessione del Kosovo, dunque, sarebbe stata sacrificata sull’altare dell’amicizia con la Serbia, a sua volta strumentale per evitare il male peggiore, la discesa dei tedeschi nei Balcani. Riuscire a stringere così fortemente i rapporti con Bel-
cit., p. 21. 7 Sui rapporti jugoslavo-tedeschi e il negoziato per l’adesione al tripartito, v. FRANK C. LITTLEFIELD, Germany and Yugoslavia, 1933-1941, The German Conquest of Yugoslavia, Boulder (CO), East European Monographs, 1988, pp. 87-109. 8 Ciano a Mussolini, Bari, 8 febbraio 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, D. 553. V. BRECCIA, Jugoslavia 1939-1941, cit., pp. 369 ss., e pp. 443-444. Appunto di Mussolini, 4 febbraio 1941; Ciano a Cosmelli, 5 febbraio 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, DD. 535 e 538; Memorandum di Weizsäcker, 5 febbraio 1941, in DGFP, s. D, vol. XII, D. 15.
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grado avrebbe significato, secondo Mussolini, provocare il “collasso morale e militare” della Grecia e, di conseguenza, rendere inutile l’intervento tedesco in aiuto dell’Italia9. Insomma, non ci sarebbe stata, per il momento, una Grande Albania, ma una Grecia sottomessa e una Jugoslavia così amica da poter impostare un rapporto privilegiato per riequilibrare il peso dei tedeschi nei Balcani e tenerli lontani dal Mediterraneo10 . Tuttavia, l’idea tipicamente mussoliniana di utilizzare la diplomazia per lenire od ovviare alla debolezza militare non ebbe nessuna realizzazione concreta. Accortosi della piega che stava prendendo il negoziato italo-jugoslavo, come asse all’interno dell’Asse, e del significato che poteva acquisire nell’ambito dei rapporti con l’alleato italiano, Hitler impose a Mussolini una battuta d’arresto, COPIA PER L'AUTORE con la scusa di attendere, prima di entrare nel vivo delle questioni, i risultati del parallelo negoziato tra Berlino e Belgrado11 . Condotto sul filo della minaccia e con tutte le blandizie possibili, questo negoziato condusse, come arcinoto, all’adesione della Jugoslavia al Tripartito il 25 marzo 1941. Vale la pena di notare che l’Italia e la Germania, al momento della firma jugoslava, dettero, con uno scambio di note, precise assicurazioni a Belgrado circa lo sbocco al mare a Salonicco, il non coinvolgimento del paese in guerra, escludendo la possibilità di passaggio delle truppe italotedesche in territorio jugoslavo e, soprattutto, il rispetto della sua integrità territoriale12. In tal modo, mentre la Jugoslavia diveniva
9 Appunto di Mussolini, 4 febbraio 1941, e Ciano a Cosmelli, 5 febbraio 1941, cit.; BIANCHINI - PRIVITERA, 6 aprile 1941, cit., pp. 47-48. 10 V. H. JAMES BURGWYN, L’impero sull’Adriatico. Mussolini e la conquista della Jugoslavia 1941-1943, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2006, p. 51. 11 Weizsäcker a Ribbentrop, 25 febbraio 1941; Rintelen a Weizsäcker, 27 febbraio 1941; Colloquio tra Hitler e Ciano alla presenza di Ribbentrop, Salisburgo, 2 marzo 1941, in DGFP, s. D, vol. XII, DD. 85, 97 e 117; Cosmelli a Ciano, 28 febbraio 1941; Anfuso a Mussolini, 2 marzo 1941; Anfuso a Mameli, 3 marzo 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, DD. 655, 671 e 672. 12 Ribbentrop a Heeren, 7 marzo 1941; Heeren a Ribbentrop, Belgrado, 7 marzo
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un satellite tedesco, essendo ormai tramontato il tentativo di un patto speciale con Roma, si chiudeva la porta a ogni futura mira revisionistica italiana a favore dell’Albania. Il successo tedesco non poteva essere più grande, così come, per converso, l’insoddisfazione italiana. Senonché, è ben noto, a Belgrado la politica di alleanza con le potenze dell’Asse fu ribaltata, a soli due giorni dalla firma, da un colpo di stato che comportò la destituzione del reggente Paolo e del governo Cvetković, la proclamazione della maggiore età del diciassettenne Pietro II, erede del re Alessandro, affinché potesse assumere la corona, e la nomina di un nuovo esecutivo guidato dal generale Dušan Simović. La reazione di Hitler e di Mussolini fu la guerra: il 6 aprile truppe italiane e tedesche attaccarono il COPIA PER L'AUTORE paese, con la collaborazione degli altri due membri del Tripartito interessati alle sue spoglie, l’Ungheria e la Bulgaria. Quest’ultima era entrata nell’alleanza con l’Asse il 1° marzo dopo un rapido negoziato con la sola Germania, durante il quale Berlino le aveva promesso il recupero dei territori macedoni persi durante le guerre balcaniche e lo sbocco all’Egeo perso durante la prima guerra mondiale13 . La collocazione della Jugoslavia nella sfera d’influenza dell’Asse aveva provocato pesantissime reazioni in vasti settori della politica e delle forze armate di Belgrado, che non condividevano né l’abbandono della neutralità, né il tradimento dell’amicizia britannica e greca, né soprattutto avevano alcuna fiducia nelle promesse di Hitler e Mussolini. Quale speranza avrebbe avuto di sopravvivere la compagine statale jugoslava in un mondo dominato dalle potenze dell’Asse e dal risveglio potente dei nazionalismi in
1941; Schweimer a Mackensen, 8 marzo 1941, in DGFP, s. D, vol. XII, DD. 130, 131 e 138; Anfuso a Ciano, 8 marzo 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, D. 696. V. anche ANDRÈ, La guerra in Europa, cit., pp. 713-714; BRECCIA, Jugoslavia 1939-1941, cit., pp. 565-569. 13 Magistrati a Ciano, 28 febbraio 1941, in DDI, s. IX, vol. VI, DD. 648 e 649.
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Europa che la marcia militare italo-tedesca aveva loro impresso ormai da due anni? Italia e Germania avrebbero rispettato l’integrità territoriale della Jugoslavia o avrebbero, prima o poi, prestato orecchio alle nazionalità che mal sopportavano il centralismo serbo, come i croati, i montenegrini, gli indipendentisti macedoni, i bulgaro-macedoni, gli albanesi, gli ungheresi14? E, poi, l’esperienza aveva insegnato a fidarsi delle promesse di Hitler? Agli inizi di gennaio, sia Mameli che Bonfatti avevano tratto da colloqui con l’addetto militare e il rappresentante tedeschi a Belgrado la stessa impressione: che l’atteggiamento tedesco verso la Jugoslavia si era evoluto e che dall’iniziale convinzione di lasciarla così come era almeno fino alla fine del conflitto si era giunti alla conclusione che anche la Jugoslavia, invece, doveva seguire la precisa volontà del-COPIA PER L'AUTORE l’Asse15. Insomma, c’era poco da dubitare sul destino futuro della Jugoslavia. I timori largamente diffusi tra la popolazione e le sfere dirigenti serbe di fare la fine della Romania se avessero riposto fiducia nell’Asse erano del tutto giustificati, almeno nella misura in cui, per converso, lo erano le alte aspettative di revisione territoriale che coltivavano croati, albanesi e macedoni16 .
14 V. J.B. HOPTNER, Yugoslavia in Crisis, cit., pp. 250 ss.; BRECCIA, Jugoslavia 1939-1941, cit., pp. 550 ss.; G.F. VRBANIĆ, The Failure to Save the First Yugoslavia, cit., pp. 115 ss.; J. PIRJEVEC, Il giorno di San Vito, cit., pp. 142-143. 15 Ministero degli Esteri a SSAA, 9 gennaio 1941, in ASMAE, SSAA, B. 81; il documento trasmetteva un telespresso di Mameli da Belgrado del 1 gennaio. 16 Era questo il senso di quanto Mameli riferì sull’atteggiamento dell’opinione pubblica jugoslava e serba in particolare all’indomani del secondo arbitrato di Vienna, con cui la Romania fu obbligata a cedere parte della Transilvania all’Ungheria. V. Ministero degli Esteri a SSAA, 10 settembre 1940, telespr. 23696, in ASMAE, SSAA, B. 32 f. Arbitrato di Vienna.