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balcanica dell’Italia

II Appello per la liberazione 1. Il sostegno agli albanesi del Kosovo nel quadro della politica balcanica dell’Italia COPIA PER L'AUTORE

L’idea di tenere desto l’irredentismo albanese in Kosovo a fini anti-jugoslavi si saldò con quella di una più generale revisione della carta politica dell’Albania, risollevando a tutto tondo il problema dell’incompletezza della sua unità nazionale. Accanto a quella del Kosovo, infatti, benché con un profilo senz’altro minore, un’altra importante questione nazionale si era aperta al momento della nascita dello stato albanese. All’epoca, infatti, una piccola parte della nazione albanese era stata incorporata anche nei confini della Grecia, in una zona che gli albanesi storicamente chiamano Ciamuria. Si trattava di un numero esiguo di persone se paragonato a quello della popolazione albanese che era rimasta dentro i confini del Montenegro o ancor più dentro quelli della Serbia, ma la questione rimase molto viva e molto sentita dalla classe dirigente schipetara per tutto il periodo tra le due guerre mondiali1 .

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1 Sul problema della Ciamuria e sulla disputa confinaria tra Albania e Grecia a livello internazionale, v. la fondamentale raccolta di documenti Dokumente për Çamërinë 1912-1939, (përgatitur nga K. Naska), Tiranë, Dituria, 1999; nonché DIMITRIS MICHALOPOULOS, The Moslems of Chamuria and the Exchange of population between Greece and Turkey, in “Balkan Studies”, 1986/2; B.P. PAPADAKIS, Histoire diplomatique de la question Nord-Epirote, 1912-1957,

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Fin dal 1939, analogamente a quanto aveva fatto per il Kosovo, Palazzo Chigi aveva puntato a sostenere l’irredentismo ciamuriota, nella consapevolezza che questa importante carta si sarebbe potuta giocare, in futuro, contro la Grecia. L’opzione di una guerra alla Grecia, in alternativa a una contro la Jugoslavia, era rimasta, dunque, sempre viva in Mussolini. Essa maturò, lentamente, man mano che il panorama politico internazionale europeo mutava, spingendolo a considerare e, infine, a prendere la decisione di intervenire nei Balcani. Fu in questo quadro che si accantonò, per il momento, l’ipotesi di un attacco alla Jugoslavia e si optò per una guerra contro la Grecia, da farsi, appunto, riscoprendo proprio la questione della Ciamuria. Il 22 maggio 1940, infatti, come sappiamo da numerose testi-COPIA PER L'AUTORE monianze memorialistiche, compreso il diario di Ciano, il ministro degli Esteri stesso era volato a Tirana per una visita ufficiale e la sera del 23 aveva riunito il generale Geloso, comandante delle truppe in Albania, il generale Ranza, comandante dell’Aeronautica, e Jacomoni, per comunicare loro l’intenzione di Mussolini di entrare in guerra entro due, tre settimane, precisando che occorre-

Athènes, 1957; PASTORELLI, L’Albania nella politica estera italiana 1914-1920, cit.; LUCA MICHELETTA, La lotta per il “limes” greco-albanese e l’eccidio Tellini, in ORNELLA FERRAJOLO (a cura di), Il caso Tellini. Dall’eccidio di Janina all’occupazione di Corfù, Milano, Giuffrè, 2005; NICHOLAS PETSALIS-DIOMIDIS, Greece at the Paris Peace Conference 1919, Thessaloniki, Institute for Balkan Studies, 1978; MIRANDA VICKERS, The Cham Issue - Albanian National & Property Claims in Greece, “Conflict Studies Research Center”, April 2002; LUIGI VILLARI, La protezione delle minoranze, Pubblicazioni dell’Associazione Romana per la Società delle Nazioni, Roma, 1925; M. VOKSHI, Tutta l’Albania di tutti gli albanesi, Roma, “La Vita Italiana”, 1931; TOM J. WINNIFRITH, Badlands-Borderlands. A History of Southern Albania/Northern Epirus, London, Duckworth, 2002. V. anche “Estratto dal libro di Dhimiter Berati, Lo scopo e l’organizzazione della Lega delle Nazioni, Tirana, 1931 (trad. dall’albanese): La minorità albanese in Grecia e la Lega delle Nazioni. Secondo Berati, il totale degli albanesi in Grecia era di 90.000, di cui 50.000 viventi nella regione ciamuriota in senso stretto.

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va prendere in considerazione non più un attacco alla Jugoslavia2 come si era ipotizzato fin allora, ma alla Grecia partendo dall’Albania3. Dei presenti pare che il solo Geloso sollevasse qualche difficoltà in ordine alla preparazione militare, affermando che la migliore direttrice di marcia per un attacco fosse quella di Salonicco, ma che per eseguirla sarebbero state necessarie 10 o 11 divisioni, una quantità di forze ben superiore a quelle stanziate in Albania. Furono forse le difficoltà poste da Geloso che spinsero Ciano a sbarazzarsi del generale e a imporre al comando delle truppe in Albania Sebastiano Visconti Prasca, uomo di sua fiducia, disposto a seguire con meno imbarazzi le direttive provenienti da Roma4 . Proprio in conseguenza delle indicazioni date da Ciano a fine COPIA PER L'AUTORE maggio, Jacomoni riprese l’idea di un’azione verso le minoranze albanesi irredente, compresa quella della Ciamuria, in un quadro però del tutto diverso, consono alla nuova situazione data dalla certezza dell’intervento in guerra dell’Italia e di un’estensione del conflitto ai Balcani. E volò a Roma agli inizi di giugno proprio per discuterne personalmente con Ciano e avere direttamente dal ministro, ovvero dal «duce», informazioni sul futuro e direttive per l’azione da spiegare. Il luogotenente incontrò Ciano e Benini

2 V. BRECCIA, Jugoslavia, 1939-1941, cit., pp. 285 ss; GIUSEPPE CONTI, La guerra del fascismo, in L. GOGLIA, R. MORO, L. NUTI, Guerra e Pace nell’Italia del Novecento. Politica estera, cultura politica e correnti dell’opinione pubblica, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 123 ss.

3 Sulla riunione del 23 maggio, oltre alle memorie dei protagonisti (v. JACOMONI, La politica dell’Italia in Albania, Cappelli, Bologna, 1956, pp. 225226; CIANO, Diario, cit.), si rimanda alle ricostruzioni più recenti, basate anch’esse però sul racconto dei presenti: MACGREGOR KNOX, La guerra di Mussolini, cit., pp. 165-167; MARIO MONTANARI, L’esercito italiano nella campagna di Grecia, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito, 1991, 2a ed., p. 24. 4 Su ciò, v. MONTANARI, L’esercito italiano nella campagna di Grecia, cit., pp. 26 ss. Alla esauriente opera di Montanari si rimanda, inoltre, per tutti gli aspetti militari della organizzazione dell’attacco alla Grecia.

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ripetutamente agli inizi di giugno per parlare della situazione generale e discutere delle iniziative da prendere. Abbiamo notizia certa di due riunioni, il 2 e il 5 giugno, in cui venne discussa una serie di argomenti contenuti in vari appunti e rapporti preparati dallo stesso Jacomoni, dal sottosegretariato e dai due esponenti nazionalisti albanesi filo-italiani che si occupavano della politica irredentista, Nebil Dino, per la Ciamuria, e Shtylla per il Kosovo. L’appunto e il rapporto che scandirono il ritmo della riunione del 2 giugno ruotavano intorno all’ipotesi di una guerra offensiva nei Balcani contro la Grecia e contro la Jugoslavia: il rapporto di Nebil Dino era dedicato, infatti, alla situazione generale internazionale della Grecia; lo scritto del luogotenente, invece, considerava l’appoggio che l’Italia avrebbe potuto trovare nelle minoran-COPIA PER L'AUTORE ze nazionali che aspiravano a un nuovo assetto politico-territoriale nella penisola balcanica, prime fra tutte, per importanza numerica, quelle albanesi. Uno schizzo a mano, in cui era evidenziata la discrepanza tra i confini politici e quelli etnici dell’Albania, accompagnava l’appunto, mostrando un primo rozzo abbozzo della grande Albania, estesa a nord e nord-est verso il Montenegro e la Serbia e a sud verso la Grecia. Ma quanti erano secondo la luogotenenza gli “irredenti”? “Tali popolazioni – si leggeva nell’appunto – ascendono secondo un calcolo minimo, a circa 840 mila anime, delle quali 700 mila in territorio jugoslavo e 140 mila in territorio greco”. La cifra relativa agli albanesi in Grecia era quantomeno esagerata e questo fu subito notato a Roma. Una macroscopica sottolineatura dell’affermazione e un grosso punto esclamativo tracciati a lapis sull’appunto testimoniano lo stupore dei funzionari di Palazzo Chigi. E lo stesso stupore colse i funzionari del ministero nel leggere una seconda affermazione della luogotenenza, laddove, accennando alle altre “minoranze” “in lotta con i governi di Belgrado e Atene” per ottenere l’autonomia politica o amministrativa, quali ad esempio i 500.000 macedoni o i 100.000 aromeni (cutzovalacchi)

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del Pindo, sosteneva l’esistenza di “200 mila montenegrini (in territorio jugoslavo) di razza interamente diversa da quella serba e legata, per vincoli di sangue, piuttosto agli albanesi” che aspiravano a ricostituire il loro regno, in unione personale alla corona italiana, come nel caso dell’Albania. Anche la frase sui “vincoli di sangue” tra montenegrini e albanesi come sulla loro estraneità ai serbi era evidenziata con una ben marcata sottolineatura e a margine con un grosso punto esclamativo. Ma a parte le imprecisioni sulla consistenza e sulle caratteristiche etniche e culturali delle popolazioni balcaniche, Jacomoni, al contrario di quanto sostenne durante il processo di epurazione e nel suo noto libro sulla politica dell’Italia in Albania, prendeva proprio in considerazione una guerra offensiva nei Balcani, affermando che a tale scopo si poteva COPIA PER L'AUTORE puntare ad avere “un efficace appoggio” dalle minoranze albanesi. Il programma tracciato dal luogotenente prevedeva l’instaurazione di una collaborazione con tutte le minoranze albanesi, collaborazione che, coordinata e diretta da Tirana, avrebbe dovuto realizzarsi contemporaneamente verso tutti i settori ma in forme diverse a secondo degli ambienti in cui si sarebbe operato e degli scopi da raggiungere. Jacomoni articolava questa collaborazione in una serie di fasi, riprendendo concetti e modalità che già il sottosegretariato aveva avuto modo di illustrare a Ciano nell’agosto precedente. Si sarebbe iniziato con l’invio di fidati agenti per prendere contatti o rafforzare quelli già esistenti con i capi locali onde stabilire le linee di azione futura; in un secondo momento, a un segnale convenuto, i capi delle minoranze avrebbero spinto la popolazione a inscenare agitazioni e dimostrazioni a carattere irredentista; raggiunto un certo livello di intensità delle agitazioni, gli irredentisti avrebbero fatto seguire atti di terrorismo, sabotaggi ecc., quali il taglio delle linee telegrafiche o la distruzione di ponti e ferrovie, per recare danno all’azione difensiva dell’esercito e delle autorità locali, e avrebbero proceduto alla formazione di bande locali con il con-

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corso di elementi provenienti dall’Albania. Ultimo stadio sarebbe stato l’intervento armato italiano, fiancheggiato o preceduto da bande armate albanesi “abilissime in azioni di guerriglia”. Il luogotenente avvertiva, tuttavia, che gli albanesi non si sarebbero lanciati in operazioni di guerriglia se non si fossero sentiti “sostenuti da imponenti forze regolari”, affermando che le minoranze “oggi soggette a stretta vigilanza e a violente repressioni, da parte di jugoslavi e di greci – specialmente dei primi – non si espongono a gravi rischi se non si fanno convinte che la nostra azione, una volta iniziata, sarà condotta a termine rapidamente e sicuramente”. Queste considerazioni lo portavano a concludere che il programma “almeno nella parte di forza” doveva essere realizzato solo dopo che l’atteggiamento italiano verso la Jugoslavia e COPIA PER L'AUTORE la Grecia fosse stato definito, al fine di non creare false illusioni che avrebbero comportato “una forte depressione morale e probabilmente un distacco in quelle popolazioni che sono oggi disposte a seguirci con decisione e con fede”. Esaminate le premesse politiche, Jacomoni si occupava dell’organizzazione pratica, formulando una serie di richieste in denaro, armi e tecnici, raccomandando un coordinamento della sua attività con quella che il Servizio informazioni militare stava già realizzando, e soprattutto facendo presente che l’offensiva contro la Grecia e la Jugoslavia avrebbe richiesto forze maggiori di quelle presenti in Albania al momento. Un’ultima parola veniva spesa, poi, per invitare la legazione italiana a mantenere contatti con i circa 100 studenti albanesi a Belgrado, appartenenti alle più influenti famiglie del Kosovo, in vista dell’azione prospettata, e a curare in particolare i rapporti con Ferhad Bey Draga5 .

5 “Per attuazione del programma sopra indicato – scriveva Jacomoni –occorrerebbero: ....Milioni (in valuta jugoslava, greca, albanese, inglese, francese italiana). - un istruttore nel maneggio di esplosivi. - 6.000 fucili, con adeguato munizionamento, e 2.000 bombe a mano per le bande. - Come già rappresentato dai comandi delle forze armate in Albania una nostra azione offensiva in

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La riunione tra Ciano e Jacomoni del 2 giugno ebbe come risultato l’assenso del ministro al programma di “collaborazione” con le minoranze albanesi anche se egli rimandò ogni decisione circa la sua messa in opera. L’appunto redatto da Jacomoni reca infatti la seguente scritta di Michele Scammacca, capo dell’ufficio I del sottosegretariato: “L’Ecc. Jacomoni ha presentato personalmente all’Ecc. Ciano il presente appunto. Ha avuto istruzioni di tenere contatti cautissimi con le minoranze albanesi d’oltre confine e di tenersi pronto a organizzare delle bande in Albania prop. detta non appena ne abbia istruzioni. 2 giugno 1940”6 . Come si è anticipato, il 5 giugno si ebbe a Palazzo Chigi una seconda riunione con Ciano, dedicata questa volta esclusivamente COPIA PER L'AUTORE alla questione del Kosovo, che al momento era stata posta in secondo piano, data la decisone di agire in un primo tempo contro la Grecia. Il fascicolo con il quale Jacomoni e Benini si presentarono a discutere con Ciano conteneva un promemoria compilato da Shtylla e consegnato il 28 maggio al sottosegretariato per dargli modo di studiarlo e di sostenere la sua richiesta di presentarlo personalmente al ministro7, nonché un appunto che essi avevano preparato per l’incontro. È semplice, quindi, seguire attraverso questi due documenti il contenuto delle conversazioni. Il promemoria di Shtylla ricordava, innanzitutto, il programma d’aiuti che egli aveva proposto l’anno precedente, concordando sulla decisione di Palazzo Chigi di sospenderlo. Ma ricordava pure che il governo italiano aveva sospeso quel minimo sostegno che gli albanesi di Jugoslavia ricevevano da Zog, demoralizzando le organizzazioni albanesi, in particolare quelle studentesche che

Jugoslavia e in Grecia richiederebbe forze maggiori di quelle attualmente disponibili in posto”. 6 Appunto di Jacomoni, Tirana, 1 giugno 1940, in ASMAE, SSAA, B. 81. L’appunto fu probabilmente compilato con Shtylla. 7 Appunto per Ciano del 5 giugno 1940, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Kossovese.

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vedevano in ciò un disinteressamento dell’Italia alla loro sorte. Ciano – ricordava ancora Shtylla – gli aveva detto che in vista delle future elezioni si sarebbe ripreso almeno il contributo finanziario nella misura concessa prima da Zog e che, a questo proposito, egli si era recato a Tirana per studiare con Jacomoni cosa fare per ripristinarlo. Si era deciso, a seguito di una serie di riunioni nel febbraio 1940, che lo stesso Shtylla, con il console generale Meloni e col consigliere di legazione Karazi, incontrassero qualche rappresentante delle minoranze albanesi, possibilmente Ferhad Bey Draga, a Trieste. Da allora – continuava Shtylla – la situazione delle minoranze si era aggravata e capi influenti potevano essersi orientati in favore della Jugoslavia. Occorreva, dunque, fare qualcosa, “un gesto immediato per venire in aiuto alle organizzazioni COPIA PER L'AUTORE esistenti”, ovvero stabilire l’incontro con i capi delle minoranze al più presto e agire da subito per sostenere le minoranze per le prossime elezioni. Una parte del memorandum di Shtylla verteva poi sull’accordo turco-jugoslavo, di cui riepilogava la storia, affermando che da parecchi mesi il governo jugoslavo aveva intensificato l’azione e sembrava che vi fosse un nuovo accordo con Ankara soprattutto per quanto riguardava le indennità da corrispondere alle famiglie emigranti, che erano state uno dei motivi per i quali i trasferimenti erano stati ritardati. Anche il governo di Belgrado aveva intensificato le pressioni sulla comunità albanese, utilizzando i komitadji8 . Con l’appunto preparato dal sottosegretariato, Benini e Jacomoni fecero da controcanto al promemoria di Shtylla. Il documento caldeggiava la ripresa dell’azione di sostegno alla minoranza albanese, informando sugli ultimi sviluppi della situazione politica delle minoranze albanesi in Kosovo, sulla minore pressione eser-

8 Promemoria per l’Eccellenza il sottosegretario di Stato per gli Affari Albanesi, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Sussidi ad albanesi del Kosovo. Sul documento si legge l’annotazione che il promemoria era stato consegnato da Shtylla il 28 maggio.

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citata dal governo di Belgrado e sulla propaganda anti-italiana, che diffondeva notizie false sulle cattive condizioni dell’Albania sotto la corona dei Savoia. Rilievo veniva poi dato alle ultime notizie circa l’attività di Ferhad Draga, notando come le difficoltà finanziarie in cui versava potevano trascinarlo verso Belgrado e indurlo ad appoggiare candidati governativi alle prossime elezioni. Ferhad Draga, invece, aveva fatto sapere, attraverso persona di assoluta fiducia, di essere disposto a trattare con l’Italia e a collaborare a patto di un sussidio finanziario. L’appunto, inoltre, affermava che il promemoria di Shtylla era corretto e veritiero. Si discostava, però, da esso perché valutava al contrario opportuno, per non destare i sospetti jugoslavi, evitare incontri con il maggiorente kosovaro a Trieste e soprattutto COPIA PER L'AUTORE scartava l’ipotesi che lo potesse incontrare Shtylla. Benini e Jacomoni proponevano invece di contattare Ferhad Draga attraverso fiduciari e proporgli un finanziamento ordinario per i capi kosovari e un sussidio personale; di erogare un sussidio straordinario per favorire l’elezione dei candidati più opportuni; di tornare ad aiutare gli studenti albanesi a Belgrado; di agire mediante fiduciari, diretti dalla legazione a Belgrado e dalla luogotenenza; di valersi della collaborazione di Shytlla a Tirana; di “predisporre cautamente da Tirana i quadri e le condizioni per un’eventuale azione di bande allo scopo di farle agire quando le circostanze si maturassero”. Il tutto ovviamente doveva essere coordinato da Palazzo Chigi. Sull’appunto si può leggere la minuta del solito diligente Scammacca: “Il presente appunto è stato presentato all’Ecc. il ministro Ciano dal sottosegretario Benini e dal Luogotenente Jacomoni il 5 giugno 1940. XVIII. L’Eccellenza Ciano ha approvato le proposte”; e si può anche leggere un laconico “SI” siglato con un inconfondibile “ZB”, Zenone Benini9. A suggello di

9 Appunto segreto per Ciano, 5 giugno 1940, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Kossovese.

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tutta questa attività, il 6 giugno Ciano si decise nuovamente a incontrare Shtylla.

Appare di tutta evidenza che i colloqui che si svolsero a Palazzo Chigi nella prima settimana di giugno tra Ciano, Jacomoni e Benini, avevano il fine di mettere a punto le modalità per dare il via alla guerra parallela nella regione balcanica. Essi confermano, dunque, per quanto riguarda la situazione politica generale, che a Roma si discuteva della concreta possibilità di estendere il conflitto ai Balcani, con un attacco alla Grecia e/o alla Jugoslavia, già prima dell’attacco alla Francia e subito dopo il 27-28 maggio, la data “probabile”, secondo De Felice10, in cui Mussolini decise l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale. In altre parole, si potrebbe affermare che la guerra nei Balcani fu un obiettivo che si pose contemporaneamente e non successivamente alla guerra contro la Francia e la Gran Bretagna11. La decisione della guerra parallela, come si è già avuto modo di mostrare per il caso dell’attacco alla Grecia12, nasceva in funzione di salvaguardia degli interessi

COPIA PER L'AUTORE

10 V. RENZO DE FELICE, Mussolini l’alleato. L’Italia in guerra 1940-1943. Dalla guerra “breve” alla guerra lunga, Torino, Einaudi, 1990, p. 89. V. anche le considerazioni di ENNIO DI NOLFO, Mussolini e la decisione italiana di entrare nella seconda guerra mondiale, in L’Italia e la politica di potenza in Europa (1938-1940),

a cura di ENNIO DI NOLFO, ROMAN H. RAINERO, BRUNELLO VIGEZZI, Milano, Marzorati, 1985, pp. 19-38. 11 V. le considerazioni di ENZO COLLOTTI, La politica dell’Italia nel settore danubiano-balcanico dal patto di Monaco all’armistizio italiano, in E. COLLOTTI T. SALA - G. VACCARINO (a cura di), L’Italia nell’Europa danubiana durante la seconda guerra mondiale, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione, Milano, 1967, pp. 20-25. Inoltre, v. ENZO COLLOTTI, L’Italia dall’intervento alla guerra parallela, in L’Italia nella seconda guerra mondiale e nella resistenza, a cura di F. FERRATINI TOSI, G. GRASSI, M. LEGNANI, Milano, Angeli, 1988; LEOPOLDO NUTI, I problemi storiografici connessi con l’intervento italiano nella seconda guerra mondiale, in “Storia delle Relazioni Internazionali”, 1985, vol. 1, n. 2. 12 V. LUCA MICHELETTA, La questione della Ciamuria e l’attacco italiano alla

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italiani nei confronti del sempre più forte e temuto alleato germanico. Al di là delle apparenze e della retorica del momento, ci pare che per Ciano, e certo anche per Mussolini, fosse proprio questa la “vera” guerra da combattere, quella contro l’assoluto dominio che la Germania, trionfante ormai in Francia e garantita dall’accordo con l’Unione Sovietica del 23 agosto 1939, aveva ottenuto sull’Europa. In quel torno di tempo, le percezioni italiane rispetto alla Grecia avevano tutte un unico comun denominatore: la crescente influenza della Germania in Grecia a scapito non solo di quella anglo-francese, ma anche di quella italiana. Spingeva a questa conclusione l’esame di tutta una serie di fattori trasversali all’economia e alla politica. La Grecia si stava orientando verso Berlino, ora che aveva perso la Gran Bretagna come protettrice, perché l’imma-COPIA PER L'AUTORE gine della Germania nel paese era enorme, perché quasi tutto il commercio greco era dipendente da quello tedesco, perché il dittatore greco, Metaxas, era un generale di cultura esclusivamente tedesca, ex primo aiutante di Re Costantino, simbolo del germanofilismo; perché, infine, le preoccupazioni di Atene nei confronti delle mire dell’Italia la spingevano, per la sua stessa salvezza, nelle braccia della Germania. In questo quadro, per la politica italiana l’appoggio all’irredentismo albanese diveniva uno degli strumenti principali per creare l’”ordine nuovo”, revisionando, proprio a partire dall’Albania, sulla base del principio di nazionalità, con la minaccia e con l’uso della forza, l’assetto politico-territoriale dei Balcani in modo conforme alle esigenze dell’Italia. Non fu certo un caso che i colloqui di inizio giugno avessero tutti come fulcro proprio l’Albania e le sue minoranze oltre confine, contemplate in un generale programma di completamento dell’unità nazionale di tutti gli albanesi. La Grande Albania diveniva perciò il possibile architrave di una futura egemonia italiana nei Balcani e con ciò anche l’antemurale

Grecia del 28 ottobre 1940, in “Clio”, 2004/3.

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per bloccare la pressione della Germania verso il Mediterraneo. Si iniziava così, a giugno, una lunga preparazione diplomatica della guerra alla Grecia, che puntava a risollevare e risolvere, con la minaccia militare, la questione ciamuriota come primo passo verso l’assoggettamento di fatto della Grecia e la sua inclusione nella costituenda “sfera d’influenza” italiana. Approntata la crisi finale per la fine di agosto, si montò all’epoca il caso Daut Hoxha, un ciamuriota assassinato in circostanze oscure, ma fatto assurgere a ultimo martire della antica catena di persecuzioni e spoliazioni compiute dal governo greco contro i ciamurioti, di cui si mettevano in evidenza di contro l’attaccamento alla patria e la resistenza all’ellenizzazione. L’impresa, tuttavia, si dovette fermare sul limite della guerra a causa del fermo diniego tedesco a COPIA PER L'AUTORE turbare la pace nei Balcani13, quello che comprensibilmente Ciano definì “un alto là completo, su tutta la linea”14 . Vale la pena di ricordare che l’Unione Sovietica, con la quale l’Italia già dalla metà di giugno stava tentando un riavvicinamento, sempre ostacolato dai tedeschi, aveva fatto comprendere di essere favorevole alle rivendicazioni italiane sulla Grecia, come a quelle ungheresi sulla Transilvania15. Ma a parte il consenso russo, essenziale sarebbe stato l’appoggio politico diplomatico dell’alleato tedesco che, però, proprio all’ultimo momento venne meno. Ribbentrop infatti aveva parlato il 16 agosto con l’ambasciatore

13 V. GIANLUCA ANDRÈ, La politica estera del governo fascista durante la seconda guerra mondiale, in RENZO DE FELICE (a cura di), L’Italia tra tedeschi e alleati. La politica estera fascista e la seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino 1973, pp. 122-123. Vedi anche, per i rapporti italo-tedeschi, MARTIN L. VAN CREVELD, Hitler’s Strategy 1940-1941. The Balkan Clue, Cambridge, Cambridge University Press, 1973, pp. 11-13. 14 V. CIANO, Diario alla data del 17 agosto. 15 V. MARIO TOSCANO, Una mancata intesa italo-sovietica nel 1940 e 1941, Firenze, Sansoni, 1953, p. 42. Sulle relazioni italo-russe nel cruciale periodo 1939-41, v. GIORGIO PETRACCHI, Da San Pietroburgo a Mosca. La diplomazia italiana in Russia 1861/1941, Roma, Bonacci, 1993, pp. 339-373.

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