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dell’Albania
I Irredentismo kosovaro 1. Il problema del Kosovo all’indomani dell’occupazione italiana dell’Albania COPIA PER L'AUTORE
Il Kosovo ha da sempre avuto un’importanza particolare per la storia della nazione albanese; è in questa terra che, nel 1878, durante il grande sconvolgimento balcanico iniziato tre anni prima ai danni dell’Impero ottomano, nacque la lega di Prizren, avvio del risorgimento nazionale del popolo albanese, che doveva culminare, il 28 novembre 1912, con la dichiarazione d’indipendenza di Valona. Nel programma della lega figurava la difesa dei quattro vilajet turchi di Scutari, Kosovo, Monastir e Janina, come terre appartenenti alla nazione albanese, ma la nascita dello stato albanese, avvenuta per effetto della conferenza di Londra del 1913, lasciò incompiuta l’unificazione nazionale. Le guerre balcaniche e le paci che ne seguirono, infatti, decretarono la spartizione della storica regione del Kosovo tra Montenegro e Serbia1. Vantando secolari
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1 Su questi avvenimenti, v. ARBEN PUTO, L’indépendance albanaise et la diplomatie des grandes puissances 1912-1914, Tirana, Editions “8 Nëntori”, 1982; E.C. HELMREICH, The Diplomacy of the Balkan Wars 1912-1913, Cambridge, Harvard University Press, 1938. Più in generale sulle vicende internazionali relative alla nascita dell’Albania, STAVRO SKENDI, Albanian National Awakening 1878-1912, Princeton, Princeton University Press, 1967; J. SWIRE, Albania. The Rise of a Kingdom, London, Williams & Norgate, 1929; LUIGI ALBERTINI, Le origini della guerra del 1914, vol. I: Le relazioni europee dal Congresso di Berlino
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legami religiosi e culturali sulla regione kosovara, i nazionalisti oltranzisti serbi speravano, attraverso la sua conquista, di poter acquisire un agognato sbocco al mare che desse solidità e vitalità alla Grande Serbia immaginata a Belgrado. L’appoggio dato alla nascita dello stato albanese dall’Italia e dall’Austria-Ungheria, entrambe desiderose di bloccare la marcia verso l’Adriatico della Serbia2, ridussero le pretese serbe, ma non poterono impedire la separazione del Kosovo dall’Albania né la sua spartizione. Con la nascita dell’Albania si pose da subito, dunque, il problema di un’incompiuta unificazione nazionale, che vedeva proprio nella separazione degli albanesi del Kosovo dal resto dell’Albania la prova più evidente delle ingiustizie imposte dai diktat delle grandi potenze al popolo albanese. Ahmed Zogu, che a partire dal COPIA PER L'AUTORE 1925 avviò la stabilizzazione del paese, dopo i sofferti primi anni di vita3, si dovette sempre confrontare con questo problema dando risposte diverse a secondo dei momenti e delle sue personali necessità politiche. Non c’è dubbio, comunque, che il politico alba-
all’attentato di Sarajevo, Milano, Bocca, 1942; FERDINANDO SALLEO, Albania: un regno per sei mesi, Palermo, Sellerio, 2000; ANTONELLO BIAGINI, Storia dell’Albania dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani, 1998. Un rimando va anche fatto ai noti, ma in parte superati, studi di STEFANAQ POLLO e ARBEN PUTO, Histoire de l’Albanie des origines à nos jours, Roane, Horvath, 1974 e di STAVRO SKENDI, Albania, New York, Frederick A. Praeger, 1956. 2 Sulla competizione e sulle convergenze della politica italiana e austriaca in relazione al problema albanese, v. ALESSANDRO DUCE, L’Albania nei rapporti italo-austriaci (1897-1913), Milano, Giuffrè, 1983; GIAMPAOLO FERRAIOLI, Politica e Diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di San Giuliano (1852-1914), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007. 3 Trattano delle problematiche internazionali dei primi anni di vita dello stato albanese i seguenti studi: PIETRO PASTORELLI, L’Albania nella politica estera italiana 1914-1920, Napoli, Jovene, 1970; LUCA RICCARDI, Il proclama di Argirocastro: Italia e Intesa in Albania nel 1917, in “Clio”, 1992/3; LUCA MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna nel primo dopoguerra 1919-1922, Roma, Jouvence, 1999, 2 voll.; FRANCESCO CACCAMO, L’Italia e la “Nuova Europa”. Il confronto sull’Europa orientale alla conferenza della pace di Parigi (1919-1920), Milano, Luni, 2000.
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nese avesse netta consapevolezza dell’esistenza di una questione nazionale e che la conquista del Kosovo, ormai jugoslavo, rientrasse tra le sue aspirazioni. Nel 1925, nell’alleanza siglata con l’Italia in funzione antijugoslava era inclusa, infatti, la così detta clausola irredentista relativa proprio alla possibilità, in caso di guerra vittoriosa, di annettere il Kosovo4; proprio a significare la sua adesione al programma di unificazione nazionale, nel 1928, poi, con la trasformazione del regime in una monarchia, Zog aveva scelto come titolo quello di “re degli albanesi” e non d’Albania, sollevando non poche perplessità a livello internazionale; e gli accordi segreti presi con l’Italia in quello stesso anno facevano espressa menzione ad un appoggio italiano perché all’Albania fossero restituiti i suoi figli abitanti “al di là del confine orientale”5 . COPIA PER L'AUTORE
4 Sui rapporti italo-albanesi negli anni Venti del Novecento, v. PIETRO PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927. Origini diplomatiche del Trattato di Tirana del 22 novembre 1927, Firenze, Biblioteca della Rivista di Studi Politici Internazionali, 1967. Molti contributi interessanti in G. DAMMACCO (a cura di), L’omicidio politico di Luigi Gurakuqi, Cacucci, Bari, 1988. 5 Sul negoziato italo-albanese, v. lo studio sulla politica estera del fascismo tra il 1922 e il 1935 di FRANCESCO LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italo-francese del 1935 nella politica di Mussolini, Roma, 1984, pp. 159-160. Il testo dello scambio di lettere segrete è in Sola a Mussolini, 21 agosto 1928, in DDI, s. VII, vol. VI, D. 570. V. anche, sulla politica estera fascista in relazione ai Balcani, ENNIO DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana (1919-1933), Cedam, Padova, 1960; ENZO COLLOTTI, Fascismo e politica di potenza. Politica estera 1922-1939, Milano, La Nuova Italia, 2000. Sulle relazioni economiche tra Italia e Albania, v. ALESSANDRO ROSELLI, Italia e Albania: relazioni finanziarie nel ventennio fascista, Il Mulino, Bologna 1986, e gli studi di MATTEO PIZZIGALLO, L’AGIP degli anni ruggenti (1926-1932), Milano, Giuffrè, 1984 e La “politica estera” dell’AGIP (19331940). Diplomazia economica e petrolio, Milano, Giuffrè, 1992. Sul contrasto italojugoslavo circa l’Albania, v. MASSIMO BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia (1922-1939), Bari, Edizioni B.A. Graphis, 2006. Sulla politica interna del re degli albanesi, v. J. SWIRE, King Zog’s Albania, London, Robert Hale and Co, 1937; MICHAEL SCHMIDT-NEKE, Entstehung und Ausbau der Koenigsdiktatur in Albanien (1912-1939). Regierungsbildungen, Herrschaftsweise und Machteliten in einem jungen Balkanstaat, Muenchen, Oldenbourg, 1987; ROBERTO MOROZZO
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Dopo l’occupazione dell’Albania, del 7 aprile 19396, l’Italia ereditò lo stesso problema che aveva attanagliato anche Zog: come rispondere all’insoluta questione della nascita di uno stato nazionale per tutti gli albanesi e che atteggiamento prendere verso la montante marea nazionalista interna ed esterna in relazione al problema delle terre sotto la Jugoslavia? La situazione del Kosovo7, al di là della storia tormentata che lo DELLA ROCCA, Nazione e Religione in Albania, Nardò, Besa, 2000; BERND JÜRGEN FISCHER, King Zog and the Struggle for Stability in Albania, Boulder (CO), East European Monographs, 1984. 6 Sull’occupazione dell’Albania, v. MOROZZO DELLA ROCCA, Nazione e religione in Albania, cit., pp. 141-147; ANTONELLA ERCOLANI, L’Italia in Albania: la conquista italiana nei documenti albanesi (1939), Roma, Libera Università San COPIA PER L'AUTORE Pio V, 1999. 7 Sulla questione del Kosovo, la letteratura si è accresciuta a dismisura durante e dopo la crisi balcanica di fine XX secolo. Sui precedenti storici del Kosovo, si rimanda agli ormai classici studi di MARCO DOGO, Kosovo. Albanesi e Serbi le radici di un conflitto, Marco, Lungro di Cosenza, 1992, che ha utilizzato ampiamente il materiale reperito negli archivi italiani e, per una ricostruzione più generale, a quelli di NOEL MALCOM, Storia del Kosovo. Dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani, 1999, pp. 301-326, ROBERTO MOROZZO DELLA ROCCA, Kosovo. La guerra in Europa. Origini e realtà di un conflitto etnico, Milano, Guerini e associati, 1999, e MIRANDA VICKERS, Between Serb and Albanian. A History of Kosovo, New York, Columbia University Press, 1998; interessante, ma con diverso taglio, è PAULIN KOLA, The Search for Greater Albania, London, Hurst & Company, 2003. V. anche FRANCESCO CACCAMO, Kosovo, 1919: un progetto italiano di autonomia, in “Limes”, 1989/4. Ottime informazioni sui precedenti etnici e storici della regione fornisce il saggio introduttivo di KONRAD CLEWING, Mythen und Fakten zur Ethnostruktur in Kosovo – Ein Geschichtlicher Ueberblick, in KONRAD CLEWING - JENS REUTER (a cura di) Der Kosovo Konflikt. Ursachen, Akteure, Verlauf, Muenchen, Bayerische Landeszentrale fuer Politische Bildungsarbeit, 2000, pp. 17-54. V. anche THOMAS BENEDIKTER, Il Dramma del Kosovo. Dall’origine del conflitto fra serbi e albanesi agli scontri di oggi, Roma, Datanews, 1999, pp. 17-44. Si segnalano, infine, per la prospettiva attuale di questa tematica i seguenti volumi della rivista “Limes”: Macedonia/Albania le terre mobili, 2001/2; I Balcani non sono lontani, 2005/3; Kosovo lo stato delle mafie, 2006/3; Kosovo non solo Balcani, 2008/3.
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contrassegnava dal 1913, quando come detto la regione era passata sotto controllo serbo, si presentava nel 1939 particolarmente grave per due principali motivi, solo apparentemente slegati tra loro, ma concorrenti con lo stesso obiettivo della cacciata degli albanesi: da una parte l’accordo tra Jugoslavia e Turchia per un trasferimento massiccio di popolazione musulmana dalla prima alla seconda; dall’altra l’inasprimento delle misure di esecuzione della riforma agraria applicata con durezza e “governata da metodi di vera e propria persecuzione politica”8 . L’accordo turco-jugoslavo rispondeva sia alla volontà di Belgrado di sbarazzarsi dell’elemento albanese, sia al desiderio di Ankara di colonizzare l’interno dell’Anatolia con popolazione contadina di religione musulmana. Ufficialmente, dunque, si trat-COPIA PER L'AUTORE tava di trasferire turchi, non albanesi, ma giocando sulla confusione tra etnia e religione di fatto il trasferimento aveva come oggetto la comunità albanese. Con l’equivoco della religione, quindi, e in pieno accordo col governo turco, le autorità di Belgrado erano riuscite a trasferire in Anatolia decine di migliaia di albanesi musulmani, secondo calcoli albanesi circa 80.000 individui, nel corso dei quindici anni di vigore dell’accordo. L’accordo, che secondo fonti albanesi era stato rinnovato e ampliato nell’ottobre 1938, prevedeva l’emigrazione in Turchia da 250.000 a 300.000 “turchi” abitanti in Jugoslavia. Ma risultava chiaro che, in realtà, nello stato jugoslavo la consistenza della comunità turca era assai inferiore: di turchi propriamente detti se ne potevano contare circa 25.000, tra l’altro decisamente contrari ad essere deportati entro gli angusti confini della rinata Turchia e per di più nelle steppe anatoliche9. Concentrati nei grossi centri urbani
8 Indelli a Ciano, 7 giugno 1939, n. 2372/791, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Kossovese. 9 Promemoria per l’Eccellenza il Sottosegretario di Stato per gli Affari Albanesi, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Sussidi ad albanesi nel Kossovo. Sul documento si legge l’annotazione che il promemoria era stato consegnato da Shtylla il 28
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e dediti ai commerci, i turchi della Jugoslavia formavano un ceto medio discretamente benestante e del tutto inadatto alla colonizzazione agricola prevista da Ankara. Contro questa situazione si erano più volte sollevate le proteste del governo di Tirana e dei rappresentanti della minoranza albanese in Jugoslavia, ma tutto era stato inutile. Il trasferimento della popolazione del Kosovo aveva subito comunque un rallentamento alla metà degli anni trenta, ma non tanto per motivazioni politiche quanto per ragioni economiche, dovute ai riflessi della grande crisi economica del 1929. I contraccolpi della crisi americana, giunti con qualche ritardo in Europa rispetto al crollo di Wall Street, fecero sentire i loro effetti anche sull’economia della Jugoslavia, che al contempo veniva privata anche delle riparazioni tedesche di cui COPIA PER L'AUTORE era beneficiaria, riparazioni cui i vincitori della Germania misero fine con la conferenza dell’Aia del 1932. Il governo di Belgrado ebbe perciò difficoltà nell’esecuzione dell’accordo, dato che in base ad esso avrebbe dovuto pagare al governo turco da 15 a 25.000 dinari per ogni famiglia che si fosse trasferita in Turchia10 . Il secondo principale strumento utilizzato da Belgrado per mutare la realtà demografica del Kosovo e diminuire la consistenza del gruppo albanese era la riforma agraria. Al di là dei criteri, spesso parziali, con cui essa ridistribuiva la terra, che sovente privilegiavano gli slavi, la riforma puntava a spezzare il latifondo, colpendo in primis le estese ricchezze terriere degli albanesi musulmani. Frazionando e limitando la grande proprietà terriera, le
maggio 1940. Sull’accordo turco-jugoslavo, v. MARCO DOGO, Storie balcaniche. Popoli e stati nella transizione alla modernità, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1999, pp. 121-132. 10 Promemoria di Tahir Shtylla per l’Eccellenza il Sottosegretario di Stato per gli Affari Albanesi, cit. Vale la pena notare che in un successivo memorandum compilato da Shtylla per le autorità italiane nell’agosto 1940, la comunità turca veniva stimata in 40.000 individui, mentre rimaneva fermo il dato di 80.000 albanesi obbligati al trasferimento in Turchia perché definiti “turchi”.
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autorità serbe distruggevano il çiflik, sorta di feudo ereditario, posseduto da tempi antichi da signori albanesi di religione musulmana. Entro le sue estesissime terre, potevano insistere uno, due, tre o addirittura cinque villaggi abitati per lo più da contadini albanesi o talvolta bulgaro-macedoni che si occupavano della sua coltivazione. Si distruggeva, quindi, con la riforma agraria l’unità economica e amministrativa che stava a fondamento della società albanese, ottenendo anche per questa via l’emigrazione delle famiglie albanesi viventi nel çiflik. A più di venti anni dall’annessione del Kosovo, non sembrava esservi, dunque, per le autorità serbe altro rimedio per stabilire definitivamente il proprio controllo sulla regione che la cacciata degli albanesi, vuoi con la riforma agraria, vuoi con l’emigrazione COPIA PER L'AUTORE forzata in Turchia. Lo dimostrava una relazione di P. Kumović, ispettore del ministero degli Interni jugoslavo, stilata nel dicembre 1938, che sosteneva come unica vera soluzione del problema nazionale serbo proprio il “trasferimento” degli albanesi del Kosovo e il suo ripopolamento con l’elemento serbo. Con rammarico si constatava che il tentativo di colonizzazione, protrattosi ininterrottamente dal 1913, non aveva dato i risultati sperati né in Voivodina né nella Serbia meridionale a causa di ritardi e indecisione. Da ultimo, spiegava la relazione, proprio nel momento in cui gli albanesi e i turchi si stavano decidendo all’emigrazione in massa, erano sopraggiunte le elezioni che avevano “intralciato e rovinato tutto il lavoro delle nostre autorità agrarie”. D’altro canto, la nuova convenzione turco-jugoslava per il trasferimento di albanesi e turchi, già parafata, non era stata ratificata dai rispettivi parlamenti, mentre erano falliti i tentativi fatti dall’Albania per bloccarla convincendo il governo turco a ripudiarla. Le pressioni diplomatiche di Tirana presso il governo di Ankara e il sostegno ottenuto a livello internazionale con l’interessamento della Germania, che aveva compiuto un passo sul governo turco per impedire la convenzione, non avevano infatti potuto scalfire i solidi legami
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politici tra Turchia e Jugoslavia e le relazioni di personale amicizia esistenti tra il primo ministro jugoslavo Stojadinović da una parte e Kemal Ataturk e il suo successore alla guida del governo turco, Ismet Inonu dall’altra11 . Kumović, dunque, lanciava un accorato appello a velocizzare la ratifica della convenzione con la Turchia e ad organizzare a Skopje, entro il gennaio 1939, un ispettorato ad hoc per il trasferimento di turchi e albanesi dandogli “piena e illimitata libertà” per l’esecuzione della convenzione stessa, “perché non dobbiamo dimenticare che nella Serbia meridionale ci sono oggi 732.000 albanesi e turchi, - 280.000 - 300.000 bulgari e appena 220.000 serbi, risulta quindi che noi siamo in quella regione minoranza assoluta, in nessun caso questo si avrebbe [sic] dovuto permettere ed evi-COPIA PER L'AUTORE tare che dopo 20 anni si possa tutt’ora riparlare della questione”. La convenzione stabiliva l’invio in Turchia di 40.000 famiglie di almeno cinque membri, ma il funzionario serbo proponeva che essa fosse modificata in modo da prevedere anche uno scambio di popolazione, allo stesso modo di quanto avevano fatto turchi e greci dopo la pace di Losanna del 1923. Con questa previsione si sarebbe potuto completare il trasferimento in Anatolia dei rimanenti albanesi e turchi della Serbia meridionale e la loro sostituzione con i circa 100.000 serbi residenti in Turchia. Primi ad essere trasferiti dovevano essere gli albanesi abitanti lungo la frontiera con la Jugoslavia, per una profondità di 80 km. Inoltre, secondo Kumović, facendo attenzione a scegliere le famiglie più numerose, con 10 e più membri, la cifra totale degli individui da trasferirsi avrebbe potuto elevarsi da 200.000 a più di 300.000. Altra proposta di Kumović era quella di stipulare una convenzione anche con Tirana per lo scambio dei circa 100.000 slavi pre-
11 Shtylla ricordava che era stato appositamente compiuto un viaggio di Mehmed Konica ad Ankara, e che sia l’incaricato d’affari albanese nella capitale turca, sia i ministri di Germania a Tirana e Ankara avevano tentato di intervenire per impedire l’attuazione dell’accordo.
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senti in Albania con altrettanti kosovari. Dalla efficacia e dalla rapidità del trasferimento degli albanesi dipendeva anche l’efficacia e la rapidità della colonizzazione da parte dei serbi. Il trasferimento, infatti, avrebbe affrettato l’esecuzione della riforma agraria, permettendo alle autorità preposte di trovare subito terra e case disponibili per i coloni serbi e montenegrini, ai quali la terra doveva essere assegnata con procedure abbreviate e semplificate: le autorità agrarie e l’ispettorato dovevano “mettere il colono in possesso della casa e della terra a lui destinati e con questo resa conclusa la sua installazione”. Va da sé che il trasferimento non prevedeva nessun tipo di consenso od opzione da parte dei trasferiti, anzi Kumović non nascondeva che né albanesi né turchi avessero alcuna volontà di lasciare le loro terre12 . COPIA PER L'AUTORE Ma l’appello accorato a risolvere la questione nazionale serba lanciato da Kumović non giunse in un momento favorevole. Alla metà del 1939, infatti, un’ulteriore spinta a non esasperare le condizioni della popolazione albanese venne anche dal particolare clima elettorale. Sia l’ex presidente del Consiglio, Stojadinović, sia il governo in carica, guidato da Dragisa Cvetković, desideravano mantenere un accordo con i capi della minoranza albanese, accordo che all’epoca delle precedenti elezioni aveva fruttato l’apporto al partito governativo di 180.000 voti e l’elezione alla Skupština, il parlamento di Belgrado, di alcuni deputati albanesi kosovari. Tra gli esponenti della minoranza albanese spiccava per ruolo e lignaggio Ferhad Bey Draga, persona influentissima nel Kosovo,
12 Problema e metodi. Il trasferimento degli albanesi e dei turchi della Serbia meridionale in Turchia, relazione di P. Kumović, m.p., ispettore del Ministero degli Interni, Belgrado, 23 dicembre 1938, in ASMAE, SSAA, B. 79, f. Kossovese. Su questi aspetti della questione kosovara, v. JENS REUTER, Serbien und Kosovo – Das Ende Eines Mythos, in Der Kosovo Konflikt, cit., pp. 139-148.
Il testo della convenzione turco-jugoslava è in ELSIE ROBERT, Kosovo in the Heart of the Powder Keg, Boulder (CO), East European Monograph, 1997, pp. 425-434.
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che era uno dei personaggi chiave delle vicende politiche kosovare da più di un ventennio. Personalità dalle mille sfaccettature, come molti altri notabili kosovari, poteva apparire di volta in volta come despota e signore delle sue terre ma anche come patriota albanese; come protettore degli slavi ma anche come loro aguzzino; come filo-jugoslavo ma anche come irriducibile oppositore di Belgrado13. Da tutti, però, era considerato il vero “capo” degli albanesi della regione tanto da divenire l’uomo più importante anche per la politica dispiegata dagli italiani a partire dal 1939. Ferhad Bey Draga era, tra l’altro, presidente della Comunità musulmana di Skopje, vero centro della vita politica e sociale dei kosovari, che pure si articolava in altre associazioni locali a carattere culturale o studentesco. COPIA PER L'AUTORE La Comunità, che raccoglieva tutti i musulmani del Kosovo, poteva contare su circa 2.800 Hoxha o Imam sparsi per tutto il territorio, amministrava 2.000 moschee, possedeva una organizzazione, la Gajret, simile alla Croce rossa, gestiva una scuola secondaria e il grande seminario a Skopje. Dal punto di vista religioso, la Comunità di Skopje dipendeva dal Reis-ul-Ulema di Sarajevo, che era il capo religioso di tutti i musulmani di Jugoslavia, dato che estendeva la sua autorità anche sulla comunità islamica che radunava i fedeli slavi di Bosnia e la minoranza turca. Guida della Comunità musulmana jugoslava nel 1939 era Fehim Spaho, fratello di Mehmed, ministro delle Comunicazioni jugoslavo e capo politico dei musulmani di Bosnia, uno dei ministri che in associazione ai croati aveva determinato nel febbraio di quell’anno la crisi del governo Stojadinović14 .
13 Su Ferhad Bey Draga, v. DOGO, Kosovo, cit., ad indicem e MALCOM, Storia del Kosovo, cit., ad indicem. V. anche, ROBERT ELSIE, Historical Dictionary of Kosova, Lanham (MA), The Scarecrow Press Inc., 2004, p. 53. 14 Sulla crisi interna jugoslava e la caduta di Stojadinovic, v. J.B. HOPTNER, Yugoslavia in Crisis 1934-1941, New York and London, Columbia University Press, 1962, pp. 128-129.