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I giorni dell'attesa

quel martedì mattina l'entusiasmo esp los e letteralmente nella città giuliana, che apparve tutta ricoperta dal tricolore. Non è possibile valutare anche per approssimazione il numero delle bandiere che comparvero alle finestre ed ai balconi: si tenga solo conto che negli ultimi tre giorni 50.000 vessilli erano stati distribuiti gratuitamente dalla Lega Nazionale, che migliaia di altri furono cuciti in fretta nelle case c che i negozi ne avevano esaurito tutte le scorte in poche ore.

Come è stato ben descritto in un volume che rievoca dettagliatamente la cronaca di quelle giornate3, lo spettacolo di decine di migliaia di persone che cominciavano ad aprire ad una ad una le finestre per esporvi il tricolore fu di una bellezza tutta singolare. L'alba di quella mattina del 5 ottobre era piovosa, ed il riverbero della vegetazione carsica non raggiungeva la città, ma nonostante ciò essa aveva l'apparenza di una tavolozza.

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Pressappoco alla stessa ora a Roma, al Quirinale, intorno al Presidente della Repubblica Luigi Einaudi si erano riuniti i ministri ed i rapp r esentanti della Giunta Comunale di Trieste con a capo il prosindaco Visintin. Dopo aver firmato il messaggio destinato alle popolazioni del TLT che tornavano all'amministrazione italiana, alle ore 13, allorché giunse da Londra la conferma della stipu la dell' accordo, il Presidente della Repubblica, levandolo dal cofano verde che lo conteneva e dopo averlo baciato, consegnò nella mani del prosindaco di Trieste un grande tricolore.

A Trieste, la ratifica dell'accordo londinese determinò la sospensione del respiro di centinaia di migliaia di cittadin i nell'attimo in cui, alle 14, salirono sui pennoni di piazza dell'Unità due grandi bandiere. Una di esse era ancora quella che era stata innalzata nel 1918, mentre l 'a ltra era stata confezionata appositamente per questo rito. Conren1poraneamente il tricolore comparve, per la prima volta dopo il 1945, su tutti gli edifici pubbli.ci, sulla Torre Civica e sul campanile di San Giusto. Il simbolo nazionale ritornò così a spiegarsi al vento dopo undici anni di ostracismo al quale lo avevano condannato tre specie di occupanti. n giorno successivo segnò l'inizio di una serie di manifestazioni delle quali sarebbe stato difficile prevedere la durata. Ogni atto della rappresentazione si prolungava per un'intera giornata. Ogni mattina ed ogni sera, alia medesima ora, l'alza e l'ammaina bandiera in piazza dell'Unità davano il segnale del principio e della fine dell'azione, proprio come l'alzarsi e l'abbassarsi del sipario a teatro. Solo a tarda notte la città si addormentava. La duplice, quotidiana cerimonia davanti al Palazzo del Governo aveva in sé una suggestione coreografica rappresentata dal corteo di decine di automobili e di motorette imbandierate, stipate di cittadini, che seguivano ogni mattina ed ogni sera il carro attrezzi dei vig ili del fuoco preposto alia c erimo nia.

La sera del5 ottobre, nel corso di una conferenza stampa tenuta dal consigliere politico italiano ministro Fracassi, venne illustrato il testo dei protocolli firmati a Londra. n ministro disse di non sapere quando sarebbero arrivate Je truppe italiane in città, precisando solo che il t ermine minimo era di 21 giorni e quello massimo di 30, e di non conoscere ancora esattamente il tracciato della nuova linea di confine. Ma nel frattempo la popolazione della "zona minacciata", come ven iva definito il territorio che in base all'accordo sareb be dovuto passare alla Iugoslavia , attendeva ansiosamente di conoscere l a propria sorte e stava sul piede di partenza.

Durante la predetta conferenza stampa erano anche stati diramati gli inviti per la riunione programmata per il pomeriggio di mercoledì 6 al castello di Duino , dove il comandante militare alleato della Zona A, in procinto di lasciare l ' incarico, avrebbe ricevuto il generale italiano De Renzi designato ad assumere il comando militare di Trieste. Nella riunione si sarebbero anche definiti i preliminari relativi al passaggio dei poteri.

Il generale De Renzi , insieme ad altri sette ufficiali , entrò nella Zona A alle 14.50. Era il primo militare italiano che metteva ufficialmente pied e oltre il posto di blocco di Duino; altri ufficia li italiani, prima di lui e dopo il 1945, erano venuti a Trieste in varie occasioni, ma sempre e soltanto in qualità di invitati e raramente in uniforme. Il cielo era grigio e minacciava pioggia. Un leggero vento investiva dall'altopiano quella terra irrigata dalle acque del Timavo . E sarebbero stati proprio i profughi istriani di San Giovanni del Timavo a dare il primo benvenuto al rappresentante dell'esercito ita - liano. Un picchetto d'onore formato da un plotone della Polizia Civile presentò le armi, ma la scena non ebbe nient e di marziale. Ad impedirlo, fu la folla di triestini che erano venuti a salutare il generale per conto loro ed a modo loro. on appena fu possibile, si formò il corteo delle automobili diretto al vicino castello di Duino. ul piccolo piazzale antistante l'ingresso, la fanfara del 2 ° battaglione dei Lancaster Fucìliers eseguì gli inni na z ionali italiano, inglese cd americano. Il generale De Renzi , al cui fianco e ra il col. Gaspari, capo di stato maggiore del V Corpo d ' Armata c suo aiutante in prima, passò in rassegna il picchetto d'onore del 351 o reggimento di fanteria statunitense.

Oltrepassata la soglia del castello , il cerimoniale da militare si tramutò in quasi mondano. Ci fu la protocollare stretta di mano con il generale Winterton, immortalata dai numerosi fotografi, alla quale seguì il ricevimento offerto ai rappresentanti della stampa. Poi le delegazioni italiana, inglese ed americana si ritirarono in una stanza per la discussione dell'accordo. Le porte vennero sbarrate, e all'esterno si piazzarono gli uomini della Militar;• Police.

Della delegazione italiana facevano parte, oltre al generale De Renzi cd al col. Gaspari, il ministro Fracassi, il prefetto Vitelli, direttore superiore dell'amministrazione del Governo Militare Alleato, il ren. col. d'artiglieria Palla. designato quale capo di sraro maggiore del governatore, il ren. col. del genio Montiglio, suo vicecapo, poi il ten. col. del genio Pirrone, il maggiore di fanteria Casertano, il maggiore degli alpini Vendramin ed il capitano di artiglieria Cagiari. La delegazione alleata era formata dal generale Winterton, dal generale Dabney, dal consigliere poi itico inglese Broad, dal consigliere politico americano Sims, dal col. Porter, capo di stato maggiore delle truppe americane, dal col. Maynell, capo di stato maggiore delle truppe alleate della Zona A, dal ten. col. Lough, capo di stato maggior e d e ll'amministrazion e del G.M.A., dal ten. col. Russel, capo della segreteria politica del Comandante di Zona, dal direttore dell'ufficio informazioni alleato Dunham e dall'interprete ren. col. Sasso n.

Alle 17.30 il generale Dc Rcnzi ed il suo seguito ripartirono per Udine, dopo essersi accordati con i rappresentanti alleati sui punti essenziali del piano per il trasferimento all'Italia dei poter i nella Zona A e per l'ingresso delle forze armare italiane.

Da quello stesso giorno. cd anche in quelli successivi, la maggior parte delle truppe alleate rimase consegnata nelle caserme, intenta agli ultimi preparativi prima della partenza. Gli inglesi, particolarmente, osservavano strettamente la consegna. Sembrava fossero spariti dalla circolazione c certamente non partecipavano alla gioia dei triestini. Questo atteggiamento costituiva, in buona parte, il fnnto del comportamento tenuto dal generale Winterton fin da quando, il 19 marzo 1951 , aveva assunto il comando delle forze alleate del TLT succedendo al generale Aircy. Allorché. tre giorni dopo, il nuovo comandante ebbe il primo contatto con la stampa locale e con i giornalisti esteri e gli inviati speciali accreditati presso il G.M.A , sembrò non essere del tutto ins e nsibile alle istanze degli italiani e fece una dichiarazione nella quale, ri[erendosi alle proprie esperienze durante la prima guerra mondiale. espresse sentimenti di simpatia nei confronti della popolazione italiana, il che determinò il risentimento dei rappresentanti della stampa slovena che abbandonarono la sala. Ciò avrebbe determinato in lui, nell'intento eli dimostrare la propria imparzialità, la necessità di dar luogo ad una politica del di- vide: cl impera, che avrebbe in seguito pn.wocato gli incrcsciosi e talvolta drammatici incidenti dei quali s'è detto.

' E1le aueggiamento lo avrebbe portato più di una volta a prendere pnwvedimenti non adeguati alla realtà della situazione. Esattamente un anno dopo il suo arrivo a Trieste, dopo i sanguinosi episoJi del marzo 1952, anziché adoperarsi per calmare gli spiriti accesi, inasprì la popolazione triestina inJirizzando al direttore di pubblica sicurezza un messaggio nel quale esprimeva il proprio elogio per il moJo risoluto ed esemplare con il quale aveva affrontato i disordini.

Ciò <l\'eva fatto si che, forti Ji questo avallo, durame i nuovi incidenti Jel novembre 1953 le forze dell'orJine si sentissero autorizzate, quand'anche non spronate, a reprimerli in maniera ancor più violenta e brutale. Da quel momento, il generale \XIintcrton fu a Trieste l'uomo più odiato dalla popolazione italiana.

E' alla luce di questi fatti che si possono capire, anche se non giustificare, i motivi per i quali Winterton, alla scadenza del suo mandato. preferì sottrarsi all'obbligo di congedarsi ufficialmente dalle nuove autorità civili e militari di Trieste, dopo che le truppe italiane avevano farro il loro ingresso in città

Alle 11 di quella mattina, infatti. Winterton avrebbe dovuto cedere i poteri al genera le De Renzi. Il generale inglese affermò che non aveva potuto presentarsi all'appuntamento con De Renzi per co lpa del maltempo, ma la scusa era puerile. L'ipotesi più verosimile era che egli temesse di esporsi ad una dimostrazione di scherno da parte della popolazione, che infatti nei giorni precedenti aveva fatto incerta nei negozi della c ittà di tutti i fischietti disponibili, senza dissimulare l'uso a l quale intendeva destinarli. Winterton sarebbe partito insalutato ospite, accompagnato da un uragano di fischi.

Con gli americani, invece, i rapporti erano stati improntati a reciproca simpatia sin dall 'ar rivo delle loro truppe ncl1945, nonostante il primo comandante militare della città, colonnello Bo\\'man, non avesse fatto molto per favorirla mantenendo un contegno non proprio amichevole verso la popolazione italiana. A differenza degli ing lesi gli americani, allorché venivano comandati in serviz io di ordine pubblico, prendevano la cosa con spirito sportivo ed esprimevano con parole e fatti la loro solidarietà ai triestini; per cui quando i loro reparti arrivavano sul terreno degli scontri, anziché ven ir fatti segno all'ostilità della folla erano inv ece calorosamente applauditi.

Venerdì 8 ottobre 1954, davanti al generale D abney comandante delle forze statunitensi, si mosse il primo di una colonna di cento camion Dodge, carichi di materiali, con destinazione Livorn o, su ciascuno dei quali oltre all'autista c'erano 24 uomini. Alle 8 del mattino il primo contingente di 250 soldati del presidio militare di Trieste aveva definitivamente abbandonato il TLT, dopo essersi congedato tra manifestazioni di simpatia ed affetto. L'indomani e nei giorni successivi sarebbero seguite le partenze di un secondo e di un terzo scaglione accasermati tra San Giovanni, Roiano e Prosecco.

Sempre in quello stesso giorno di venerdì 8, arrivarono ad Albaro Vescovà, v illa ggio attiguo alla lin ea di demarcazione tra la Zona A e la Zona B, alcuni autocarri dell'esercito americano che scaricarono una trentina di sedie destinate ai membri della comm issione mista incaricata di fissare la nuova linea di confine e formata da ufficiali americani, inglesi e iugoslavi. T co lloqui vennero interrotti alle 17.30 e sarebbero ripresi il giorno successivo, sabato 9, con questa novità: che la commissione mista, da triplice, sarebbe diventata quadruplice.

Ai lavori, infatti, potevano assistere anche due osservatori italiani, parrecipazione alla quale i delegati iugoslavi avevano inizialmente cercato di opporsi nonostante fosse stata prevista anche nel testo dell' accon..lo siglato a Londra.

La cronaca registrò inoltre il telegramma di risposta del presidente Einaudi al sindaco Barroli, che si era fatto interprete già dallo stesso giorno 5 dei sentimenti della popolazione (riestina ricongiunta a ll 'T tali a.

L'ing. Gianni B artoli, nel1954, era ormai da cinque anni sindaco della c i ttà. Nato a Rovigno d'Istria ncll900, aveva legato la propria sorte a quella di T rieste durante g li ultim i anni di guerra. Aveva fatto parte sin dall'inizio, per un certo periodo anche in veste di presid ente, del C.L.N., nel cui ambito rappresentava pure la Democraz ia Cristiana della quale era divenuto in seguito segretario provinciale. Nel maggio del 1945, durante l'occupazione iugoslava di Trieste, e r <l riuscito a so ttrarsi alla cattura da parte dci "ti tini", e dopo la

Jl COilllllicliO dctllcl popold!iotl<' eli ili< lllli lllililclli dllleri< ni cllld SlélZiOlll' fl'ITO\ 'iclficl <li TtiC'-.11' creazione del TLT si era gettato anima e corpo nel! 'agone politico fondando il Comitato di difesa dell'italianità di Trieste, del quale sarebbe divenuto anche presidente, c collaborando attivamente all'Opera per i profughi giuliano-dalmati della quale avrebbe ricoperto la carica di consigliere amministrativo. Era stato nominato sindaco nel 19-+9. n descritto scenario era articoJato su due blocchi principali, dei quali uno - più numeroso ma non per questo più omogeneo - filoitaliano, mentre l'altro , meno cospicuo ma più compatto e combattivo oltre misura, antitaliano, entrambi molto più impegnati nel combattersi fra loro che non per il benessere della comunità.

Gianni Bartoli. durante gli "anni difficili" di Trieste. fu senza alcun dubbio un personaggio tipico. Nessuno più di lui avrebbe forse meritato di assumere e rccit<lrc la parte di protagonista di quelle storiche giornate dell'ottobre 195-+. Più che amministratore della città, infatti , eg li era stato in quegli anni il suo oratore ufriciale, uno dei più fervidi nel proclamarne in ogni occasione l'ita lian ità. Con i poteri di sindaco ridotti ai minimi termini, poiché ben poco avrebbe potuto decidere senza il consenso del Governo Militare Alleato, Bartali dedicò gran parte del proprio tempo alle cerimonie ufficiali di ogni genere, il che gli consenriva ogni volta di pronunciare un discorso che si trasformava progressivamcnre in un comizio ricco di fervidi, appassionati richiami all'Jtalia. Per quanto cercasse di controllarsi, in ognuno di questi frangenti Bartoli finiva sempre per commuoversi fino alle lacrime. ammantando la sua esposizione di un'intensa carica emotiva. Era stato per questo che l'umorismo popolare gli aveva affibbiato un nomignolo che non era sinonimo di scherno quanto invece di affettuosa, riconoscente arguzia: "Gianni Lacrima".

Su Gianni Bartoli sono stati pronunciati i giudizi piLJ disparati, nessuno dci quali, probabilmente, può essere considerato esatto. Il loro punto debole consiste nel fatto che sono stati pronunciati nel momento più difficile e confuso della storia di Trieste , quando le contese politiche intestine si andavano inasprendo ogni giorno di più dando luogo ad equivoci, malintesi c conflittualità. Amministrare per quasi otto anni una città soggetta ad un go\'crno mil i tare straniero significava già di per sé dover subordinare ogni delibera all'approvazione dell'autorità tutoria.

Un'autorità che si dimostrava intransigente, burocratica fino all' esasperazione, dispotica e, come se non fosse sufficiente, composta da uomini appartenenti a due popoli diversi e come tali esprimenti non una ma due mentalità spesso in contrasto fra loro e quasi sempre inconciliabili con quella della popolazione triestina. Quest'ultima, per di più, era a sua volta suddiv isa in tante correnti ideologiche per quanti erano i movin1enti politici che la rappresentavano.

In questo contesto, e pur essendo f uor di dubbio popolare, il sindaco era costretto tuttavia a difendersi su vari fron6, poiché proprio la su a popolarità suscitava invidie e gelosie.

Il dolow <l<'gli dl)itdnti Lot li: t drstit Jclld in hd'->t • dl l'd< cure lo d J)i:lSSciJ'( ' ciii il Il l gim d Ili triestini , cglidllo nc ll \lt t('...,<l dcil'drti\'1 1 delle truppl'

Fu sua anche la decisione, in quel5 ottobre 1954, di far suonar tutte le campane che facevano parte del complesso di San Giusto. Fino a pochi giorni prima, erano nell'assoluta impossibilità di far udire la propria voce, essendo state rimosse poiché bisognava rinforzare i basamenti del campanile che l'enorme peso dei bronzi, con il trascorrere degli anni, aveva scavato e corroso. Erano cinque in tutto, in riga, sistemate una vicino all'altra in ordine di grandezza. La più piccola era state relegata all'interno; in mezzo tre di più recente fabbricazione friulana. Ultimo , affacciato alla grande arcata a tutto sesto , rivolto verso il mare, e LCampa n on.

Lo storico bronzo era orma i più che centenario , in quanto era stato fuso per la seconJa volta nel 1829, ec.l aveva salutato con il suo baritonale eJ intenso suono le date storiche più significative Jella città. D a molto tempo, ormai, non aveva avuto più occasione di farlo. Dal 194 3 in poi, e fino a quell'ottobre 1954, Tri este non aveva più registrato g io rni felici, neanche un anno prima, 1'8 ottobre 1953 , allorché Jopo l'annw1eio Jella nota bipartita si era salu tato troppo frettolosamente in I talia il suo rirorno alla madrepatria. Aveva suonato, si, un mese dopo, ma erano stati rintocchi mesti, con i quali il Campanon aveva accompagnato al cimitero le vitti me di quelle quattro sanguinose gio rnate di novembre.

Ora invece, per quanti sforzi si fossero fatti per rimetterlo in efficienza, non fu possibile aJoperarlo. Ma la sua voce non avrebbe potuto tac ere il g iorno in cui i soldati italiani avrebbero fatto il loro ingresso in città. Perché qu esto fosse possibile, fu deciso di sos penJere 1 lavori c Ji rimandare le gettate in cemento sui basamenti a dopo l'evento.

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