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verso la vittoria finale cff

rieste, un'ostrica che gli italiani si erano accinti finalmente a prelibare nell'autunno del1918, nell'ambito della battaglia che sarebbe stata storiograficamente indicata come quella di Vittorio Veneto.

Nel quadro di questa battaglia, il piano generale italiano si prefiggeva la rottura del fronte avversario nel punto di sutura fra le sue due armate sul Piave, la 5 ", detta anche Armata delJ' I sonzo, e la 6", con l'intento di scindere in due tronconi le forze nemiche del settore partendo dal Montello e puntando su Vittorio Veneto, modesto centro urbano ma importante nodo di comunicazioni, aggirando così da Sud la 6" armata ed impedendone il ripiegamento. E ciò a prescindere dall'attacco sul Grappa delJa 4" Armata, portato con lo scopo diversivo di attirare in quel settore le riserve austro-ungariche ma che si sarebbe tramutato in una battaglia di tipo carsico, con perdite enormi, ammontanti ad 1/3 degli effettivj delle fanterie impiegate e corrispondenti a 2/3 delle perdite totali di tutta la battaglia di Vittorio Veneto.

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La nostra offensiva sul Piave, iniziata il 26 ottobre, aveva incontrato le più grosse difficoltà non tanto nella contrapposizione nemica, pur presente ed efficace soprattutto nel tiro di interdizione delle artiglie rie ed in alcuni centri di resistenza accanita lungo la sponda orientale del fiume - come ad esempio nella piana di Sernaglia - quanto invece nell e condizioni di piena del fiume stesso che, in alcuni punti prescelti per il traghettamento, aveva travolto uomini, ponti, passerelJe e teleferic h e . Supera rolo comunque in più tratti, anche se in tempi diversi, iJ 2 9 ottobre Je teste dj ponte oltre Piave erano ri uni t e, e nell o stesso giorno aveva in izio l 'ult ima fase della battaglia, quella del completamento del successo attraverso la rottura p iena d el fron t e nemi c o. Nelle prime ore del mattino del30, una col onna celere cost ituita da reparti de ll 'V III Corpo d'Armata e del Corpo d'Armata d'Assalto, le due Grandi Unità entrambe comandare al momento dai genera le Grazio l i, faceva il suo ingresso a Vittorio Ve-

L'<: splnsiorK ' d i t tn proir tti le eli ca lii Ho cll ts tri aco sull'mgin e elci

Pi ave clll 'ini zio clcll tl l)a tt;:Jgli a eli neto, con il che si realizzava la scissione in due tronconi delle armate nemiche dislocate in montagna.

\ 'itt orio \ 'c rw to .

Alla vigilia dell'ultima battaglia. il quadro riassuntivo degli opposti schieramenti era il seguente:

Ordin e di batta gli a dell e fo rze austr o-un ga riche

Comando Supremo:

Imperatore Carlo I d'Asburgo; capo di S.M.: generale Arz von Straussenburg; sottocapo di S.M.: generale von Waldstatten; p.lenipotenziario tedesco: generale von Cramon.

Gruppo armate del Tirolo (dallo Stelvio al fiume Brenta):

Comandante: colonnello generale arciduca Giuseppe d'Asburgo.

10/\ armata: feldmaresciallo von Krobatin (dallo SteJvio all'AsticoV, XX, XXI, XIV C. d'A. c riserve).

11 /\armata: colonnello generale conte von Scheuchenstuel (dail'Astico al Brenta- III, XIII, VI C. d'A. c riserve)

Gruppo di armate Boroevic (dal fiume Brenta all'Adriatico):

Comandante: feldmaresciallo Svetozar Boroevic von Bojna.

Gruppo Belluno (dal Brenta a Fener sul Piave):

Comandante: generale von Goglia (XXVI, I , XV C. d'A. e riserve).

6A armata: generale principe Schonburg -Hartenstein (da Fener alle Grave di PapadopoJi -II, XXIV C. d'A. e riserve);

51\ armata: colonnello generale Wenzel Wurm (da Papadopoli alle foci del Piave- XVI, IV, VII, XXIII, XXII C. d'A. eriserve) .

Inoltre, alle dipendenze del gruppo di armate Boroevic, erano le truppe dislocate nei settori di Trieste, Pola, Gorizia e retrovie di Belluno. Rispetto alle formazioni durante la "battaglia del solstizio", erano avvenuti i seguenti mutamenti:

- l'arciduca Giuseppe d'Asburgo aveva assunto il comando dell'armata del Tirolo in sostituzione del feldmaresciallo Conrad. Al suo posto, il comando della 61\ armata era stato affidato al generale principe Schonburg-Hartenstein;

- il comando del XXIV C. d'A. , guidato dal valoroso generale Ludwig Goiginger, era stato affidato al generale Hafdy von Livno essendo stato il Goinginger trasferito sul fronte francese al comando del XVIII C. d'A. nel settore di Ornes, alle dipendenze del Gruppo di armate tedesche deJ feldmaresciallo Gallwitz.

La forza militare delle quattro armate austro-ungariche comprendeva 14 corpi d'armata con 56 divisioni e circa un milione di combattenti. L'artiglieria, dotata di 6.800 bocche da fuoco e 1.000 bombarde, restava numericamente invariata rispetto al giugno precedente ed era inferiore di circa 1.500 pezzi rispetto a quella italiana. li num e ro di a erei disponibili era di 450 unità.

Ordine di battaglia delle forze italiane cd alleate

(nel senso di es tensione del fronte da occidente ad or iente) alla data del 23 ot tobre 19 18: dallo Stelvio al Garda:

71\ Armata: ( ten. gen. G .C. T assoni) su:

III C. d'A. (ten. gen. V Camerana);

XXV C. d 'A (t en. gen. E. Ravazza ); truppe suppletive d ' armata; dal Garda a ft'A stico: lA Armata: (ten . gen. G. Pecori Giraldi) su:

V C. d 'A . (ten . gen. G. Ghersi );

X C. d'A . (ten. gen. G. Cattan eo);

XXIX C. d' A. (ten . gen. V. De Albertis); truppe suppl e tive d ' armata:

Altopiano dei Sette Co muni:

6/\ Armata ( ten. gen. L. Montuori) su:

XII C. d 'A. (ten. gen . G. Pennella ) ;

XIII C. d'A. ( ten. gen. U. Sani) ;

XX C. d'A. (ten. gen. G. Ferrari ); truppe supple tive d 'a rmata; dal Monte Grappa fino al Monte Pallone :

4/\ Armata ( ten. gen. G. Giardino ) su:

VI C. d 'A. (ten. ge n. S. Lombardi );

IX C. d'A. (ten. gen . E . De Bono );

XXX C. d 'A (te n. gen U. Montanari ); truppe suppletive d'armata: dal Monte Pallone al ponte di Vidor:

12/\ Armata (ten. gen. J. C. Graziani) su :

I C. d ' A. (ten. gen. D. Etna);

XII C. d ' A. francese (ten . gen . J.C. Graziani); truppe suppletive d ' armata: da Vidor al ponte della Priula:

8/\ Armata (ten. ge n. E. Caviglia) su:

VIII C. d'A. (ten. gen. A. Gandolfo);

XVIII C. d'A. (ten. gen. L. Basso);

XXII C. d'A. (ten. gen. G. Vaccari);

XXVII C. d'A. (ten. gen. A. Di Giorgio);

Corpo d'Armata d'Assalto (ten. gen. FS. Grazioli); truppe suppletive d ' armata; dal ponte della Priula a Ponte di Piave:

I()A Armata (ten. gen. FR.L. Cavan) su:

XJ C. d'A. (ten. gen. G. Paolini);

XIV C. d'A. inglese (tcn. gcn. J. M. Babington); truppe suppletive d'armata; da Ponte di Piave altnare:

31\ Armata (ten. gen. S.A.R. Emanuele Filiberto di Savoia -Aosta) su:

XVI C. d'A. (ten. gen. V. Alfieri );

XXVIII C. d'A. (ten. gen. G. Croce); truppe supplctive d'armata; riserva generale a disposizione del Comando Supremo:

IX Armata (ten. gen. P. Morrone) su:

XIV C. d'A. (ten. gen. P.L. Sagramoso);

XXII I C. d ' A. (ten. gen. E. Sailer); Corpo di cavalleria (magg. gen. S.A.R. Vittorio Emanuele conte di Torino).

In totale, le forze italiane potevano comare su 9 armate, comprendenti 57 divisioni di fanteria e 4 divisioni di cavalleria. La truppa schierata raggiungeva circa un milione di uomini e si avvaleva di 7.750 pezzi di artiglieria e 1.500 bombarde. Gli aerei a disposizione erano 650. Nel settore d'attacco erano concentrate 38 divisioni , oltre a 7 di riserva e 4 di cavalleria. Rispetto alla "battaglia del solstizio " del giugno precedente, il numero dei combattenti era pressoché identico, ma erano notevolmente awnentate le artiglierie ed i velivoli.

I successivi primi giorni di novembre non dovevano risultare che una grossa operazione di incalzamento c tallonamento del nemico, con J' estensione delle operazioni su tutto il fronte, vanificando quindi qualsiasi tentativo di far diventare la battaglia di Vittorio Veneto un capolavoro tattico o strategico. Proprio il 31, infatti , il Comando Supremo si era reso conto di come gli austro -ungarici, in relazione a l difficilissimo momento politico interno che stavano vivendo - l'economia era in stato comatoso, i trasporti non funzionavano più, le città erano prive di cibo e carbone, bande di disertori vagavano per le campagne vivendo di saccheggi, ed inoltre le minoranze naziona li dell'Impero erano già da tempo in piena bagarre indipendentista - intendessero ripiegare su tutta la linea, con una ritirata generale che, in vista di un armistizio individuato come l'ormai indjspensabile soluzione po.litica del conflitto e richiesto ufficialmente

HCj)élrlll di Cil\'iliiC'rid il<lli<mcl <li gu<H lo eli un fium<' fin dal giorno 29 ottobre, potesse preservare, prima che fosse troppo tardi, l ' integrità delle loro armate e del loro territorio.

Bisognava, quindi, da parte italiana, farsi trovare al momento della cessazione del fuoco il più avanti possibile, onde legittimare rivendicazioni e richieste con un'occupazione territoriale militarmcnte conseguita, intento cui la controparte avrebbe cercato affannosamente di opporsi cominciando ad inviare sin dal 3 novembre, in vari settori del fronte , ufficiali parlamentari che chiedevano la cessazione delle ostilità, fingendo di ignorare che, se l'armistizio sarebbe stato firmato alle 15 dello stesso giorno (in realtà furono poi le 18), una clausola del protocollo imposto ai plenipotenziari austro-ungarici prevedeva che la cessazione del fuoco dovesse aver luogo 24 ore dopo, e cioè alle 15 del4 novembre. Si trattava, in ultima analisi, di lucrare il massimo interesse, ora, da quelle disposizioni e da quell'arricolazione delle forze con le quali, all 'inizio dell'offensiva, il Comando Supremo aveva inteso realizzare non più che una situazione mirante ad estendere il nostro controllo verso Est nella pianura veneta, e ad allargare l'area in nostro possesso così da garantire sicurezza e buone prospettive di riuscita ad operazioni offensive che, per essere risolutive, si riteneva non potessero essere attuabili prima della primavera 1919. il capo del governo Orlando ed il suo ministro degli esteri Sonnino erano ossessionati dalla paura che la pace potesse sorprendere l'Italia con le armate nemiche ancora in patria, come era successo a Custoza, e dopo la vittoriosa battaglia difensiva sul Piave di metà giugno avevano cominciato a loro volta a premere su Diaz e sul suo sottocapo di stato maggiore Badoglio affinché aderissero alle richiest e alleate e sfruttassero il successo gettandosi alle calcagna del nemico in ritirata, con buone probabilità di provocarne il crollo nel 1918. E qui il Comando Supremo italiano, attraverso la decisa opposizione dei suoi due massimi esponenti, aveva posto la seconda premessa fondamentale - dopo la prima, costitLÙta dall'arresto dell' offensiva nemica - per l'esito vittorioso della guerra , entrambe, nel loro insieme, molto più determinanti di quanto non Io sarebbero state le giornate di Vittorio Veneto .

Sulla base dell'evoluzione positiva delle operazioni - che aveva visto il suo acme nell'agosto aUorché le armate alleate avevano vibrato colpi improvvisi e veloci alle linee nemiche adottando un ' efficace tattica di attacco , grazie anche al primo impiego in massa della nuova arma rappresentata dai carri armati, che portava la pressione contro i loro punti deboli anziché quelli forti - gli esponenti politici francesi e britannici avevano iniziato una pressante azione su quelli italiani. In parte essa era condotta attraverso una sapiente enfatizzazione del fallimento dell'offensiva austriaca di metà giugno sul nostro fronte, attribuita al nostro pieno ed esclusivo merito, ed in parte attraverso esplicite minacce di ritorsione al tavolo della pace nei confronti del perdurare della nostra inazione proprio nel momento in cui loro stavano producendo il massimo sforzo.

Un sintetica analisi dei motivi di ciò mette in evidenza come l'attribuire ai nostri esclusivi meriti il successo della battaglia difensiva sul Piave non ci regalasse molto più di quanto ci competesse, perché in realtà i demeriti austriaci , che pur vi furono , non inficiavano la bontà della nostra conduzione operativa e, prima ancora, della predisposizione concettuale ed organizzativa della stessa.

L'ultima grande offensiva austro -ungarica sul nostro fronte, mirante a superare il Piave ed a metterei definitivamente fuori gioco, esprimeva la realizzazione da parte dello stato maggiore imperiale dell'antico sogno di un'operazione strategica combinata. Era un bel pro-

Ponte eli Pici\ c 01101) 1{' 1918: trinccrametlt i italit-mi ,<,ono \ 'isil)ili sulla ri\ 'él dcsrra del fiume.

LEse rei to llalic-mo n Trieste nel 1n18 e 1%4: <ìppunri fra cromGl c storici getto, degno di un von Schlieffen, il geniale srratega capo dello stato maggiore tedesco dal1892 al1906, ed i pianificatori ne avevano curato con scrupo lo ogni aspetto, consapevoli di essere alle corde, tanto sul piano militare quanto ancor più su quello interno, e che questo avrebbe potuto rappresentare veramente l'u ltimo colpo di coda.

Il nemico intendeva condurre lo sforzo offensivo principale a ca va liere del Brenta in direzione di Padova, in modo da sfondare la nostra fronte montana ove essa era meno profonda, cioè in corri- spondenza del Grappa, per poi giungere nel piano ed avvolgere tutto il nostro schieramento difensivo sul Piave. Contemporaneamente, sempre in pianura , avrebbe attaccato in dir ezione di Trevjso -Me - stre ed avrebbe condotto energiche azioni diversive sul Tonale, nel settore delle Giudicarie ed in Val Lagarina, allo scopo di immobilizzare le riserve lasciando perplesso il Comando Supremo italiano sulla direzione dell'attacco più importante. Il Grappa rappresentava quindi il cardine della nostra difesa. La sua importanza era accresciuta da Ile difficoltà del nostro schieramento difensivo perché, mentre dalla parte nemica si presentava un versante ampio e di agevole percorso che facilitava l'attacco , dalla nostra parte rimaneva, alle spalle delle difese , un ripido versante verso la pianura, per cui le nostre posizioni mancavano della necessaria profondità a tergo. C'era una sola possibilità: resistere e contrattaccare.

Gli Austriaci, consapevoli del significato di "ultima spiaggia" che per loro rivestiva l'offensiva, l'avevano preparata a l meglio. Noi non eravamo stati da meno. Dopo le drammatiche vicende del novembre 1917, l'Esercito era stato sottoposto ad un'azione rapida ed energica di ricostruzione e riordinamento; se si valuta che esso , dopo Caporetto, aveva subito w1a riduzione di ben 800.000 combattenti effettivi, si può avere un'idea dello sforzo vera rnente notevole che era stato imposto alla nazione , alle industrie ed alla popolazione per riconferirgli la sua piena capacità operativa. Alle 50 divisioni nemiche attaccanti , ne opponevamo 44 , fra quelle schierate e quelle in riserva; deiHe 19 in quest'ultima posizione, 10 erano a diretta disposizione del Comando Supremo, che così si manteneva in condizioni di dirigere l'operazione.

Nello stesso tempo , si era costituita una riserva di 6.000 autocarri sui 31.000 dei quali l ' Esercito disponeva all'epoca, per lo spostamento rapido delle truppe nei settori minacciati (il secondo giorno dell'offensiva, ad esempio, la Brigata Sassari sarebbe arrivata in autocarro sino a 5 Km dalle prime linee sul Piave, e tre ore e mezzo dopo lo scar ico dai mezzi era già in azione). Su tutto il fronte schieravamo 7 .0 00 bocche da fuoco, contro le 7.500 austriache, di cui 5.000 tra l'Astico ed il mare, e 2.000 bombarde; ma il fattore importante era che l e nostre artiglierie mantenevano uno schieramento spiccatamente offensivo, dislocate il più avanti possibile in modo da poter battere proficuam ente in profondità le retrovie avversarie, le riserve ed i centri logistici.

I due sforzi principali, a cavali ere del Brenta e sui basso Piave, erano sratti condotti ad iniziare dal 15 giugno con forze pressoché equivalenti, ma il comando supremo imp eriale non aveva saputo effettuare quella indispensabile concentrazione degli sforzi là dove in- tendeva ottenere il successo decisivo. E c'era anche un altro fanore che aveva giocato negativamente, impedendo agli austriaci di ripetere il successo del novembre precedente a Caporcrto: questa volta le div isioni tedesche, che in quell'occasione avevano pesato c come sulla bilancia dell'efficacia penetrativa, non c'erano, erano tornate sul fronte occidentale.

Il 19 aveva avuto inizio la controffensiva italiana, condotta con abbondanza di mezzi e determinazione fino al 24, allorché le nostre truppe si riarrestavano completamente sul Montello e su tutta la riva destra del Piave. La nuova linea sul fiume risulterà più corta di 8 Km e più lontana da Venezia di 6. Gli errori di conduzione austriaca non inficiavano assolutamente i meriti di quella itali ana . I n un documenro riservacissimo su ll e "Esperienze derivanti dai combattimenti del giugno 1918", prodotto dallo stato maggiore austro-ungarico, veniva testualmente affermato: le nostre truppe furono completamente disorientate e sconvolte dalla resistenze che incontrarono e dai combattimenti che dovettero sostenere nella zona intermedia /ortz/icata.

In effetti, in vista dell'offensiva, il Comando Supremo aveva reali zzato un'organizzazione difensiva in profondità sulla riva destra del Piave, artico lata su più linee susscgucntisi di un ti p o "elasti co" reso possibile da l terreno adiacente al fiume, ottemperante ad una disposizione di Cadorna risalente ai g iorni successivi a Caporetto e che costituiva uno tra i suoi non pochi meriti. La pianura, infatti, offriva un ambiente favorevole a questa organizzaz ione difensiva profonda sul retro delle prime linee. La fascia montana che a Nord cingeva la pianura, da una profondità massima di 14 Km si riduceva, in corrispondenza del Grappa, a meno di 5, per cui Io scardinamenro del fronte montano avrebbe posto in crisi tutto lo sc hi eramento in pianura. Per questo era stata spostata a Nord la riserva generale, e nel contempo s i era allestito uno schieramento strategico arretrato in pianura per parare un eventuale sfondamento nel settore del Pi ave.

Anche l'imp iego dell'artiglieria era una testimonianza che al Comando Supremo ci si era messi in linea con i tempi: il fuoco fu diretto ad inchiodare e distruggere le fanterie nem iche stùle loro stesse basi di partenza, a smantellare con metodo ponti e passerelle alle loro spalle, ad imp edire il consolidamento delle posizioni conquistate, evitandone così la rioccupazione a caro prezzo da parte delle nostre truppe.

La seconda premessa fondamentale per l 'es ito vittorioso della gue rra è da ricercare, come anticipare, dalla resistenza opposta da Dia z e Badoglio alle pressioni di Orland o affinché s i proseguisse su- biro controffensivamente contro l'avversario in riLirata. Era un rifiuto che rispondeva ad una logica di carattere più tattico che strategico, alla base della qua le stavano considerazioni senza dubbio fondate. i nsistere nella battaglia, infatti, avrebbe significato, nella situazione del momento, intraprendere una vera c propria operazione offensiva a l argo raggio che implicava anche il forzamento di una linea f1uviale di grosso impegno, che già si era dimostrata un arduo ostacolo per il nemico benché si fosse diligentemente e lungamente preparato a superarla. Avrebbe dovuto fare immediato seguito l'attacco a posizioni d i fensive intatte - perché ta l i, in effetti, erano rimaste quelle sulla riva sinistra del Piave - ben organizzare, sufficientemente presidiate da truppe che, se pur scosse dal combattimento, sarebbero state sostenute da un notevole schieramento di artiglieria la cui gran massa era rimasta del tutto indenne, perché so lo un lim itato numero di batterie l eggere aveva attraversato il fiume per accompagna- l.d popoldi.ÌOill' d..,..,j..,((• dll'entrcltd (!t'i prillli itdlidlli cl

\Ili orio\ t 'Ilclo re le colonne d'attacco. Né d'altro canto sarebbe stato possibile il passaggio immediato di tutto il nostro schieramento, nelle sue varie componenti d'arma, tecniche e logistiche, da una configurazione prettamente difensiva ad una spiccatamente offensiva. n 26 settembre, sul fronte occidentale , gli inglesi erano riusciti a sfondare la Linea Hindenburg, inducendo Ludendorff ad insistere per un armistizio immediato nel timore che lo sfondamento divenisse totale e definitivo; il 29 dello stesso mese la Bulgaria cedeva Je armi, sotto le spaliate dell ' Armata d'Oriente del generale francese Franchet d'Esperey sul fronte di Salonicco; il3 ottobre l'Ungheria proclamava Ja propria indipendenza, altrettanto stavano facendo le minoranze nazion a.U deJJ'Impero (Cechi, Croati, Sloveni), ed il giorno successivo la Germania chiedeva infine ufficialmente a Wilson di trattare l'armistizio su ll a base dei suoi famosi 14 punti. Ce n 'e ra abbastanza per una valutazione politica deglì avvenimenti ta le da indurre a passare il p iù rapidamente poss ib i le alle attuazioni di ordine militare, evitando di farsi trovare fuori gioco proprio nel momento in cu i i giochi venivano fatti . Orlando, in ques t a cir costanza, f u intransigente ed irremovibile, capace di una determinazione - arrivò persino a minacciare di destituire Diaz dall'incarico - che gli sarebbe poi invece venuta meno in seguito, durante le patetiche giornate di Versailles .

Ed , infine, non poteva essere sottovalutato l'aspetto psicologico: un eventuale, probabile insuccesso, pagato con forti perdite, e senza alcun consistente vantaggio territoriale, riecheggiante ciò che era awenuto nei tre anni di guerra sino ad allora combattuta, avrebbe potuto avere un impatto pericolosamente negativo sulla !abilità emotiva di un opinione pubblica per la quale il contenimento della minaccia dopo Caporetto , e per LÙtima la recente vittoriosa difesa sul Piave, avevano invece rappresentato una benefica e prowidenziale misura compensativa .

Diaz e Badoglio ebbero ragione nell'opporsi in quel momento ad Orlando, privilegiando la decisione , che del resto competeva loro del rutto legittimamente, di continuare a mettere a punto lo strumento al fine di conseguire la netta superiorità e di esercitarla nei termini topografici e temporali ritenuti assolutamente ganmti di successo. Per contro, Orlando ebbe ragione, quattro mesi dopo, di opporsi alle loro tergiversazioni allorché i medesimi dimostravano di non riuscire a cogliere il significato politico, e le conseguenti implicazioni militari , di tutta una serie di eventi che avevano un inconfondibile carattere di " indicatori" altamente eloquenti.

Fu questo che ci portò a Vittorio Veneto, e Vittorio Veneto fu Ja grossa operazione bancaria di riscossione di quegli interessi operativi le cui premesse erano state poste sempre sul Piave, si, ma nel giugno precedente. Lì avevamo vinto la nostra guerra.

Una vittoria sofferta, più dolente che trionfante, segnata dallo stillicidio penoso d eli ' abbrutimento della trincea e dall'incubo ansimante dell'assalto, con la sopravvivenza determinata da un dato meramente statistico, il non trovarsi sul percorso di una pallottola. Una vittoria alla quale guardare con commosso rispetto, ancor più e ancor prima che con orgogliosa baldanza. E costruita da una massa grigia d.i contadini con un fucile in mano al posto della zappa, che non avevano mai domandato perché la loro vita dovesse essere fatica né perché ora la dovessero lasciare sulle pendici del Vo dice o sull'altopiano d'Asiago.

''Bè si vede che anche questo è necessario'': così il fante di cui narra Guelfo Civinini, una conclusione nella quale c'era qualcosa di superiore, di estraneo al pensiero, il senso profondo di una legge misteriosa, il nitore di una necessità umana oscura che era qualcosa di ancor più profondo dello stesso dovere, una consapevolezza solida e pacata che non era nemmeno rassegnazione od almeno non solo quella, qualcosa che trascendeva le sue tante "ignoranze".

Lo stesso autore, inviato de Il Corriere della Sera, ne aveva dato nell'ottobre del 1916 una significativa immagine. il pregio del brano intitolato " I fanti" risiede nel tono del tutto anticonvenzionale che lo caratterizza, refrattario agli sdolcinati e pateticamente retorici srereotipi del combattente tipici dell'epoca.

Un eserc izio di verismo, pur nella godibilità letteraria dell'elaborato:

"Lo rivedrò sempre, ogni volta che penserò al soldato italiano. Sempre ricorderò la sua risposta umile e sublime. Era un soldato di fanteria qualunque, un povero buon diavolo di contadino meridionale, forse analfabeta. Non era più giovanissimo, e non aveva nessuna aria marziale. Non era un bel soldato, come ce ne son tantt: che si guardano passare e si dice con commosso orgoglio: ''Bei ragazzi.'" e li si immaginano nell'atteggiamento fiero dell'attacco alla baionetta. Quello no: era un fante piuttosto scalcinato, come si dice nel linguaggio di trincea.

Era uno dei tantz: una delle particelle umane in/inites-ime che /anno la grande massa esercito. Era quasi buffo, aveva un visto scarno e giallognolo, due grandi orecchie a sventola e la barba ne ra, non /atta da quindici giornz: a chiazze inegualz:· aveva una giubba striminzita, delle brache le fasce legate con lo spago. Si era seduto su un sasso, con addosso tutto un carico di robe, sotto cui quasi scompariva : zaino, tascapane, coperta, mantellina, tela da tenda, gamella, elmetto, cartucciera. Era in/an gato fino alle orecchie. Da poco era arrivato col suo battaglione, un battaglione di rincalzo, che stava per andare su lla prima linea, un chilometro più dove si combatteva. Si sentiva lo strepito dei fucili e delle mitragliatricz> e tutto intorno tuonavano le artigliere da assordire . Il magro /ante se ne stava lz' sotto una pioggerella sottile, col fucile tra le gambe come un bastone, con quel suo vùo giallognolo che non diceva nulla, asciugandosi tratto tratto il viso con la manica e guardando dinanzi con lo sguardo assente.

Un ufficiale di artiglieria che in quel momento non aveva da /are gli si avvicinò. Mi aveva detto poco prima: ai o adoro questi veri eroi della guerra, i fanti Se non amassi tanto i miei cannoni vorrei essere ufficiale di fanteria per vivere con loro. A volte mi fermo con uno o con un altro e li interrogo. Non sono mai insignzficanti. Talora mi rispondono delle cose che non avevo mai pensato, che mi rivelano Fi talia, la grande vera I talia che noi non conosciamo; che mi portano ad immergermi nelle acque pro/onde dell'anima nazionale, della quale non vediamo e non consideriamo che le poche spume della superficie Bravi e buoni fanti! Dovremo ad essi la vittoria, a questi contadini italiani che hanno un fucile, e che muoiono senza neppure saper bene perché morendo, siamo compensati della perdùa della vita, dalla consapevolezza e dalla bellezza del nostro sacrificio. nella loro penombra spirituale, seguono soltanto chi li guida, e si sacrificano per un dovere oscuro di cui sentono la forza ma del quale non vedono la bellezza . Ci sono anche fra loro gli ma sono i sono L'eccezione. L a grande massa obbedz'sce al comando terribile senza discutere e senza domandare, con la stessa anima con la quale dicono a D io: Signore, /ate di noi quel che volete . . ... . . buoni fanti.' Bisognerebbe baciare dove passano" .

({Che cosa /ai qui?" domandò ora al soldato che si era alzato rimettendo a posto il suo carico con un colpo di spalla.

((San go col battaglione'', rispose il /ante ne l suo dia letto meridionale annacquato, storcendo un p o' il capo per indicare i suoi compagni.

((D i che brigata seir ll /ante esùò un poco poi rispose qua si timidamente :

((Nun (o saccio".

"Come non lo sai? E chi è il tuo colonnello, lo sai?"

"Signornò. ''

"lt tuo maggiore?"

Il/ante scosse il capo, sconsolato.

"'11.7 • . )) l'fUll O SCICClO

"Ma come, non sai nulla, tu?"

Venne allora la risposta grande. Il /ante abbozzò nel visto giallognolo un sorriso umile, e rispose quietamente:

"Signor tenende Nuie tante cose nun 'e sapimmo Nuie simmo ca' per l'avanzata".[ ]

Non domandammo più nulla. Ritornammo verso !a batteria, in silenzio, pensosi e commossi. Anche il /ante si era allontanato, un po' curvo sotto il carico delle sue robe, ed aveva raggiunto i compagni che gùì salivano i pendii di quota, umili e bravi come Lui .....

Rivedo il /ante in/angato, riodo la sua voce quasi umile, che si scusa. La piccola scarna figura si ingigantisce: !e sue parole quiete vincono il fragore della ba!taglia. Non era un soldato qualunque, era tutto il popolo nostro, tutta La grande folla oscura partorita dalla nostra terra, che parlava con quella voce: erano tutti ifanti d'Italia, il grande popolo minuto, l'eroica plebe della guerra, quella che va a battersi senza nulla sapere, senza nulla chiedere, sentendo solo che è necessario. Lo vedo ora lasszì, nella sua trincea tempesta/a dai cannoni il piccolo fante meridionale. E' rannicchùzto sotto il parapetto, come in agguato. Accanto a lui sono altri soldati che sembra gli rassomiglino. Ad un tratto una voce grida. alla baionetta!''. La fila rannicchia/a scatla in si slam;ia fuori dai ripari. Molti cadono. Q ualcuno si arresta incerto. "Avanti.'" grida ancora la voce. E il battaglione riprende ancora il suo slancio, ed il piccolo soldato è tra i primi, trascinato dalla voce del suo maggiore, del superiore di cui non conosceva il nome". 1

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