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Un decennio di trattative politico-diplomatiche
e si es clud e Berlino, che dopo quasi quarant'anni dall a fine della guerra ancora ne stava sopportando le drammatiche conseguenze, nessun'altra città al mondo ebbe come Trieste, dopo il 1945 e per tanti anni, una sorte altrettanto infelice, un'esistenza altrettanto provvisoria ed una altrettanto pericolosa instabilità per ciò che concerneva il mantenimento della pace generale.
Il "peccato originale'' che provocò la condanna di Trieste a nove ann i di autentico purgatorio nel quale si bruciarono al fuoco dell'arresa amore e odio, speranze e delusioni ed in più di un 'occasione anche innocenti vite umane, risaliva al 1 ° maggio 1945, allorché le avanguardie del IX Korpus iugoslavo avevano occupato la città al grido di "Trst fe nas", - "Trieste è nostra" in sloveno, uno slogan con il quale i partigiani iugoslavi avrebbero tappezzato nei giorni successivi l'intera città - quando i primi reparti corazzati alleati già entravano nell'abitato e ne prendevano possesso.
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Mentre le forze del generale neozelandese Freyberg rallentavano la marcia a causa di ripetuti e poco chiari ordini c contrordini, il V II Korpus iugos la vo, senza preoccuparsi di liberare il capoluogo del Quarnaro, convergeva da Fiume su Lubiana c da qui si dirigeva a marce forzare verso Trieste. Lo stesso fece il IX Korpus, che discese da Gorizia ed entrò a Trieste dall'altopiano.
E' necessario ed opportuno rievocare, sia pure sinteticamente, gli antefatti dell'intera questione.
Quando era ormai diffusa, all'interno dcll'Allied Forces Headquarters, l a sensazione di essere di fronte al col lasso finale tedesco, il generale Alexander aveva informato i Combined Chief'ì o/ Staff delia propria in tenzione di occupare quelle parti della Venezia Giulia imporranti per le operazioni militari e di stabilire in esse, e solta nto in esse, l'amm ini s tra zione militare alleata con il conco rso di personale locale, italian o o iugoslavo, idoneo allo scopo Era, in altre parole, la traduzione in termini operativi del principio della " lin ea di demarcaz ione ". Il 27 aprile 1945 , in un messa gg io allo stato mag g iore imperial e, Alexand cr sottolineava ancora la necessità c he , n e ll e direttive d e i CCS, venisse stabilito con estrema precisione quanto la direttiva del Combi11ed Civil A//airs Committe e aveva la scia to in sospeso, e cioè le concrete modalit à con le quali porre in esse re il piano stabilito, cd in particolare la necessità di una scel ta esp li c ita a favore o contro l'eventuale uso della forza nei confront i dell'esercito iugoslavo.

Pur t enendo pr esente l'even tualità di una mancata co llaborazione iugoslav a ai progetti alleat i , la direttiva d e i CCS ad Alcxander, il 28 aprile 1945, continuava ad appellarsi al principio d e ll ' is tituzione del Go verno Militare Alleato in tutta la Ven ezia Giulia , ma precisava che i l buon funzionamento del piano dip e nd eva dalla co llaboraz ione con l ' Unione Sovi etica e che n e l frattempo lo si sarebbe dovuto porre in atto se le necessità militari lo avessero richiesto. Indubbiamente, la direttiva dei CCS non era in grado di fornire alcuna solu z ione definiti va agli int e rrogativi aperti; al contrario, la esplicita dichiarazione di non pot e r disporre d e ll 'elemento fondam e ntale di suppone (ovvero del consenso sovietico) e la su bordina zione alle n ecess ità militari, forniva di fatt o al Comandante Supremo Allearo dd Mediterraneo l'avallo a continuare nella pianificazion e g ià avviata e mirante a stab ilire un a sorta di linea di d emarcaz ion e .
Nel mezzo di un frenetico scambio di messaggi in cui l e direttive e rano superate dai fatti prima ancora di pervenire ai destinatari, il rapido sviluppo delle operazioni militari portav a gli iugosl av i, il 1o maggio 1945, a v incer e " la corsa per Trieste", a controllare cioè la maggior parte della Venezia Giulia fino all'Isonzo. Era però una vittoria sul filo dì lana, in quanto l'av anzata dell e unità dell3 ° Corpo , c h e e ntravano il 2 magg io e ricevevano la resa d e lla guarnigione tedesca, e soprattutto la d ecis ione presa il giorno successivo da A lexa nder di sp ingersi avanti evitando scontri aperti con gli iugoslavi c di occupare le aree di militare della Vene z ia Giulia , ovvero Triest e e le linee di comunica:done verso Nord, informandone Tito - provocavano una sovrapposiz ione di arce operative in una porzione della Venezia Giulia, mcnu·e ve ni vano profferìte reciproche accuse di mancata fedeltà agli impegni. Ad ogni modo , Alexand e r o rdina va di non proc e dere all ' istituzione del gove rno militare ad Est dell' I sonzo.
I n un tel eg ramma d e l 5 maggio, diretto a Mc Millan e d al Fo- reign 0//ic e, l'ambasciatore inglese a Belgrado affermava che Ja propria analisi della situazione lo portava ad affermare come lo stato maggiore generale iugoslavo avesse in mano da solo l'iniziativa e tentasse di fornire una base militare quanto più forte possibile alle rivendicazioni politiche. Sul piano pratico , esso era preoccupato di liquidare l ' opposizione politica prima di ogni possibile interferenza. Perciò compiva un notevole sforzo militare nel manten e r e a Trieste alcuni contingenti ed era , per contro, turbato ed irritato dalla presenza della divisione neozelandese. Aggiungeva, inoltre, di non ritenere che Tito sarebbe giunto agli estr emi n é che avrebbe provocato un incidente. Ma in un'atmosfera eli tensione locale qua l e era in atto in Istria , non poteva essere esclusa la possibilità di qualche combustione spontanea. L'unica azione che Tito aveva intrapreso , fino a quel momento, contro le truppe d'occupazione era stata l ' affermare che esse non potevano operare ad Est clell ' Isonzo , ma né lui né i comandati iugoslavi in loco avevano fatto finora qualcosa per dare effetto pratico a quest'ordine e, concludeva il diplomatico >era molto dubbio che lo avrebbero fatto.

In realtà, i dirigenti iugoslavi puntavano al controllo militare della Venezia Giulia come premessa a l controllo politico, ma con estrema cautela nell'imporlo, nel senso che al piano per costringere al silenzio le opposizion i locali non corrispondeva un altrettanto deciso e sicuro progetto di contenere la presenza militare alleata ad Est dell'Isonzo. Pertanto l'ambasciatore britannico a Belgrado Stevenson, e più esplicitamente Mc Millan , continuavano ad analizzare la situazione all a luce dell ' "esperienza greca". Effettivamente la strategia iugoslava, con il suo tentativo di estend e re e di consolidare il controllo militare facendo di esso la necessaria premessa per il con -
Il ll (lro lcl :\lc:-.:cmcler. CO llléllld!llll (' supremo allc<Jio dd \led il cmmro cluré.mtc gli ultimi llWSi (j('Jiél "2 11 G \ l. c ministro dcll(l clifcscl itlglcse del! 19:12 eli 1 trollo politico ricordava, sia pure in una situazione più circoscritta ma non per questo meno esp losiva, quella che nei mesi precedenti si era temuto avrebbe tentato il partito comunista greco.

Il richiamo all' "esperienza greca" era indice di come gli ambienti diplomatici in glesi si ponessero di fronte al problema della Venezia Giulia. Si trattava infatti di evitare che il controllo militare si assestasse diventando premessa c supporto al controllo politico. Veniva perciò privilegiato il piano dell'intervento militare, e ciò faceva escludere dall'orizzonte delle iniziative possibili una trattativa con l'Unione Sovietica. In ultima analisi, i diplomatici inglesi non vedevano nelle truppe iugoslav e presenti a Trieste la longa manus di questa, non ragionavano cioè in termini di espansione dcll'URSS attraverso i paesi satelliti, ovvero in termini di guerra fredda. Essi miravano invece, in ambito più circoscritto, a respingere il tentativo di imporre un'egemonia politica comunista agendo su quello che era il suo vettore principale, la presenza militare.
L'8 maggio a Belgrado, nel corso di un primo incontro con il generale Morgan, capo di stato maggiore Jell'AFHQ, Tito respingeva sia il carattere che il contenuto dell'accordo proposto. Egl i non accettava infatti un 'ipotesi di soluzione sul piano esclusivamente militare, mentre lanciava una controproposta che prevedeva una gestione militare congiunta accanto all'amministrazione civile iugoslava nella parte occidentale della Venezia Giulia, in quella parte cioè che Alexander aveva dichiarato di voler occupare. P er di più, era lo stesso Tito a spostare decisamente la questione, nell'incontro del giorno successivo con Morgan, dal piano militare a quello politico riaffermando il diritto del vincitore ad amministrare la zona contesa in quanto essa faceva parte delle rivendicazioni territoriali da presentare alla conferenza della pace. Si poneva pertanto il dilemma fra l'uso o meno della forza, una decisione che il comandante supremo del Mediterraneo demandava ai politici.
Con altrettanta urgenza si poneva per i dirigenti inglesi il problema di conoscere quali fossero nel concreto le intenzion i ame ricane, ferme all'enunciazione della direttiva dei CCS ad Alexander il28 aprile ed alla dichiarazione del presidente Truman che non sarebbero state impi ega te truppe americane contro l'esercito iugoslavo. Si delineava anzi la possibilità di una sospensione dei process i decisionali britannici finché non fosse stato chiarito l'atteggiamento statunitense, che si temeva diretto ad aprire la discussione con l'Unione Sovietica
11 6 maggio, un funzionario della divisione per gli affari dell'Europa mericlionale, Cavcndish Cannon , redigeva un memorandum nel quale, al di là delle ripercussioni det e rminate in Italia dalla situazione nella Venezia Giulia e della riaffermazione dei principi della Carta Atlantica, affermava come per gli USA non si trattava di p rendere posizione nella disputa tra Italia e Iugosla via o di esser e coinvolti nella politica interna balcanica, ma che il problema era fondamentalmente quello di stabilire se stessero permettendo al governo sovietico Ji decidere, attraverso il suo satellite iugoslavo, quali Stati e confini istituire che fossero i più idonei alla futura poten z a sovietica nel teatro mediterraneo.
Fallito l ' incontro fra Morgan e Tito, dimostratasi ormai insostenibile la posizione americana sulla Venezia Giulia , diffusasi la percezione del rinsaldarsi di un controllo iugoslavo su Trieste, il IO maggio gli Stati Uniti indicavano in questi termini l'alternativa che si poneva loro, o ritirarsi completamente dal territorio , con tutte le conseguenze che ciò avrebbe comportato, o dar corso alla politica in atto minacciando l'uso delia forza onde assicurarsi il pieno ed esclusivo controllo di Trieste e Pola, i punti- chiave della regione.
L'atteggiamento americano nella crisi apertasi con la Iugoslavia era dunque indice della tensione ma anche dell'equilibrio, sia pure instabile, tra due modelli di formulazione dei rapporti con l'Unione Sovietica, fra due modi cioè di analizzare la politica estera russa , considerandola rispettivamente disponibile alla trattativa o sistematicamente mossa da obiettivi di espansione del comunismo, ossia fra

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111inislro df'gli esteri clclll'HSS per LUl decennio ( 19:39- l D-1-9) due mo di eli r ispondere alle iniziative sovietiche, facilitando la ricerc a d i intese a li vello diplomatico oppure, alternativamente, assumend o a tteggi amenti a tti a comprovare volontà di resistenza e di front egg iamen t o .
A conclusione delle discussioni all'interno del Dipartimento di S t a t o, T r um a n comun ica va a Churchill l'intenzione di assumere una line a d i fe rmezza nei confronti della Iu gos lavia, mirante a garan tire il con t ro ll o s u Tr ieste e Po la , sulla lin ea di comunicazione attraverso G o ri z ia e Monf a lc one e su un'area sufficiente ad Est di questa linea tal e da p e r m ette re un ' idonea vigilan za amministrativa. In tal modo si r ip ro p on e va un all ine a me nto fra la posizione americana c quella ingle se.

Il 2 1 m agg io il gove rn o iu gos l avo e mett eva una nota con la q u a le ri p on deva in senso affe rmativo alle richi este g ià presentate da M o rg a n a T i to: ven iva cioè accettata l' a mministra z ione milit are all eat a ad Ove s t d ell a linea proposta da Morgan, a patto che una rappresema n za mil i t a re ed una p iccola missione riman essero in loco e che ven i se c on se r va t a l 'amminis trazion e civile iugoslava. Sul ca mbiam e nto di a tt e gg ia mento da parte iu gos lava pesò senza dubbio in mani e r a d e t e r m inan t e l ' a tteggiamento dell'Unione Sovietica , il c ui sil enz io r en d ev a m a nifesta la vo lont à, in questa fase, di non fare della Ve n ez ia G iu lia un argomento di trattati va con gli a lleati occidentali.
P e rta n t o, a segu ito della nota iugoslava del 21 magg io, la crisi v irtu al meme s i conclu d eva; per iniziativa di quel governo, infatti, la t r a n a riva si sp ostava tutta sul problema dell'amministrazione dell ' ar e a ad O ves t d e ll a linea di demarcazione, imp eg nandolo a gara ntire il m a nt e n ime n t o dei vari istituti di governo civile fra i quali il Consig lio d j L ib e r az io n e d i Trieste (CLT ), il tribunale del popolo ed un co r po di p oli z ia c itta dina denominato Guardia del popolo.
Ce r a , i n sos t anza , i l ten tati vo di chiudere del tutto i processi p os t i in atto d a p a r te dell'amministrazione civile e militare iu goslava a Tri es t e . E c iò esp l icitava anche l ' intenzione di defini re e chiudere tu rr i g l i aspett i d e ll a controversia con la Iugosla via, in modo che l 'e, ·e nr u al e p e r ma n e nza di un con t enz ioso in merito non a u mentasse ul te ri o r ment e l'on e re dei prob lemi che l'amministrazione alleata si a r e b b e trov a t a d i fronte, un onere già di per se stesso molto magg io re di q uello che era stato assunto nel territorio italiano.
L a bozz a d i accordo venne pres e ntata dagli ambasciatori ameri cano e d i nglese a l governo iugoslavo il 2 g iu g n o. Essa prevedeva p i e na a u t o r i tà al le at a nel territorio ad O ves t della lin ea di demarca- zione, il ritiro di tutte le forze iugoslave all'infuori di una missione militare e di un distaccamento di 2.000 uomini, lo scioglimento dei contingenti non regolari, l'istituzione de l Governo Militare Alleato con l'eventua le utilizzazione dell'amminisu·azione civile costituita dagl i iugoslavi a discrezione del comandante supremo alleato, la restiruzione di tutti i cittadini italiani deportati alla data de l 193 9 e delle proprietà confiscate.
Il 9 giugno venne firmato l'accordo di BelgraJo, ed il generale Morgan rimase n ella capitale iugoslava per defini r ne i particol ar i. L e discussioni roterono considerarsi concluse il 28 dello stesso mese. Ma le forze iugoslave avevano abbandonato Trieste già il giorno 12 Esse si ritirarono ad oriente dell a cosiddetta L inea Morgan. Il territorio ad occidente della linea fu lasciato ag l i ang loamericani, che ino ltre occuparono iJ porto di Pola .
G li iu goslavi erano rimasti a T rieste esattamente un mese e dodici giorni. li modo in cui l'avevano occupata sarebbe stato successivamente giudicato, da parte di autorevoli commentawri swrico-politici, il p i ù grave errore politico commesso da Tito nel corso della g uerra. e infatti nel 1945 gli iugoslavi avessero avuto il buon senso di occupa r e tutta l a Venezia Giulia meno la città d i Trieste, è forse probabile che l'avrebbero poi potuta ottenere alla conferenza della pace . Oppure, nel corso di successivi negoziat i, l' avrebbero realmente potuta t rasforma r e in un territorio libero assimilabile, in tempo p i ù o meno breve, dall a Iugos l avia . Con l 'occ upazione di Trieste, invece, essi non erano riuscir] nel so l ito gioco del fatto compiuto, si ip Br m 1111 lll w di bdllctglid lìto). dd < on..,iglio <• dt'llcl clrlld Hcpul>l>li< rl Fcdcr d le Popolclr<' di lltgo..,ld\ id CICli 110\'t'llliJrc l D+:l. erano inimicati l'opinione pubblica di tutto il mondo occidentale ed avevano pregiudicato, invece di migliorarla, la loro posizione nelle trattative di pace e portato i triestini ad esasperare il risentimento verso di ess i d opo il comportamento tenuto nella città.

Ma d'altro ca nto , anche ammettendo che il maresciallo Tito , occupando Tri este nel modo che si è visto , avesse commesso quel grave errore che g li è stato attribuito, resta il fatto che gli an gloamericani, in seguito a quel colpo di test a, vennero presi in contropiede. Non che man casse ro loro le forze e la volontà sufficienti ad imporre agli occu panti di abbanelonare la "presa", ed e ra proprio quello che molti triestini in quel momento si attendevano da essi. Ma la quest ion e non era così semplice: c'era il pericolo di sco ntri armati, che avrebbero potuto provocare reazioni a catena e compromettere la situazione anche in campo int e rnazion a le. Non va dimenticato, in fatt i, che la I ugos lavia era una na z ione all eata, e che buona parte dell'opinion e pubblica occ ident ale aveva seguito con simpatia l'accanita resistenza opposta ai ted esch i dai partigiani di Tit o.
TI 9 giugno 1945 si ebbe a Bel grado la firma dell'accordo. Per effetto di esso, pertanto. il territorio della Ven ez ia Giulia qua le si es t endeva nel 1939 (owero l e quattr o province di Gorizia, Trieste, Fiume e dell'Istria) veniva diviso in due parti lungo la cosiddetta linea Morgan. La parte ad Est di essa, la Zona B , ricadeva sotto l'amministrazione militare iu gos lava, m entre quella ad O ves t, la Zona A, veniva sottoposta all'autorità del governo militare alleato. L'accordo eli Belgrado non ch iud eva però la trattativa fra angloamericani e iugoslavi, che pros eg uiva allo scopo eli rag giungere un accon.lo di caratt e re operativo; ed in tal e sede sarebbe maturata n e i comandi alle ati la consapevolezza che il dispositivo relativo ali' amministrazione d ella Zona A s i ri vel a va inad eg uato ai fini di un cont rollo a pieno titolo del territorio suddetto.
E' in qu esto quadro che vanno co llocate l e decisioni ra gg iunte a Pari g i sulla questione della Venezia Giulia. Di essa si era cominciato a discuter e all'inizio di maggio del 1946, po co dopo l 'a p e rtura della seconda sessione del Consiglio Jei m inistri degli est e ri. Nella seduta del 4 maggio, cias cu na dell e quattro del egaz ioni aveva difeso la proposta formulata dal proprio rappresentante in seno alla commi ss ione che aveva visitato la Vene z ia Giulia fra il marzo c l'aprile dello stesso anno: si andava dalla "lin ea Wilson ", che tagliava a metà l' l s tria , lasciand o la parte occ identale in territorio italiano, alla " linea sovietica" che correva per buona parte più ad O vest del confine na- poleonico austro-ital iano del 1866. Nelle riunioni dei giorni successtvt, non SI nusciva a tro v are alcun accordo sulla proposta di un plebiscito nell'a rea con testa t a , né veniva accettato un invito di Molotov diretto a compensare le mutilazioni territoriaJi lungo la frontiera orientale con più favorevoli concessioni all'Italia in tema di co lonie e riparazioni. Eguale risultato nega- tivo sortiva l'intenzione di Byrnes e Bevin di trovare un compromesso lungo la "linea francese" , che mantenesse in Italia quanto meno la parte nord-occidentale dell ' Istria. n fatto che dopo la presentazione della proposta fossero state definite alcune questioni in sospeso apriva la via ad un accordo anche sulla questione di Trieste. NelJa seduta del 3 Juglio, infatti, veniva accolta la "linea francese" come tracciato di frontiera fra Italia e llr-my Trunmn. presiclcnw degli Slclti l'ni li <léll 1 élprilc 19-+.:> eli 3 llO\Tillim' 19:>2.

Lo svanire della prospettiva Ji un accordo rilanciava, a Londra, un ' ipotesi già formulata dai rappresentanti inglesi , che prevedeva l'istituzione di uno Stato autonomo limitato ad Ovest della "linea sovietica" ed a Est della "linea francese" , non retto da forme di autogoverno ma da un organo dipendente dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU .
Pertanto, sulla proposta formulata da parte francese a titolo di soluzione provvisoria (l'internazionalizzazione cioè del territorio di Trieste) si registrava sin dall'inizio una disponibilità di fondo da parte americana ed inglese con un'unica precisazione che si colJegava ai progetti già elaborati: che non venissero previste forme di autogoverno o di controllo su base multilaterale, e che non si trasferissero ad un piccolo territorio gli stessi problemi che stavano avvelenando le relazioni fra le grandi potenze nel l oro controllo congiunto dei Paesi occupati.

Iugos lavia ed isrituito il Territorio Libero di Trieste (TLT) lungo la fascia costiera da Duino a Cittanova. L'inrernazionalizzazionc della part e della Venezia Giulia comprendente Trieste, il suo relroterra immediato c l'Isrria nord -occidentale era poco più che una formula, e restavano da definire le modalità concrete di funzionamento del sistema di governo previsto per la nuova ent ità terriLOriale.
T lavori preliminari per il Trattato di pace ebbero inizio a Londra Lll8 gennaio 1946, in un momento nel quale i rapporti tra URSS da una parte ed USA ed Inghilterra dall'altra erano particolarmente tesi. Tiro si sentiva forte come non mai. Furono fornite notizie in merito alla preparazione di un colpo di mano iugoslavo su Trieste qualora i ministri degli esteri riunjti a Londra non avessero accettato le richieste deJ governo di Belgrado. I n marzo i generali L ee e Morgan dichiararono pubblicamente che, in caso di un tentativo del genere, gli attaccanti sarebb e ro s t ati respinti con la forza delle armi. Gli americani sostenevano inoltre la tesi della creazione di un porto lib ero a Trieste cd a Fium e. TI confine tra Italia c I ugoslavia avrebbe dovuto seguire la linea etnica. Venne nominata una commissione quadripartita (USA, In ghi lterra, Francia ed URSS). Questa compì un'inchiesta piuttosto sommaria nella Venezia Giulia fra il 9 marzo e il25 aprile, che non contribuì a chiarire e tanto meno a modificare le idee dei componenti delle singole del egazi oni.
L e discu ss ioni per le trattative si trascinarono per tutto il 1946. Nella riunione del Consiglio dei ministri degli esteri a Pari gi dal 25 aprile al 26 maggio, Molotov continuò ad insistere per l' assegnazione di Trieste alla I ugoslavia, mentre su proposta dell'americano Byrnes si parlò per la prima volta di un plebiscito da tenere nella zona compresa tra la linea francese e quella americana. Ma sia questa proposta sia quella di Molotov, che suggeriva di estendere il plebiscito a tutta la Venezia Giu lia , sarebbero state resp int e .
Durante l 'intervallo tra le due sessioni delia Conferenza di Parigi (16 maggio- 15 giugno), si cominciò a ventilare l'idea della internazionalizzazione di Tri este, e la Iugoslavia fece subito sapere che non s i opponeva a quella del porto ma che non prendeva nemmeno in considerazione quella della città. Tiro, il 27 maggio, si recò a Mosca pe r chiedere a Stalin il pieno appoggio, che però non gli venne concesso. Fu anzi rimproverato dal dittatore soviet ico per l'intra n sigenza che continuava a dimostrare, quasi non s i rendesse conto che la slavizzazione di Trieste avrebbe potuto rivestir e il ruolo di detonatore per innescare una nuova guerra mondiale.

Fu così che il progetto dell'internazionalizzazione della città prese a guadagnare terreno. L'Italia, che durante tutto questo tempo era stata sempre presente ed attenta alle trattative ed aveva sempre sostenuto le proprie ragioni con i pacati ed equilibrati interventi di Alcide De Gasperi, avanzò ogn1 nserva possibile sull'attuazione di un simile progetto. Ma le tre grandi potenze dell'Occidente si rendevano ormai troppo bene conto che esso avrebbe rappresentato il solo compromesso idoneo a bloccare le richieste jugo-russe, e si proponevano di non lasciare alternative: o così, o niente. Ed infatti Molotov, alla ripresa della Conferenza, s1 pronunciò favorevolmente sullo Stato libero, governato però alternativamente dall'Italia e dalla I ugoslavia. Proposta, questa, che venne anch'essa respinta, ma che tuttavia fu interpretata come una prima concessione sovietica.
Tra rifiuti, emendamenti, nuove proposte e controproposte si arrivò al3 luglio 1946, che va considerata come la data di nascita ufficiale del TLT. La soluzione comunque non soddisfò nessuno, tranne i francesi che l'avevano proposta e caldeggiata. Si giunse così alla Conferenza della Pace, ed il 28 settembre alla approvazione della linea francese - così era stato denominato il confine che avrebbe dovuto separare il TLT dalla I ugoslavia - differendo peraltro ogni altra decisione riguardante la struttura del Territorio stesso. li 9 ottobre vennero approvati anche gli articoli del Trattato di pace con l'Italia.
AIJa Conferenza di Parigi seguì la riunione del Consiglio dei ministri degli affari esteri a New York, che ebbe inizio il4 novembre 1946. Il 28 dello stesso mese i Quattro Grandi si accordarono sullo statuto, sul confine c sulle questioni militari , ma le cose tornarono a peggiorare per un ulteriore irrigidimento sovietico ci r ca il finanzia- mento del TLT. Bene o male si arrivò al 12 dicembre, data nella quale turri i principali ostacoli vennero superati. La firma del Trattato ebbe luogo a Parigi il lO febbraio 1947, ed il 15 settembre esso entrò 1n v1gore.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale i rapporti tra Stati Uniti e l' I nghilterra relativamente all'area mediterranea avevano subito una modifica, nel senso di un progressivo disimpegno da parte britannica da quelli che erano stati sino allora considerati i tradiziona li interessi imperiali sull'area stessa. Se a partire dalla metà del 1944 era stata proprio la componente inglese a pilotare, s ia su l piano m il itare che su queUo politico-diplomatico, l'ini:t:iat iva alleata in Venez ia Giulia, alla fine del 1947 il rapporto fra i due partner occidentali risultava compless ivamente rovesciato.
Alla fine di quell'anno, da parte americana, venne prevista per la prima volta una relazione diretta fra la questione di Trieste e la po litica interna italiana, in altri termini la possibilità di un intervento statunitense in funzione anticomunista nell'imminenza delle elezioni po litiche italiane previste per l'aprile 19-l8. Se il loro esito non appariva scontato e le linee di condotta americana non avrebbero potuto essere cristallizzate fino a quel momenro, un obiettivo di fondo della politica degli USA appariva comunque fuori dubbio, ovvero l'intendimento di non vedere Trieste in mani iugoslave, intento che del resto continuava a essere condiviso anche a Londra.
Negli ultimi mesi del 1947 la situazione italiana veniva dcscrirta, a Washington, alla luce del più tipico contesto ideologico propr io del l a guerra fredda, e c ioè come i l teatro di una apoca littica prova di forza tra il comunismo c la democrazia. Ne ll a cons ideraz ione che obiettivo del PC I era il comp letamento assoggettamento del l'Italia al controllo sovietico e che tale eventualità avrebbe compromesso la sicm·czza americana nell'Europa occidentale e nel Mediterraneo (con r ipercussioni che si temeva potessero arrivare fino all'America latina ) il Dipartimento di Stato e lo stato maggiore americano definirono progressivamente una politica di pieno soslegno al governo capeggiato da Dc Gas peri, della quale si fece portavoce l'am b asciatore ame ri cano in Ita l ia Dunn. Essa privilegiò l'intervento di caratrere economico, preludio del futuro piano lVlarshall, in quanto era valutaz ione corrente, a ll 'interno del la diplomazia americana, che le diffico lt à attraversa t e dagli Sta t i dell'Europa occ identale nel p r ocesso d i r.icostruz ione econom ica fossero il più fert il e terreno d i co ltu ra del comunismo. Ma non vennero escluse altre iniz iative di carattere p iù prettamente tattico, soprattutto dopo che il colpo di stato comunista del 24 febbraio in Cecoslovacchia aveva rafforzato i sostenitori di un più duro atteggiamento anticomunista.

Il 20 marzo 1948 veniva emesso un documento, la cosiddetta "nota tripartita", nella quale Stati Uniti, I nghilterra e Francia proponevano all'Un ione Sov .ietica di negoziare un pro - toco ll o al trattato di pace con l'Italia che prevedesse la restituzione dd TLT alla sovranità italiana. Non si trattava, in realtà, di una proposta per un reale negoziato, ma di un'iniziativa a carattere tattico mirante ad attribuire alla Iugoslavia, e di conseguenza alla sua potenza internazionale sponsorizzatrice, l'Unione Sovietica appunto, la responsab ilità di aver impedito sino ad allora l'istituzione di un TLT realmente indipendente. Comunque, al di là della propria connotazione tattica, la "nota tripartita" creava una convergenza fra la dichiarazione di intenti da parte alleata e le aspirazioni italiane alla revisione del. trattato di pace, e veniva pertanto assunta dal governo di Roma come base della propria linea di condotta nei confronti della questione di Trieste. li Territorio Libero non sarebbe stato in realtà mai attuato, e la mancata nomina del Governatore avrebbe prolungato l 'amm i nistrazione de ll a Zona A per altri sette anni.

Alla fine del giugno 1948 giLmgeva, nel complesso imprevista, la no tizia della spaccatura fra l'Unione Sovietica c la Iugoslavia . Da parte americana, la prima analisi dell'evento veniva compiuta con estrema tempes t ivi t à e non si mancava d i coglierne la portata. Per la prima vo l ta ne ll a storia, uno stato comunista affermava la propria indipendenza da lviosca; e pur senza nutrire alcuna aspetta6va circa una modifica del regime interno iugoslavo, il fondamentale, profon -
\\ 'in.., ton Cl1ltrcilill. Célj)O (!!'l gm·crno inglese cl<lll'otlolm ' 10:1 1 cl ll'aprile 1D:1 > do significato della sfida di questo Paese veniva collegato ad una prospettiva di disintegrazion e di quello che fino ad allo ra era stato considerato come un blocco monolitico sotto l 'egemon ia dell'Unione Sovietica. L o stud io si concludeva raccomandando dn ev itare atteggiam ent i sia adulatori che troppo freddi nei confronti di Tito.
Era soprattutto dall'ambasciata americana a Belgrado che, all'inizio del 1949, provenivano l e indicazioni e le valutaz ioni che permettevano di riempire quel vuoto d i iniziative rimasto sost anzialmente invariato per tutta la seconda metà del 19-J 8 In uno studio del Policy Planning Sta// si ne gava che la disputa tra Tito e Sta iin fosse uno stratage mma adoperato a fini tortuosi dai soviet ic i, e si invitava a non cons id erare del tutto indifferente per gli Stati Uniti una caduta del regime iugoslavo , alla quale sarebbe succeduta una nuova dirigenza formata da esponenri più rappresentativi ed oricnrati verso l ' occ ideme.
D a tale presupposto, c recependo uno degli obiettivi del contenimento n e l senso della creazione di tensioni a ll 'interno del blocco comunista, lo studio iJlustrava la consideraz ion e di fondo dalla qual e partire per rifo rmulare la lin ea di co ndotta n e i confronti della Iu gosla via, ovvero il fatto che la crisi di questo P aese lasciava aperte solo du e alternative (Tito od uno strumento nella mani dcll'URSS) e che di conseguenza l'indebolimento di T it o avrebbe fatto il gioco della grande potenza orientale. Nel documento si sosteneva quindi con forza la necessità di un intervento economico immediato e non condizionato da contropartite politiche, capaci di minare la stab ilità del regim e iu gos la vo. Per fare Ji questo Stato un caso esemp lare e irripe t ibile (il riferimento riguardava la Cina), si a uspic ava che la politica americana si fondasse su clu e obiettivi: il sostegno econom ico come garanzia di indipend enza, e la non interferenza nei confronti del mocl ello di reg ime all ' inr erno de l Paese, escludendo, quindi, ogni ini z iati va che avesse potuto iod ebolirlo.
Nei mesi successivi venivano io gran parte ridimensio nat e l e aspettativ e di diffusione del titoismo su ampia scala e s i co nsolidava comunque l'obi e ttivo tend ente a mantenere a galla Tit o, sia pure con un procedere inizialmente molto cauto soprattutto per c iò che concerneva le climensioni del supporto econom ico. Simil e nel com plesso era anch e la posizione bri tannica.
Nella seco nda metà del 1949 s i precisavano anche l e implicazioni strategiche ad ampio raggio derivanti dalla nuova co ll ocazione iugoslava. Il Policy Planning Sta// formu lava un nuovo quadro di ri- ferimento che sarebbe stato riproposto neg l i anni successivi rimanendo inalterato nella sostanza. Un successo sovietico nel distruggere il regime di Tito e nel sostituirlo con un governo fantoccio completamente asservito a Mosca avrebbe infatti , . rappresentato un Immediata minaccia alla sicurezza dell'Italia, della Grecia ed un grave capovolgimento della posizione com - plessiva degli Stati Uniti e dell'Europa occidentale.


Sebbene nel corso dell949 non venissero sciolte tutte le riserve circa l a stabilità del regime iugoslavo, i nuovi termini della pianificazione militare e la stessa valutazione politica dello scisma di Tito cominciavano comunque a modificare la funzione di Trieste come baluardo dell'Occidente nel quadro della strategia del contenimento. Nel settembre di quell ' anno lo s tato maggiore americano faceva notare come a causa del miglioramento nelle relazioni con la Iu goslavia la possibilità di incidenti internazionali a Trieste si fosse già notevolmente ridotta, e come fosse l ecito aspettarsi che diminuisse ulteriormente finché fossero persistite le differenze tra il regime di Tito e d il Cremlino, e sino a che il re gi me di Tito avesse avuto bisogno dell ' aiuto occidentale al fine di mantenersi al potere.
Il problema di Trieste tendeva perciò a non apparire più come un aspetto delle relazioni globali fra Est ed Ovest, a non essere più co ll ocato nel quadro dei progetti sovietici e delle risposte americane ad essi, e la presenza alleata nella Zona A tendeva a perdere quel carattere di test circa l'atteggiamento complessivo nei confronti dell'Unione Sovietica. L'orizzonte intorno a tale questione si restringeva progressivamente , e finiva per ridurre a quattro il numero deg li ìnterlocutori: Stati Uniti, Inghilt erra, Iugoslavia ed Italia.
Dagli ultimi mesi dell948, però, cominciò a farsi luce un nuo-
. \ JHllony EcJcn, ministro clcg li este ri Ìllglcsc del l l n.=; l (-lii9.S:t vo p resup p os to nei r a p porti con le forze politiche locali. A differenza d i que lJ o f ino allor a in uso, che aveva raffigurato la realtà politica del p o s to ne i te rmin i di una compresenza, di un equil ibrio tra forze antagon is te , il nuovo p resup posto si fondava sulla consapevolezza che, in conseg u enza di un processo di rafforzamento prodotto dalla stessa po li t ica de l con ten imento c consolidam dalla dichiarazione triparrita e da lla c risi abb at tu t asi sul partito comunista locale dopo la rottura tra I ugo sla ù a e l 'Un ione Sovietica, l'insieme delle forze politiche e sociali ri chiam a ntes i all a so lu zione italiana della verrenza territoriale andava co n sider ato come l' e lemento di assoluta maggioranza a Trieste.
E' d a c iò che prese forma quella c h e è stata pressoché generalme nt e anch e se impropriamente definita come la politica filoitaliana del Gove rn o M il it a re Alleato, della quale il comandante, generale Ai r ey, era c o ns ide r a to il principale ispiratore ed artefice. In realtà, b en lungi dall 'ade r ire al le aspettative del governo italiano c pur rimanendo il Gove r no Militare Alleato un'entità separata rispetto alle fo rze poli t ich e i t a lia n e, e soprattutto estranea al clima politico c cult ur ale n e l qu ale ess e si collocavano, la politica di Aircy si fondò sul p re sup p osto d i un a p resenza largamente maggioritaria del le forze fil o i t al iane ed ope r ò spesso in modo da farla risaltare, come testimon ia n o le s ue pubb lic h e dichiarazioni a favore della restituzione del TLT all ' Ita l ia , espresse in modo da rendere chiaro il nuovo rapporto pr i, i lcg iar o con i g r uppi a questa favorevoli.

I no lt re, n e l settembre 1948, dopo che si erano già avvertite alcune so lleci t az ion i da p a rte del Forcign 0//ice, Airey decise di indire le el ez ioni lo c a li, e pu r non ignorando che i futuri consig Ji cri comun a l i s a reb bero st a t i p iù indip endenti c meno soggetti all'autorità del Governo Alleato. ciò non servì a mettere in discussione l'ob iett ivo con n esso a tale scelta: il fornire un riconoscimento reale, che pote\·a p ro ven i re soltanto da una consultazione elettorale, al carattere magg ior ira rio dei parti ti filoitaliani sulla scena politica locale.
L' a ttegg iament o nei confronti del gruppo etnico sloveno rifletteva d 'a lt ro c a nto l a volon t à di non fare alcunché capace di ritardare il p roce ss o d i r ima rginazione delle ferite recenti o di riap rire q u ell e vec c h ie , d i a tte n uare le tensioni persistenti a livello locale e di assume re un a funz io n e st a b il izzatricc secondo il dettame del Dipartimento d i S t a to E r a una prospeLtiva rapportabile alla rcimpostazione d e i ra ppo r t i f ra i q u a ttro interlocutori, p rei udenti all'avvio di un dialogo s u l pro b lem a di Tr ies te. D'altra parte il ruolo delle forze filoital iane q u a le in re rl oc u tore privilegiato poneva alle iniziative nella prc- detta direzione un limite oltre il quale si sarebbe potuto correre il rischio di suscitare l'ostilità della stessa Italia ufficiale , il tutto in una situazione nella 4 uale , a causa del forte antagonismo esistente fra i gruppi etnici, ogni atto che avesse coinciso con i timori dell'uno sarebbe diventato immediatamente cedimento alle richieste dell'altro.
A partire dalla seconda metà del 1949 la politica de ! governo militare alleato continuava nel complesso a seguire le linee di fondo precedentemente tracciate , ma tendeva nel contempo a cogliere, nel suo concreto sviluppo, certi esiti di fatto che dimostra vano la possibilità di raccordi con la ridefinizione della politica ang lo americana sulla questione di Trieste. Gli obiettivi di questa erano individuabili n e l fornire un periodo di distensione, contribuire alla riduzione di alcune delle lensioni che avevano reso i] problema di Trieste così esplosivo, concorrere al miglioramento di uno dei tradizionali punti critici dell'Europa sudorientale , togliere di m ezzo dalle relazioni fra Italia e Iu goslavia una questione altamente critica

Ma era evidente che si trattava di formulazioni piuttosto generiche, così come quella della prospettiva di una spartizione delle due Zone del TLT fra Italia e Iugoslavia , un 'eventualità manifestatasi in concomitanza con il riallincamento della Iu gos la via nei confronti dell'Occidente. Era del tutto concepibile che il governo iugoslavo avrebbe consentito alla restituzione di una gran parte del TLT all'Italia solo a patto che gli fosse stato consentito di mantenere sotto la sua piena sovranità la zona che amministrava al momento. Gli Stati
Uniti non potevano proporre o sostenere attivamente tale spartizione , ma avrebbero potuto accettarla qualora l'Italia, come pure l'Inghil terr a e la Francia, avessero dimostrato di aderirvi.
.\!( Ì( le dc Gdspcri. del co11sìglio ililli<mo d(11 rliccmlxc 19-t:J l D:J]
I n sos tanza, pu r nella disponibilità in linea di principio ad accettar e una so l uz ione d i compromesso, gli USA propendevano per un attegg ia m e n to d i imm o bilità c di astens io n e da ogni iniziativa volt a a favo ri re i l1 d ialogo fra l tali a e Iugoslavia. Ancora più esplicito era l' a tteggiament o d e l Foreign 0//ice britannico, che già verso la metà di a pr ile sempre del 1949 aveva dato mandato all'ambasciatore a Be lg ra do d i non ag ire da interm ediario in un'eventuale trattativa fra i d ue prcdert i P a es i.
Ta li a t tegg iamen ti testimoniavano il netto ridimensionamento c h e la q ues t io ne d i Tr ieste aveva subito dopo la rottura fra la Iugosl a via e l ' U n io n e Sovie tica ; essa perdeva qualsiasi ril ievo in relazione a i t e r m in i d el r apporto fra E st cd Ovest e diventava , per Stati Uniti e Ing hilt e r r a , un e lemento da riportare alla politica nei confronti dell'It a l ia e d ell a I ugos la via e da valutare in relazione alle ripercussioni che avreb b e p rodotto all'interno di queste nazioni. A tal proposito un e lememo d i p reci sazione del nuovo quadro di riferimento proveniva da l D ip a r t imento di Stato di Washington, che affermava come il c onsenso iu go sla vo ad una formu la che po t esse salvare la faccia a Tito e d avesse il suo s u pporto fosse l'e lemento indisp ensab ile ad ogni so l uz ione. Non si sarebbe potutO ad esempio prendere in esame ne pp u r e l a res t i w z i one della zona angloamericana ali ' I tali a senza l' a ccordo iugo s lavo, anche se i soviet ici fossero stati d'accordo. A ri bad i re il ca rattere di indispensabilità del consenso iugoslavo , \\'a s h ington es cludeva che si potesse raggiun gere una soluzione, p u r ri tenuta d i comp r omesso, attrave rso un'iniziativa unm laterale in qu anto il co mp romesso non poteva non fondarsi su l consenso i ugosl avo. Sta b il it a in q ues to modo la condizione imprescindib il e, l'altro element o d i r ife r imento, la "nota tripartita", assumeva la d imensione d i u n i mpegno da non smentire essendo ancora valide le ragioni di or d in e t att ico che a vevano indotto ad elaborarlo; un impe gno però la cu i att u az ione e ra del tutto incompatibile con la prernessa enunci at a . Un eventu al e a desione sovietica alla dichiarazion e del 20 marZ0 1948 a v re b b e p osto in fa t ti il Dipartimento di Stato in ovv ie d iff ico lt à ne ll 'ev it a re un'iniz i ati va osti l e a T ito. In u lt ima anali si il co nsenso iu gos lav o r appr ese nt ava un elemento d i orientamento de ll a pol it ic a an1e r ic a n a ment r e la "nota [ripartita" era inv ece legitt imata a gi oc a re un r uol o di f reno, di res istenza al movimento ne ll a direzione c a p ace di p o rr e te r m in e alla vcrtenza. F urono questi i cardini dell a p o li t i c a a me ric ana ed ingl ese dalla metà del l 949 alla metà del 19 5 1.

L'impostazione data al problema dal Dipartimento di Stato sanzionava di fatto un atteggiamento di assoluta immobilità da parte am e ricana, sebbene la distinzione fra obiettivi tattici e strategici rappresentass e la base sulla quale, attraverso progressivi aggiustam e nti, la vertenza di Trieste sarebbe g iunta a conclusione.
Il quadro descritto rimane v a so - stanzialmente immutato fino ai primi mesi del 1951. L'attenzione delle diplomazie occidentali verso i contatti itala -iugoslavi, che continuavano a ritmo intermittente f ra g li ambasciatori dei due Paesi, ribadiva soltanto come asserzioni di disponibilità al negoziato e possibilità di a vviarlo concretamente fossero termini fra Joro molto distanti.
Nel corso del 1951 , peraltro , pur respingendo sistematicame nte le pressioni iugoslave tendenti a smuovere Stati Uniti ed Inghilterra dalla posi zion e di assoluta estraneità al dialogo fra le parti direttam ente interessate, l e due diplomazi e occidentali cominciavano a dimostrare di vo lersi spostare dalla linea di condotta fino allora seguita .

Nel ma rzo 1951 De Gasperi e Sforza , nel corso di una visita a Londra , suggerirono che venisse ribadita la dichiarazione tripartita sia in sostegno aJl e forze governative impegnate nella campagna per le elezioni amministrative e si a come base per il negoziato fra Italia e Iu goslav ia. La proposta veniva però solo parzialmente acco.lta: la dichiarazione tripartita veniva sl riaffermata nel comunicato diramato alla fine dei colloqui , ma ad essa s i accompagnava l ' auspicio per una sistemazione "per via conciliativa". Sia p ur e in termini alquanto ambigui, cominciava ad essere ridotta la va lenza frenante oppost a dall a "nota tripartita " per l'avvio di una trattativa bilaterale , considerata come lo strumento indispensabile di ogni soluzione.
Owight O;wicl Eiscnhm \'C'r prcsidclJie degli Stati L'niti ( 1o m<mdmo) dal 1052 al 10:16.
L'iniziativa volta ad individuare nuovi elementi di riferimento per la politica angloamericana su ll a questione di Trieste sarebbe partita da Londra, cd avrebbe trovato il primo fattore di propulsione nell'avvicendamento governativo britannico dopo la sconfitta laburista nelle elezioni del195l. A ciò si univa la determinazione del nuo\'O ministro degli esteri Anthony Eden di porre termine agli impegni militari inglesi nella Zona A dopo che gli stati maggiori alleati avevano dichiarato di non aver obiezioni in tal senso, sia in conseguenza del fatto che l'accordo di assistenza militare collegava Ja Iugoslavia al sistema difensivo dell'Europa occidentale e sia, più in generale, perché stava cominciando ad attenuarsi il timore di un attacco sovietico in Europa.
Due ipotesi ,·enivano sommariamente delineate c sottoposte, a pa rti re dalla fine del 1951: l'individuazione di una "soluzione ideale", da prescnrare ad Italia e Iu goslavia, sulla base della spartizione delle due zone del Territorio Libero con lievi aggiustamenti di frontiera su entramb i i versanti o, in via alternativa, il ritiro angloamericano dalla Zona A. Quest'ultimo progetto incontrava notevole resistenza al Dipartimento di Stato, al cui interno si riteneva che una soluzione dc facto non fosse consentita dal trattato di pace proponendo, in alternativa, di rinviare la questione aU'ONU.

Al di là di questa difformità di giudizio, le due ipotesi, sia pure in maniera diversa, avrebbero avviato Stati Uniti ed I nghiltcrra a passare da spettatori passivi ad attori di primo piano nella soluzione de ll a vcrtcnza . C'era ancora un'iniziativa da attivare prima di procedere risolutamente lun go la nuova direzione: far riaprire il dialogo fra Italia c Iugoslavia al fine di ottenere la verifica Jefiniriva dell'impossibilità di un accordo bilaterale, che era la condizione necessaria pe r produrre un cambiamento nella linea di condotta inglese ed americana. D 'alt ra parte, la ricerca di tale verifica riapriva il vecchio scenario anziché porre le premesse per il nuovo.
Ma il 28 agosto 1953 l'agenzia giornalistica ]ugoprcss diramava una nota c he riportava la convim::ione di non poche persona l ità belgradesi sull a necessità di riprendere seriamente in esame l'atteggiamento iugoslavo in merito al problema triestino. Tale dichiarazione veniva interpretata da Pella, da poco nominato capo del governo italiano, come prova della volontà iugoslava di procedere all'anness ione formale della Zona B, eventualità alla quale egli contrapponeva la ferma intenzione di far entrare le truppe italiane nella Zona A. La nota iugoslava rappresentava senza dubbio un elemento di pression e nella direzione tendente a risolvere la vertenza in via definitiva mediant e la spartizione del le due zone, o quanto meno a preparare il terreno ad essa. Di fronte a tale iniziativa la risposta del governo italiano fu rivolta , per converso , a sollecitare la restituzione della Zona A all' I talia a titolo di soluzione provvtsona.

La nota iugoslava e la risposta italiana erano pertanto espressione di due orientamenti sui quali i rispettivi governi si erano att estati. Per quanto riguardava la risposta di Pella, essa non rappresentava un pretesto, una mossa preordinata per forzare la mano agli americani ovvero una concessione alle destre, sulle quali il nuovo governo italiano , minoritario , era obbligato a far conto. Lo stesso spostamento di unità militari in prossimità della frontiera orientale italiana in risposta al concentramento di forze al confine ed alJe manovre in programma nel settore di Lubiana, rispondeva verosimilmente ad un obiettivo di mobilitazione interna in analogia a quanto avveniva in Iugoslavia. Nella prima decade di settembre la contrapposizione si irrigidiva: Tito rivendicava l 'intero TLT fatta eccezione per la città di Trieste da sottoporre ad uno statuto internazionale , e dal canto suo Pella proponeva un plebiscito nell'intero TLT.
La percezione, da parte americana ed inglese che le due iniziative non erano capaci d'altro che di inasprire il confronto fra I ta li a e Iu goslavia; l'immagine di un vicolo cieco nel quale i due interlocutori si erano cacciati; la preoccupazione di una minaccia alla sicurezza delle truppe americane a Trieste proveniente da forze militari non adeguatamente controllate dal governo italiano sul mode ll o dannunziano del 1919; le incertezze sulla reazione del governo italiano; tut -
Giuseppe
Célj)O Ciel go\ crno itùliano d<.lll'agosto del 1D;)3 <l quello elci 193+.
() nowmbrc 1<r1: in Piazz<l dell'L ni 1cl' cl'lmlitl ro questo insieme di valutazioni e preoccupazioni faceva considerate e aurita, per lo meno a breve termine, la prospettiva di un accordo fra Italia c Iugoslavia e forniva lo stimolo alla diplomazia americana ed inglese a riavviare il processo arrestato prima delle elezioni del giugno 1953.
L'8 ottobre 1953, infatti, una nota bipartita faceva conoscere ai due governi direttamente interessati l' in tenzione di ritirare le truppe alJeate dalla Zona A e di trasferire tale territorio all'amministrazione italiana, il che equivaleva di fatto ad affermare che, per quanto concerneva Stati Uniti ed In ghilterra, la vcrrenza e ra da considerarsi conclusa. Comun que Stati Uniti ed In ghi lt erra non avrebbero richieSLO al governo italiano né a quello iugoslavo di aderire formalmente a tale interpretazione . Qualora essi avessero manifestato in seguito il propos ito di awiare una trattativa bilaterale al fine eli modificare i confini , i governi americano e britannico non sa reb bero intervenuti a favore delJ'uno o dell'altro. Contemporaneamente il governo di Belgrado veniva portato a conoscenza che né l 'eve ntuale annessione della Zona B né quella successiva della Zona A avrebbero suscitato proteste da parte alleata.

Il problema di Trieste veniva così a collocarsi esclusivamente nel quadro delle re lazioni itala-iugoslave. La decisione del1'8 ottobre evitava di prendere posizione nel merito della controversia fra soluzione provvisoria e soluzione definitiva. Ed era proprio tale circostanza ad impedire un rapido disimpegno angloamericano. Da un lat o, infatti, il governo italiano era legittimato a considerare come soluzione eli carattere provvisor io il passaggio della Zona A alla propria amministrazione, ed a presentare la nota bipartita come un riconoscimento implicito alla richiesta di "equiparazione"; dall' altro, però, ciò provocava un atteggiamento di assoluta resistenza da parte iugoslava. A Belgrado ed a Zagabria venivano prese d ' assalto le sedi di enti americani ed inglesi, ed il lO ottobre Tito affermava che l ' ingresso delle truppe italiane nella Zona A sarebbe stato considerato come un atto di aggressione nei confronti della Iu goslavia.
In termini immediati, quindi, la dichiarazione del.l'8 ottobre dava luogo ad un inasprimento della tensione fra Italia e I ugoslavia, associato ad un altro spostamento di unità militari ne]Ja seconda metà del mese. Ma a ll'ini zio di febbraio del1954, a seguito della disponibilità da parte del governo italiano ad una trattativa disgiunta in vista di una soluzione definitiva ed in virtù di un analogo atteggiamento da parte iugoslava , fu avviata a Londra una serie di conversazioni segrete fra tre delegati rappresentanti rispettivamente gli Stati Uniti, l ' In ghi lt erra e la Iugoslavia che si sarebbero protratti fino alla fine di maggio.
Le trattative successive, durate da giugno ad agosto del 1954, sembrarono concentrarsi dapprima su questioni secondarie, ed a tale riguardo l'ambasci atore italiano a Londra Erosi o riuscì a far cadere il progetto sull'autonomia ed a escludere impegni internazionali per l'istituzione a Trieste del "porto franco", riservando tale materia alla competenza della legislazione italiana. Ma le trattative stesse sembrarono avviarsi verso un punto morto per quanto riguardava l a sistemazione territoriale; solo in settembre, peraltro, grazie all'intervento diretto di Eisenhower, fu possibile sb loccar e la situazione, per cui la Iu gos lavia ricevette una parte del settore sud-occidenta le della Zona A di estensione inferiore rispetto a quella concordata alla fine di maggio.

Il memorandum d'intesa, sig lato a Londra il 5 ottobre 1954, prevedeva la cessazione dei governi militari delle Zone A c B del TLT ed il passaggio di queste rispettivamente all'amministrazione italiana e iugoslava una volta apportate le modifiche territoriali concordate. Al memorandum era annesso a ltr esì un dettagliato statuto per la tutela delle minoranze etniche. In virtù del documento, che in sostanza dava la sanzione formale ad una decisione maturata un anno prima, due interlocutori, Stati Uniti cd Inghilterra, uscivano completamente di scena, mentre si apriva un nuovo capitolo nelle relazion i fra It alia e Iu goslavia, che sarebbe stato caratterizzato da una pro lungata "gestione della prowisorictà" culminata solo con gli accordi di Osimo dellO novembre dell975.

La data del 5 ottobre l 954 segnò per Trieste la vera fine della guerra. Questa, per i triestini, era durata esattamente 9 anni, cinque mesi e dieci g iorni di più che per il resto dell'T talia. Durante questo lungo periodo di tempo la città aveva vissuto molte giornate drammatiche, di cui le più intense furono quelle del 5 c 6 novembre 195 3, durante le quali nelle vie c nelle piazze si ebbero 6 morti e 77 feriti. Solo alle ore 12 e 16 minuti, dunque, del 5 ottobre 1954, con la firma del memorandum d'intesa, si pose termine ad una situazione così assurda e così pericolosamente tesa.
La cerimonia londinese, anziché al Foreign 0//ice, si svolse al Carlton House Gardens, nell'appartamento privato di Anthony Eden, momentaneamente indisposto. Nel salone dci ricevimenti della villa del ministro degH esteri inglese erano allineati, sull'ampio ripiano di un tavolo, i documenti dell'accordo stilati in quattro copie, quattro grandi fogli azzurri legati da altr ettanti nastri dello stesso color e. TI testo dei documenti era in in g lese, lin gua ufficiale usata n el corso delle trattative. Un quinto documento era cost ituit o da una carta geografica del TLT, di un metro quadrato di superficie, contenente le modifiche apportate alla linea di demarcazione tra la Zona
A e la Zona B. Il primo ad app orre la propria sigla in calce al documento d'intesa fu, secondo l'ordine alfabetico, l'ambasciatore italiano. Lo seguirono gl i altri: il sottosegretario aggiunto al Foreign 0/fi- ce Harrison per l'Inghilterra, l'Alto Commissario americano a Vienna Thompson per gli Stati Uniti ed infine l'ambasciatore iugoslavo Velebit. Nello stesso ordine vennero siglate le quattro copie dello "statuto speciale", il documento che doveva regolare gli interessi delle minoranze italiane nei territori ceduti alla Iugoslavia.
Le manovre politiche che avevano condotto agli eventi descritti sarebbero state rese di pubblico dominio solo alcuni anni dopo in un volume di memorie di Eisenhower, dal quale risultava che, qualora la soluzione del problema triestino fosse stata ancora procrastinata , tutta una serie di questioni riguardanti la politica interna italiana ed anche alcune ancora più importanti, di carattere internazionale, sarebbero state seriamente compromesse. All'epoca dei fatti Eisenhower era stato eletto solo da poco alla carica di presidente degli Stati Uniti. Egli si era reso subito conto che il mantenimento dello statu qua in quel punto cruciale dell'Europa non avrebbe sicuramente giovato né al progressivo allentamento della tensione internazionale né alla propria politica personale. Aveva perciò deciso che uno
TfÌ('Sll' .J no\'l:ml)t'l' 1933 : lcl polizia ci\ ·ile i i t mmifcstiJnti rifugintisi nelle-t Ci1il'Stl eli s. .\ ntonio nuo, o. dei primi atti del suo mandato quadriennale sarebbe dovuto consistere nella definitiva composizione del problema triestino e nel ristabilimento di rapporti quanto più armonici fra Italia e Iugoslavia. Che il problema fosse effertivamente spinoso, lo avrebbero dimostrato poco dopo i primi atti del governo PeiJa, succeduta a quello di De Gasp er i, che si oppose energicamente alla ratifica del trattato della C.E.D. fino a quanto gli alleati non gli avessero dato precise assicurazioni circa la salvaguardia dei diritti italiani su Trieste. Fu come appiccare il fuoco ad una miccia. Gli italiani furono all'improwiso profondamente scossi dal rapido succedersi degli avvenimenti, senza riuscir e a rendersi pienamente conto che da un momento all'altro avrebbero potuto essere nuovamente coinvolti in una guerra . Tito, infatti, aveva interpretato - od aveva fatto finta di interpretare -gli intendimenti di P ella nel senso che egli si proponesse di occupare Trieste, ossia annettendola di fatto, se non di diritto, all'Italia. E per dimostrare che, dal proprio canto, la Iugoslavia non avrebbe assistito passivamente ad un'azione del genere, aveva ordinato una parziale mobilitazione. A sua volta Pella, in vista di un conflitto armato, aveva in viato truppe alla frontiera nord-orientale e navi da guerra nell'Alto Adriatico, notificando agli alleati che, a meno di non ottenere il loro sostegno, l'Italia sarebbe stata costretta ad uscire dalla NATO.

Seguirono settimane particolarmenLe intense. C'era sempre nell'aria una minaccia che la sc intilla desse fuoco alle polveri da un momento all'altro, e nessuno poteva imma ginare le cons eguenze che ne sarebbero potute derivare. E quando 1'8 ottobre fu annunciato che le truppe alleate si sarebbero ritirate dalla Zona A per essere sostituite da quelle italiane, Tito, che in pre cedenza aveva dato il proprio consenso ufficioso a questa soluzione, murò improvvisamente atteggiamento e dichiarò, questa volta ufficialmente, che se l'Italia fosse entrata nella Zona A avrebbe consid e rato questo atteggiamento come un atto di aggressione nei confronti della Iugoslavia e si sarebbe riservato di inviare a propria volta le sue truppe.

Sarebbero passati alcuni mesi prima che si ristabilisse una certa caJma, e fu allora, agli inizi del 1954, che Stati Uniti ed Inghilterra compresero finalmente ch e, per giungere alla risoluzion e definitiva del problema, sarebbe stato necessario per prima cosa mettere a contatto diretto le due parti in causa e guidarle con diplomazia ed intelligenza verso l'auspicabile accordo.
Nel mese di maggio del l 954 si pervenne a concorda re la base del 1V1 emorandum , siglato da Harrison, Thompson e Velebit , ministri degli esteri rispettivamente di Stati Uniti, Inghilt e rra e Iugosla via, mentre per quanto riguardava il rappr ese ntante dell ' Italia , la sua non partecipazione era dovuta al fatto che per quanto ri g uardava le rettifiche territoriali si era convenuto di accettare quelle previste dalla nota dell'8 ottobre 1953 .
La felice conclusion e della vertenza sare bbe stata determinata, secondo quanto scrisse in seguito Eden nelle sue memorie, da un carico di grano americano offerto alla I ugoslavia che ne aveva urgente bisogno . L'entità del carico non sarebbe mai stata precisata, ma con esso .la Iugoslavia acquisì. anc h e qualcosa di più sul piano territoriale : la verde e lussureggiante Punta di Lazzaretto, all ' estremo Sud della Zona A, in cambio de ll a quale all'Ita lia venne concesso un <eg uale porzione di terreno sterile e roccioso a Nord.
Il 5 ottobre, finalmente, si giunse al termine del lungo contenzioso durato 9 anni: I talia e Iugoslavia trovarono l'intesa , sulla questione di Trieste , per un accordo accettabile da entrambe le parti.
L(l TC'Slèlta ciel giorncllt> eli Triestr elci 4 onoJ)t"C' 1934 cllll lLIIlCiémlt' lcl firn1(l clcii 'Clccorclo di Lonclw pre\·isto per il giorno SlllTCSSiVO.
