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LEG A NAZIONALE TRIESTE
Con loro, esponenti del mondo politico triestino, giunti da un paio di giorn i , con i segni di una gran d e tensione psico -fisica: lVlarco Samaja, membro del vecchio partito lib era l- mlziona le di Felice Venczian; Ugo Callini, uomo di fiducia di Valentino Fittoni, il leader del soc iali smo triestino che da Vicnna, dove era rimasto, aveva lanciato l'id ea velleitaria eli una repubblica istriana con Trieste capitale; Giuseppe Ferfolija, rappresentante s lavo di lingua it al iana. I tre avevano costituito il 30 ottobre, dopo l'insurrezione della città e la precipitosa fuga del luogotenente Fries - Kcne , un "Comitato di alure Pubbli ca". 1\lla l' organo che aveva in mano la città era il "Fascio azionale" nel quale figuravano i nomi dci più attivi patrioti italiani, dal podestà Alfonso Valerio al suo vic e Costantino Dor ia , da ilvio Benco a Vittorio Furlani, dall'on. Edoardo Gasser, deputato italiano alla Camera austriaca, allo storico Pietro Sticotti, dal chirurgo Amerigo d'Este ad Aldo F ort i , dal giurista istriano Nicola Li n der al letterato Marino de Szombathcly.
Tra i personaggi in questione s i intr ecc iavano rapide voci e no- tizie. La più attendibile era che tutte le genti che popolavano il bacino danubiano erano in movimento. L'Imperatore Carlo offriva autonomie, indipendenze, un regolamento federativo degli Stati g i à soggetti alla sua corona, i sudditi venivano promoss i cittadini con l'imp egno del più assoluto rispetto delle loro libertà ed infine, un particolare ordinamento per Trieste. Ma dai Carpazi all ' Adriatico il rifiuto sarebbe stato unanim e Però Trumbic, firmatario dell'accor - do di Roma per la disintegrazione della monarchia danubiana e che si considerava il Cavour della Iugoslavia, aveva già avanzato le proprie pretese su Trieste, prefigurando la città e tutta l'Istria come porto della nascente Iu goslavia. Prima di fuggire da Trieste, il luogotenente Fries -Kene aveva consegnato la flotta al comitato slavo, intendendo di pagare così un debito a coloro che lo avevano sempre aiutato, durante il suo governo, nella lotta nazionale contro gli italiani. Gli sloveni erano stati buoni e fedeli sudditi dell'Impero, domani lo sarebbero stati doppiamente di una grande Iugoslavia della quale già sognavano i confù1i all'Isonzo se non addirittura al Tagliamento.
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A Trieste, alle prime notizie della disfatta milit are, la popolazione era insorta e le autorità municipali, con in testa il podestà Valerio, avevano costituito quel già menzionato "Comitato di Salute Pubblica" del quale erano entrati a far parte rappresentanti di tutte le correnti politiche e della minoranza slava. TI socialista nazionale Puecher, che aveva fondato da tempo una pubblicazione intitolata "La Lega delle Nazioni", sarebbe stato per l'immediata ammissione di Trieste all'Italia, in forza del diritto democratico di autodeterminazione dei popoli, mentre i socia li sti di Valentino Pittoni avrebbero auspicato una soluzione indipendentista. Il Comi t ato, secondo le ultime notizie, si sarebbe attribuito un solo compito, quello della difesa dell'ordine pubblico avvalendosi del Corpo municipale dei vigili urbani e dei vigili del fuoco. Prima del precipitoso congedo dalla città, il luogotenente aveva passato i poteri al Comitato. Ma la popolazione italiana era insorta , aveva invaso le caserme, assa l tato i magazzini militari, e si era armata diventando di fatto padrona della città senza piani prestabiliti, e senza attendere oltre aveva occupato e presidiato tutti i punti -chiave: il palazzo della Luogo t enenza, quello delle Poste, il Porro Vecchio e quello di Sant'Andrea, le due stazioni ferroviarie ed i cantieri, in pieno accordo con le forze operaie. Da allora erano passati quattro giorni e quattro notti. La popola zione aveva vissuto per le strade, si era raccolta sulle rive a spiare il mare, a sperare di vedere un pennacchio di fumo, la sagoma Ji una nave. Quando erano apparse nel cielo le sagome degli idrovolanti decollati dalla laguna di Grado, la gente appariva come impazzita: era il primo segno che le forze armate .italiane s.i erano messe in movimento e allora, alte, erano risuonate l e strofe dell'Inno a Trieste, un testo adattato da un autore anonimo alle note deli'Tnno a Tripoli bel suo! d'amore .. .) risalente agli anni della guerra italo-turca dell911:

[ ...... .] Popoli cbe avete in core la dolce della redenzzòn, destasi nel nuovo albore la madre Italia al rombo del cannun. Liberi l'Italia vuole i figli suoi che schiavi sono ancor. Sventoli, spiegato al sole, sul colle di San Giusto il tricolor. [ ....... ]
Dal l o novembre aveva poi visto la luc e un quotidiano italiano, La Nazione, improvvi sato alla gar ibaldina , senza mezzi, da Silvio Benco e da Giulio Cesari, che fungevano da direttori, c da alcuni vecchi redattori de Il Piccolo.

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TI 2 novembre, giorno precedente alla partcn.::a della spedizione da Venezia, era arrivato un grosso motoscafo d'alto mare con a bordo un nosrromo, un meccanico ed un marinaio c, soprattutto, la pianta della zona minata deJ porto di Trieste, dal castello di Miramarc alle dighe c da queste all'intero arco del vallone di rvluggia. lVlancando l'ausilio di quella carta, nessuna nave avrebbe potuto accostarsi alle rive triestine senza correre il rischio di saltare in aria. Ed il merito era di Frausin, l'anziano comandante della Capitaneria, un vero lupo di mare, patriota fra i patrioti. Un merito notevole, dal momento che tutto l'Alto Adriatico era disseminato di mine vaganti che in s idiav ano la n av igazio n e.
Ma il tempo stringeva. Abbandonare rapidamente le fumanti tazze di tè e di caffè, il gruppo dei partecipanti alla spedizione aveva cominciato ad avanzare verso quel tratto di riva predisposto per l'imbarco. In esso, sotto la pioggia campeggiava la massiccia figura de l generale Petitti di Loreto, dai capeJJi bianchi, dai folti baffi e con il pizzetro alla Vittorio Emanuele Il , con il braccio sinistro ricoperto da una l arga benda, frutto di un<t recente ferita riportata durante un'ispezione in trincea, preposco a gu idar e lo sbarco nella città di an Giusto.

La formazione navale destinata all'operazione era costituita da quattro cacciatorpediniere. Il primo era l'Audace al comando del capitano di corvetta Starita, e su di esso presero imbarco il generale Petitli ed i giornalisti. Gli altri erano il Fabrizi, il Missori ed il La j'vfasa, tutte uni t à intitolate ai nomi di ufficiali garibaldini che avevano preso parte alle campagne del Risorgimemo.

Con il generale salirono a bordo 16 carabinieri destinati a presidiare la sede del Governatore a Trieste, e dietro a loro un ristretto gr uppo di personalità civili che da tempo collaboravano con incarichi fiduciari presso il Comando Supremo, capeggiate da Camillo
Ara, ultimo presidente dd partito italiano di Trieste cd esperto conoscitore della situazione politica ed economica delle terre adriatiche.
A breve distanza l'uno dall'altro, i quattro caccia si staccarono dalla riva. L'Audace era in testa ed all'altezza del traghetto di Sant'Elena appoggiava con rapida manovra a s ini stra, poi a destra, imboccava il canale fiancheggiato dai moli per accelerare infine la corsa ed entrare in mare aperto. La velocità di navigazione stab ilita dal Comando Marina era di 20 nodi.
La formazione navale stava puntando in direzione di Caorle quando improvvisamente le mitragliere di poppa dell'Audace aprirono il fuoco ce rcando di colpire alcune mine vagant i. Nel l'aria echeggia r ono colpi secchi e sibili. A fianco di Starita f in dalla partenza era andato a col locarsi un nostromo inviato dal vecchio Frausin; un uomo di mezza età, con la pelle bruciata dcii so le c dai salmastro che conosceva l'intera rete dei campi minati. Non vi era a ltro tratto che permettesse una navigazione presumihilmente sicura: si apriva all'altezza del caste llo di Miramare e si snodava lungo la sp lend ida costiera di Barcola. Gli altri caccia, ad un certo punto, non seguirono più il capo - squadr iglia, in quanto diretti verso località della costa tstnana.
Ancora qualche nodo e sulla linea dell'orizzonte si videro apparire tre lun ghi cortei di imbarcazioni senza alberi né fumaioli, trainati da piccoli va poretti lagunari. Si trattava di vecchie "m aone ", i cararteristici barconi a fondo piatto come zatte r e, che in la guna erano ad ibire al trasporto del carbone da Marghera alla Giudecca. Erano salpate Ja]la Marittima di Vene zia nelle prime ore del mattino e, attraversati i canali della città ancora addormentata, fra pallide luci az- zurre, si erano spinte a l largo , scortate da navi e da idrovolanti che vo.lavano bassi sul mare. Trasportavano duemila fiamme cremisi, due battaglioni di bersaglieri, il X ed il XXXIX, che la sorte aveva prescelti per portare il saluto liberatore dell'Italia ai fedeli dell ' opposta sponda.

Il convoglio procedeva lento lungo la costa. Si faceva giorno , ma non spuntava il sole, e cielo e mare si fondevano in una tinta plumbeo-cinerina. Le ore stavano diventando lunghe, monotone, noiose. Una sottile pioggia cadeva ad intervalli. All'intorno filavano le navi vigilanti, e nel cielo rombavano i motori. Dalla tolda di un caccia il generale Coralli, comandante della 2" Brigata Bersaglieri , salutava sorridendo i suoi uomini. Dalla costa, oltre la Livenza, giungeva cupa .la voce del cannone accompagnata da vampe arancioni in lontananza: era la Terza Armata che incalzava il nemico vinto. l bersaglieri stavano silenziosi, con le scarpe slacciate ed il salvagente a fianco , come prescritto dalJa navigazione operativa.
Il convoglio proseguiva lento. Dopo undici ore si intravvide la penisola istriana. Più innanzi, gli anziani individuarono il Carso: la fronte si rabbuiava e cadeva sul volto un velo di dolore a] pensiero dei tanti compagni sepolti o dispersi lassù, fra quelle doline. Le reclute, curiose, si affollavano da un lato e le imbarcazioni si inclinavano sul fianco. L'Hermada che aveva vomitato fuoco come un vulcano ora taceva , e Duino le faceva da sentinella. Le migliaia di persone che percorrono ai giorni nostri la strada costiera che da Duino a Sistiana raggiunge Trieste non sanno, nella grande maggioranza, che questa fascia di terreno carsico in prossimità del mare fu teatro di vicende spaventose. In particolare, per il possesso di Duino si combatté con estremo accanimento. La larg a dorsale dell'Hermada, estendentesi verso quello che fu definito ('l'inferno di Doberdò", sbarrava come un VLÙcano in eruzione la via per Triest e. Chi occupava l'Hermada, avrebbe posseduto anche la città. Ne erano consapevol1 entrambi i contendenti, e quell'altura di 323 metri divenne una specie di incudine su cui furono sacrificate inter e divisioni. La visione dei battaglioni decimati che tornavano dalla battaglia faceva sorgere ne.U'animo un desiderio di pace ben p.iù forte e genuino di quello in voca to da tanti retori sentimentali od antimilitaristi. Soltanto chi era testimone di un simile spettacol o poteva comprendere e ricordare per sempre il calvario di quegli uomini e la loro orrenda tragedia. Verso le 15 si incominciò finalmente a vedere terra. Laggiù, in fondo al golfo di Panzano, si delineava un informe frastagliamento di rovine grigie e spente: Monfalcone, il cui cantiere appariva come un cimitero di scheletri di ferro.
L'Audace rallentò la corsa. Si era entrati nel canale che si apriva libero tra la riva ed i campi di mine. Tra il porticciolo di Santa Croce e Grignano la costa appariva come uno spalto bruno , ricco di vegetazione , che scendeva a picco sul mare. Le famose bianche torri di Miramar e, cantate dal Carducci, spuntavano sulla cresta dd verde promontorio che nascondeva la mole del Castello. Erano ormai quasi le cinque. Ancora pochi minuti di navigazione, ed ecco il miracolo: Trieste è là in fondo, tutta grigia, nascosta entro una cortina di vapori che la sera imminente ha reso più fitta. Riecheggiavano i ricordi di visite lontane, quando i piroscafi del Lloyd correvano veloci fra Trieste e le Bocche di Cattaro, partendo da quel molo San Carlo che era il cuore della vita marinara della città e che aveva avuto aneh' esso la propria storia. ll 3 ottobre del 17 40 al posto del molo c'era ancorata una nave

Il gC IH'I'éllt' Pl'lilli l'dggi ll l lgt' il 1icipio eli Tri<'SIC da guerra con 70 cannoni recante sulle fiancate, a grandi lettere, il nome San Carlo. All'improvviso una falla si aprì nei fianchi della nave, che in breve sprofondò nonostante gli sforzi fatti per sah·arne almeno i cannoni. Furono fatti venire da Mantova esperti ufficiali di marina perché rccuperassero la nave, ma tutti i tentativi fallirono. Il fango tratteneva tenacemente la sua preda. In quell'epoca si discuteva sul modo di proteggere le navi ancorate al porto, che le violente raffiche della bora spesso sbattevano l'una contro l'altra. Sorse allora l'idea di utiliaare la carcassa della San Carlo come base di un nuovo molo. La costruzione durò orto anni, dal 1743 al 1751. Per lunghi anni il molo San Carlo sembrò osservare il precetto divino. Per se i giorni offriva, infatti, da mattina a sera, lo spettacolo della più intensa attività, piroscafi partivano cd arri\'avano in continuazione, i facchini faticavano a caricare od a scaricare le merci, marinai, viaggiatori e doganieri correvano, si urtavano affrettandosi fra il chiasso in mezzo a quel labirinto di casse, di barili, di bagagli. Alla domenica, invece, il quadro era diverso: una folle elegante faceva il giro del molo, pacatam e nte, chiacchierando. Come intermezzo, le squallide giornate d'inverno, durante le quali la bora urlava selvaggiamente ed i marosi spazzavano via i casotti della finanza e rovesciavano le colonne. Poi erct venuta la guerra: la miseria, b desolazione, con il solo conforto di una segreta speranza. Quatlro lunghi anni di attesa ma che alla folla, assiepata sul molo sotto la pioggia, erano sembrati meno lunghi degli ultimi due giorni.
Si attendeva l'Italia. E l'Italia sarebbe ve nuta sull'Jludace, chiudendo così la storia del molo San Carlo e dando inizio a quella del molo Audace.
Tornando al convoglio in navigazione, dopo tante ore la bella meta si svela d ' incanto. La città bianca si prepara all'offena e si avvicina. Dalle imbarcazioni si agitano selve di bandierine confuse con le piume degli elmetti. Un coro di gioia si sprigiona dal mare. Trieste si avvicina sempre più. Si vede già la folla accalcarsi sulla riva, ed un confuso agitarsi di braccia come onde oscure. Alle voci che provengono dal mare fa eco la voce del popolo accorso per abbracciare i soldati italiani, prossimi all'approdo. Ora l'esultanza esplode senza freno, come delirio, dal mare c dalla sponda.
Le rive, i moli, le finestre, i balconi, i tetti dei palazzi rigurgitano di popolo che agita bandiere tricolori. La notizia dell'arrivo delle nostre truppe ha mobilitato l'intera popolazione, tra i Magazzini Generali e la Lanterna Vecchia, ovunque ha potuto trovare uno spazio
