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"Finis Austriae" a Trieste
Ilo scoppio della guerra la città restò praticamente isolata ed assediata. L e sue speranze in un arrivo i mmediato delle truppe italian e liberatrici andarono deluse. Alla delusione si accompagnò un senso di sfiducia negli organi più vicini al governo eli Roma, dai yuali e ra venuto l'avvertimento confidenziale di provvedere al mantenimento dell'ot·dine pubblico nel breve tempo che sarebbe int e rcorso dalla partenza delle autorità austriache all'arrivo dei nostri soldati. TI Corpo dei vo lontar i organizzato per la bisogna sarebbe stato si costituito, ma tre anni e mezzo dopo.
Hanno sbagliato sicuramente strada, dicevano alcuni anziani, non riuscendo a rendersi conto del ritardo. Forse non se ne rendevano conto nemmeno le autorità luogotenenziali, che avevano preparato il necessario per la partenza con una sollecitudine tale da far pensare piuttosto ad una fuga. Invece restarono, e cominciò l'isolamento.
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La mobilitazione c gli internamenti avevano spopolato la città. 11 dominio mil itare vi si insta llò con tutto il rigore elci suoi tribuna li, i viveri cominciarono a scarseggiare, e fu pr ima la carestia poi la fame, aggravata dalla "spagnola". T giorni si succedevano ai giorni, i mesi ai mesi , le stagioni alle stagioni, sempre più smorti c gr ig i. 11 tempo si era fermato al maggio 1915 e non passava più, e ra diventato un dolore fisico. Nessuno sapeva niente di preciso su ciò che accadeva fuori dei confini cittadini. oppresso Il Piccolo, gli italiani non avevano a disposizione che fl Lavoratore, e questo usciva spesso con le colonne falcidiate dalla censura. Almeno gli italiani internati nei campi di concentramento dell 'A ustria avevano la possib il i tà di l eggere nel giornale ungh e r ese !lz Est i bo ll ettini d eg li Allea ri.
Il 16 giugno 1915 era stato disposto lo sciog limento de ll a Lega Nazionale che, costituita nel 1891, aveva rappresentato l'espressione autentica e spesso clamorosa della realtà triest i na in tutte le sue diverse componenti irredenrisre. Ne erano espressione anche le strofettc di una canzone dell'epoca:
" 1 o pol esser nostro amico chi contrario a noi ne mostm, questa lingua xe la nostra xe la lingua nazional. De sta lingua che parlcmo in dt/esa sua costante sentinela vigilante xe la Lega Nazionat'

La città era come una donna che, con la fantasia eccitata, guardasse due uomini combattere per il suo possesso. Il suo cuore apparteneva forse a coloro che per essa si erano mossi cd ora spargevano il loro sangue lottando accanitamente. Non si rifiutava, ad ogni modo, anche a coloro che, con lo stesso spirito di sacrificio c lo stesso valore, ne difendevano il possesso.
Amici e nemici. tutti avevano sempre davanti agli occhi il prezzo della vittoria: Trieste, la bella perla sul mare. Un gran numero di uomini versava il sangue davanti alle sue porte, e negli angoli più nascosti delle case echeggiava il rombo del cannone. Quando calava la notte, migliaia di persone sedevano sulle terrazze dei caffè della riva e guardavano verso l'altra estremità del golfo, dove il cielo era tutto un lampeggiare di esplosioni. Due giganti lottavano per Trieste, Punta Sdobba lanciava ton n e ll ate di ferro infuocatc contro l'Hermada e l' H ermada rispondeva alla Sdobba, menlre il Carso insaziabile divorava m ig li aia e migliaia di uomini.
L a cosa più bella era quella di alzarsi dal lavolo della vita per guardare in faccia la morte, affacciarsi ad un balcone c scrutare nella notte. L aggiù, dall'altra parte del golfo, lampeggiava il bombardamento, scoppiavano le granate. Migliaia di uomini se ne stavano distesi dietro foreste di filo spinato, rannicchiati nelle buche c nelle trincee, le bombe a mano in pugno, oppure avanzavano e mori,·ano sotto le raffiche delle mitragliatrici. Qui la morte non poteva nulla, era il paradiso, là l'inferno; in mezzo, un paio d'ore d'autocarro.
Questa era Trieste, quando ancora si combatteva per il suo possesso. Una dolce attrattiva, un desiderio tormentoso. Poi vennero la dodicesima battaglia dell'Isonzo, Caporetto, ed il rombo del cannone si allontanò. Splendore e gloria le furono roltc, perché essa non era piLtla bella per i cui occhi gli uomini combauevano e morivano a decine di migliaia. Il suo sorriso scomparve. l propagandisti dell'epoca grida\'ano, a chi vole\ a c non \ ' olcva sentire, che le armate austriache marciavano su Venezia e si accingevano ad occupare Milano. Era la fine. Non ci voleva che la salda fede dei patrioti italiani per resistere all'accoramento. L'atmosfera cittadina, già tanto pesante, si incupì maggiormente. Per gli italiani, fu rassicurante più tardi la circostanza che, passata Caporetto, sulle vicende del la guerra tornasse il silenzio. La speranza riaffiorava. Vari segni prcmonitori annunciavano che qualche cosa di nuovo stava maturando. Alla morte Ji Francesco Giuseppe, qualche barlume di luce cominciava a venire d'o ltre il sipario di ferro. I campi di internamento furono sciolti. l deputati italiani alla Camera di Vienna potevano far sentire la loro voce. l\;la nessuno era ancora in grado di valutare la portata e le conseguenze della mancata offensiva austriaca sull'altopiano di Asiago, sul Montello e sul Grappa, preludio al Piave ed a Vittorio Veneto. Quando se ne ebbe piena conoscenza, non vi furono più incertezze: era la vittoria. Ma occorreva superare gli ultimi ostacoli.

Il 30 ottobre 1918 Trieste insorse, così come il giorno precedente era insorta Fiume. Il Luogotenente fries -Kene, prima di abbandonare la città, aveva fatto un ultimo tentativo di resistenza, ordinando al presidio di Monfalcone di inviare a Trieste forze sufficienti per reprimere il movimento popolare. L'ordine giunse a destinaz ione, ma non fu eseguito.
Tntctnto da Trieste e da Fiume partivano diretti alla volta di Venezia i delegati dci Comitati cittadini, sorti per la circostanza, al fine di sollecitare l'invio della flotta italiana. Anche da Pola partiva Lm delegato. V'erano da attraversare i campi di mine disseminati lungo iJ percorso e non si avevano punti di orientamento. Si scorgevano aeroplani italiani sorvolare i natanti degli argonauti c fare cenni amichevoli.
A Venezia i delegati ebbero qualche noia. furono fermati e bendati, sospettando le autorità che si trattasse di un affare poco chiaro. Allorché si convinsero del contrario promisero l'intervento, e mantennero la parola. Il 3 novembre 1918 scendeva a terra il primo generale italiano, e ponendovi piede consacrava l'evento secondo il ri - to militare, dichiarando che prendeva possesso della città in nome del Re d'Ttalia. La folla, che da giorni aveva abbandonato le case imbandierate per gremire le rive, dava sfogo alla propria passione nella misura in cui l'aveva contenuta e macerata per più di 40 mesi.
I giorni successivi testimoniarono che l'Italia portava, con la liberazione, h clemenza verso coloro che le erano stati avversari e ostili. Ed anche questo era nella tempra romantica di quella guerra. Il generale Petitti sciolse il Comitato di epurazione che si era costituito ed accolse il generale barone Margutti, aiutante di campo di Francesco Giuseppe, che si presentò a lui in tenuta di gala con le decorazioni austriache accanto a quella dei Santi Maurizio e Lazzaro. Il suo imperatore era morto, il suo esercito non esisteva più cd il barone Margutti, seguendo l 'es cm pio di altri notabili dell'aristocrazia austriaca regionale, sollecitò l'onore di entrare nella comun i tà ordinativa del Regno d 'I talia.
Impero Austro-Ungarico

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