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Inediti
l'incipit di Tautoromanzo è stato pubblicato sul sito di Poesia del nostro tempo
Da Tautoromanzo:
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Quando su whatsapp vede / la foto di sua madre truccata con alle spalle un bastione secentesco, / a Catania per un convegno, / a maggio, si ricorda dei giorni prima / quando lei si chiedeva / se andarci avesse senso, / dico – sì, insiste, perché non dovresti / – ma perché è troppo tempo, / sono vecchia sono e lui con il suono / distinto dei treni e la trap da una cassa senza fili, / sul marciapiede opposto / dove si sdraiano e si rialzano / per evitare le piaghe i senzatetto, / quasi nudi delle piaghe che suo nonno morirà, / a novantanni, tra poco, / lui si conta i giorni sulle dita, / e lui dice vabbè ma che ti frega? /
Demetrio Marra (Reggio Calabria, 1995) è laureato in Filologia moderna all'Università di Pavia. Ha frequentato il Master “Il lavoro editoriale” della Scuola del Libro di Roma. È vicedirettore di «Birdmen Magazine», rivista di cinema, serie e teatro. È direttore editoriale di «lay0ut magazine», rivista di letterature, traduzione e ricerca visuale. Scrive in qualità di critico per diverse riviste, tra cui la sezione Lingua Italiana di Treccani e Triennale Magazine. Attualmente lavora a Milano come professore, collaborando con diverse realtà editoriali, su tutte Industria&Letteratura e Interno Poesia. Ha esordito con Riproduzioni in scala (Interno Poesia), con prefazione di Flavio Santi, finalista al Premio Ceppo Under35 e al Premio Elio Pagliarani. Suoi testi inediti sono stati pubblicati su Altri Animali, Mirino, Neutopia
Quando ci si addolora ci si / abbandona alla fantasia, che gliene frega / di quell’odissea banale, / casa-scuola-scuola-casa dove la variazione / sta se passare dalla rotonda con le fioriere o dalla Conad, / o se risponda prima mamma o papà, / e se è oggi che il ragazzo già ossessivo scomparirà, / dalla scuola come campo di forze, / e Io, gli faceva giorni prima, non ho forze, non ho un campo, / come posso… alle volte mi disconosco persino alla luce / non solo prima di dormire, parafrasa, / quando cerca di convincere il consiglio / che se si blocca non è per vizio o negligenza / ma ha una malattia, / se si assenta non torna la burocrazia, / i voti le pagelle – la foto di sua madre truccata / è una cosa che non vedeva da anni / dice cioè pensa, cioè non lo sa, / non sa quantificare nulla / di ciò che non lo riguarda / strettamente come un’animale e / Mamma la scrittura non vivifica un bel cazzo, / lei pronuncia il suo nome con tono di biasimo, poi gli fa / va bene amore, ci sentiamo dopo, mi chiamano, / e lui pensa com’è che hanno una vita i genitori. / Just new in the city and want to meet cool / people and discover Milano, nothing more / quando si sente sopraffatto apre Tinder / e scorre l’introversa mista di tagliatelle al ragù, teatro, gattini e psicologia che siede sulle scale di un condominio / mostrando la sideboob sinistra, o destra, se è un selfie. /
Al lago d’Iseo giura di essere meglio dal vivo, / in questo laico rosario lui / si riconosce come uomo, nel fine riproduttivo. /
Ha conosciuto molte donne nella vita, / tutte troie, pensa. Lo pensa perché / si censura anche e pensa / a quel suo amico assistente all’università / che non esisto come uomo, / come cazzo che può incontrare figa / e menomale, gli diceva, / se ridevano insieme fosse buona educazione, / o sommossa, e ripassa dal tunnel, / era fuori non sa come non rifinirci, / si strofina le mani guardando il rider per il freddo / che indossa un cappellino di lana giallo / pensando per un attimo di assomigliare a un bianco. / Ripensa a quante volte si sia sentito solo / e affossa le unghie sul dorso della mano: / somigliare a un bianco, pensa, / è davvero buona educazione, qualche passo / e Gimme Shelter andrà in dissolvenza, / grazie al cielo, quanto costa in termini di dignità / informarsi sulla contemporaneità, / rimette a posto le cuffie pensando / che qualcuno vuole assomigliargli, / e poi ai pensieri in rima e scorrendo / i nuovi colori della galleria / e le scritte Carlo Vive Genova 2001 / e poi Batman Salva Milano / e poi Sbirri Merda e poi Sara Ti Amo / decidetevi per carità che qui non si respira / dalla muffa dal lampeggiante del camion / che disinfetta – tò, guarda, fa, / fotografando il rudere a metà tra il cielo / stranamente blu, stranamente vero, / hanno buttato giù la vecchia fabbrica / senza tetto, e poi, ad alta voce, no offence, / ci costruiranno un palazzone vuoto, / vicino al parcheggio a pagamento, / di fronte ai magazzini che hanno ripulito / per esporre percorsi critici sull’arte contemporanea, / che dovrebbe si legge nel manifesto / occuparsi e riprendersi le città, / per fortuna almeno quello lì, / che da banchiere si commuove in parlamento, / è andato a fanculo, / ed è come se gliel’avesse detto in faccia, / dato il caldo, i fuochi l’aria di rivolta. /