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Tornare al punto di partenza, vedere il luogo per la prima volta

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La gamba storta

La gamba storta

MS: Immagino quello di oggi come un viaggio apolide; geografico nell’attraversamento dei confini; immaginifico nel suo aprirsi a un nuovo canone, che accoglie echi di porti lontani, migliori perché stranieri.

E.R: Dire viaggio e dire letteratura è in fondo il medesimo prisma. A me fa sempre piacere ricordare una delle esperienze per me fondamentali, che getta luce su altri processi di rapporto con la narrativa e la poesia: la traduzione, la transizione, la traslazione, il trasporto. Sono tutti termini che hanno a che fare con un movimento, da A a B. Mi ha sempre fatto sorridere come la parola trasporto in alcuni dialetti italiani è quella con cui ci si dichiarava un tempo: “Signorina, io porto per lei un certo trasporto”, ma è anche il carro funebre in alcuni dialetti, penso al romagnolo. La lettura è sempre trasporto e il viaggio è compiuto quando c’è un lettore che lo completa, lo integra, lo porta nel suo cosmo immaginativo. Lettura e scrittura sono esperienze di trasporto, di movimento. Andando sui testi su cui lavoro, l’immagine più bella è quella dei primi capitoli dello Hobbit di Tolkien. Inizia con una dimensione metaletteraria: c’è Bilbo che non vuole partire per un’avventura, le definisce “brutte e sgradevoli cose che fanno fare tardi a cena". Arrivano questi nani, questi migranti, questi nomadi nella sua casa e gli spazzolano tutto.

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È un’invadenza, ed è anche questa un’immagine metaletteraria: le storie arrivano e prendono degli spazi che noi per primi forse non vorremmo accordargli. E fino a quel momento Bilbo li sta semplicemente subendo. Non è desideroso di partire con loro. Non basta l’enunciato, la comunicazione di un’esperienza per rendercela interessante. Però succede una cosa. I nani dopo cena si mettono a cantare.

Cito letteralmente: “E mentre cantavano, qualcosa che gli veniva dai Tuc toccò il lato pazzo della sua famiglia, si ridestò in lui il desiderio di andare a vedere le grandi montagne, pire, i pini e le cascate, impugnare la spada”. Il risveglio dei 5 sensi. “Vedere”, “udire”, “impugnare”, e poi dice, “Guardò fuori dalla finestra”, e questa frase è una frase semplicissima; potrebbe scriverla anche un bambino, ma incastonata lì testimonia che Bilbo è già partito. Non importa uscire di casa. Il moto introdotto dall'esperienza artistica, il canto, è già un movimento che ci fa guardare il noto pensando all'ignoto. Infatti, Bilbo guarda fuori dalla finestra, vede le stelle e pensa ai gioielli dei nani, vede un fuoco e pensa al fuoco del drago. La cosa interessante è che questo movimento, innescato dall'arte dal noto all'ignoto, ha poi il suo necessario completamento alla fine con gli elfi che cantano: “Tutto, le stelle sono più lucenti dell'argento, il fuoco di casa è più luminoso dell'oro”, perché è solo quando hai fatto il viaggio verso l'ignoto che torni verso il noto e lo riscoprì, come diceva T. S. Eliot: “Al termine di tutto il nostro viaggiare sarà tornare al punto da cui eravamo partiti e conoscere il posto per la prima volta”, e questo mi sembra, mi sono sempre sembrate alcune delle dinamiche, almeno per me, fondamentali dell'esperienza narrativa.

M.S: Il movimento avviene anche quando lo evitiamo. Le storie così come la realtà non si possono tenere fuori di casa. Di questo movimento non si può far a meno, così come delle storie, come diceva anche Kafka, in realtà, non occorre che tu esca di casa. Resta al tuo tavolo e ascolta, non ascoltare nemmeno, aspetta soltanto, il mondo verrà da te a farsi smascherare, non può farne a meno, si volterà estatico ai tuoi piedi. Noti una tendenza alla corsa verso l’irrealtà?

E.R.: Faccio un passo indietro storico. Quando Tolkien, tanto per citare uno dei grandi baffi, scrive il suo storico saggio On Fairy Tails, non stories, lui disse, perché l'accusa fondamentale che veniva mossa alle fiabe e ai racconti fantastici era quella di escapismo. E lui fece questa distinzione, diceva che c'è una bella differenza - proveniente da una cultura anche militare e patriottica - tra la fuga del disertore e la fuga del prigioniero. Condanniamo il disertore che abbandona la propria postazione, mentre facciamo il tifo per il prigioniero che cerca di evadere. La cosa interessante mi sembra, me l’ha indotta una battuta all'interno di di L'impero del sogno di Vanni Santoni, quando uno dei personaggi dice, “la realtà è sopravvalutata” prima di suicidarsi. Diversi autori contemporanei hanno impugnato la diserzione come un atto conoscitivo, se non addirittura politico. Penso a tutto l'utilizzo del fantastico, ad esempio nei romanzi dei Wu Ming. C'è una generazione per la quale la diserzione da una determinata postura nel mondo è una possibilità, più o meno individuale, più o meno collettiva, di attingere a qualcos'altro. Come sempre tutto questo va giudicato non dalle petitio principi, ma dagli esiti, cioè da quanta realtà aggiuntiva questo è in grado di introdurre nel testo.

M.S: L'ultima battuta, sei reduce da un viaggio ad Atene, com’è andata?

E.R:Io amo molto una frase di Baudelaire, credo dicesse che ai diritti fondamentali dell'uomo bisognerebbe aggiungere il diritto di contraddirsi e il diritto ad andarsene. E quindi io quando posso me ne vado.

La cosa per me impressionante di questo viaggio è stata da una parte un bel riaggiustamento di un facile feticismo, perché chi come me ama immensamente quel mondo deve fare uno strano movimento di aggiustamento delle lenti interiori, deve dire quasi dentro di sé: “Cazzo, sono veramente ad Atene” e aggiustarsi rispetto a quasi duecento anni di turismo sempre più invadente. Ma la cosa per me impressionante di Atene, al netto di essere salito di corsa all'Acropoli, è stata aver fisicamente baciato la terra, nello sconcerto della gente intorno. Insomma, lì hanno camminato Pericle, Socrate e Platone, tutti. E quindi ovviamente ho baciato la terra. Ma l’aspetto più forte ad Atene è stata la sensazione di essere come a Chernobyl. Ho avuto questa strana impressione, cioè di essere in una centrale nucleare quasi dismessa, da dove è partita? Una cosa che adesso non ha più confini, una cosa che per uno strano miracolo è avvenuta lì tremila e quattrocento anni fa. Ora gli dèi sono nei manga giapponesi, nei film della Marvel, sono dappertutto, lì è esploso qualcosa che poi si è diffuso dappertutto e che molto spesso ci attende altrove, perché, paradossalmente, certo che ho fatto il bagno nel mare Egeo, ma la prima volta che ho incontrato Poseidone l'ho incontrato nel Mar Tirreno, quando da ragazzino ho letto l'Odissea e questa è la misteriosa vittoria di quello che è successo in quel luogo per me.

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