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IL GIARDINO DI SOPRA
tuffa il cucchiaio nel piatto rosa a tre cavità. La pastina Oei la chiama tempestina) sbrodola il babio della bimba (non sua), nutrendo l'inconfessabile, tardivo desiderio (tutto e purtroppo solo suo) di una creatura che mai abiterà il suo grembo e questo mondo. Dal seggiolone due occhi nerinerineri si aprono e si chiudono sul largo petto che respira candore, canta papaverialtialtialtifioridilillà, acquietando persino la bambola lasciata cadere dal seggiolone. La mamma infila il rametto (d'ulivo) nel becco della colomba, raddrizza il tablò, raccoglie la bambola, cantilena pablò tablò picassò e riprende a sferruzzare a punto riso un cache coeur di lana giallina. La sua bambina dorme di là, con una mano dentro i seni della tata che, ballando a piedi scalzi (il parquet scricchiola) dissolve annebbiamenti e culla in sogno un miracolo d'amore.
IL GIARDINO DI SOPRA
Dentro il quadrilatero di muri muschiosi, protetta da serpentelli, fiori d'acanto e losanghe in ferro battuto, la casa è una grande scatola, vecchia di più di cento anni. Quando il sole trascina ombre lunghe e la luna lambisce i bordi della fontana, il bimbo, piccolo di meno di tre, la capovolge e una linea melodica sgorga da ciò che non esiste e tutto, proprio tutto, comincia a esistere. La scala si scompone, quaranta e uno gradini restano sospesi per aria, il corrimano srotola giri strani e lui, affacciato all'abbaino come da una vecchia nave che salpa carica di speranza, affonda le mani nel buio, ripescando dal profondo sguardi e voci, annodati tra il ponte e la banchina a propiziarsi il mare, lanciando al cielo fazzoletti, nomi, promesse e preghiere che, gonfi d'aria, presto diverranno suoni, echi. Silenzio. Rassegnazione. Oblio. La nave si inclina, scompare all'orizzonte e la cesta dei giocattoli, ormeggiata nel solaio traballa, sparpagliando con meticolosa precisione divertimenti e nostalgie di infanzie remote. La chiavetta a stella solletica l'ingranaggio arrugginito: il carillon tintinna, il cavallino polveroso di piume e lustrini dà tre strappi, sussulta, riprende a trottare tra cielo e terra, in un largo giro di giostra che riunisce i mondi, asciuga i mari, consola il pianto di chi va e ancora non sa e di chi, rimanendo, non saprà mai. Dal sottotetto, i balbettii del bimbo ruscellano giù nel quadratino rosa di ghiaia, pieno di vasi e piante grasse:
