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PREGHIERA D'ACQUA SALATA
BELERINO
Nel liquido labirinto del sogno, non è la luce del giorno, ma una meteora che, esalata dal sole, fa da torcia alle ombre e, oscillando nella stanza ( che il nero fa più piccola), scontorna la figura di spalle che parla con dolcezza al vuoto. Gnigni gnègnè, le fa eco in falsetto il fantasma saltabeccante sollevando vertigini che mandano in frantumato smarrimento lo specchio. La parete nuda, trafitta dal chiodo arrugginito, trema, si inclina pudica, si accascia, trascinando cupi riflessi. Funamboli grumi d'ombra strisciano all'indietro, lamentosi come enormi pietre, evanescenti come fuochi fatui. Da una scala a chiocciola appesa al nulla, che scricchiola in tutti i suoi gradini e pare un inquieto organo da chiesa, l'immagine capovolta, spia il cielo, pregando che il sogno, così come la luna e le stelle, abbandonino presto la notte per riversarsi nel biancore del mattino. Le candele fremono, si spengono: il nuovo giorno gioca in punta di piedi con l'esserino che fn mm ullando le braccia (non le ali) s'invola lasciando nel sogno il pigiama di spugna e la tettarella in caucciù. Crepitando un fortissimo che stordisce il creato, la scala rotea vorticosamente su se stessa e, affondando nel nascere del sole, spalanca la fmestra della stanza ( che il chiarore fa più grande). L'aria scintilla desideri festosi come coriandoli per il risveglio del belerino, né angelo, né bambino, né ...
PREGHIERA D'ACQUA SALATA
Dal cerimoniale notturno, in cui tutto scorre lentamente pur rimanendo immobile, sgorgano visioni che, annodate a magiche sincronie, gonfiano il bacino del sogno. Luna calcificata, testa di manichino, babau, spauracchio: la forma bianca occhieggia dai cuscini e irrompe, in squillante contrasto, nella luce crepuscolare. Gesti sospesi, mai definitivamente compiuti, sollevano il peso del nulla, rovistano il fondale del grande mare e strappano a gelide correnti il mistero che si accoccola dentro lievi mani. Cullato dalla trasparenza delle alghe e dalla calma del sogno graffia il buio, incide ( come il bimbo trasognato nelle ghette di lana) un forellino allargandolo con l'indice in un piccolo gioco di oscura dolcezza. L'invisibile filo, arricciato in matassa, foggia ali che battono l'aria, come colpi di remi l'acqua, sollevando riflessi e arcaiche monodie. La luna inclinata si sbriciola in uno sbadiglio. Il manichino getta un'ombra nella piazza, palcoscenico aperto e addormentato sul quale babau e spauracchio animano melodrammi assurdi dall'ambigua forza evocativa. In oleosa pennellata, l'onda penetra la grotta: fragili stalattiti, come lamentose canne d'organo, sgocciolano streganti suoni. La donna argentina percorre e ripercorre la tormentosa traversata, srotolando tra i due mondi, una preghiera
