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Mariafelicia De Laurentis: la scienza è vocazione. A caccia di buchi neri

Insieme al suo team, ha fotografato il buco nero al centro della Via Lattea. In questa intervista, ci spiega perché è un traguardo così importante. Ma ci parla anche di solitudine e senso di comunità, cita Martin Luther King e spiega che tutto è partito dal desiderio di “entrare nella mente di Dio”

MARIAFELICIA DE LAURENTIS

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La scienza? Una vocazione! I sacrifici, le fatiche, la gioia indescrivibile della scoperta

Come si diventa astrofisici? Al di là degli studi, che

immaginiamo ottimi e abbondanti, ci vuole una particolare predisposizione, una speciale ossessione?

«Il punto di partenza è avere una laurea in Fisica. Uno studioso degli astri e dell’universo è prima di tutto un fisico che guarda il cielo invece che i fenomeni posti sulla Terra. La sua cultura di base è fortemente incentrata sulla matematica, la fisica e anche la chimica. Poi può specializzarsi in astrofisica e astronomia. Ma per diventare veri ricercatori è necessario imparare il mestiere e questo lo si fa attraverso il dottorato di ricerca, tre anni che servono anche a capire se è questo quello che vogliamo fare davvero nella nostra vita. Da lì in poi è quasi tutto in salita. Il percorso è lungo e spesso difficile, ma con passione e buona volontà tutti possono ambire a questa professione».

Detto così, fa un po’ paura. Forse ci vuole una volontà più che buona.

«Ai miei studenti, soprattutto i piccoletti del primo anno, ma anche ai ragazzi che incontro nelle scuole, dico sempre che ogni persona ha le capacità intellettive per affrontare il duro percorso di studi necessario, e in generale per realizzare qualche fine. Certo, alcuni sono più dotati di altri, ma nessuno è nato senza qualche talento, proprio nessuno. Dentro di noi ci sono facoltà creative potenziali che abbiamo il dovere di scoprire e valorizzare, anche per il bene comune. Una volta che abbiamo scoperto per cosa siamo portati, dobbiamo impegnare tutto il nostro essere nella sua realizzazione, cercando di farlo meglio di chiunque altro».

Non è una vita facile, ma evidentemente ne vale la pena.

«Per fare questo mestiere ci vuole un’energia inesauribile, una buona tolleranza al rischio e al disagio, un divorante bisogno di “conferme”. Bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco continuamente. Si lavora sempre, giorno e notte, non si hanno fine settimana liberi, né vacanze o ferie e, dettaglio importante, non si guadagna molto nonostante la grande mole di lavoro che si svolge. Bisogna anche mettere in conto di perdere per strada persone che ami, amicizie, notti di sonno. È un continuo studiare e ricercare, mettendo a dura prova anche la salute mentale. È facile pagare il prezzo di non avere un luogo stabile in cui vivere, girovagando per il mondo. Ma c’è anche il lato positivo della medaglia: viaggi tanto, conosci luoghi e persone diverse. Io non ho una famiglia, ma la ricerca è la mia passione, questo è il mio mondo. Ciò che ad altri può sembrare una situazione insostenibile, per noi è una meravigliosa immersione in un mondo sempre sognato. La ricerca non è un semplice lavoro che finisce quando sono trascorse otto ore: è un modo di vivere, di pensare, è una passione così forte che non riesci a vederla semplicemente come un lavoro. È qualcosa di più».

Cosa l’ha spinta a scegliere proprio questo campo di ricerca? Intendiamo la motivazione più profonda, quella che dà un senso ai suoi sacrifici.

«Ho scelto di fare il fisico perché mi dà la possibilità di soddisfare la mia curiosità su tutto ciò che mi circonda. Ho sempre voluto “entrare nella mente di Dio”, capire la sua creazione. Per farlo non c’è modo più intrigante dello studio delle leggi della fisica che governano il nostro universo. Leggi che si rivelano sempre semplici, eleganti, con un che di perfetto nella loro essenza. Chi non crede in Dio constata questa perfezione e si ferma lì. Chi invece è credente non può non vedervi un riflesso della perfezione e della presenza di Dio. Ciò che cambia, insomma, è il significato da attribuire alle scoperte, l’ottica con cui le possiamo guardare e apprezzare»

Alla base c’è un’insaziabile voglia di sapere e capire. Forse c’è anche il desiderio di essere ricordati dai posteri, per aver dato un contributo alla conoscenza dell’universo.

«Io sono una persona che si fa continue domande su tutto (anche se non sono sicura che sia un bene avere il cervello sempre acceso).

Non volevo un lavoro comune, ordinario. Volevo lasciare un segno. E magari avere il nome impresso sulla pagina di un libro che ha cambiato la storia: questo è il mio concetto di eternità terrena. Credo che ognuno sia al mondo per un motivo ben preciso, che debba rispondere alla sua chiamata. C’è una frase di Martin Luther King, nel libro La forza di amare, che mi accompagna da sempre e sulla quale si fonda la mia filosofia di vita: “Se non potete essere il sole, siate una stella. Non con la mole vincete o fallite. Siate il meglio di qualunque cosa siate. Cercate ardentemente di capire a cosa siete chiamati e poi mettetevi a farlo appassionatamente”. Martin Luther King, che sfidò le discriminazioni razziali, è stata una figura ispiratrice per me. Lui e tutte quelle persone che hanno in comune il coraggio di portare avanti le proprie idee a costo della vita. Persone che mi hanno insegnato che è possibile cambiare il mondo e le cose intorno a noi, basta soltanto crederci».

Fare scienza significa anche saper comunicare i risultati ottenuti. Nella pagina a fianco, la scienziata italiana al telescopio della Specola Vaticana, l’osservatorio astronomico di Castel Gandolfo

Quindi, tra i suoi ispiratori non ci sono solo scienziati.

«Prima di essere uno scienziato bisogna essere una persona vera, autentica, unica, altrimenti non si possono raggiungere grandi obiettivi».

Fare il suo mestiere significa anche guardare il nostro Pianeta in modo diverso?

«Scrutare lo spazio, conoscerlo, interpretarne i segreti, cambia le prospettive della vita quotidiana, aiuta a relativizzarci, a trovare una dimensione autentica, ma anche ad essere felici. Ci si rende conto di essere un granellino insignificante di polvere in un immenso universo. Ci si sente piccoli e fragili, oltre che terribilmente inadeguati e tanto tanto ignoranti. Crediamo di sapere tutto e invece non abbiamo capito ancora nulla! È una sensazione salutare, che dovremmo provare tutti: il giusto correttivo alla nostra sciocca presunzione, all’arroganza che ci fa sentire padroni di ogni cosa, noi che non siamo padroni neppure dei nostri pensieri e dei moti del nostro cuore.Questa consapevolezza ha cambiato il mio modo di vivere. Ho imparato che la sensazione di piccolezza la si sconfigge e la si tramuta in grandezza collaborando con gli Si raggiungono grandi obiettivi quando altri, condividendo, comunicando, relazionandoci con fiducia. Si raggiungono grandi si impara ad essere umili, pensando al bene obiettivi quando si impara ad essere umili, dell’intera squadra. Bisogna smettere a mettere da parte il nostro ego e i nostri indi concentrarsi sull’io e pensare al noi teressi, a pensare e agire per il bene dell’intera squadra. Smettere di concentrarsi sull’io e iniziare a pensare al noi».

Il dovere per lei è anche un piacere.

«Si, assolutamente si! La fisica è la mia vita. Rinuncerei a tutto, ma non alla fisica. Dimentico di mangiare, di dormire, di fare tante cose, ma non mi stanco mai di ricercare e studiare. Cambierei sicuramente alcune cose nella mia vita passata, ma sceglierei sempre di fare l’astrofisico. Questo è il “mestiere” più bello del mondo. È un continuo imparare cose nuove. Un continuo crescere, conoscere, condividere, incontrare, interagire.Inoltre, è emozionante vedere concretizzate le ricerche di anni, frutto di un lavoro fatto di sinergia, cooperazione e tanto sacrificio. Sono sensazioni indescrivibili. L’emozione che ho provato nel momento in

cui siamo riusciti a rendere visibile l’invisibile (il buco nero), è paragonabile alla nascita di un figlio, a un concepimento. Le idee sono parte di noi, crescono dentro di noi e si concretizzano attraverso il lavoro di mesi e anni di ricerca».

Pensa e sogna le stelle anche nel tempo libero? Oppure coltiva altre passioni?

«Per chi mi guarda da fuori, forse i miei giorni possono sembrare tutti uguali, perché sono sempre con la faccia sui libri, al pc a scrivere note e fare calcoli, oppure impegnata in riunioni. Ma non è così. Ogni giorno per me è diverso e ricco, perché imparo e creo qualcosa di nuovo. Ogni giorno scopro di non sapere abbastanza e continuo a leggere e a imparare per paura di non avere tempo sufficiente per farlo. Il mio motto è “hic et nunc”! Nel poco tempo libero, suono il piano o ascolto la musica. Anzi ascolto musica ogni volta che posso anche quando lavoro, per aiutare la concentrazione. Leggo tantissimo, ho libri sparsi in tutta la casa. Amo molto scrivere e riportare pensieri, progetti e riflessioni su una specie di diario. Lo faccio da quando ero bambina. Ma se devo rilassarmi e staccare veramente il cervello, mi dedico al giardinaggio. Curo le mie piante. Non amo la tv, anche se negli anni ho sempre seguito la fiction “Un posto al sole”: guardarla quando ero all’estero era un momento di connessione con la mia terra».

Rinuncerei a tutto, ma non alla fisica. È la mia vita. Mi dimentico di mangiare o di dormire, ma non mi stanco mai di ricercare e studiare

L’astronomia e la fisica teorica sono le discipline scientifiche che forse lasciano più spazio alla fantasia, alla creatività, alla riflessione filosofica, e infatti attraggono anche i non specialisti. Lei come vede il rapporto tra ricerca, arte e discipline umanistiche?

«C’è un dialogo continuo tra tutte queste discipline. Credo ci sia sempre stato e forse oggi ancora di più: una relazione stretta e fruttuosa tra mondi diversi che permette di creare nuove espressioni di comunicazione.Letterati, artisti, musicisti, appassionati di scienza, la raccontano in prosa o in versi, sotto forma di opere teatrali, musicali... Ci sono scienziati che della loro scienza fanno un’opera letteraria e ci sono artisti che esplorano i territori della scienza. Una grande teoria scientifica è anche un’opera d’arte, un’opera filosofica. In essa è racchiuso molto più della pura matematica e fisica. C’è una costante ricerca della verità e della bellezza».

Film (o romanzo) di fantascienza preferito?

«Il film è Gravity. Ma confesso che non ho molto tempo per andare al cinema. Se devo vedere un film preferisco farlo da sola. E i romanzi di fantascienza non mi sono mai piaciuti».

Vecchi telescopi (sopra) e (accanto) nuove modalità di condivisione del sapere: il “talk”, dal vivo e in virtuale

Noi profani immaginiamo l’astronomo intento a scrutare il cielo, a caccia di nuovi oggetti celesti, sulla base di complicati calcoli matematici, ma anche di una qualche misteriosa intuizione. Ci dice qualcosa di più sul suo lavoro?

«L’immagine romantica dello scienziato solitario, intuitivo e un po’ folle, che giunge a una scoperta guidato solo dall’ispirazione e dal genio, è ormai un ricordo del passato o di vecchi film nostalgici. Anche se devo ammettere che molte persone continuano a credere che sia così: quando spiego cosa faccio restano a bocca aperta, quasi delusi di trovarsi di fronte una persona normale e per di più donna. La moderna ricerca, e in particolar modo quella dell’astrofisica e della fisica in generale, è sempre più un’impresa collettiva, che coinvolge team di scienziati di diverse discipline. Per esempio, nella nostra “collaborazione” abbiamo fisici teorici e sperimentali, astronomi e astrofisici, informatici, ingegneri, più tanti tecnici che sono di grande supporto. Lo scienziato è inserito in una struttura di relazioni senza cui il suo lavoro non sarebbe neanche plausibile.Una buona scienza è condizione necessaria ma non sufficiente a portare avanti un progetto di ricerca. Occorrono anche un’attenta gestione delle risorse economiche e umane, e un lavoro di coordinamento e comunicazione tra le diverse professionalità coinvolte. Un progetto di ricerca è una macchina molto complessa, formata da ingranaggi diversi ma tutti essenziali. Se qualcosa non gira come dovrebbe, l’intero meccanismo si inceppa».

Come si svolge una sua giornata tipo?

L’immagine romantica dello scienziato solitario «La mia attività quotidiana è molteplice e intuitivo e un po’ folle, è un ricordo del passato. dipende dalle giornate. In questo momento della mia vita è quasi tutta focalizzata La moderna ricerca è sempre più un’impresa sull’EHT (Event Horizon Telescope) e la sua collettiva, una macchina molto complessa, formata scienza. Il mio ruolo ora è quello di essere un da ingranaggi diversi ma tutti essenziali po’ scienziato, un po’ manager, un po’ comunicatore. Oltre a gestire il mio gruppo di ricerca, seguire i miei studenti e insegnare, passo le giornate a risolvere questioni puramente pratiche, come l’organizzazione di meeting e incontri tra i vari gruppi di ricerca, la revisione critica dei progetti, la risoluzione dei conflitti. Questo implica interfacciarsi con colleghi che hanno diversi caratteri e culture, quindi di fatto sono anche un “mediatore culturale”. Il compito più arduo è quello di assicurarmi che, una volta delineati gli obiettivi scientifici, si tenga la giusta rotta e ci si muova coerentemente verso la sua realizzazione, avendo sempre ben chiara la visione di insieme. Inoltre devo sempre essere reperibile per tutti in ogni istante, il che significa lavorare giorno e notte, avendo colleghi sparsi in diversi punti del mondo, nei fine settimana e nei tempi di vacanza. Dormo poco ma sono felice perché faccio quello che mi piace.

Ovviamente il contatto umano è assolutamente importante, anzi è la parte più bella del nostro lavoro. Incontrarsi ai meeting e guardarsi in faccia, discutere alla lavagna, è tutta un’altra cosa! A volte le migliori idee scientifiche sono venute viaggiando, nelle sale d’attesa degli aeroporti, passeggiando, o anche davanti a un bel bicchiere di vino, birra e buon cibo. Si finisce per scrivere formule ovunque, anche sulle tovaglie di carta».

Lei, per la stampa e il grande pubblico, è diventata “la scienziata italiana che fotografa i buchi neri”. Qual è il suo ruolo nel team che ha raggiunto questo risultato?

«Attualmente faccio parte del Management Team. Sono Deputy Project Scientist, la terza carica più importante della collaborazione. Il mio compito, insieme al Project Scientist Geoff Bower (Academia Sinica, Institute of Astronomy and Astrophysics, Hawaii) e al direttore Project Manager Huib Jan van Langevelde (Institute for VLBI ERIC, Olanda) è quello di guidare i 300 membri della collaborazione nell’esecuzione dei nostri obiettivi scientifici. In altre parole, significa gestire i molteplici aspetti di un progetto, dalla supervisione scientifica a quella finanziaria e alle strategie di comunicazione e trasferimento tecnologico. Fino ad un mese fa ho fatto parte anche del Consiglio Scientifico.Inoltre, sono coordinatore insieme alla collega Lia Medeiros (Università di Princeton), del gruppo di lavoro sui test di gravità (Gravitational Physiscs Input). Il nostro ruolo è quello di coordinare l’attività di interpretazione dei dati, tramite modelli teorici preventivamente sviluppati. Stiamo conducendo una serie di ricerche insieme ai componenti del gruppo di lavoro sui test, analisi e modellizzazioni di teorie della gravitazione. Insieme alla collega ho anche guidato la pubblicazione sui test di gravità per i risultati di Sgr A* (Sagittarius A)».

Perché è così importante avere fotografato Sagittarius A, il buco nero al centro della nostra galassia?

«Al di là del suo indiscutibile valore scientifico, questo risultato costituisce un emblematico caso di successo tecnologico. Innanzitutto la possibilità di osservare il vorticoso comportamento della materia intorno all’orizzonte degli eventi di un buco nero, ci ha consentito di mettere alla prova le previsioni della Relatività Generale di Einstein in un regime di campo gravitazionale forte. Ma l’accesso a tali informazioni ha richiesto l’adozione di tecniche e sistemi di acquisizione e in Questo è un emblematico caso di successo tegrazione dei dati in grado di superare le tecnologico. Il suo valore scientifico? La possibilità difficoltà sperimentali legate alla distanza che separa Sgr A* dal nostro pianeta, circa di osservare il comportamento della materia 27.000 anni luce, e alla natura estremaintorno a un buco nero, mettendo alla prova mente variabile di questo buco nero. Ostacoli superati grazie alla creazione di le previsioni della Relatività Generale un telescopio virtuale delle dimensioni della Terra, attraverso l’utilizzo della rete di otto osservatori radio-astronomici, distribuiti su tutto il globo. Una soluzione già dimostratasi vincente quando, nel 2019, abbiamo dato l’immagine del buco nero M87* (quello al centro della Galassia Virgo A). La connotazione tecnologica non sminuisce comunque l’importanza scientifica del risultato, che ha fornito una nuova e decisiva prova dell’esistenza di un corpo nero compatto al Si lavora giorno e notte, collegati centro della Via Lattea, un nuovo banco di prova per la Relatività Generale e per lo studio a ricercatori di tutto il mondo, del comportamento dello spazio-tempo in contesti altrimenti insondabili. La posizione ape si fa anche lezione online. Nella pagina successiva, la conferenza prossimativa di Sgr A* nel centro della Via Lattea è nota da quasi un secolo. È stata apstampa del 12 maggio in cui venne presa per la prima volta monitorando le posizioni e le velocità degli ammassi globulari, che annunciato il risultato ottenuto tendevano a orbitare attorno a un punto comune. I telescopi del passato non erano in grado dopo più di tre anni di lavoro. In basso, l’immagine ormai celeberrima, pubblicata su giornali, di individuare nessun oggetto interessante, a causa della presenza nelle regioni centrali della nostra galassia di polvere tanto densa da riuscire a estinguere quasi tutte le forme di luce siti e riviste di tutto il mondo, provenienti dal centro galattico. Un ostacolo che solo i segnali emessi nelle onde radio possono del buco nero SgrA* superare. Solo nel 1933, con l’ideazione dei radio-telescopi, grazie al lavoro pionieristico di Karl Jansky, fu possibile identificare una sorgente di emissione radio sorprendentemente luminosa, proveniente dalla direzione della costellazione del Sagittario, subito associata al centro galattico. L’avvento dell’interferometria radio, a partire dagli anni ’70, ha consentito di ottenere maggiori informazioni su Sgr A*, scoprendo che era più piccolo del nostro sistema solare ma milioni di volte più massiccio del Sole: caratteristiche compatibili esclusivamente con un buco nero supermassiccio.

I successivi progressi tecnologici ci hanno poi permesso di ottenere osservazioni di altissima precisione, tracciando singole stelle mentre orbitavano attorno a Sgr A* a una velocità fino a pochi punti percentuali della luce».

Ci aiuti a capire cosa mostra l’immagine.

«L’immagine mostra esattamente cosa ci saremmo aspettati di vedere nei dintorni di un buco nero supermassiccio, che, come tale, non emette luce propria. L’alone luminoso visibile nella foto è infatti prodotto dall’insieme di gas e polveri che circondano Sgr A*. Al centro dell’anello c’è una regione oscura chiamata ombra, che contiene l’orizzonte degli eventi del buco nero, la superficie oltre la quale nulla, nemmeno la luce, può sfuggire alla presa. Questo materiale, muovendosi rapidamente e comprimendosi nel suo cammino verso l’orizzonte degli eventi, può raggiungere temperature fino a 10 milioni di gradi Celsius. A queste temperature, il materiale, ruotando vorticosamente, emette intense quantità di radiazioni. La maggior parte di esse viene assorbita dal gas e dalla polvere all’interno del nucleo galattico. Solo i raggi X e le emissioni radio si fanno strada attraverso la galassia fino al nostro pianeta.Le equazioni e le previsioni della Relatività Generale trovano riscontro nell’immagine di Sgr A*. Tra le soluzioni della teoria di Einstein, troviamo infatti quelle che descrivono fenomeni gravitazionali limite, chiamati singolarità, in cui la curvatura della trama dello spazio-tempo prodotta da un corpo di massa estremamente compatta è tale da non consentire neanche alla luce di sfuggire.

L’immagine mostra esattamente cosa ci saremmo aspettati di vedere nei dintorni di un buco nero supermassiccio

Le osservazioni di EHT costituiscono l’ennesima conferma della Relatività Generale, anche in un regime di campo gravitazionale forte, come quello che domina il centro galattico. M87* vanta una massa di 6 miliardi di soli ed è di dimensioni gigantesche. Il nostro intero sistema solare si adatterebbe all’interno del suo orizzonte degli eventi. Al contrario, Sgr A*, che si trova a soli 27.000 anni luce dalla Terra, è di dimensioni relativamente esigue. Con “sole” 4 milioni di masse solari, è abbastanza piccolo da adattarsi all’orbita di Mercurio, il pianeta più vicino al sole. Se i due buchi neri fossero allineati per un servizio fotografico, M87* riempirebbe il fotogramma, mentre Sgr A* scomparirebbe del tutto. Inoltre, mentre M87* divora voracemente la materia circostante, forse intere stelle, e lancia un getto di particelle energetiche che illumina la sua galassia, l’appetito di Sgr A*, al confronto, è minimo. Nonostante ciò, i due corpi, a causa della distanza che li separa dalla Terra, appaiono più o meno della stessa dimensione nel cielo, così come previsto dalla teoria della gravità di Einstein».

Quanto tempo e lavoro ci è voluto?

«Abbiamo dovuto affrontare sfide non facili. Lavorare all’immagine di M87 è stato difficile, ma rispetto a Sgr A* è stata una passeggiata. Nonostante Sgr A* è più vicino a noi, la nostra visuale del buco nero è oscurata da gas plasma e polvere, che disperdono le onde radio provenienti dalla regione attorno al buco nero. Noi siamo in una posizione di svantaggio perché siamo nella stessa galassia, posizionati su uno dei bracci della spirale, in mezzo c’è di tutto. Inoltre, mentre la osserviamo al telescopio, la sorgente cambia sotto i nostri occhi e questo complica di molto l’analisi dei dati. Il gas intorno a Sgr A* impiega pochi minuti a completare un’orbita attorno a questo buco nero. Il buco nero al centro della galassia invece è molto più grande e il gas, che si muove alla stessa velocità (prossima a quella della luce) attorno a entrambi i buchi neri, impiega giorni o addirittura settimane per orbitare intorno ad esso: era dunque un target più stabile e quasi tutte le immagini avevano lo stesso aspetto. Non è accaduto lo stesso per Sgr A*. I dati raccolti durante una notte di osservazione, poi utilizzati per elaborare l’immagine finale, includono un intervallo di tempo dove la sorgente è cambiata potenzialmente fino a un centinaio di volte. Per far fronte a questa variabilità e capirne meglio l’aspetto fisico, abbiamo dovuto sviluppare nuovi strumenti sofisticati che risolvessero dei problemi che per molti versi erano nuovi nell’analisi di dati radioastronomici. Abbiamo prodotto milioni di immagini con diverse combinazioni di parametri per i vari algoritmi di imaging, usando grandi infrastrutture di calcolo. Questo spiega non solo il tempo impiegato per la pubblicazione, 5 anni dopo l’acquisizione dei dati, ma anche perché la sorgente appare meno simmetrica e circolare rispetto a M87*. Questa apparenza quasi mossa e più sfocata rispetto alla foto di M87* è dovuta al fatto che l’immagine del buco nero pubblicata è una media delle tantissime immagini prodotte.

L’immaginario collettivo - complice il

Il telescopio Webb? Una straordinaria cinema (da 2001 a Interstellar) - vede nel buco nero una specie di mistero “macchina del tempo”, che ci permette di vedere cosmico, un possibile passaggio verso le prime stelle e le galassie più antiche. un’altra dimensione. Dove si fermano le nostre conoscenze e dove possono Noi astrofisici siamo degli archeologi dell’universo portare le speculazioni? «Indubbiamente sono oggetti che catturano l’immaginazione di tutti, ma soprattutto quella di noi scienziati. Siamo in continua ricerca per comprendere le loro proprietà: come sono nati, come si formano, etc. Ispirano tante domande. Per ora le nostre conoscenze si fermano nelle vicinanze dell’orizzonte degli eventi, la “superficie limite” oltre la quale non è possibile più avere alcuna informazione della materia e le radiazioni che vi “cadono” dentro. Tutto il resto è pura speculazione. Ci sono tantissime ipotesi, ma come dico sempre, fino a quando non vengono provate restano soltanto bellissime teorie espresse con un’elegante matematica. Si potrebbe affermare che ad oggi il buco nero rappresenti la fantomatica siepe descritta da Leopardi, e che in quanto tale funga da trampolino per l’immaginazione umana, che tende in tal modo a teorizzare ipotesi pseudo scientifiche»

Cosa ne pensa delle immagini che stanno arrivando dal telescopio Webb? Cosa ci dicono?

«Come per tutte le scoperte scientifiche, mi emoziono e sono super entusiasta del lavoro che sta svolgendo la ricerca negli ultimi anni. Sono ancora più felice per il fatto che sono coinvolti dei miei amici e colleghi. Ora siamo in grado di comprendere più cose del nostro universo, grazie anche all’avanzata tecnologia che ci consente di arrivare a esplorare cose mai viste. Queste scoperte fanno anche comprendere come sia importante il lavoro di collaborazione tra persone di diverse expertise. Oggigiorno la conoscenza è globale e attinge dal “noi”. Dovremmo cercare ciò che ci unisce, non ciò che ci separa. Tutti devono dare il loro contributo. Il James Webb è indubbiamente un oggetto dalle capacità straordinarie, è una bella “macchina del tempo”: per la prima volta permette di vedere le prime stelle e le galassie più antiche. In astronomia, più guardiamo nell’universo, più guardiamo indietro nel tempo. Noi astrofisici/astronomi siamo un po’ come gli archeologi, soltanto che il nostro campo di azione è un po più vasto rispetto a quello terrestre. Io infatti mi definisco un archeologo dell’universo (per un po’, da piccola, ho anche pensato di fare l’archeologo). I dati del James Webb costituiscono un nuovo tassello del puzzle sulla storia del nostro Universo. Ovviamente vanno studiati e approfonditi. Ma ora siamo in grado di osservare galassie la cui luce ha viaggiato per quasi tutta l’età dell’universo prima di giungere a noi. E questo ci consente di vedere l’universo come era poco tempo dopo il Big Bang. Non è incredibile?!».

Obiettivi per il futuro? Cose che vorrebbe scoprire? Nello spazio e nel suo percorso di vita.

«Vorrei comprendere meglio i buchi neri e come funziona la gravità. Ci sono innumerevoli ragioni per essere affascinati da questi oggetti, ma il vero motivo per cui molti fisici come me li studiano è che mettono a dura prova le leggi della natura che conosciamo e che sappiamo funzionare benissimo. Sono un perfetto test per conoscere i campi gravitazionali più intensi, cioè per confermare o escludere le varie teorie relativistiche della gravitazione formulate accanto alla Relatività Generale e comprendere meglio alcuni scenari particolari dell’evoluzione stellare. La teoria di Einstein potrebbe non essere la teoria finale dell’universo, che forse dobbiamo ancora scoprire. L’obiettivo personale è crescere e migliorare. Lo ripeto a me stessa ogni giorno! Studiare e imparare quante più cose è possibile. Solo in questo modo si può lasciare un segno nella nostra storia. Continuerò a fare il mio lavoro e a farlo nel migliore dei modi. Questo implica anche formare e sostenere nuove giovani menti».

Un sogno?

«Il Nobel! Sono ambiziosa e ce la metterò tutta, voglio vivere una vita senza rimpianti. Ed è quello che suggerisco di fare a tutti voi».

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