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Linda Messerklinger: stati di grazia di un’artista-dakini
by MondoRed
Linda Messerklinger
Stati di grazia, tra musica e cinema, performance e danza Con “Anima_L”, alla ricerca della comunione tra uomo e natura Dialogo a cuore aperto e sensi all’erta con un’artista-dakini
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di Fabrizio Tassi
Capita, a volte, di incontrare donne e uomini che sembrano creature fatate, esseri immaginari, imparentati con qualche antica divinità, o una di quelle entità che popolano (popolavano?) boschi, fiumi e montagne. Vivono in mezzo a noi, anche se generalmente hanno la testa fra le nuvole. Radicati nella natura, amano tutto ciò che è creazione, metamorfosi, connessione. Ed è facile che il loro mestiere sia quello dell’artista, inteso nel modo più vago e vasto possibile, perché ogni definizione li mette a disagio. Linda Messerklinger, ad esempio. Con quel nome che per metà invita alla danza, e che per l’altra suona così teutonico e importante. Con quegli occhi grandi, trasparenti, chiaramente alieni, che ti scrutano e ti attraversano gentilmente. Con l’attitudine alla libertà e all’esperimento, dal cinema alla musica, dallo yoga alla danza, dalla filosofia ambientalista alla celebrazione estatica della vita. La parentela ce la suggerisce lei: dakini, divinità danzante indiana. Possibilmente nella versione buddhista (tantrica), legata all’energia e all’ebrezza mistica, visto che quella induista, al servizio della dea Kali, si nutre di carne umana (Linda, fortunatamente, è vegetariana). La dakini comunica con il corpo, lo sguardo, ed è armata di un coltello che fa bene all’anima, visto che la sua funzione è quella di uccidere l’ego. Nobilissimo scopo, anche se metaforicamente cruento (e comunque lei non direbbe mai “uccidere”, non serve la violenza, ma la conoscenza). Non per niente Linda traduce Messerklinger con l’espressione “lama sonante”. E il suo progetto simbolo si chiama Anima_L, che nel 2023 diventerà anche un disco, ma da anni mette insieme artisti, pensatori, scienziati, musicisti, attivisti, decisi a ritrovare il senso e la pratica di una comunione fra gli esseri viventi di qualsiasi specie, tra cultura e natura.
L’appuntamento con lei, torinese di nascita e cittadina dell’universo, è al cinema Anteo di Milano. Ci incontriamo il giorno di un’anteprima gustosa: proiettano Padre Pio di Abel Ferrara.
Lei arriva con lo sguardo sorridente, di quelli che curano ogni malinconia, indossando una giacca-bisaccia mai vista, dentro cui ci puoi mettere tutto ciò che serve per viaggiare leggero (la voglio!). È quasi inutile dire che la visione del film produce un corposo dibattito – si parla pur sempre di Abel Ferrara – in cui ci ritroviamo a scambiare impressioni, stupori, sbalordimenti (ma c’è “l’embargo”, non se ne può parlare prima della proiezione a Venezia). Il mattatore del film è Shia LeBeouf – che si destreggia tra l’inglese e il latino, tra le provocazioni di Satana e le elezioni politiche del 1920 a San Giovanni Rotondo (dove furoreggiava il socialismo) - ma nel cast c’è anche
Asia Argento, protagonista di un inquietante cammeo. «La adoro – mi dice Linda. - Sono innamoratissima del suo film Incompresa.

Mi commuove il modo in cui ha trasformato in arte le esperienze traumatiche di una bambina. Se hai il coraggio di guardare le tue ferite, di riconoscerle, se dialoghi con loro, puoi mettere questo lavoro a disposizione del mondo. Ti rendi sacro. Altrimenti quelle ferite le riversi addosso alle persone con cui entri in rapporto. Ecologia relazionale. Quando quella magia riesce, è un atto di grazia, lo fai per te e per tutti». Riesce difficile credere che Linda abbia un lato oscuro, attratto dal «magnetismo plutonico, il fascino tenebroso di Asia Argento», visto che tutto in lei comunica luce ed empatia. Ma è meglio non contraddire una dakini.
Amo molto la figura della dakini, collegata al buddhismo tantrico. Il corpo femminile è un veicolo di illuminazione: la bellezza, i gesti della danza, gli sguardi, comunicano verità, intuizioni sulla vita, doni spirituali

Ci ritroviamo a mangiare all’aperto, cose sane e buone, e a rievocare il magico mondo dell’infanzia. «Un paio d’anni fa ho trovato delle videocassette fatte dai miei zii, quelli che avevano la videocamera e quindi riprendevano tutte le riunioni di famiglia. Ora che sono passati degli anni, li benedico per questo. Ci sono reperti incredibili. Ti guardi e dici: io ero quella!? Nel bambino ci sono sempre dei talenti in potenza che rischiano poi di essere soffocati. E c’è una forza vitale! La capacità di creare un vortice di gioia e leggerezza in ogni situazione. Da piccolo sei nel tuo mondo, ma trovi anche il modo di creare altro, ti senti intimamente connesso a tutto, anche se non ci può essere la consapevolezza dell’adulto. È crescendo che cominciamo a percepirci separati dal mondo, dagli altri. Quella connessione bellissima la osservo in mio figlio, ed è lo stato che cerco e che provo in certi momenti, quelli che chiamo “stati di grazia”. Che a volte sperimenti anche sul set».
Non staremo qui a fare il riassunto delle sue apparizioni in film e serie televisive, o l’elenco dei registi con cui ha lavorato, da Ferrario a Sorrentino, sono cose che si trovano ovunque, in giro per la rete (citiamo solo Daisy Jones & The Six, serie tv americana, visto che farà la sua apparizione nell’ultima puntata, girata in Grecia). Ci interessa invece capire cosa sono quei momenti di grazia.
Per questo bisogna ritornare a Faccia d’angelo, miniserie tv di Andrea Porporati prodotta da Sky, trasmessa nel 2012. Linda era Morena, la ragazza di cui si innamora il
Toso, Elio Germano, in una storia ispirata alla vicenda di
Felice Maniero e della Mala del Brenta. «Avevo 24 anni e venivo da un periodo molto particolare. Diciamo pure “mistico”. Mio padre, che praticava yoga e meditazione e amava molto Tiziano Terzani, mi regalò Il potere di adesso di Eckhart Tolle, nell’anno in cui ero stata anche ad Assisi, perché ero attratta dalle figure di Francesco e Chiara. Non avevo mai messo in discussione il fatto che ci fossero altre “dimensioni del reale”. Ma in quell’anno mi sentivo chiamata (diciamo così) a occuparmi di questi temi. Per me fare l’attrice aveva a che fare con questo. Con il bisogno di indagare la multi-dimensionalità della realtà, esserne testimone. È un lavoro sciamanico, la sua radice è quella».
Ma la realtà del mestiere, di solito, è un’altra. «Mi capitava di ritrovami in un mercato dell’immagine. Una cosa da mercenari: vai, fai il tuo lavoro, ciao e grazie. Per me, invece, la relazione con gli altri era centrale. Il fatto che si creasse qualcosa insieme, un atto creativo collettivo: quando c’è quell’alchimia, ciò che accade è superiore alla somma dei singoli. Non ero sicura di voler fare l’attrice. Ci ho messo un po’ a capire che, in realtà, questi due mondi sono radicalmente connessi. Che è la società di oggi ad aver dimenticato le radici del senso di recitare».
Discorsi affascinanti, anche complessi, ma fatti sempre con il cuore in mano e il sorriso sul volto, senza nessuna seriosità, mentre ci scambiamo piatti, ricordi, esperienze. La vita, se la guardi in quel modo, è piena di coincidenze e rivelazioni, è un insieme di frammenti che sembrano slegati fra loro, salvo poi ricomporsi in un mosaico, una visione d’insieme, che forse non è ancora una risposta, ma un po’ ci assomiglia. «Elio Germano era appena tornato dal set in cui interpretava Folco Terzani. Quello era il periodo in cui leggevo Un indovino mi disse. Mio padre aveva scritto a Tiziano, prima di partire per l’India, e conservava la sua risposta come un cimelio. Coincidenze meravigliose».
Tornando all’arte (sciamanica) di recitare: «Fare l’attore è un tentativo di espandere i propri orizzonti: io sono un infinito di cose e amo questa espansione dell’essere, amo me, amo l’altro, mi interessa, vorrei fare quello che fa, ho una curiosità insaziabile, che non è solo umana, è anche multi-specie – tema centrale in Anima_L. - Il modo in cui ho lavorato in quel film era collegato agli esperimenti che facevo su me stessa, quegli stati di allargamento della coscienza. Mi sentivo molto in trasformazione, dentro una connessione particolare con le anime che incontravo. Con un’immensa fiducia nell’esistente, un amore per tutto».
Poi, però, c’è sempre un dopo. Perché il mondo, intorno, non ti chiede poesia o “intuizioni metafisiche” (roba che non si compra e non si vende), vuole gente efficiente, performante, con una chiara identità lavorativa. «Mi sono detta: e adesso qual è il prossimo passo? Non posso tornare indietro. E mi sono trovata a vivere l’occupazione del Teatro Valle, dentro una realtà fatta di lavoratori, diritti, contratti, di persone che lottano per il bene comune. Bellissimo. Ammiro tantissimo chi spende la propria vita lottando per degli ideali. Ma so anche che questo non è “il mio”. Io vivo più di creatività e trasformazione continua, di poesia, non riesco a stare in quella “cazzimma”». Anche se poi la cazzimma ce l’ha pure lei. Ognuno la manifesta a modo suo. La dakini non pratica la protesta e l’indignazione, è più a suo agio con l’illuminazione. «Amo molto la figura della dakini. Il corpo femminile è di per sé un veicolo di illuminazione: la bellezza, i gesti della danza, gli sguardi, comunicano verità, intuizioni sulla vita, doni spirituali. Per questo si parla di danza sacra in tante tradizioni religiose e spirituali. Ho scoperto la dakini grazie a Illuminazione appassionata di Miranda Shaw, ed è stata una folgorazione. Poi ho avuto modo di approfondire l’argomento con Viki Noble e Morena Luciani Russo, antropologhe e attiviste». Che si tratti di insegnare yoga o la “tantradance”, di recitare, ballare, fare musica, ciò che conta è risvegliare (o liberare) i sensi.

Linda Messerklinger dieci anni fa, ai tempi in cui interpretò il ruolo di Morena nella serie “Faccia d’angelo” (foto Fabio Lovino) A fianco, due scatti più recenti, realizzati da Letizia Toscano




«Mi piace il concetto di body creativity: è come se fossi una facilitatrice, che con il suo movimento, la presenza, la voce, ti aiuta a sentire la libertà e il desiderio di manifestare la tua creatività fisica, di gioire del corpo ed esplorarne il potenziale. In Anima_L questo aspetto si esprime sul palco, ma c’è anche nei testi delle canzoni e nei video che ho girato e girerò. Il senso di comunione col creato non può esulare dal corpo e il corpo non può esulare dal movimento. Le dakini sono danzatrici guerriere. Il loro coltello taglia a pezzi il sé centrato nell’io, recide ogni legame con la fissazione dualistica (io/altro), sacrificando la parte egoica dell’individuo Il modo in cui si muovono e ti guardano induce delle trasformazioni. Questa cosa la trovo bellissima».
Parliamo di Anima_L mentre camminiamo per Milano, quasi a caso, lungo le strade semi-deserte di agosto. Si tratta di un progetto nato dall’esigenza di dare un nome e una forma a qualcosa che sentiva ribollire dentro, e che ha acquisito concretezza (“messa a terra”) grazie all’incontro con “Vicio” Luca Vicini, bassista dei Subsonica e musicista dalle mille risorse. «Tutto è partito nel 2018, dopo qualche anno in cui avevo sperimentato varie forme di performance multimediale, tra cui Mem-In nome della madre e Shape_Shift. La domanda era: come creo le condizioni per far passare ciò che voglio esprimere? Con un’immersività potente, fatta di musica e immagini che scelgo io, che per me sono molto evocative. Ti accompagno in un viaggio, in una dimensione allargata, dove canto, narro, danzo, mi libero e divento altro». È tutta una questione di percezione. «Voglio che tu percepisca i sensi che si aprono, si spalancano. L’esatto contrario di ciò che accade oggi. Penso all’arte museale, in cui non puoi toccare niente, o certi concerti fatti in luoghi enormi e dispersivi, con il palco distante dalla gente, che spesso riprende coi telefonini, perché si percepisce come elemento passivo dello spettacolo. Mi immagino dei live in cui sentire il fatto di entrare insieme “da qualche parte”, vivere quel momento, lasciarsi andare. Sento di avere questo “superpotere” (ognuno ha il suo) di donare attraverso il mio corpo e la mia voce un senso di liberazione, un ampliamento dell’orizzonte». Linda si rende perfettamente conto di quanto siano eccentrici certi discorsi, rispetto al senso comune. Sorride di sé, della sua ricerca frenetica e per nulla lineare. Ma è anche consapevole di non poterne fare a meno. A questo proposito, ho anche una domanda ad hoc, quasi pleonastica: “L’impressione è che tu non segua un progetto di carriera, ma che ti lasci trasportare dall’ispirazione e dall’occasione”. «Verissimo. Non amo particolarmente il concetto di “carriera” e non mi interessa programmare le mie scelte artistiche in questo modo. Non funziono così». Non funziona così chiunque sia impegnato in un «percorso di auto-conoscenza e di conoscenza del mondo». E comunque l’occasione ha poco a che vedere con il caso. «Mi sono accorta che se coltivo e faccio valere questa mia fede nella vita, nel creato, in ciò che si manifesta nel momento in cui deve manifestarsi, ecco che le occasioni si presentano in base al lavoro che sto facendo. Siamo tutti un po’ registi della nostra vita. L’occasione si manifesta perché ti stai aprendo al fatto che si manifesti. Incontri magici, piccole illuminazioni». Ma questa capacità non significa “essere arrivati”. Anzi. Si ricomincia ogni volta. «A 35 anni continuo a chiedermi: chi sono? Cosa faccio?». Intanto Linda sta continuando a portare Anima_L in giro per l’Italia. Il 21 settembre sarà a Firenze, al Cenacolo della Basilica di Santa Croce, per il Festival “Genius Loci”, in collaborazione con La Nottola di Minerva e
Controradio. Il 7 ottobre farà tappa ad Abbiategrasso, all’ex-convento dell’Annunciata, per la rassegna “Mosaico di Teatro e Musica” organizzata da Piano In Bilico e Maffeis Lab. Poi ci saranno varie tappe in Piemonte, tra cui una performance con il poeta Davide Rondoni e un incontro con Verena Schmid e Diana Dell’Erba, autrici del podcast “La nascita tra luci e ombre. Racconti di parto per una maternità consapevole”. Anima_L unisce arte, scienza e attivismo. «In questi anni mi sto relazionando a persone appartenenti a mondi diversi. Discipline che vanno dalla sociologia alla filosofia, dalla medicina alla giurisprudenza. Anima_L è un laboratorio. Mi interessa conoscere e far conoscere persone che stanno facendo cose interessanti nel loro campo, legate al senso di comunione che l’uomo è in grado di provare nei confronti del mondo che lo circonda. Lo studio della realtà non può prescindere dalla multi-disciplinarietà. L’artista è a suo modo uno scienziato, e viceversa, così come l’attivista, che si fa delle domande sul presente, entra in contatto con le problematiche che studia, ci mette il corpo, l’energia, vive attivamente la sua realtà». Si parla di natura e ambiente – anzi di “accarezzare l’ambiente”, di usare la gentilezza per cambiare il mondo – ma si va al di là di ciò che si intende generalmente per ecologia. «Penso a Papa Francesco, che ha parlato di ecologia integrale, o Ugo Mattei, teorico dei beni comuni, che ho conosciuto ai tempi dell’occupazione del Teatro Valle. Ma anche a Daniel Lumera, autore di Biologia della gentilezza. Bisogna avere un’attitudine ecologica verso tutto ciò che ci circonda, a partire dall’immediato, dal vicino di casa. La capacità di attivare un senso dell’altro, di far parte di questo grande essere vivente che è il mondo. Sarebbe contraddittorio battersi per i diritti del lemure in estinzione e poi non provare quello stesso senso di compassione in altre circostanze. Ecologia intesa come senso che nasce dallo spirito, non unicamente dal raziocinio. Si va oltre l’attivista che fa il suo atto dimostrativo senza creatività, quindi senza colpire l’immaginazione. Oltre l’artista che si limita alla performance, o il ricercatore che eccelle nel suo campo ma non viene letto da nessuno. Nell’ibridazione c’è un potenziale altissimo». C’entra ovviamente anche la musica, tanto che nel 2023 uscirà un disco. «Il prossimo anno uscirà finalmente l’album Anima_L a cui io e Vicio abbiamo lavorato in questi anni. Sarà anticipato da nuovi singoli che pubblicheremo nei prossimi mesi. Ad oggi sono usciti i primi due, oltre ai brani legati al mio progetto Shape_Shift, che sono trasformazioni di canzoni preesistenti, ibridazioni fra brani di artisti e mondi diversi». Anche qui si parla di multidimensionalità. «Una stratificazione di layer sonori, testuali, concettuali, che crea dei paesaggi. Qualcuno ha detto che è un po’ come se dipingessi con la musica e la voce. Musica immersiva, che ti porta “da qualche parte”.
Bisogna avere un’attitudine ecologica verso tutto ciò che ci circonda, a partire dall’immediato, il vicino di casa. Attivare un senso dell’altro

Linda e Vicio in scena a Firenze a Palazzo Medici (foto Claudia Ceville) Nell’altra pagina, Anima_L al Museo d’arte contemporanea Castello di Rivoli, (foto Federico Masini)
Che non per forza rimane nella forma canzone, ha anche un istinto sinfonico che ha bisogno di evolversi e trasformarsi. Ma al centro c’è sempre il calore. Non mi piace la musica mentale. Deve avere una radice sensoriale, corporea. I bassi sono fondamentali, il ritmo, la vibrazione primordiale». Il genere? «Musica elettronica, elettropop, anche forma canzone, con incursioni jazz, word... Mi piace anche la definizione art-pop. Ha comunque una forte connotazione melodica. Alla base c’è la semplicità di certe intuizioni che sono chiarissime, immediate. Poi c’è tutta una stratificazione, un lavoro sonoro su texture vocali utilizzate come strumenti. Io non sono una musicista, quindi “scrivo con la voce”». Se volete farvi un’idea, in rete trovate anche due video (li scrive e li dirige lei!): Splash Auf Wiedersehen, tenero e surreale, dedicato al nonno, e il notevole Voyage dans la lune, in cui, tra le altre cose, si scherza sui temi del transumanesimo. Gli altri brani? Alcuni li abbiamo ascoltati in anteprima: melodie orecchiabili e intriganti abbinate ad ambienti sonori complessi, paesaggi mentali (che hanno tanti strati, orizzonti lontani, miraggi, ma anche cunicoli in cui infilarsi per scendere in profondità, dettagli illuminanti). C’è un complesso lavoro sul suono e la voce, ritmi tribali e versi animali, ma anche testi complessi che evocano “nuovi sensi”, visioni cosmiche, stati di grazia. Ci sono perfino un paio di potenziali hit (segnatevi i titoli: Planetario e Hobbit Dance).
Abbiamo visto quel campo di papaveri e io mi sono letteralmente buttata
L’ultima tappa è nel cortile del Castello Sforzesco. Sfogliamo i suoi album fotografici digitali. La dakini è molto più che fotogenica, esce letteralmente dalla superficie dello schermo. È tridimensionale, multidimensionale.
Ora è tempo di raccontare anche come è nata la foto di copertina di REDness, e le altre immagini catturate in un campo di papaveri. «Da bambina avevo un rapporto fortissimo con quei fiori. Avevamo un campo di papaveri davanti casa, immenso, in cui mi immergevo per ore. Davanti c’era una montagna che si chiama Musinè. È la stessa montagna sotto cui abbiamo lavorato anche al disco. Mi ricordo che stavo nella natura per ore, giocando con i fiori, le farfalle, passando il tempo su un salice piangente. Avevo anche un rapporto molto intenso con i miei gatti. Fiori e animali erano una famiglia per me». Le capita un giorno di ritrovarsi in viaggio con Federico Masini, un fotografo che lavora sul rapporto tra corpo e natura. «Siamo partiti per andare in un altro posto, ma quando abbiamo visto questo campo di papaveri bellissimo, abbiamo fermato la macchina e io mi sono buttata in mezzo ai fiori. Sono immagini completamente istintive. Lui mi ha seguito senza chiedermi nulla. Mi ribello alle pose, quel tipo di fotografia non mi interessa. Ho bisogno di vivere la mia esperienza, che il fotografo cattura. Mi sono tuffata letteralmente in quel campo di papaveri. Ho fatto cose che probabilmente facevo da piccola, lasciandole fluire. Federico mi ha detto che gli sembrava di avere davanti una bambina». Come diceva Picasso? «Tutti i bambini sono artisti nati, il difficile è rimanerlo da grandi. Anima_L ha molto a che fare con questo processo. Cerco ricercatori, artisti, filosofi che hanno questa scintilla, quella del bambino interiore che non è stato chiuso in una scatola».

Aproposito di bambini (precoci), Linda chiese a sua madre di iscriverla a un corso di danza quando aveva 3 anni. «Mia madre, in casa, suonava per ore il pianoforte o il contrabbasso e io ballavo tutto il tempo. Poi molto presto ho cominciato a coinvolgere altre persone. Alle elementari creavo coreografie insieme alle malcapitate compagne di classe. Organizzavo anche degli spettacoli in palestra, mi sbattevo per mesi. Questa cosa non si è mai spenta. A un certo punto sembravo avviata verso il professionismo nella danza, ma sapevo che non avrei fatto la danzatrice, mi interessava anche la parola, l’emozione, l’interpretazione. Già allora mi distinguevo per il pathos esagerato che mettevo nelle coreografie, piuttosto che per la tecnica. Mia mamma aveva la sua compagnia teatrale, nei suoi spettacoli cantavo, ballavo, recitavo». Ma c’è da svelare anche la questione del cognome. «Michael Messerklinger era mio nonno, musicista, arrivato a Torino per suonare nell’Orchestra Sinfonica della Rai. Un uomo che mi affascinava molto e allo stesso tempo mi incuteva timore. Un orsone viennese anche un po’ burbero. Mi sento molto connessa a lui. Incarnava l’artista accademico, un musicista classico, direttore d’orchestra, con quel tipo di disciplina. Ma era anche grande attivista, che ha contribuito a fondare il sindacato dei musicisti, e li portava in Fiat a suonare per gli operai. Ha innovato e ha creduto molto nel valore dell’arte come atto sociale». Linda è dakini, è energia libera, sensuale e sacra, ma possiede anche un lato teutonico e filosofico, la capacità di concettualizzare, di dare una forma alle sue intuizioni. «La filosofia non è sempre stata quella disciplina che oggi si fa all’università. Ha anche lei una “radice sciamanica”. Il filosofo è colui che si fa domande, è un punto interrogativo ambulante». Finiamo a parlare della trasformazione possibile o impossibile, della nicchia che si interessa a questi temi e che forse non diventerà mai popolo, della mancanza di mecenati illuminati alla Lorenzo de’ Medici, di Leonardo da Vinci a cui nessuno ha mai chiesto di decidere se voleva essere architetto, scultore, pittore, scienziato, artista, inventore. «L’essere umano nasce così, poliforme. Ci sono diverse tecniche, come la meditazione, che ti aiutano ad esercitare fino in fondo il tuo potenziale». Certo, ci sono anche quei giorni un po’ così, in cui ti senti affaticata e ti chiedi: «Cosa sto facendo? Riesco a dare qualcosa al mondo? In che modo?». Ma oggi non è quel giorno. Oggi c’è un disco da finire, dei live da immaginare, dei podcast da preparare, dei corsi da organizzare. La dakini non si stanca mai di danzare e ammaliare.


Le immagini tra i papaveri sono opera del fotografo Federico Masini. Il volto è ritratto da Luca Carlino