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Lo Scultore

Kyoji Nagatani

Intervista a cura di Claudia Notargiacomo

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Un mondo magico e misterioso, quello di Kyoji Nagatani, dove vita e arte si fondono, dove l’opera diviene qualcosa di più di un oggetto, frutto di un rapporto d’amore e passione, in cui l’artista si prende cura della materia durante tutte le fasi della lavorazione, fino a quelle finali della rifinitura, istanti in cui si crea un vero e proprio legame affettivo tra lo scultore e l’opera, che diviene contenitore di umanità, attraverso la cura e l’attenzione nel preservare la bellezza e il valore dell’opera stessa.

Maestro Nagatani, come si è strutturato il suo percorso artistico?

Ho studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Tokyo e già in quegli anni mi interessavo di scultura. Un momento che ha segnato profondamente la mia carriera di scultore è stato quello in cui ho avuto l’occasione di assistere ad una importante mostra organizzata dall’ambasciata italiana, relativamente ai grandi scultori classici. Era la prima volta che mi avvicinavo così tanto ad opere italiane di tale valore. A colpirmi fu la qualità artistica indubbiamente, ma rimasi particolarmente affascinato dalla tipica tecnica di fusione ‘a cera persa’, un’antichissima procedura impiegata nella realizzazione delle sculture rinascimentali, per esempio. Decisi allora di approfondire questo aspetto. Il momento della fusione del bronzo rappresenta un passaggio che mi piace definire divino, durante questa fase, come avviene anche per vetro, ceramica e porcellana, si ha una trasformazione che va oltre la materia e riguarda un livello differente, spirituale. In questo passaggio la trasformazione avviene grazie al calore elevatissimo e si configura come qualcosa di distante dall’artista e che prescinde da esso. In Giappone, durante questa fase, noi preghiamo presso un altare perché ogni oggetto ha la sua anima ed è proprio in quel momento, attraversando il fuoco, che esso riceve l’anima. L’atto artistico non è solamente una questione di lavorazione della materia, ma un vero e proprio momento divino. Dopo la specializzazione in Belle Arti a Tokyo, grazie ad una borsa di studio, ho frequentato l’Accademia di Brera. Mi hanno colpito le differenze nel modo di insegnare, ciò mi ha permesso di acquisire un nuovo modo di rapportarmi alla scultura. Fu l’incontro con un docente, che credeva molto nel mio lavoro, ad aprirmi le porte della Fonderia Maf, all’epoca la più importante del mondo, dove ho poi passato i successivi venticinque anni a lavorare. Per me la fusione significa occuparmi di tutto il processo,

PER INTERPRETARE CORRETTAMENTE L’OPERA SCULTOREA DI NAGATANI È INDISPENSABILE RICHIAMARE LA SENSIBILITÀ E LA PARTECIPAZIONE ATTIVA DELL’OSSERVATORE. NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI, INFATTI, LE SUE OPERE SI PRESENTANO COME FRAMMENTI DI UNA REALTÀ PIÙ AMPIA E MISTERIOSA. COME APPARE TALVOLTA ANCHE NEI TITOLI DELLE SUE OPERE, LE SCULTURE SI PRESENTANO COME “SEMI”, ELEMENTI PRIMORDIALI CON POTENZIALITÀ ANCORA INESPRESSE, CON REALTÀ NASCOSTE TUTTE DA SCOPRIRE. È POSSIBILE TROVARE FORTI ANALOGIE FRA QUESTE OPERE E LA NOZIONE DI FERTILITÀ: C’È UN SOFFIO LEGGERO DEL TEMPO DIETRO LE OPERE DI NAGATANI; SUSSISTE UNA PRESENZA DEL PASSATO CHE INTERROGA CON INSISTENZA L’OSSERVATORE. QUESTA È UNA AFFASCINANTE CHIAVE DI LETTURA DEL LAVORO DELL’ARTISTA. IL “TEMPO” È EVIDENTEMENTE UNA REALTÀ ESTERNA ALLA SCULTURA, MA DIVIENE UNA NOZIONE DI RIFERIMENTO NEL MOMENTO IN CUI AVVIENE L’INCONTRO CON L’OSSERVATORE.

MARIO BOTTA di ogni passaggio, fino alla rifinitura. Livellare e levigare: due momenti fondamentali che permettono all’artista di superare la distanza e la freddezza tra lui e l’opera. È questo il momento in cui si apre una via, un canale, tra artista e opera, momento in cui la comunicazione e il dialogo divengono passaggi preziosi e imprescindibili. È vivendo questa esperienza che ho compreso il senso delle parole di Donatello: “Più lavori il bronzo, più questo si avvicina all’artista”.

Maestro, cosa indaga attraverso la sua ricerca artistica e perché ha scelto un linguaggio astratto/concettuale per esprimersi?

Dopo circa trent’anni di figurativo, ho sentito l’esigenza di esprimere il mio pensiero attraverso una mia forma: sono passato all’astratto senza difficoltà, è stato per me un passaggio istintivo. Quando si parla di mondo e universo si parla di qualcosa di astratto, che poi noi rappresentiamo attraverso il figurativo, ma in realtà il mondo è in continuo movimento. Fu negli anni Ottanta che realizzai la mia prima personale di opere astratte, a Milano. Proprio nella serie delle ‘Triadi’, realizzate sia in bronzo che in marmo, esprimo quella che è la mia visione esistenziale che coincide con la mia ricerca artistica. L’individuo è dotato di corpo e cuore fin dalla nascita, questi elementi fisici gli permettono di compiere la sua ricerca per trovare il proprio spirito. Quest’ultimo, infatti, non viene concesso alla nascita, ma è responsabilità del singolo ricercare nella creazione quotidiana e con profonda umiltà questo terzo elemento che dona la stabilità. Questo concetto è valido per tutti, è attraverso la vita e l’esperienza che ogni individuo può mettersi alla ricerca di se stesso, chiedendosi il perché si trovi qui. Questa è una domanda che non abbandonerà mai l’uomo, continuando a stimolare la sua ricerca.

Come si pone di fronte al problema dell’intelligibilità dell’arte concettuale? E in che misura l’arte deve avere immediatezza e valenza comunicativa?

Egoisticamente non pretendo che il messaggio che esprimo arrivi nello stesso modo a tutti. Non è un dramma per me non essere compreso, perché se anche solo una parte degli osservatori comprende, ciò è motivo di grandissima soddisfazione. Ogni lavoro artistico ha il dovere di esprimere la propria valenza sociale, in qualità di artista voglio portare qualcosa alla società: serenità, speranza e gioia. Proprio all’interno di un mondo dove accadono cose orribili come la guerra, è necessario che ognuno prenda in carico la propria responsabilità di diffondere speranza.

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