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di Eleonora Cavalluzzo pag
from ViaLibera n. 2
by LiceoRummo
Figure di donna
di Eleonora Cavalluzzo
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«La qualità che più amo in una donna è il senso dell'umorismo, è una capacità di cambiare prospettiva». In questo modo Lella Costa risponde alla domanda di Serena Bortone nel salotto televisivo di Oggi è un altro giorno.
Parlando di una qualità che attribuisce a tutto il genere femminile, Gabriella Costa, monologhista, umorista, scrittrice e doppiatrice, racconta anche di sé stessa. In ogni suo discorso è possibile cogliere con facilità la sua leggera ironia, dietro la quale si celano riflessioni su temi che stanno ultimamente diventando ordinari, ma non per questo meno necessari da trattare.

La «marcia in più» della donna
È proprio in questa intervista che l’artista esprime la sua opinione, in chiave umoristica, sui vari aspetti della realtà sociale misogina in cui viviamo. In maniera analoga, compie il medesimo procedimento nei suoi libri e nei monologhi tenuti a teatro. Nel libro presentato nell'intervista, “Intelletto d'amore: quattro donne, un poeta, Dante”, la Costa gioca, insieme a Gabriele Vacis, con personaggi femminili appartenenti alla vita di Dante Alighieri, del cui nome non viene fatto il minimo cenno. Si fa riferimento ad una frase di uso comune nel periodo ottocentesco: “Dietro ogni grande uomo, c'è una donna che soffre”. Con l'avvento di tutti i movimenti culturali avanguardisti, oltre che dello stesso femminismo, quella sentenza ha cambiato forma, diventando “Dietro ogni grande uomo, c'è una grande donna”. Gabriella Costa ci fa notare che la preposizione “dietro” è però ancora presente, come per ricordarci che, per quanto il genere femminile possa impegnarsi a conquistare eguali diritti, quella subalternità rispetto a quello maschile rimarrà indelebile perfino nella convenzionalità delle parole. Ma perché proprio il titolo “Intelletto d'amore”? L'autrice lo spiega attraverso l'analogo verso dantesco “Donne ch'avete intelletto d'amore” della Vita Nova. Mentre ad una analisi contemporanea potrebbe sembrare che il poeta alluda ad una sentimentalità femminile che oscura il suo raziocinio, nel lontano Quattordicesimo secolo stava ad indicare una qualità aggiuntiva che la donna possedeva rispetto all'uomo, come se ella godesse di una complessità interiore di gran lunga più profonda e matura, proprio perché il suo non è semplice intelletto. Gabriella Costa è inoltre autrice di molteplici libri, spesso strettamente collegati con gli spettacoli che mette in scena nei teatri. Tra quelli che hanno riscosso più successo, ricordiamo il citato Intelletto d'amore, Amleto, Alice e la Traviata, Come una specie di sorriso e Che bello essere noi. Tuttavia, i suoi monologhi sono il mezzo più efficace con cui riesce ad ironizzare su un femminismo che, se raccontato in maniera ordinaria, risulterebbe obsoleto e apatico nell'estremizzazione che spesso viene resa di esso. Il suo umorismo rende immediata la comprensione del messaggio che vuole condividere, solleticando con delicatezza la coscienza spesso latente dello spettatore, rendendo imprescindibile un ripensamento su quei valori umani che fino a quel momento riteneva più che validi. Il dubitare dei propri principi morali è esattamente ciò che tiene la nostra attenzione legata alle sue parole e la nostra persona seduta, immobile davanti alla sua. La sua ultima produzione teatrale è intitolata Se non posso ballare, non è la mia rivoluzione ed è la rappresentazione di novantatré figure di donne che hanno lasciato alla storia qualcosa per cui dovrebbero essere ricordate, ma di cui non si conosce neppure il nome. Personaggi femminili del passato più lontano e più recente che scoprono di essere state importanti e non riescono neppure a credere appieno alla loro stessa rilevanza. I loro sguardi non riescono a definire i contorni ancora offuscati del proprio valore, per colpa di un maschilismo che in vita non glielo ha riconosciuto. Lella Costa assume il compito di tramite, invita tutte quelle donne a ballare e a fare la loro rivoluzione per far sentire la propria voce, facendo riferimento alla celebre frase di Emma Goldman che ha dato il titolo allo spettacolo. La monologhista ci offre un punto di vista nuovo sulla parità ambigua tra uomo e donna, ci illustra il lato retrogrado di un mondo che si presenta così avanguardistico e ce lo racconta con parole che, a un primo impatto, non mostrano il loro peso reale, discorrendo però con il sorriso sempre in volto.