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La posizione della donna nella società

di Andrea Solla

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Sin dalle prime forme societarie, dai semplici villaggi primordiali, alle prime città-stato greche, per poi arrivare gradualmente alle prime città urbanizzate e in seguito ai primi stati nazionali, fino alle società globalizzate ed avanguardistiche odierne, la donna ha sempre avuto un ruolo ben delineato, sebbene solo recentemente sia in condizioni di sceglierlo.

Nelle società primitive (quelle dell'homo sapiens per intenderci), le donne avevano il compito di raccogliere bacche ed erbe commestibili, o di nutrire i figli, lasciando agli uomini i compiti che richiedevano prestanza fisica, come coltivare orti o costruire capanne. L'idea della minor forza fisica del sesso femminile relega la donna unicamente all'occuparsi dei figli e delle faccende domestiche, consolidando col tempo questa convinzione ed attribuendo alla donna, anche in tempi recenti, questo ruolo.

Dalle origini ad oggi

La scarsa considerazione riservata alle donne è visibile anche nelle città-stato greche (tra l'VIII ed il I secolo a.C. circa), governate da una proto-democrazia che di fatto non comprendeva realmente tutto il popolo, il “demos”, poiché escludeva, oltre agli stranieri ed agli schiavi, proprio le donne, anche quelle greche per nascita e residenza e di ottimo rango sociale, proprio come se esse non avessero il diritto di esprimere la propria opinione politica. Raramente nella storia abbiamo assistito a casi di donne-guerriere oppure di donne al capo di un governo, o, più in generale, con ruoli amministrativi di un certo calibro. Citiamo doverosamente Cleopatra, vissuta tra il 69 e il 30 a.C., e facciamo un piccolo accenno a Wu Zetian, che da concubina di talento diviene imperatrice della Cina nel 655… Poi abbiamo un lasso di tempo enorme, prima di trovarci di fronte a Giovanna d'Arco, la giovane contadina francese del 1400, che prese parte come soldatessa alla Guerra dei Cent'Anni tra la sua patria e l'Inghilterra, ma che, per arrivare al suo intento, dovette fingere di essere un uomo. Altra eccezione di questo periodo riguarda la regina di Inghilterra, soprannominata “the Virgin Queen”, Elisabetta I Tudor, una delle regnanti più famose, importanti ed influenti dei secoli addietro, sia a causa della lunga durata del suo regno, sia per il grande periodo di prosperità vissuto dagli inglesi in quegli anni. Potremmo spendere qualche parola per Caterina II di Russia, cui si devono importanti riforme in campo giuridico ed amministrativo, oltre che il ridimensionamento dei nazionalismi polacchi che le consentiranno di annettere la Polonia alla Russia in pieno periodo illuministico. Al di là di queste figure, che sono le più note e rappresentative dell'emancipazione storica femminile, per arrivare a dei concreti progressi si sono resi necessari diversi secoli, molte battaglie sociali e molta, moltissima tenacia e volontà di abbattere le barriere di un mondo pensato in una prospettiva rigorosamente maschile. Il secolo chiave a riguardo è probabilmente il XIX, poiché, proprio nell'1800, prendono piede i primi movimenti femministi, che si battono affinché le donne godano di maggiori diritti e di maggiore considerazione in ambito sociale, lavorativo, scolastico e politico. C'erano comunque stati dei precedenti progressi, poiché le donne agiate e di buon rango sociale erano considerate madri e mogli rispettabili, potevano frequentare gli istituti scolastici e non erano più soggette ai faticosi lavori domestici, al contrario delle donne provenienti da famiglie più umili, la cui condizione era pressoché la stessa di quella dei secoli precedenti. Ma questi progressi, in fondo, erano immancabilmente dei riconoscimenti provenienti da concessioni degli uomini. La prima piccola rivoluzione avvenne quando, nel 1878, si tenne un congresso sui diritti delle donne a Parigi, promosso in particolare dalla giornalista ed attivista italiana Anna

Maria Mozzoni. La prima grande rivoluzione in questo senso vi fu invece in Inghilterra, con la nascita già nel 1867 della prima associazione per il riconoscimento del diritto di voto anche alle donne, detta National Society for Women's Suffrage, che fu poi chiamata con accezione dispregiativa “suffragette”. Le due maggiori figure di questo movimento furono Millicent Fawcett, che cercò invano di far avvicinare anche gli uomini a queste importanti tematiche, ma soprattutto Emmeline Pankhurst, che promosse fermamente la necessità di permettere anche alle donne di votare e quella di eliminare le differenze di genere in ambito matrimoniale (adulterio e divorzio) e familiare (eredità). Grazie a lei, nacque la Women's Social and Political Union (WSPU), Unione sociale e politica delle donne, basata su manifestazioni e proteste dapprima pacifiche e poi divenute violente ed eccessivamente animate e, perciò, altrettanto brutalmente represse. Il loro fervore sociale culminò nel 1918 con un successo: la conquista del diritto di voto per le donne sposate e per tutte le donne indistintamente; l'anno successivo, poi, l'Inghilterra salutò la prima donna eletta nel Parlamento inglese, Nancy Astor, rieletta anche nel 1928. Tale diritto fu poi conquistato anche dalle donne tedesche nel 1919 e da quelle statunitensi nel 1920, anche se in alcuni Paesi come la Svizzera si dovette aspettare addirittura il 1971. Da qui la strada fu in discesa, con il riconoscimento graduale, più veloce nei paesi più sviluppati, più lento in quelli dell'area orientale del globo, dei diritti fondamentali ed inalienabili (ossia inviolabili dalle leggi, come quello alla vita, alla libertà di pensiero, alla religione ed espressione, all'uguaglianza di fronte alla legge ecc…), e in seguito di tutti gli altri diritti di cui le donne godono oggi, come quelli relativi al divorzio, all'aborto ed all'apertura di alcune carriere lavorative fino ad allora precluse, come quella politica, militare o giuridica. Anche nel nostro Paese le donne hanno dovuto aspettare a lungo prima di vedere i loro diritti riconosciuti dalle leggi italiane. La conquista maggiore in Italia è stata senz'altro quella del diritto di voto nel 1946, con l'introduzione del suffragio universale, ossia della possibilità di votare per chiunque fosse maggiorenne, indipendentemente dal proprio genere. In seguito, nel 1948, la Costituzione ha esteso alle donne il diritto di accedere in condizioni di uguaglianza a tutti gli uffici pubblici ed alle cariche elettive. Da qui, sono state molteplici le leggi e le norme a favore e tutela delle donne, di cui ancora oggi si dibatte, per aggiornarle o promulgarne di nuove. Negli anni '50 e '60 del Novecento sono state emanate leggi circa la tutela della lavoratrice madre, il divieto di licenziamento durante il parto e il congedo di maternità prima e dopo di esso. Nel 1963, le donne sono state ammesse a tutte le cariche, professioni o impieghi pubblici, mentre nel 1960, è stata aperta alle donne la possibilità di far carriera prefettizia (di avere ruoli in prefettura) e diplomatica. Negli anni '70, si è invece discusso di leggi riguardanti il diritto di famiglia, gli asili nido, i consultori (istituzioni sanitarie di supporto a singoli o famiglie richiedenti), la possibilità di abortire legalmente (anche se ancora oggi ci sono i cosiddetti “obiettori di coscienza”, ossia medici che, seppur siano obbligati a farlo, non lo praticano) ed il divorzio (precedentemente permesso solo all'uomo). Infine, nel 1996, la violenza sulle donne (tema di cui ancora oggi si discute animatamente poiché tristemente frequente) è divenuto un reato contro la persona e non più contro la morale. Nel 1999, è divenuta possibile la carriera militare e, più recentemente, nell'aprile 2009, è stata emanata la

legge sullo stalking (persecuzione ossessiva ed opprimente subita indistintamente da uomini, ma soprattutto da donne). Purtroppo, la mentalità retrograda e l'arretratezza sociale caratterizzano ancora la società odierna, in molti settori, in Italia come nel resto del mondo, ancora condizionata da principi di stampo marcatamente sessista. In alcuni ambiti, infatti, la società è tristemente ancora a base patriarcale, ossia una società in cui sono solo gli uomini a “comandare”, con le donne invece destinate a ruoli domestici e casalinghi, come la cura della casa e dei figli. Un esempio di tale arretratezza lo troviamo nel fatto che tuttora il sesso femminile è definito “sesso debole”, riprendendo proprio i principi delle prime società formatesi, e che le donne sono spesso escluse da incarichi politici, manageriali o amministrativi, quando non sono reclutate come “quote rosa”. Più in generale, indipendentemente dall'ambito lavorativo, basta pensare come una buona fetta della nostra società abbia ancora una visione antiquata ed ampiamente superata circa le donne, le loro battaglie sociali, la loro posizione nella società ed il loro corpo, spesso ancora oggetto di mercificazione. Dunque, semplicemente tracciando una sorta di linea temporale del percorso compiuto dalla donna nelle diverse società, possiamo notare degli enormi progressi, poiché nella società odierna le donne godono comunque di ottima considerazione. Ma va ricordato come i progressi non siano mai abbastanza, poiché in alcuni ambiti le donne non sono ancora considerate allo stesso modo dell'uomo. Ad esempio in ambito salariale è ancora ampia la forbice tra gli stipendi medi ricevuti da donne e uomini che esercitano le stesse professioni, il noto “gender pay gap”, il 5% in Italia, ma ben il 14,1% in Europa. Inoltre, va ricordato che anche ciò che noi oggi riteniamo normale e scontato non è universalmente riconosciuto, soprattutto in alcune civiltà (in particolare quelle del mondo arabo e medioorientale, come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein, Iraq ecc.…) e che, come elencato sopra, tali conquiste sono state abbastanza recenti e non sempre sono rispettate da tutti. Questi dati dovrebbero invitare tutti a delle serie e profonde riflessioni sul tema della donna e su tutto ciò che è correlato ad esso, cercando di sensibilizzare coloro che tuttora, per le più svariate ragioni, religiose, educative ecc.., ritengono le donne ancora inferiori e non uguali in tutto e per tutto all'uomo, come dovrebbe essere in una società che si possa definire equa, rispettosa e paritaria, quale, in teoria, la nostra.

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